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Dunque, è ormai tutto  deciso. Senza se; senza ma; senza rinvii ulteriori.

Confermato lo scioglimento del Consiglio comunale, che di fatto apre nuove piste di inquietudine, di  dibattiti, di animati comizi elettorali..

Il Consiglio di Stato rigetta il ricorso relativo allo scioglimento del Consiglio comunale di Lamezia Terme.

 

 

 

 

Attraverso 37 pagine,  è stato quindi reso noto il perché si è pervenuti a questa drastica situazione; in sintesi, l’influenza della ‘ndrangheta asfissiante,  soprattutto sulla gestione degli appalti  pubblici maldestramente manovrati, con il consequenziale scopo di favorire la mafia; tutto questo, esposto in rapida sintesi, come in ogni futura azione politico e amministrativa, che risulterà dall’esito delle prossime elezioni, dovrà recidere qualsiasi rapporto, qualsiasi compromesso con il potere mafioso, senza scendere a patti con esso per convenienza o connivenza o mero timore, se vorrà essere autenticamente rispettosa del principio democratico, che anima la Costituzione”.

Riprendendo altro spunto  esplicativo, i magistrati rilevano come“ l’insieme di questi elementi, la cui pregnanza e univocità appare difficilmente contestabile, dimostra l’esistenza di  una fittissima rete di intrecci, legami, cointeressenze tra i vertici politici del Comune, che essi appartengano alla maggioranza o alla minoranza, e una irrimediabile compromissione del governo locale con soggetti e logiche di stampo criminale mafioso, considerata persino  la cointestazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa ad alcuni degli amministratori locali”.

Cosa accadrà ora?

Ripercorrendo e sintetizzando quanto da noi evidenziato nei precedenti servizi specifici,  dopo che è stato dunque confermato lo scioglimento del Consiglio comunale, si farà ritorno al responso sovrano alle urne, dopo due pesanti anni di commissariamento.

Data del termine stabilito: 10 novembre prossimo; ma già la prossima tappa in agenda sarà il 12 di ottobre quando scadrà il termine utile per la presentazione delle liste e, quindi, il via libera – come già da oggi avvenuto –  alla convocazione dei comizi elettorali.

A questo punto entriamo nelle logiche … non logiche dei partiti o delle associazioni ìn lizza tra di loro, con tutto quell’apparato di candidati e di “apparentaggi” voluti e dovuti per sfamare la voglia di cambiare ( speriamo) per sempre il corso della politica.

Pubblicato in Basso Tirreno

E’ noto che il TAR di Catanzaro con una sentenza pubblicata il 20/12/2018 (N. 02168/2018 REG.PROV.COLL. N. 00880/2018 REG.RIC) ha ribaltato il risultato elettorale che aveva eletto sindaco di Serra d’Aiello la d.ssa Giovanna Caruso, al suo posto proclamando eletto Sindaco Antonio Cuglietta

ed alla carica di Consigliere comunale Piero Longo, Gaetano Cappelli, Margherita Perri, Posteraro Gianluca, Filippo Aloe, Fulvio Roppo Valente, Raffaele Camastra, per la maggioranza e Giovanna Caruso, Vincenzo Paradiso e Walter Pirillo, per la minoranza.

In conseguenza il sindaco attuale di Serra d’Aiello è il dr Antonio Cuglietta.

Senonchè l’ex sindaco Giovanna Caruso ha proposto ricorso al Consiglio di Stato chiedendo anche la sospensione della sentenza del TAR Calabria.

Il sindaco Antonio Cuglietta è ancora un volta difeso dall’avvocato Oreste Morcavallo (nella foto).

La udienza si è svolta ieri ed il CdS ha fissato la valutazione nel merito alla udienza del 14 marzo 2019.

Discende da quanto precede, e senza dubbio alcuno, che il CdS abbia rigettato la richiesta di sospensione della sentenza del TAR Calabria e che quindi il comune di Serra d’Aiello continuerà ad essere governato dalla maggioranza composta dal Sindaco Antonio Cuglietta e dai Consiglieri comunali Piero Longo, Gaetano Cappelli, Margherita Perri, Posteraro Gianluca, Filippo Aloe, Fulvio Roppo Valente, Raffaele Camastra.

Giovanna Caruso, Vincenzo Paradiso e Walter Pirillo, restano invece consigliere di minoranza.

Pubblicato in Basso Tirreno

In fondo la sentenza n 03702/2018 della quarta sezione del Consiglio di Stato pubblicata il 15/06/2018.

La cosa importante è che ogni immobile deve avere parcheggi pertinenziali obbligatori pari ad 1mq ogni 10 mc

e che i parcheggi privati degli edifici di nuova costruzione sono realizzabili in regime di gratuità limitatamente però alla superficie obbligatoria di essi.

Come chiarisce lo Studio n. 4511 del Consiglio Nazionale del notariato “dal 1° settembre 1967, per tutti i fabbricati, ai fini del rilascio del provvedimento abilitativo alla costruzione devono essere previsti posti   auto in misura non inferiore agli standars previsti dalla legge ponte.

Caratteristica di siffatti posti auto è dunque lo strettissimo collegamento con il rilascio del provvedimento che abilita alla costruzione del fabbricato giacché la pubblica amministrazione non può autorizzare nuove costruzioni che non siano corredate di dette aree, costituendo l'osservanza della norma condizione di legittimità della licenza (o concessione) di costruzione”.

Lo stesso studio statuisce che “Secondo la Suprema Corte il diritto sulle aree a parcheggio previste dalla legge “ponte” costituisce un vincolo pubblicistico di destinazione, imposto dalla legge a favore dei condomini del fabbricato cui accede, che ha natura reale, che si trasferisce automaticamente con il trasferimento dell’abitazione”.

Da tanto, come costantemente affermiamo, discende che l’area di circolazione non può essere asservita a parcheggio del fabbricato, tantomeno quando il parcheggio viene creato con attuazione del senso unico di circolazione.

Ed ancora meno l’area di circolazione può essere asservita ad area per l’ attività commerciale del vicino esercizio pubblico.

N. 03702/2018REG.PROV.COLL.

N. 04941/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4941 del 2007, proposto da Comune di Folignano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Ortenzi, con domicilio eletto presso lo studio Livia Ranuzzi in Roma, via del Vignola 5;

contro

Impresa Edile F.Lli Morini di Morini Raffaele e C. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Franco Corinaldesi, con domicilio eletto presso lo

studio Domenico Pavoni in Roma, via A. Riboty, 28;

Morini Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso

dall'avvocato Cecilia Corinaldesi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e

domicilio eletto presso lo studio Domenico Pavoni in Roma, via Ribothy, 28;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 00144/2007, resa tra le parti, concernente pagamento oneri di urbanizzazione

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Morini Costruzioni S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2018 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le

parti gli avvocati Diego Perucca su delega di Massimo Ortenzi e Domenico Pavoni su delega di

Cecilia Corinaldesi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con l’appello all’esame è contestata la sentenza del TAR Marche in epigrafe indicata la quale ha stabilito che tutti i parcheggi privati realizzati dalla società appellata in sede di costruzione di un nuovo edificio andavano esentati dal contributo di costruzione.

Il comune di Folignano impugna tale sentenza sostenendo che il ricorso della Società era tardivo in quanto non proposto nel termine di decadenza dalla avvenuta ricezione del l’intimazione di pagamento e che l’esenzione dal contributo ( gratuità) concerne soltanto i parcheggi costruiti nel sottosuolo di edifici già esistenti, ai sensi della legge c.d. Tognoli.

Si è costituita in resistenza la società appellata che chiede il rigetto del gravame.

All’udienza alle 12 giugno 2018 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è fondato nella limitata parte che si dirà.

Per quanto riguarda la tardività del gravame introduttivo è consolidato in giurisprudenza il rilievo secondo cui le controversie in materia di contributi concessori –involvendo questioni patrimoniali in ambito di giurisdizione esclusiva – vanno introdotte nei termini di prescrizione, attesa la natura paritetica e non autoritativa degli atti recanti quantificazione del contributo.

La relativa eccezione di tardività del ricorso introduttivo va perciò respinta.

Per quanto riguarda la questione principale, la giurisprudenza della Sezione è ormai stabilmente orientata nel ritenere che i parcheggi privati degli edifici di nuova costruzione sono realizzabili in regime di gratuità limitatamente però alla superficie obbligatoria di essi.

In tal senso è stato chiarito: “ Sul punto deve ribadirsi, infatti che la legge n. 122/1989 nell' innovare la disciplina dei parcheggi (anche ex art. 2 comma 2 incrementando la misura minima obbligatoria di parcheggi pertinenziali nei nuovi edifici -il rapporto di 1mq/20mc stabilito inizialmente dall'art. 41 serie comma 1 della legge 1150/1942 nel testo aggiunto dall'art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 è stato portato a 1mq/10mc-e nello stabilire all'art. 9 comma 1 il principio secondo cui i parcheggi pertinenziali possono essere realizzati anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti) all'art. 11 comma 1ha equiparato i parcheggi pertinenziali alle opere di urbanizzazione anche per quanto riguarda la gratuità del titolo edilizio.

I parcheggi pertinenziali sono stati quindi complessivamente qualificati come opere di urbanizzazione e quindi a tutti (e non già soltanto a quelli previsti per la fruizione collettiva) è stato riconosciuto un rilievo pubblico: se può concordarsi in proposito con la tesi per cui la gratuità non va estesa anche ai parcheggi pertinenziali che eccedono la misura minima di legge, atteso che, in carenza di una espressa disposizione di legge in tal senso (e pur nella opinabilità della questione) la interpretazione teleologica consente di affermare che la qualificazione dei parcheggi pertinenziali come opere di urbanizzazione ex art. 11 comma 1 della legge 122/1989 debba rimanere circoscritta entro i confini tracciati dall'art. 41sexies comma 1 della legge 1150/1942 (di guisa che per i parcheggi eccedenti il "tetto" di dotazione obbligatoria trova applicazione il disposto di cui al d.C. più volte citato). ( cfr. per tutte IV Sez. n. 6033 del 2012).

In conclusione, deve affermarsi che ai sensi del coordinato disposto delle norme di cui alla l. n. 1150/1977, delle disposizioni di modifica di cui alla l. n. 122/1989 e della l. n. 10/1977 (ora art. 17 comma 3 lett. c), TU n. 380 del 2001), i parcheggi obbligatori ad uso privato sono espressamente individuati quali opere di urbanizzazione e sono esenti, come tali, dall'onere di pagamento del contributo di costruzione.

Ne consegue che la pretesa del comune al pagamento di detto contributo da parte della società può ritenersi legittima solo per quanto riguarda la superficie dei parcheggi effettivamente realizzati eccedente quella minima obbligatoria di legge.

In questi limitati sensi l’appello del comune va accolto.

Le spese del giudizio sono integralmente compensate tra le Parti, attese le incertezze giurisprudenziali registrabili all’epoca dei fatti in controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.

Le spese del giudizio sono compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2018 con l'intervento dei

magistrati:Antonino Anastasi, Presidente, EstensoreAlessandro Verrico, ConsigliereNicola D'Angelo, ConsigliereGiovanni Sabbato, ConsigliereRoberto Caponigro, Consigliere

IL PRESIDENTE, ESTENSORE Antonino Anastasi

IL SEGRETARIO

Pubblicato in Italia

Una lunga riunione consiliare quella di oggi avente ad oggetto l’approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato

Una riunione alla quale ha partecipato anche il ragioniere dr Vigliatore

Ma la sorpresa principale è stata il ritorno in consiglio di Rocco Giusta.

 

Una presenza che ha indotto varie considerazioni, la prima delle quali è quella relativa alla possibilità di dichiararne la decadenza in applicazione dell'art. 43, comma 4, del testo unico degli enti locali che fa riferimento alla assenza del consigliere alle sedute "per 3 volte consecutive, senza giustificato motivo".

Una opportunità rimasta però inattuata.

Una opportunità che doveva avere inizio formale con la preventiva contestazione onde la difesa da parte del consigliere Giusta

Una possibilità recentemente incisa dalla Sentenza 20 febbraio 2017, n. 743 della Sezione V del Consiglio di Stato.

Una sentenza che in estrema sintesi conferma i principi espressi dalla stessa Sezione V così sintetizzabili:

"le assenze per mancato intervento dei consiglieri dalle sedute del consiglio comunale non (devono) essere giustificate preventivamente di volta in volta;

- le giustificazioni possono essere fornite successivamente, anche dopo la notificazione all'interessato della proposta di decadenza, ferma restando l'ampia facoltà di apprezzamento del consiglio comunale in ordine alla fondatezza e serietà ed alla rilevanza delle circostanze addotte a giustificazione delle assenze;

- le circostanze da cui consegue la decadenza vanno interpretate restrittivamente e con estremo rigore, data la limitazione che essa comporta all'esercizio di un munus publicum;

- gli aspetti garantistici della procedura devono essere valutati con la massima attenzione anche per evitare un uso distorto dell'istituto come strumento di discriminazione nei confronti delle minoranze;

- le assenze danno luogo a revoca quando mostrano con ragionevole deduzione un atteggiamento di disinteresse per motivi futili o inadeguati rispetto agli impegni con l'incarico pubblico elettivo;

- la mancanza o l'inconferenza delle giustificazione devono essere obiettivamente gravi per assenza o estrema genericità e tali da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza dei motivi" (V Sezione, sentenza 9 ottobre 2007, n. 5277).

Occorre dunque attenersi ai richiamati criteri di restrittività ed estremo rigore nell'esaminare le cause di decadenza, criteri doverosi laddove sia in gioco una carica pubblica elettiva (sì che la decadenza si tradurrebbe in una alterazione della rappresentanza quale emersa del voto popolare) e tanto più considerato che la legge rimette la decisione sulla decadenza dalla carica di consigliere comunale al Consiglio comunale stesso, in seno al quale non può escludersi l'influenza di valutazioni ultronee rispetto alla pura e semplice applicazione della legge e dello statuto.

Un ritorno, quindi, solutivo.

Pubblicato in Primo Piano

NO!.

La risposta è pacifica.

Lo dice il Consiglio di Stato con la sua recente sentenza del 25 settembre 2017.

L’art. 20 del D.P.R. n. 380 del 2001 (c.d. Testo unico dell’edilizia), nel comma 8 prevede che “decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio assenso”, esclude espressamente “i casi in cui sussistono vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali”.

 

Lo stesso vale per gli interveti di ristrutturazione.

E similmente per quelli di demolizione.

 

La sentenza è coerente con quanto previsto, in linea generale, dall’art. 20 della L. n. 241 del 1990, che esclude l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso, tra l’altro e per quel che interessa nella presente sede, agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico.

In sostanza, l’art. 20, comma 8 del D.P.R. n. 380 del 2001 e, più in generale, l’art. 20, comma 4, L. n. 241 del 1990, nell’escludere dalla formazione del silenzio assenso gli atti ed i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, ovvero ove sussistano vincoli (tra gli altri) culturali e/o paesaggistici, non intendono riferirsi ai soli casi in cui sussistano vincoli specifici, riguardanti un determinato immobile ovvero una parte di territorio, puntualmente individuati per il loro valore storico, artistico o paesaggistico con puntuali atti della Pubblica amministrazione, ma si riferiscono, più in generale, a tutte le ipotesi in cui siano presenti, nell’ordinamento realtà accertate come riconducibili, anche in via generale, al patrimonio culturale e/o paesaggistico.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, allora, devono ritenersi ricomprese nei casi per i quali è esclusa la formazione del silenzio assenso, le domande volte ad ottenere titoli edilizi relativi ad immobili situati in zona A del territorio comunale, posto che tale zona, ai sensi dell’art. 2 D.M. n. 1444 del 1968 è quella costituente parte del territorio interessata “da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”

In sostanza il centro storico è un valore che deve essere tutelato e difeso

E’ bene ricordarsene sempre.

Pubblicato in Cronaca

Aveva ragione Di Natale.

Lo ha stabilito il consioglio di Stato.Ecco la sentenza pubblicato il 22/09/2017

N. 04448/2017 REG.PROV. COLL. N. 07452/2016 REG.RIC.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente

SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7452 del 2016, proposto da:

Mario Occhiuto, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Sanino, Benedetto Carratelli, con domicilio eletto presso lo studio Mario Sanino in Roma, viale Parioli,180;

contro Marsico Enrico, Lepore Luca, Rizzo Giuseppe, Pascarelli Franco, Capalbo Pino, Nociti Ferdinando, rappresentati e difesi dall'avvocato Gino Perrotta, con domicilio eletto presso lo studio Davide Perrotta in Roma, via di Santa Costanza, 39;

Iacucci Francesco Antonio, rappresentato e difeso dall'avvocato Gregorio Barba, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Antonio Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114;

nei confronti di Di Natale Graziano, Bruno Francesco Giuseppe, Di Nardo Lino non costituiti in giudizio;

Provincia di Cosenza, rappresentata e difesa dagli avvocati Aristide Police, Oreste Morcavallo, con domicilio eletto presso lo studio Oreste Morcavallo in Roma, via Arno, 6;

U.T.G. - Prefettura di Cosenza, Presidenza Consiglio dei Ministri - Dip. Affari Reg. Autonomie e Sport, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE I n. 01834/2016, resa tra le parti, concernente l’indizione dei comizi elettorali per le elezioni di secondo grado del Consiglio Provinciale di Cosenza.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Marsico Enrico, Lepore Luca, Iacucci Francesco Antonio, Rizzo Giuseppe, Pascarelli Franco, Capalbo Pino, Nociti Ferdinando, della Provincia di Cosenza e dell’U.T.G. - Prefettura di Cosenza, della Presidenza Consiglio dei Ministri - Dip. Affari Reg. Autonomie e Sport e del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2017 il Cons. Daniele Ravenna e uditi per le parti gli avvocati Mario Sanino, Gregorio Barba, su delega dell'avv. Perrotta, Oreste Morcavallo e dello Stato Pio Giovanni Marrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’arch. Occhiuto impugna la sentenza in epigrafe, che – su ricorso dei sigg. Marsico ed altri - ha annullato il decreto n. 4 del 15 luglio 2016 con il quale egli stesso, nella veste di Presidente della Provincia di Cosenza, ha indetto i comizi elettorali per le elezioni di secondo grado del Consiglio provinciale.

Il Giudice di primo grado, premesso che i ricorrenti e il sig. Di Natale, intervenuto in giudizio, erano legittimati a ricorrere e titolari di un interesse ad agire idoneo a giustificare la loro partecipazione al giudizio, e che l’atto in questione era impugnabile autonomamente a prescindere dalla sua natura di atto introduttivo di un procedimento elettorale, ha ritenuto sussistente la giurisdizione del Giudice amministrativo e, nel merito, ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento impugnato.

L’appellante adduce avverso tale sentenza i seguenti motivi.

I. Carenza di legittimazione e di interesse dei ricorrenti; insussistenza di una lesione derivante dall’atto impugnato; difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo. I ricorrenti, sindaci o consiglieri di Comuni della Provincia, non sarebbero legittimati se non per atti incidenti immediatamente e direttamente sulle prerogative proprie del loro munus. La fissazione di una data piuttosto che un’altra per le elezioni sarebbe neutra e non comporterebbe alcuna lesione per i ricorrenti. L’interesse al mero ripristino della legalità dell’azione amministrativa non sarebbe di per sé legittimante. L’atto di indizione delle elezioni, in quanto endoprocedimentale, non sarebbe impugnabile autonomamente ma solo al termine della consultazione elettorale, ex artt. 129 e 130 c.p.a.. Comunque il reale interesse fatto valere in giudizio sarebbe non tanto l’annullamento dell’atto impugnato, quanto la affermazione della decadenza del Presidente della Provincia, sulla quale la giurisdizione spetta al Giudice ordinario.

II. Nel merito, l’avvenuta rielezione dell’arch. Occhiuto a sindaco di Cosenza il 5 giugno 2016 comporterebbe che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 32, comma 2, e 37, comma 4, dello Statuto provinciale non si debba considerare decaduto il Presidente della Provincia a seguito dello scioglimento anticipato del Consiglio del Comune di cui è Sindaco, se viene rieletto nella prima consultazione utile. Il Giudice di primo grado avrebbe erroneamente disapplicato lo Statuto, ritenendolo in contrasto con la legge n. 56 del 2014, quando in realtà esso ne recepirebbe la ratio e la integrerebbe. E comunque dalla legge n. 56 non potrebbe trarsi in materia alcun limite inderogabile all’autonomia statutaria provinciale, con riferimento a quanto statuito dall’art. 1, comma 3, TUEL.

L’appellante presentava altresì istanza di misura cautelare, anche immediata.

Si costituiva la provincia di Cosenza, eccependo la inammissibilità dell’appello per carenza di legittimazione, improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse e infondatezza nel merito.

Si costituivano gli originari ricorrenti, argomentando per la inammissibilità dell’appello, la alterazione della verità dei fatti (con riferimento alla successione temporale fra rielezione a sindaco dell’arch. Occhiuto e ordinanza cautelare n. 2601 di questo Consiglio), il difetto di interesse, la carenza sopravvenuta di interesse, l’infondatezza nel merito.

L’Avvocatura erariale – riproponendo una istanza già presentata in primo grado e non colta da quel Giudice – insisteva per la estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio, del Ministero dell’Interno e della Prefettura Ufficio territoriale del Governo per difetto di legittimazione passiva, non essendo impugnato alcun loro atto o provvedimento.

Con decreto presidenziale n. 4213 del 29 settembre 2016 prima e successivamente con ordinanza n. 247 del 26 gennaio 2017 è stata respinta l’istanza cautelare.

L’appellante e i resistenti presentavano successive memorie, ribadendo le rispettive prospettazioni.

All’udienza dell’11 maggio 2017 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente va disposta l’estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio, del Ministero dell’Interno e della Prefettura Ufficio territoriale del Governo per difetto di legittimazione passiva, atteso che non risulta impugnato alcun atto o provvedimento loro ascrivibile.

Va poi premesso che la questione sottoposta attiene a uno specifico punto di una complessa vicenda che ha fatto oggetto di più pronunce giurisdizionali, da ultimo la sentenza di questa Sezione n. 4227 del 6 settembre 2017.

L’appello è infondato nel merito e ciò esime dall’esame dei profili di inammissibilità e improcedibilità dedotti dalle parti resistenti.

Circa il primo motivo di appello, va in primo luogo respinta la asserita carenza di legittimazione dei ricorrenti in primo grado, poiché essi, in quanto titolari della carica di sindaco o consigliere comunale e aspiranti candidati alle elezioni provinciali, sono portatori di un interesse sostanziale diretto e qualificato alla legittimità del procedimento elettorale e alla fissazione della data di svolgimento delle elezioni, non essendo per essi indifferente l’una data piuttosto che l’altra.

Va poi escluso che all’impugnazione del decreto di indizione delle elezioni provinciali si applichino, come vorrebbe l’appellante, gli artt. 129, comma 2, e 130 c.p.a. (ai sensi dei quali l’impugnazione andrebbe effettuata alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all’atto di proclamazione degli eletti), al fine di far dichiarare inammissibile il ricorso originario. Tale decreto, infatti, da un lato non può essere annoverato fra i “provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale” di cui all’art. 129, comma 1, ma dall’altro non può neppure essere fatto rientrare fra gli “atti diversi da quelli di cui al comma 1”, cui si applica l’invocato comma 2, dal momento che il provvedimento di convocazione dei comizi si colloca logicamente e cronologicamente a monte del procedimento elettorale in senso stretto, cui l’art. 129 è riferito. Anche in termini sistematici, del resto, sarebbe irrazionale e contrario ad ogni criterio di economia degli atti interpretare le disposizioni in questione nel senso di dedurne la dilazione dell’impugnazione del decreto di indizione dei comizi fino al completamento del procedimento elettorale e alla proclamazione degli eletti. L’art. 130, poi, è espressamente riferito agli “atti del procedimento elettorale successivi all’emanazione dei comizi elettorali”. Va quindi affermato il principio per cui l’impugnazione del decreto di convocazione dei comizi è soggetta al termine decadenziale ordinario e pertanto il ricorso in primo grado era ammissibile anche sotto questo profilo.

E’ evidentemente infondata la affermata carenza di giurisdizione del Giudice amministrativo, posto che oggetto del ricorso è solo l’annullamento del decreto di indizione delle elezioni provinciali.

Per quanto riguarda il secondo motivo, vale richiamare testualmente la recentissima sentenza di questa Sezione, avente ad oggetto il profilo della sottostante questione relativa alla permanenza dell’arch. Occhiuto nella carica di Presidente della Provincia.

“2. Quanto al secondo motivo, va anzitutto confermato che la decadenza dell’arch. Occhiuto dalla carica di sindaco si è prodotta all’atto del deposito delle dimissioni dei consiglieri comunali ultra dimidium al Protocollo del Comune e cioè il giorno 8 febbraio 2016 alle ore 10,10 e non l’11 febbraio, data del decreto prefettizio. Vale cioè quanto affermato da questo Consiglio in fattispecie del tutto analoga, anche relativamente alle modalità di presentazione delle dimissioni (Sez. III, sentenza n. 1721 del 1 aprile 2015) secondo cui “nel caso di dimissioni contestuali l’effetto tipico è lo scioglimento immediato dell’organo collegiale”. Assodato quindi che l’arch. Occhiuto è decaduto dalla carica di sindaco prima della adozione da parte sua, nelle affermate vesti di Presidente della Provincia, degli atti poi annullati dal TAR, occorre esaminare la tesi da lui affermata, secondo la quale, giusta il combinato disposto della legge 7 aprile 2014, n. 56 (cd. Delrio) e Statuto della Provincia, anche dopo la decadenza dalla carica di sindaco per effetto dello scioglimento anticipato si avrebbe un effetto di “congelamento” della carica di Presidente della Provincia, fino alla eventuale rielezione a sindaco (rielezione in effetto avvenuta) e pertanto gli atti da lui adottati in tale intervallo di tempo sarebbero pienamente legittimi.

La invocata disposizione dello Statuto provinciale (il comma 4 dell’art. 37, rubricato “Consiglieri provinciali”) recita: “La cessazione dalla carica comunale comporta la decadenza da consigliere provinciale. I seggi che rimangono vacanti per qualunque causa, ivi compresa la cessazione dalla carica di sindaco o di consigliere comunale, sono attribuiti ai candidati che, nella medesima lista, hanno ottenuto la maggiore cifra individuale ponderata. Non si considera cessato dalla carica il consigliere eletto o rieletto sindaco o consigliere in un comune della provincia. Non si considera altresì cessato dalla carica il consigliere decaduto a seguito dello scioglimento anticipato del Consiglio comunale di cui fa parte rieletto sindaco o consigliere in un comune della provincia nella prima consultazione utile.”

Il primi tre periodi del comma in questione sono meramente riproduttivi dell’articolo 1, della legge Delrio (rispettivamente del comma 69, terzo periodo, e del comma 78, primo e secondo periodo), mentre l’ultimo periodo rappresenta una integrazione alla predetta disciplina.

La suddetta disciplina sarebbe applicabile anche alla carica del Presidente della Provincia, giusta l’altra disposizione statutaria (il comma 2 dell’art. 32), secondo la quale “Nei confronti del presidente della provincia si applicano altresì, in quanto componente del consiglio provinciale, le disposizioni di cui al successivo art. 37 comma 4”.

Al fine di valutare la congruità della suddetta disciplina occorre richiamare la sistematica della legge Delrio, che disciplina compiutamente - e distintamente - eleggibilità, modalità di elezione e cessazione dalla carica per il Presidente della Provincia e per i consiglieri provinciali, in particolare regolando espressamente solo per i secondi le modalità di attribuzione dei seggi rimasti vacanti per qualunque causa (comma 78, primo periodo) secondo il principio del subentro dei primi candidati non eletti nella medesima lista e specificando che non si considera cessato dalla carica il consigliere eletto o rieletto sindaco in un comune della provincia. Quanto al Presidente, la legge si limita ad affermare lapidariamente (comma 65) che egli “decade dalla carica in caso di cessazione dalla carica di sindaco”.

Alla luce di tale disciplina, per decidere nel caso concreto non occorre spingersi a valutare se l’ultimo periodo del citato comma 4 rappresenti una illegittima integrazione alla legge Delrio, poiché è sufficiente rilevare che l’art. 32, comma 2, dello Statuto della Provincia di Cosenza, nella misura in cui estende al Presidente della Provincia l’applicabilità dell’art. 37, comma 4, e in particolare dell’ultimo periodo, rappresenta una illegittima (e dunque in questa sede da disapplicare) estensione al Presidente della Provincia di una disciplina che, per il suo carattere specifico, la legge ha dettato con esclusivo riferimento ai consiglieri provinciali.

In conclusione, va affermato il principio per cui, nel caso di scioglimento anticipato del consiglio comunale per dimissioni dei consiglieri ultra dimidium, il titolare della carica di sindaco che sia anche titolare della carica di Presidente della Provincia decade anticipatamente e contestualmente da entrambe le cariche all’atto stesso della presentazione delle dimissioni dei consiglieri.”

A quanto affermato sopra, può soggiungersi, con riferimento alla disposizione dell’art. 1, comma 3, TUEL (“La legislazione in materia di ordinamento degli enti locali e di disciplina dell'esercizio delle funzioni ad essi conferite enuncia espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per la loro autonomia normativa”), evocata dall’appellante per sostenere la non illegittimità delle richiamate disposizioni dello statuto provinciale in rapporto alla legge Delrio, che tale disposizione del TUEL non può interpretarsi nel senso di escludere che, da leggi successive, alla luce del loro inequivoco tenore letterale, si traggano principi pur essi costituenti limite all’autonomia normativa degli enti locali.

Va pertanto confermato, con la sentenza di primo grado, il disposto annullamento dell’impugnato decreto n. 4 del 15 luglio 2016.

Attesa la particolarità delle questioni sottoposte, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Dispone la compensazione delle spese fra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere Fabio Franconiero, Consigliere Stefano Fantini, Consigliere Daniele Ravenna, Consigliere, Estensore

Pubblicato in Cosenza

statoL’art. 5 della Costituzione, nei “Principi fondamentali” che risalgono al testo originale del 1946, stabilisce che: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. È su questa base che la Repubblica Italiana avrebbe dovuto promuovere autonomia e decentramento delle autonomie locali, di fatto ciò è avvenuto solo a partire dal 1990. È infatti a partire dalla riforma della legislazione locale nel e dall’elezione diretta di sindaco e presidente della Provincia da parte dei cittadini nel 1993, che è stata finalmente avviata l’attribuzione, a Comuni e Province, di un grado di autonomia adeguato al dettato costituzionale.

Il titolare del potere di nomina del responsabile della prevenzione della corruzione va individuato nel sindaco quale organo di indirizzo politico amministrativo, salvo che il singolo Comune, nell’esercizio della propria autonomia normativa e organizzativa, riconosca, alla Giunta o al Consiglio, una diversa funzione. I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno: a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico; b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi. Allo scioglimento dei consigli per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso la legge riserva autonomo rilievo. Anche questa fattispecie, analogamente a quella dei gravi motivi di ordine pubblico, è riservata alla competenza statale, rientrando nelle funzioni in materia di lotta alla criminalità organizzata. Il sindaco di Amantea non sembra ravvisare la gravità della situazione che avrebbe dovuto portarlo alle immediate dimissioni, ritenendo banali il ricatto e la minaccia durante le ultime elezioni che lo hanno visto “vincitore”! In altri paesi occidentali i motivi per dimettersi da una carica istituzionale possono essere: per lussuria, gola, superbia, ma anche per molto meno. Il ministro degli esteri finlandese, per aver spedito degli sms ad una spogliarellista utilizzando il cellulare di servizio; una partita di sigari rimborsati a pie’ di lista al ministro per lo sviluppo francese; spiritosaggini con i giornalisti (Minoru Yamagida, ministro della giustizia giapponese). Se sei un politico, altrove, basta e avanza per dimetterti. Nell’ultimo mese hanno abbandonato almeno in due. Il senatore repubblicano del Nevada John Ensign per una tresca con una sua dipendente sulla quale il comitato etico indaga da quasi due anni. E il deputato indonesiano Arifinto, il cui Partito della prosperosa giustizia islamica aveva ispirato una severa legge anti-pornografia, beccato in aula a guardare un film a luci rosse. A marzo ha lasciato Seiji Maehara, ministro degli esteri giapponese, reo di aver accettato 500 euro da una vecchietta che si è scoperto poi essere cittadina sudcoreana (la legge lo vieta per evitare interferenze straniere nella politica nazionale).

Gigino A Pellegrini & G el Tarik



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L'ordinanza del Consiglio di Stato conferma la legittimità dell'obbligo vaccinale quale requisito di accesso ai servizi educativi comunali per l'età da 0 a 6 anni.

 

In data odierna 21.4.2017 la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso proposto contro la sentenza sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia con cui è stato respinto il ricorso per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale di Trieste che introduce l'obbligo vaccinale quale requisito di accesso ai servizi educativi comunali per l'età da 0 a 6 anni.

 

In particolare il Consiglio di Stato con l'ordinanza n. 1662 del 21 aprile 2017 ha rigettato la richiesta di sospensione cautelare della sentenza avendo la stessa evidenziato come la prescrizione di vaccinazioni obbligatorie per l’accesso ai servizi educativi comunali, oltre ad essere coerente con il sistema normativo generale in materia sanitaria e con le esigenze di profilassi imposte dai cambiamenti in atto (minore copertura vaccinale in Europa e aumento dell’esposizione al contatto con soggetti provenienti da Paesi in cui anche malattie debellate in Europa sono ancora presenti), non si ponga in conflitto con i principi di precauzione e proporzionalità.

 

Inoltre, il Collegio ha affermato che la tutela della salute pubblica, in particolare della comunità in età prescolare, assume un valore dirimente, che prevale sulle prerogative sottese alla responsabilità genitoriale.

Sul punto, infatti, si legge espressamente che "con riguardo al principio di precauzione, su cui gli appellanti insistono (ritenendo dimostrata la probabilità che la vaccinazione sia dannosa per la salute umana), esso opera nei casi in cui l’osservazione scientifica ha rilevato (o ipotizzato sulla base di analogie con altre leggi scientifiche) una successione costante di accadimenti e ne ha formulato una descrizione provvisoria, ma non si dispone di prove per confermare l’ipotesi o per escluderla.

 

A tal punto operano due principi di logica formale: la fallacia ad ignorantiam ed il principio del terzo escluso.

La prima regola impone di non considerare vera una tesi solo sulla base del fatto che non esistano prove contrarie.

Il secondo, una volta riconosciuto che in un dato ambito si diano solo due alternative (tertium non datur), consente di ritenere vera la prima ove si dimostri la falsità della seconda.

Ebbene, poiché tra due o più accadimenti o vi è una relazione di regolarità causale o non vi è, in difetto di evidenze sulla quale delle due sia esatta o, almeno, preferibile, entrambe le ipotesi debbono essere considerate contemporaneamente come vere.

In altre parole, nel periodo di incertezza scientifica, non essendovi prove a conferma o confutazione, la successione causale deve essere considerata logicamente come non esclusa, ossia possibile.

 

A questo punto, l’unica regola inferenziale accettabile è quella per cui se non avviene il primo evento non può avvenire il secondo come sua conseguenza.

Tale regola, ove applicata al comportamento umano in riferimento ad un possibile esito dannoso, impone la precauzione.

Ma tale ragionamento non funziona quando può essere a parità di condizioni (principio del rasoio di Occam) ribaltato: nel caso in esame infatti esso condurrebbe allo stesso modo a ritenere che la vaccinazione sia suggerita dalla probabilità di contrarre malattie.

Anzi, in questa prospettiva, la tutela della salute pubblica, in particolare della comunità in età prescolare, assume un valore dirimente, che prevale sulle prerogative sottese alla responsabilità genitoriale". Enrico Michetti

Pubblicato in Italia

Ed ora cosa succederà? Se ne parlerà in consiglio comunale domani 30 novembre?

Come sito ne abbiamo già trattato nell’articolo del 19 giugno 2015 http://www.trn-news.it/portale/index.php/politica/item/6393-tari-2015-nuova-tegola-per-l-amministrazione-sabatino

Ne ha anche parlato Francesca Menichino nell’articolo http://www.trn-news.it/portale/index.php/politica/item/6396-un-altro-disastro-sulla-tari-tutte-le-bollette-2015-sono-nulle

Ne ha parlato Sergio Ruggiero nell’articolo http://www.trn-news.it/portale/index.php/economia/item/6403-annullamento-delle-bollette-tari-da-parte-del-tar

Ed infine ne ha parlato Concetta Veltri nell’articolo http://www.trn-news.it/portale/index.php/primopiano/item/6409-la-consigliera-veltri-e-le100-tostissime-domande-sulla-vicenda-tari

In sostanza il TAR Calabria ha dichiarato la nullità della delibera n 37 del 12 agosto 2015 con la quale il consiglio comunale di Amantea ha determinato le tariffe Tari per l'anno 2015.

L’art 1 comma 169 della legge 147/2013, infatti, ha statuito che il termine fissato nel 30 luglio per le deliberazioni delle modificazioni di tariffe e tributi ha carattere perentorio.

E derivato da quanto sopra che la tariffa TARI applicabile per il 2015 è quella del 2014.

In sostanza gli atti della TARI del 2015 notificati dal comune sono nulli e nel caso i cittadini abbiano pagato la tariffa hanno diritto alla restituzione delle somme corrisposte.

Ma come abbiamo scritto nel nostro articolo http://www.trn-news.it/portale/index.php/cronaca/item/6638-il-comune-per-la-tari-del-2105-ricorre-al-consiglio-di-stato il comune non ha accettato la decisione del TAR (dove non si à nemmeno costituito) ed ha fatto ricorso al Consiglio di Stato servendosi nientemeno che degli avvocati dagli avv.ti Luigi Manzi e Andrea Reggio d’Aci , cioè di quelli che hanno vinto la causa con la quale è stata riconosciuta la sostanziale indennità agli amministratori comunale di Amantea.

Ed il Consiglio di Stato ha sentenziato, il 6 ottobre 2016, che “l’appello non appare assistito da adeguato fumus “, potendo osservarsi, anche alla luce della pregressa giurisprudenza in materia:

a) che la legittimazione straordinaria attribuita al Ministero odierno appellato dall’art. 52, comma 4, del d.lgs. 15 dicembre 1997, nr. 446, prescinde dalla prova di uno specifico e attuale pregiudizio all’interesse pubblico, trattandosi di legittimazione ex lege (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 agosto 2014, nr. 4409; id., 17 luglio 2014, nr. 3817);

b) che, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l’art. 1, comma 683, della legge 27 dicembre 2013, nr. 147, attribuisce espressamente al Consiglio Comunale l’approvazione delle “tariffe della TARI” (oltre che delle “aliquote della TASI”), in chiara deroga alla generale competenza giuntale ex art. 42, comma 2, lettera f), del d.lgs. nr. 267/2000;

c) che, in ragione della suindicata disposizione, la non operatività delle tariffe tardivamente approvate e la proroga di quella antevigenti si configurano come effetto automatico del mancato rispetto del termine di legge, elidendo ogni valutazione sul merito delle determinazioni comunali;

d) che, in ogni caso, la delibera consiliare impugnata in prime cure non poteva considerarsi meramente confermativa di precedente delibera della Giunta, occorrendo ai fini di tale qualificazione che il nuovo atto sia posto in essere dal medesimo organo autore dell’atto precedente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 1993, nr. 461);

Ovviamente dal comune nessuna notizia.

Sicuramente domani 30 novembre, volenti o nolenti, nel Consiglio comunale si dovrà parlare di questa situazione.

Sicuramente lo chiederanno Francesca Menichino, Concetta Veltri e Sergio Ruggiero

Ecco la sentenza dal CdS

“Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente ORDINANZA sul ricorso in appello nr. 6724 del 2016, proposto dal Comune di Amantea, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi Manzi e Andrea Reggio d’Aci, con domicilio eletto presso l’avv. Luigi Manzi in Roma, via F. Confalonieri, 5,

contro

il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della Calabria nr. 1285 del 17 giugno 2016, non notificata, con la quale è stato accolto il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e, per l’effetto, annullata la delibera del Consiglio Comunale di Amantea nr. 37 del 12 agosto 2015 recante l’approvazione delle tariffe TARI per l’anno 2015 e del relativo piano finanziario 2015.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’art. 98 cod. proc. amm.;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale di accoglimento del ricorso di primo grado, presentata in via incidentale dalla parte appellante;

Relatore, alla camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2016, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Reggio d’Aci per il Comune appellante e l’Avv. dello Stato Pio Marrone per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto, nei limiti della sommaria delibazione propria della fase cautelare, che l’appello non appare assistito da adeguato fumus, potendo osservarsi, anche alla luce della pregressa giurisprudenza in materia:

a) che la legittimazione straordinaria attribuita al Ministero odierno appellato dall’art. 52, comma 4, del d.lgs. 15 dicembre 1997, nr. 446, prescinde dalla prova di uno specifico e attuale pregiudizio all’interesse pubblico, trattandosi di legittimazione ex lege (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 agosto 2014, nr. 4409; id., 17 luglio 2014, nr. 3817);

b) che, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l’art. 1, comma 683, della legge 27 dicembre 2013, nr. 147, attribuisce espressamente al Consiglio Comunale l’approvazione delle “tariffe della TARI” (oltre che delle “aliquote della TASI”), in chiara deroga alla generale competenza giuntale ex art. 42, comma 2, lettera f), del d.lgs. nr. 267/2000;

c) che, in ragione della suindicata disposizione, la non operatività delle tariffe tardivamente approvate e la proroga di quella antevigenti si configurano come effetto automatico del mancato rispetto del termine di legge, elidendo ogni valutazione sul merito delle determinazioni comunali;

d) che, in ogni caso, la delibera consiliare impugnata in prime cure non poteva considerarsi meramente confermativa di precedente delibera della Giunta, occorrendo ai fini di tale qualificazione che il nuovo atto sia posto in essere dal medesimo organo autore dell’atto precedente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 1993, nr. 461);

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) respinge l’istanza cautelare (Ricorso numero: 6724/2016).

Tenuto conto della complessità delle questioni evocate, compensa tra le parti le spese della presente fase del giudizio d’appello.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Carlo Schilardi, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

Pubblicato in Cronaca

L’inchiesta Calabria Verde giunge all’epilogo.

Il 4 maggio, scorso come si ricorda, gli uomini del Corpo forestale hanno effettuato una serie di perquisizioni a carico di dirigenti e consulenti dell'azienda Calabria Verde, ente strumentale della Regione Calabria, e titolari di ditte boschive.

 

Tra gli altri anche negli uffici del capo di Gabinetto di Mario Oliverio, Gaetano Pignanelli e del dirigente del dipartimento Agricoltura Mario Caligiuri.

Gli Indagati furono Marino De Luca, Aurelio Pio Del Giudice, Ivo Filippelli, Antonietta Caruso, Leandro Savio, Gennarino Magnone e Paolo Furgiuele, ex dg di Calabria Verde, Gaetano Pignanelli e Mario Caligiuri.

Le accuse a carico degli indagati, secondo quanto riportato dal decreto di perquisizione, furono di truffa in concorso.

 

Ora la DDA ha disposto le seguenti misure cautelari:

-Carcere per Paolo Furgiuele (ex direttore generale) e Alfredo Allevato (dirigente terzo settore). --Arresti domiciliari per Marco Mellace, dirigente dell'economato.

-Interdizione dai pubblici uffici per l'ex dirigente Antonio Errigo.

-Obbligo di dimora per l'agrotecnico Gennarino Magnone.

Al direttore Paolo Furgiuele è stato contestato il conferimento all’agrotecnico Gennarino Magnone dell’incarico di “dottore agronomo” , senza quindi che ne avesse i titoli per ricoprirlo.

Peraltro all’interno dell’ente vi erano almeno diciotto dipendenti con la qualifica e i titoli per poter svolgere il medesimo incarico.

La vicenda della nomina di Magnone è finita prima al TAR Calabria ed è ora pendente presso il Consiglio di Stato che si pronuncerà il 20 ottobre prossimo.

Ma la DDA non ha atteso la pronuncia amministrativa e stamani ha fatto eseguire i provvedimenti penali di cui in precedenza.

Pubblicato in Belmonte Calabro
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