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sindaco donnaLa Presidenza del Consiglio ha deciso di onorare il ricordo delle prime dieci sindachesse italiane elette nel lontano 1946 con una targa celebrativa.

 

 

I rappresentanti dei 10 Comuni sono stati invitati alla cerimonia di consegna e si sono ritrovati l’11 novembre alle ore 11 nella Sala Polifunzionale in via Santa Maria a Roma. L’incontro è stato introdotto dal Sottosegretario di Stato Luca Lotti.

Era presente il Sen Franco Marini Presidente del Comitato Storico Scientifico.

Per ricordare il lungo e faticoso cammino delle donne nella conquista dei loro diritti sono intervenute la storica Patrizia Gabrieli e la direttrice di RAI Cultura Silvia Calandrelli. Le targhe hanno voluto ricordare le sindachesse elette a Borgosatollo, a Borutta, a Spello, a Massa Fermana, a Orune, a Roccantica, a Veronalla, a San Sosti e a Vibo Valentia. Delle dieci sindachesse ricordate due sono calabresi: Lydia Toraldo Serra di Vibo Valentia e Caterina Tofanelli Palumbo Pisani di San Sosti, della nostra provincia di Cosenza.

 

E’ stata dimenticata l’Insegnante Ines Nervi in Carratelli di San Pietro in Amantea la quale venne eletta Sindaco anche lei nel lontano 31 marzo 1946, quando votarono per la prima volta anche le donne. Ricoprì la carica di Sindaco fino alle elezioni amministrative del 1952. Aveva capeggiato la lista della Democrazia Cristiana.

Il 31 marzo 1946, dunque, rappresenta negli annali della vita amministrativa del Comune di San Pietro in Amantea, una data storica, non solo perché a quella competizione elettorale parteciparono al voto per la prima volta nella storia anche le donne, ma anche perché venne eletta Sindaco una donna, sposata, con due figli, maestra elementare. Da quel giorno fatale le donne non furono più considerate solo casalinghe o lavoratrici senza voce, ma come ricorda la targa, “fautrici a pieno titolo della nuova politica italiana”.

Pubblicato in Cronaca

Riceviamo e con piacere pubblichiamo l'articolo di Francesco Gagliardi:

Un tempo nelle nostre campagne esistevano solo case coloniche, le cosiddette “turre”, massimo due stanzette ed una cucina.

Poi a parte c’erano le stalle per l’asino e per le vacche, il pollaio, il porcile, il fienile, la legnaia,un magazzino con i sacchi di farina di frumento e di granoturco.

Insomma, tutto quanto bastava per rendere la turra una struttura sufficiente a se stessa, qualche villa padronale, una chiesetta e una o due case di piccoli artigiani.

L’acqua da bere bisognava andarla a prendere con i barili nelle fontanelle sparse qua e là.

E per i bagni?

Ma quali bagni, non rientravano nelle consuetudini dei contadini.

D’estate qualcuno si immergeva lungo il corso dei fiumi o nelle cibbie.

Le chiesette nelle nostre contrade sono due.

Una dedicata al Profeta Elia si trova nella omonima contrada, l’altra dedicata all’Arcangelo Michele si trova nella contrada Gallo.

Ce n’era un’altra in contrada Colopera, ora non esistono più neppure le pietre.

Nelle contrade c’erano finanche le scuole elementari, perché c’erano tantissimi alunni nell’età dell’obbligo scolastico.

Il numero degli alunni non deve trarci in inganno.

Moltissimi di loro frequentavano la scuola soltanto durante i mesi invernali. In autunno e primavera abbandonavano la scuola e si dedicavano al lavoro dei campi.

Ecco perché la maggior parte degli abitanti erano analfabeta o semianalfabeta.

Quasi tutti gli abitanti del paese non sapevano né leggere né scrivere, a stento sapevano fare la loro firma.

Ci sono atti addirittura del Comune dove compare questa dicitura: Per il Sindaco analfabeta segno di croce dell’Assessore anziano.

Delle donne poi non ne parliamo.

Non avevano mai preso in mano neppure l’abbecedario.

La gente, oltre essere analfabeta, non sapeva neppure parlare l’italiano.

Pochissimi erano in grado di esprimersi nella lingua che oggi tutti usiamo.

Mentre i figli delle famiglie benestanti frequentavano regolarmente gli studi i bambini e le bambine dei contadini venivano subito impiegati nelle faccende domestiche e nei campi.

Ogni turra possedeva un forno che veniva usato ogni 15-20 giorni e serviva a cuocere il pane non solo per la famiglia numerosa che abitava quella turra, ma anche per le famiglie vicine e indigenti che non avevano il forno.

Ma il forno veniva usato anche per infornare i fichi, la ghianda e le castagne per gli animali.

Mentre le donne nei cosiddetti “catoi” erano intente a impastare la farina, un uomo, spesso il padrone, provvedeva ad accendere il forno con la legna e le frasche che le donne avevano raccolto nei boschi circostanti.

La legna veniva attizzata con il forcone.

Intanto il forno si scaldava.

Le fascine accese crepitavano allegramente e il riverbero delle fiamme tingeva di rosso il volto del fornaio.

Quando il forno era ben caldo veniva ripulito dai tizzoni e dalla cenere mediante il rastrello e messi in un angolo del forno, poi con uno “scupolo” un po’ bagnato, il fondo del forno veniva ripulito accuratamente.

Infine seguiva l’infornatura mediante una lunga pala.

Alla fine la bocca del forno veniva chiusa con una porta in ferro.

L’uomo o la donna addetti al forno sapevano quanto tempo occorreva per la cottura del pane. Quando la porta veniva rimossa usciva dal forno un odore caratteristico di buon pane che da tempo abbiamo ormai dimenticato. Era festa grande in casa quando la mamma faceva il pane.

Ognuno voleva una pagnottina per sé e quando si impastava la farina con l’acqua tutti volevano mettere le mani nella madia ( a Majlla ), togliere la pasta lievitata, partirla, foggiarla a pagnotte e farvi sopra il segno della croce. Mi vengono in mente alcuni versi di una poesia di Ferruccio Greco:

…e sientu ancora mò l’adduru anticu

Chi saglia ppe re scale d’intra u vicu

Quannu u pane ni purtava a furnara

Na sporta de fatiga duce e amara.

Ricordo pure una poesia del poeta Francesco Pastronchi molto bella e che oggi, purtroppo, nelle nostre scuole non si fa più imparare a memoria. S’intitola :

Il pane.

Pane, ti spezzan gli umili ogni giorno,

lieti se già non manchi alla dispensa.

A lor quale più sacra ricompensa

Di te, che giungi fervido dal forno?

Come biondeggi al desco disadorno,

così tra vasi d'oro; in te si addensa

ogni ricchezza, e la più bella mensa

di tua ruvida veste non ha scorno.

Figlio del sole, tu ne porti un raggio

in ogni casa, e a chi di te procaccia

onestamente, illumini la fronte.

Ma più risplendi, quando nel viaggio,

stanco, il mendico dalla sua bisaccia

ti trae, sedendo al margine di un fonte.

E che dire della poesia di Gianni Rodari.

Se io facessi il fornaio, vorrei cuocere il pane così grande da sfamare tutta, tutta la gente che non ha da mangiare.

Un pane più grande del sole, dorato, profumato come le viole.

Un pane così verrebbero a mangiarlo dall’India e dal Chili i poveri, i bambini, i vecchietti e gli uccellini.

Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame!

Il più bel giorno di tutta la storia.

San Pietro in Amantea by Francesco Gagliardi

 

Pubblicato in Basso Tirreno

Foto san pietroSan Pietro in Amantea è quasi come il paesino Rio Bo descritto magistralmente dal grande poeta Aldo Palazzeschi, solo che il ruscello che lo bagna non si chiama Bo.

 

Accoccolato a levante ai piedi delle colline Ripostelle e Timponi Ferri, dal fondo valle e da Amantea risulta invisibile, né del resto verrebbe voglia di cercarlo all’ignaro viaggiatore, distratto da una vista di singolare fascino.

“Tre casettine…un verde praticello, un esiguo ruscello…un vigile Cipresso. Microscopico paese, è vero, paese da nulla…c’è sempre disopra una stella, una grande magnifica stella, che occhieggia con la punta del cipresso. Chi sa se nemmeno ce l’ha una grande città”.

Palazzeschi descrive un paesaggio immaginato dalla fantasia di un fanciullo. Rio Bo è davvero un piccolo paese, con poche case, un fraticello, un ruscello con un alto cipresso che fa da sentinella al villaggio. Le case hanno i tetti spioventi. Sopra questo piccolissimo paese c’è sempre una stella che di notti sembri che giochi con la punta del cipresso: questa è una stella davvero splendente e innamorata di questo paese così minuscolo ma bello che non la possiede neanche una grande città. La vita in questo paesello si svolge serena e tranquilla, fatta di cose piccole e semplici. Non c’è il rumore e il frastuono delle grandi città, non c’è confusione. Tutto si svolge regolarmente.

 

Anche San Pietro in Amantea è un paesino minuscolo ma bello e tranquillo e il nostro caro poeta scomparso Giacomino Launi nella poesia “U paise miu” ce lo descrive proprio così, con “nu truppiellu’e case anniricate”. Le case, è vero, sono quattro casette “ncapu ‘nu cozzariellu, ammunzellate”, attaccate le une alle altre, la maggior parte ad un piano.

Sembrano le casette di Natale. Porte e finestre quasi uguali, con una scalinata esterna. L’altro poeta vivente, il caro amico e collega Michele Sconza Testa, lo descrive come un antico paese, “ameno luogo di quiete serena” che “s’erge silente sul lieve pendio di un verde colle”. Il verde colle è Timpone Ferri che ogni tanto, d’estate, qualche sciagurato cerca di distruggerlo. Le case sono antiche, imbrunite dal tempo che ci ricordano passioni, letizie, eventi e il triste abbandono dell’emigrante, che spinto dalla fame e dal bisogno, dovette abbandonare i propri affetti. E sul campanile della vecchia chiesa una rude campana riempie la quiete del borgo di soavi note. A sera si sentono i canti degli uccelli e uno zeffiro mite che dolcemente spira e allieta, ristora e rallegra i cuori dei pochi residenti.

 

Nella grande piazza principale, una delle più belle e più grande della Calabria, non c’è un cipresso ma un albero maestoso che fa da sentinella al paese le cui chiome verdi si scorgono da lontano. Al di sopra di questo albero secolare ( ha 1016 anni) c’è davvero sempre una stella che occhieggia con le punte dell’albero e sembra che voglia guidare il viandante o il pellegrino verso la Chiesa della Madonna delle Grazie.

Anche San Pietro in Amantea è un paesino sperduto come Rio Bo e, malgrado ciò, ci sono molte validissime ragioni per venirlo a visitare. Offre panorami unici, incantevoli, scorci di rara bellezza. E’ un paesino collinare dove si sta proprio bene, l’aria è buona ( tantissimi anni fa molti cittadini di Amantea venivano ad estivare nel nostro paese ), il vino ottimo ( ne sanno qualcosa i veri intenditori e quelli che frequentavano le cantine da Chiazza e da Taverna), la gente cordiale e affabile, le strade pulite. Tantissime persone si innamorarono di questo borgo antico e lo scelsero per i loro soggiorni estivi. D’estate è bello fare magnifiche passeggiate lungo la vecchia strada statale fino alla Contrada Cannavina, C’è un panorama mozzafiato. Amantea sembra essere sotto i tuoi piedi. Si vede un mare azzurro intenso e durante le giornate limpide si vedono il Vulcano Stromboli col pennacchio di fumo, Lipari, Panarea, Alicuti e Filicuti e certe volte finanche l’Etna. Se poi qualcuno desiderasse fare lunghissime passeggiate tra le campagne e tra i boschi, magari in cerca di frutta fresca e di notevoli attrazioni naturalistiche, consigliamo la passeggiata lungo la strada comunale S. Pietro- Sant’Elia, regolarmente asfaltata. E in ultimo vi consiglio di visitare San Pietro in Amantea specialmente nei mesi estivi perché vi si svolgono tantissime feste e sagre paesane. San Pietro in Amantea è un paese di spiccate tendenze festaiole. Si comincia con le feste organizzate dal Bar della Piazza nel mese di giugno, con la grande festa della Madonna delle Grazie dell’1 e 2 luglio. Il 23 e 24 luglio con la festa di Sant’Elia nella omonima contrada. E poi il 12, 13, 14 agosto con le varie sagre paesane e col caratteristico ballo del “purcelluzzu”. Il 23 e 24 agosto con la festa del nostro Santo Patrono San Bartolomeo Apostolo. Una volta si svolgeva una grande fiera di merci e bestiame frequentata da tanti commercianti provenienti da altre provincie. E infine il 28 e 29 settembre con la festa di San Michele Arcangelo nella Contrada Gallo. Cibi genuini in abbondanza e carne di maiale nero allevato con cura dai contadini del luogo. Il tutto innaffiato da un ottimo e genuino vino locale.

 

Il centro storico e le contrade si prestano per una visita attenta e debitamente “slow”, le cose da vedere e da gustare sono tante.

Intanto, amici lettori e carissimi “Mantioti”, segnatevi la ragione ultima e vera per la quale vi sto dicendo tutto questo: dal 22 giugno u.s. potrete visitare ed ammirare la vecchia casa di Don Achille Lupi in Via del Popolo riconvertita in centro sviluppo innovazioni gastronomia calabrese e la vecchia chiesa di San Bartolomeo Apostolo nella omonima Via in parte distrutta dal terremoto del 1904 e riconvertita in sala polifunzionale e centro espositivo arte orafa calabrese. Ma speriamo al più presto potrete visitare e ammirare, restando a bocca aperta, Il Museo delle Comunicazioni in Contrada Muglicelle, a 500 metri dal centro abitato, lungo la vecchia statale e prima della Variante, voluto ardentemente e realizzato con enormi sacrifici, malgrado le alterne vicende, dal dinamico e intraprendente Frate Francescano Padre Pio Marotti, Parroco di San Pietro in Amantea.

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Il 24 agosto si celebra in San Pietro in Amantea la festa in onore dell’Apostolo Bartolomeo che è anche il Santo Patrono del paese. Anche la parrocchia è stata sempre a Lui dedicata.

Due chiese sono intitolate al Santo Patrono: una gravemente danneggiata dal terribile e devastante terremoto che colpì la Calabria nel 1905 e poi in parte demolita ed ora sconsacrata e l’altra, nuovissima, fatta costruire per interessamento dell’allora Ministro e Quadrunviro On. Michele Bianchi. Venne consacrata ed aperta al culto nell’immediato dopoguerra dal Vescovo di Tropea Mons. Cribellati.

La parrocchia ha sempre fatto parte sin dall’antichità della forania di Amantea ed è di istituzione anteriore al Concilio Tridentino (1545-1563).

Fino al 1962 ha fatto parte della Diocesi di Tropea, ora invece fa parte della Diocesi di Cosenza-Bisignano.

San Bartolomeo è stato un Apostolo di Gesù ed era nato a Cana di Galilea. Morì verso la metà del primo secolo probabilmente in Siria. La storia della sua vita contiene molte incertezze, addirittura qualcuno ha scritto che Bartolomeo sia lo sposo delle nozze di Cana, dove Gesù compì il suo primo miracolo. Per me questa è una forzatura. Escluderei questa ipotesi alquanto suggestiva e fantasiosa. Se lo sposo delle nozze di Cana fosse stato davvero Bartolomeo, non ci sarebbe stato bisogno che Filippo, l’altro Apostolo, incontrandolo un giorno gli avrebbe detto:- Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret -. Lo avrebbe conosciuto senz’altro il giorno delle sue nozze perché Gesù era stato invitato al suo matrimonio insieme a Maria, sua madre, e agli altri Apostoli. Avrebbe assistito al suo primo miracolo quando trasformò l’acqua in vino e quindi non avrebbe risposto a Filippo in quel modo ironico quando lo invitò ad andare incotro a Gesù:- Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?- Bartolomeo, dunque, per la prima volta sente parlare di Gesù quando si incontra con Filippo e non prima. La tradizione che considera Bartolomeo lo sposo nozze di Cana è molto suggestiva, ma falsa.

E poi il suo martirio è inframmezzato da numerosi eventi leggendari. Il suo vero nome non è Bartolomeo, ma Natanaele. Il nome Bartolomeo deriva probabilmente dall’aramaico “bar”, figlio, e “thalmai”, agricoltore. Quindi Bartolomeo era figlio di un agricoltore di Cana di Galilea. Incontriamo per la prima volta Natanaele nel Vangelo di Giovanni, il quale narra che fu l’altro Apostolo Filippo a farlo incontrare con Gesù. Quando Gesù vide Natanaele che gli veniva incontro così disse:- Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità-. Natanaele restò meravigliato e rispose:- Ma come, tu già mi conosci?- Rispose Gesù:- Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico-. Gli replicò Natanaele:- Rabbì, tu sei il Figlio di Dio-. Rispose Gesù:- Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Beati quelli che credono senza aver visto -. E’ una delle tante beatitudini. E la stessa frase pronunziata da Gesù la troviamo anche negli altri Vangeli quando ci parlano dell’incontro di Gesù con Tommaso dopo la sua resurrezione.

In Natanaele non c’è falsità, è un puro di cuore, un uomo onesto. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. E Natanaele che era un puro di cuore ha visto Dio. E da quel giorno incominciò a seguire Gesù nel suo lungo peregrinare insieme agli altri Apostoli e dopo la morte in croce di Cristo incominciò a predicare e a viaggiare in Armenia, India, Mesopotamia. Guariva i malati e gli ossessi. Per questo divenne famosissimo e molto temuto dai pagani. Condannato a morte fu scorticato vivo e poi crocifisso. La calotta cranica del Martire Bartolomeo si trova dal 1238 nel Duomo di San Bartolomeo a Francoforte. San Bartolomeo non solo viene onorato e festeggiato in Italia, ma anche in altri paesi del mondo, in particolar modo in Austria e precisamente a St.Bartholoma, sul Konigsee, nel Berchtesgaden. Anche in Sicilia, nell’isola di Lipari, viene festeggiato. Si racconta che il corpo del Santo sia giunto nell’isola rinchiuso in un sarcofago di piombo. Era stato buttato in mare dai pagani durante una terribile e sanguinosa persecuzione contro i Cristiani. Fu raccolto dagli abitanti dell’isola nell’anno 264. Le spoglie del Santo nell’838 furono sottratte dall’isoletta dagli abitanti di Benevento.Il popolo di Lipari restò sempre fedele al Santo, lo nominò suo protettore ed edificò in suo onore una Chiesa Cattedrale. Nel 999 le reliqie del Santo furono traslate a Roma per ordine di Ottone III, che le depose nella Chiesa di San Bartolomeo nell’isola Tiberina.

L’immagine del Santo la troviamo un po’ dappertutto e ispirò lungo il corso dei secoli gli artisti più famosi. Alcuni pittori l’hanno dipinto con la barba nera e ricciuta, con indosso un mantello bianco, scalzo o con dei sandali ai piedi, con un coltello in mano, con un bastone da pellegrino. In alcuni dipinti si vede spesso un demonio domato accanto a lui. Nella Cattedrale di Colonia troviamo un dipinto dove San Bartolomeo è ritratto con la pelle tutto scorticato. Così pure nella Cappella Sistina in Vaticano troviamo un affresco di Michelangelo che lo ritrae con la pelle in mano che gli è stata tolta. Una tela famosa del Santo si trova esposta finanche al Prado di Madrid. Un’altra tela raffigurante il Santo si trova a Milano presso il Castello Sforzesco. Nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma troviamo una grande statua del Santo in marmo. Un bellissimo affresco del nostro Santo Patrono si trova nella bellissima e famosissima Cappella di San Giovanni a Bolzano, posta nella parte posteriore della Chiesa conventuale dei Domenicani, tra coro e sacrestia, interamente ricoperta di affreschi. Gli affreschi sono attribuiti a pittori di scuola giottesca e presentano gli stessi motivi che si trovano nella celebre Cappella degli Scrovegni di Padova.

La statua del Santo che veneriamo qui in San Pietro in Amantea è in legno massiccio scolpita con i sandali ai piedi, col braccio destro completamente scorticato e con in mano un lungo coltello per scuoiare.

Dal libro di Francesco Gagliardi:- San Pietro in Amantea, paese agricolo, di emigranti, di Maria e Museo della Comunicazione-.

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Che nessuno tocchi San Pietro. Si comprende benissimo quanto Francesco Gagliardi ami il”suo” San Pietro in Amantea, se coglie, come nel caso, ogni occasione per tutelarlo.

(Foto Simone Vairo)

 

Questa volta approfitta della “Grotta dei desideri” per richiamare alla nostra attenzione il Centro diurno per i diversamente abili di San Pietro in Amantea, chiuso dai NAS, lui sostiene, come leggerete, “per un puro cavillo burocratico”.

Francesco sostiene che sia stato chiuso perché “secondo i NAS era stata cambiata la destinazione d’uso”. Poi, conclude, che il centro è chiuso da 5 anni.

Possibile ci chiediamo e gli chiediamo che in 5 non si sia potuto risolvere questo problema burocratico? O c’era e c’è altro, Ciccio?

Ma eccovi la sua bellissima lettera aperta :

“Il 4 agosto u.s. si è svolta in Amantea nel bellissimo e suggestivo “Parco della Grotta” la 12ma Edizione “Grotta dei Desideri”.

 

Ospite della serata l’affascinante Anna Falchi.

Presentatore impareggiabile ed elegantissimo il giornalista Ernesto Pastore che è poi l’ideatore di questa riuscitissima annuale manifestazione che quest’anno ha visto sfilare bellissime modelle che hanno indossato abiti abilmente confezionati per l’occasione da ben 25 stilisti provenienti da ogni parte d’Italia.

Ai primi tre classificati, ad Anna Falchi e ad un’altra attrice che non ricordo il nome, sono stati dati in dono vini pregiati della nostra terra di Calabria ed una bellissima targa ricordo con un disegno fatto a suo tempo da un ragazzo che frequentava il Centro diurno per i diversamente abili di San Pietro in Amantea, ora chiuso per un puro cavillo burocratico.

 

Il Centro si trova in località Terramarina in Via Quattro Canali ed è stato chiuso a marzo del 2011 perché secondo i NAS era stata cambiata la destinazione d’uso.

Per una semplice pastoia burocratica un centro all’avanguardia è stato chiuso malgrado le vibrate proteste dei ragazzi che frequentavano con profitto il Centro, dei genitori dei ragazzi, del Sindaco di San Pietro in Amantea, dei Sindaci del circondario e dell’allora Direttore del Distretto Sanitario di Amantea dott. Tullio Lupi.

Nel mese di marzo del 2012 davanti ai locali del Centro c’è stata finanche una vibrata protesta ripresa e trasmessa dal TG3 Calabria.

Ecco cosa ha scritto il giornalista Ernesto Pastore sulla “Gazzetta del Sud” dell’8 marzo 2012.-

La protesta silenziosa in difesa del Centro diurno. I diversamente abili combattono per riottenere le “ali per volare”.

I genitori, i sindaci del comprensorio, gli operatori sanitari, ma soprattutto gli stessi disabili si sono ritrovati davanti al presidio assistenziale per gridare il proprio dissenso e pressare le istituzioni regionali ed i giudici del Tribunale Amministrativo ad affrontare la questione e a pronunciarsi per la riapertura della struttura-.

 

Sono passati 5 lunghi anni e il Centro è ancora chiuso.

Le istituzioni regionali insensibili al grido di dolore dei ragazzi tacciono e non vogliono affrontare la questione per la riapertura della struttura.

Il giornalista Ernesto Pastore, che si è sempre prodigato per l’apertura del Centro, anche quest’anno in occasione della Serata di Gala “Grotta dei Desideri” ha affidato ad Anna Falchi come del resto fece lo scorso anno con Valeria Marini e con la giornalista sportiva RAI Sig.ra Peroni, ospiti d’onore della riuscita manifestazione, di farsi carico del problema perché le istituzioni, ancora una volta, latitano e restano insensibili di fronte alla categoria dei più deboli.

 

Caspita! Questa è disperazione vera.

Affidarsi ad una giornalista sportiva e a due soubrette della televisione per risolvere il problema è davvero un fatto eccezionale.

Vuol dire che le nostre istituzioni del Comprensorio di Amantea non sono capaci di nulla.

di Francesco Gagliardi”

Il Centro Diurno oggi

 

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Ecco il programma 2016 di Vivi San Pietro organizzato dalla Pro Loco di San Pieto in Amantea, e dalla amministrazione comunale di San Pietro in Amantea con la sponsorizzazione della unione nazionale Pro Loco Italiane.

 

 

 

 

 

 

Queste le date :

Sabato 6 agosto,

domenica 7 agosto,

martedì 9 agosto,

giovedì 11 agosto,

venerdì 13 e domenica 14 agosto,

sabato 20, domenica 21 e lunedì 22 agosto,

giovedì 25 e domenica 28 agosto.

Musica, balletti, visite guidate, sagre, degustazioni, cabaret, giochi e giochi popolari.

Cominciamo da sabato 6 agosto, ore 21.30: Dolcemente jazz. Degustazione dolci e bollicine.

Domenica 7 ore 1830 Birra a tutto gas. Prima festa della birra e street food con moto incontro. Poi a sera musica.

Martedì 9, invece, spettacolo di ballo Al Mantiah ballet presente “L’odore di mare”.

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Eccovi l’ultima fatica di Francesco Gagliardi San Pietro in Amantea –Usanze – Tradizioni – Mestieri di altri tempi – Calo demografico– Paese in lenta agonia.

 

 

 

Sarà presentato prossimamente il nuovo libro scritto dal maestro Francesco Gagliardi: San Pietro in Amantea, Usanze-Tradizioni-Mestieri di altri tempi- Calo demografico- Lenta agonia. In questo libro Francesco Gagliardi racconta la storia come tanti suoi paesani hanno vissuto la loro lontana giovinezza in un contesto culturale e produttivo ormai scomparso e cancellato dalla tecnologia. La loro esperienza non esiste più. Essi potranno ritrovare una realtà completamente differente, che non possono riconoscere, poichè è estranea al loro concreto passato. Il maestro Gagliardi in questo suo ultimo libro ha saputo concretamente costruire il ricordo della loro immaginazione con la più appassionata speranza e di rendere vive ancora delle esperienze lavorative che non esistono più e che costituiscono il sofferto rammarico di non poterle rivivere. Ti fa gustare la gioia di una vita che il cosiddetto progresso ha cancellato persino dalla memoria. Ad abbellire le molteplici e varie situazioni fanno bella mostra di sè delle fotografie a colori, che ritraggono e illustrano la visione e il contenuto delle molteplici e diverse problematiche trattate.

Ed eccovi la Introduzione di Domenico Ferraro

“E’ vero! La situazione sociale e antropologica nei paesi della Calabria è vissuta nella più sofferta solitudine. L’abbandono è reale. San Pietro in Amantea ne può rappresentare la loro più completa esperienza. La povertà è stata lo stimolo a ricercare il benessere in paesi lontani.

Il ritorno non è facile per tutti. Solo i più fortunati possono d’estate partecipare alle feste patronali. La maggioranza sogna un ritorno immaginario. I giovani sperano di coronare il desiderio e la curiosità di conoscere la località di provenienza dei propri genitori. San Pietro in Amantea può costituire il simbolo disperato di una Calabria, che vive sparsa nel mondo, estranea alla cultura della nuova residenza, ma sospinta a vivere nell’immaginazione la tradizione antropologica, che ne forma la sostanza e lo spessore della loro personalità.

L’autore ha saputo costruire il sogno di tanti suoi conterranei. Anche lui ha sperimentato la sofferenza dell’emigrante. Ma,poi, ha avuto la fortuna e il desiderio struggente del ritorno e l’ha potuto realizzare.

In questo libro racconta la storia come tanti suoi paesani hanno vissuto la loro lontana giovinezza in un contesto culturale e produttivo ormai scomparso e cancellato dalla tecnologia. La loro esperienza non esiste più. Essi potranno ritrovare una realtà completamente differente, che non possono riconoscere, poiché è estranea al loro concreto passato. Gagliardi ha saputo concretamente costruire il ricordo della loro immaginazione con la più appassionata speranza e di rendere vive ancora delle esperienze lavorative, che non esistono più e che ne costituiscono il sofferto rammarico di non poterle rivivere. Ti fa gustare la gioia di una vita, che il cosiddetto progresso, ha cancellato persino dalla memoria.

Per ricordare il passato, si sofferma a descrivere gli antichi mestieri, i valori tradizionali, i costumi della gente, i comportamenti nei rapporti sociali, le caratteristiche degli attrezzi di lavoro. Tratteggia la fisonomia e la personalità dei protagonisti. Aleggia sui ricordi un alone di nostalgia e di appassionata poesia. Ti fa vedere la vita di tutti i giorni come viene impiegata. Ti conduce per mano a rivedere come si svolgevano i mestieri, i vari e molteplici lavori artigianali ed agricoli, come producevano gli oggetti d’uso, gli strumenti di lavoro, attrezzi d’ogni genere e specialità. In questi impegni intravedi una vivace attività lavorativa, che costituiva l’essenza stessa della loro sofferta esistenza. La vitalità del ricordo è realizzata attraverso la conoscenza diretta di ciò che rimane della cultura materiale e del dialogo delle persone anziane.

Ti accorgi come l’autore vive il tempo decorso con nostalgia, pregna di tanta poesia. La descrizione degli ambienti è minuziosa, particolareggiata. Non sfugge alla sua attenzione l’impegno degli operatori. Hai l’impressione che nella descrizione ti faccia rivivere gli attimi di quelle esperienze. Anche lui pregusta il passato con nostalgia, poiché ha la memoria di ricordare in modo specifico e preciso le persone, il loro soprannome, il loro linguaggio,il loro modo d’essere, le caratteristiche della loro personalità. A lui non sfugge nulla che possa essere interessante. Ti fa immergere in una realtà, che diventa immaginazione, sospiro, desiderio. Rivivi con lui la ricostruzione di una esperienza concreta esistenziale, che non esiste più. Ma il solo ricordo ti catapulta in un mondo dove tutto è creazione personale, è intelligenza viva, è attuazione fantasiosa, oggi inimmaginabile. Tutto era espressione della propria personalità. Rivivi gli antichi lavori delle donne in casa, in campagna, nei boschi. Percepisci come l’autore partecipi alla descrizione della vita decorsa con la nostalgia di chi la ripercorre idealmente con vivacità di pensiero, di desiderio sofferente. Egli ne esalta la bellezza e si rammarica che il progresso l’abbia distrutta.

Il realismo descrittivo lo sospinge ad individuare le persone non solo con il loro nome e cognome, ma, anche, con la caratteristica specifica con cui erano conosciuti da tutti i compaesani. Ne risultano personalità straordinarie, non solo per quello che facevano, che operavano,ma,anche, per la caratteristica del loro comportamento, del loro atteggiamento, del loro linguaggio. Tutti sono descritti e presentati con meticolosità e chiarezza fotografica, di modo che si ha un ambiente paesaggistico e una comunità di personalità sui generis.

Francesco Gagliardi possiede la capacità linguistica di vivificare e vivacizzare attività e mestieri artigianali, che l’industrializzazione ha distrutto completamente e definitivamente. Sono state cancellate dal maldestro progresso lavori, che costituivano non solo l’impegno produttivo delle persone, ma, anche, lavori artistici che l’uomo del passato ha saputo costruire con la sua arte artigianale. Oggi, sono ammirati come vere opere d’arte di finissimo pregio e di valore inestimabile e molti di essi sono sospiratamente ricercati come testimonianza della vita passata o come reperti di cultura materiale conservati nei musei. L’autore descrive con precisione ogni piccolo risvolto di un lavoro, di una attività, degli attrezzi utilizzati, te ne fa vedere i modi come è stato realizzato, la materia di cui è composto, l’uso che se ne faceva. Da tutto ciò si evince anche la psicologia dell’autore, l’interesse che l’ha spinto a produrre un suo manufatto. Vedi in ciò tutto un trascorso, che non si potrà più ripetere. La nostalgia, che percepisci, ti sospinge ad immaginare una realtà che fu storia vera, che non si potrà più riattuare, poiché l’uomo e la sua vita non possono essere riciclati. Il riconoscimento delle persone avviene mediante un nomignolo, che ricorda la loro specifica caratteristica lavorativa, oppure la personalità che esprimevano nella vita sociale dell’ambiente o nel modo espressivo del loro linguaggio. Gagliardi ti rappresenta i suoi compaesani come effettivamente e realmente erano, come vivevano, come parlavano, come agivano. Li fotografa con un linguaggio pittorico, che, oggi, non ritrova riscontri. Inoltre, percepisci la gioia di presentarti un mondo, che lui ha personalmente sperimentato o ha scrupolosamente osservato attraverso il racconto degli anziani o dei suoi antenati. Il passato, così, rivive nel presente, anche se esprime tristezza e melanconia di una convivenza profondamente umana,fatta di rapporti, d’interessi reciproci, di lavori faticosi di tutta la comunità. Ma realizzati con l’entusiasmo e la passione di chi crea ed attua una propria necessità vitale. Vive l’intensità di una esistenza sociale in tutti i suoi risvolti belli e brutti. Non sono esclusi le rivalità, le gelosie, i comportamenti non sempre esprimenti correttezza, ma descritti sempre con fedeltà e precisione di linguaggio.

Gagliardi, anche in questa presente fatica letteraria, ha la capacità di rendere attuale un passato, che rappresenta la storia di noi tutti meridionali e non solo la vita decorsa del suo paese e la sua esperienza personale. Attraverso l’esistenza, i costumi, i valori e le tradizioni di una comunità, si scrive la storia del progresso umano, tecnologico e l’emancipazione di una popolazione, che dal lavoro agricolo manuale, ha raggiunto un significativo benessere.

Il conoscere e il sapere come una volta si viveva e si pensava c’insegna ad apprezzare il nostro presente e a ricordare come eravamo e come il progresso materiale, in modo lento avvince le comunità umane. La descrizione, che Gagliardi fotografa, esprime non solo il ricordo di un costume di vita, ma, anche, la storia di un passato, che ha originato la realtà presente. Egli ha il merito di scrivere non come gli intellettuali di professione, che costruiscono le loro opere attraverso la ricerca e la consultazione di altri trattati similari. Egli,invece, utilizza il vissuto reale come testimonianza delle sue opere, che indicano i comportamenti, i costumi, il linguaggio espressivo e comunicativo. La sua storia assume l’originalità creativa di cui riesce a trasformare il vissuto dei costumi, i valori ideali e le tradizioni avite in linguaggio descrittivo, in pitturazione policromatica e in poesia vivente.

Ad abbellire, inoltre, le molteplici e varie situazioni fanno bella mostra di sé delle fotografie a colore, che ritraggono e illustrano la visione e il contenuto delle molteplici e diverse problematiche trattate. Il suo linguaggio, le sue espressioni, le sue descrizioni assumono una dimensione più complessa e più veritiera della realtà, che riflettano e descrivono. In ciò consiste la bellezza dell’arte comunicativa di Gagliardi. La facilità del linguaggio, sempre aderente alle situazioni, che rappresenta, facilitano la comprensione dei fatti narrati e ne costituiscono la verità storica.

La conoscenza delle nostre tradizioni culturali antropologiche, i comportamenti morali, gli ideali valoriali umani contribuiscono a comprendere la complessità delle problematiche decorse e a individuare i processi, che stimolano l’andamento dell’evoluzione: il passato esiste solo se si accorda con le esperienze del presente e del futuro.

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San Pietro in Amantea -Chiesa S.maria delle GrazieRiceviamo e pubblichiamo

Il giorno uno e due luglio di ogni anno si celebra nel nostro paese la festa in onore della Madonna delle Grazie. La devozione dei sampietresi e degli amanteani alla Vergine Maria ha origine antichissima e si perde nella notte dei tempi. Si raccontano di Lei prodigi e fatti miracolosi che hanno dello straordinario e del sensazionale. Le nostre nonne ce li raccontavano durante le serate invernali intorno ai focolari scoppiettanti. Li avevano appresi dalle loro mamme. Si dice che la Vergine sia apparsa per primo ad un pastorello che si trovava nella stalla ad accudire gli animali. La Vergine gli parlò e gli disse di dire alla gente del luogo che erigessero in suo onore una chiesa proprio sul posto dove si trovava la stalla. La gente non gli credette e fu varie volte messo alla prova. Un giorno riuscì ad aprire la porta della stalla con un fil di paglia. Quando poi i sampietresi scettici ed increduli trovarono un dipinto della Madonna che ora si trova in una nicchia sopra l’Altare Maggiore e si resero conto della veridicità del racconto del pastorello, tolsero dalla stalle le bestie ed eressero una chiesa intitolandola alla Madonna delle Grazie. Da allora questa chiesa è meta di continui pellegrinaggi, è diventata un luogo di culto e di preghiera. Subì enormi danni durante i terremoto che sconvolsero la Calabria, ogni volta però fu restaurata ed abbellita.

Si raccontano ancora altri miracoli operati dalla Vergine Maria. Ha fatto guarire un bambino che i medici avevano dato già per morto. Non pioveva da molti mesi e il raccolto dei campi era completamente distrutto. I fedeli si rivolsero alla Vergine e un 6 maggio di tantissimi anni fa portarono la Statua della Madonna in processione attraverso i campi. Era una giornata di sole, nessuna nuvola in cielo che potesse annunziare una pioggia imminente. Molti ridevano e scherzavano, tra i quali un Regio Carabiniere della Stazione di Amantea venuto a San Pietro per mantenere l’ordine pubblico. Dicevano:-Un pezzo di legno non poteva fare miracoli e da un cielo azzurro non poteva scendere la pioggia-. Improvvisamente un lampo squarciò il cielo azzurro. Seguì un tuono fragoroso che cantavano e pregavano. Il cielo si oscurò all’improvviso e dopo pochi minuti una pioggerellina benefica incominciò a cadere lentamente continuando per tutta la giornata.

La festa della Vergine inizia col suono delle campane a festa e con alcuni spari di mortaretti. Poi si da inizia alle Sante Messe mattutine e verso le 18,30 alla processione della Statua per le vie del paese. La processione è accompagnata dalla banda musicale di Amantea. Una volta dalle bande più rinomate pugliesi. Al ritorno la Santa Messa solenne in Piazza. In serata si esibiscono in Piazza IV Novembre i complessi musicali. Alla fine i soliti fuochi artificiali.

La devozione alla Madonna delle Grazie negli ultimi anni si è particolarmente estesa, grazie all’opera dei Padri Francescani Conventuali del Convento di San Bernardino in Amantea, grazie anche alla collaborazione dei fedeli sampietersi e alla fattiva partecipazione degli abitanti di Amantea e dei paesi vicini. La Madonna delle Grazie è stata sempre la più venerata e ne danno testimonianza la massiccia partecipazione alla novena e alla Santa Messa serale. I Comuni di San Pietro e di Amantea, per l’occasione, mettono ogni anno a disposizione dei fedeli che vogliono raggiungere la chiesa due scuolabus. Fino agli anni settanta si svolgeva in piazza una grande fiera di merci e bestiame, ora scomparsa. La grande piazza, le vie adiacenti, le strade, invase dalle bancarelle e dagli animali erano una festa di colori, di voci, di suoni, di scenette piene di un loro sapore paesano. Veniva da Amantea il signor Sicoli Alberto a vendere i suoi famosi gelati E Ricuzzo Morelli in una grande bagnarola di alluminio ricoperti di ghiaccio veniva a vendere le sue famose gassose.

Nella fiera le nostre contadine barattavano i prodotti agricoli con stoffe e suppellettili per la casa, oppure vendevano gli animali da cortile. L’occasione della festa offriva ai giovani il pretesto di iniziare il dialogo amoroso che avveniva spesso negli incontri voluti o casuali tra una bancarella e l’altra. Le voci dei rivenditori si confondevano col suono delle campane, della banda musicale, coi canti dei pellegrini, coi nitriti degli asini, con lo scoppio dei mortaretti. L’anima della festa della Madonna delle Grazie era tutta lì, nei colori delle bancarelle disseminale lungo le vie,, nelle grida festose dei bambini attorno ai venditori di mandorle tostate, di palloncini colorati, di giocattoli, di ninnoli e anche nell’odore acre delle salsicce che venivano arrostite. Era dunque una festa popolare anche se per molti versi doveva essere una festa religiosa con i suoi riti, i suoi tempi, le sue tradizioni e le sue caratteristiche immutabili: sparo dei mortaretti, arrivo e sfilata della Banda Musicale per le vie del paese, suono festoso delle campane, celebrazione del rito eucaristico, incanto, processione, giuochi popolari, volo delle mongolfiere, sparo dei fuochi d’artificio.

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marioE’ oramai una consuetudine quella di recarsi in Piazza IV Novembre a San Pietro in Amantea, per le sue sempre più frequenti iniziative. Questo fine settimana infatti, proprio in virtù della Festa della Madonna delle Grazie, gli organizzatori hanno messo in piedi una due giorni, di musica ed intrattenimento. Si inizia da domani, Venerdi 1 luglio con il maestro di fisarmonica Michele Mazzotta alle ore 21:30. Ed, inoltre, approfittando anche della passione calcistica degli italiani e della buona performance espressa dalla Nazionale Italiana di Antonio Conte, che ha brillantemente superato la pratica Spagna e si appresta ad affrontare la Germania, in Piazza IV Novembre, sabato 2 Luglio, verrà per l’appunto allestito un Maxi schermo. Mentre alle 22:30 sempre di sabato 2 luglio, sarà invece l’occasione per ascoltare della buona musica con Ciccio Nucera. Ricordiamo che durante le serata vi sarà spazio per diverse degustazioni di prodotti tipici, come Panino con Salsiccia, Porchetta e Spezzatino. Non resta che augurarvi, buon divertimento, buon appetito e Forza Azzurri.

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chiesa san pietro in amantea CS

Benvenuti, benvenuti tutti, carissimi fedeli e devoti della nostra cara Mamma Celeste, carissime amiche ed amici, a questo bellissimo e accogliente Santuario dedicato alla Madonna delle Grazie. Benvenuti a questo tanto atteso appuntamento annuale. Benvenuti alla novena in onore della Madonna delle Grazie. Benvenuti a voi carissimi devoti di Amantea che ogni anno venite in S.Pietro in Amantea ad onorare la Madonna. Vi recate qui ai piedi della Vergine sempre più numerosi per cantare le lodi alla Vergine Santa e per chiedere a Lei, che tutto può, grazie e misericordia. E Lei, la Pura, la Bella, la Santa, l’Immacolata, la Mamma del nostro Signore Gesù Cristo, ancora una volta ha accolto tutti voi con braccia tese e spalancate nella sua dimora che i sampietresi tanti anni fa hanno voluto costruire in Suo onore.

Facciamo, dunque, festa. In un Salmo il salmista si è chiesto:- Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo Santo?-. E la risposta:- Chi ha mani innocenti e cuore puro-. E voi, carissimi, avete mani innocenti e cuore puro. Avete lasciato per qualche ora il vostro lavoro quotidiano. Avete abbandonato i vostri cari, i vostri figli, i vostri mariti, le vostre preoccupazioni e i vostri affanni, e siete accorsi in tanti implorando grazie ai piedi della Vergine.

Beati voi, dice Gesù. E certamente non sono i potenti, i ricchi, i forti, i mafiosi, quelli che fanno del male, quelli che uccidono, ma al contrario beati e vincenti sono quelli come voi, poveri di spirito, perché vedranno Dio. Beati quelli come voi, miti, poveri, afflitti, assetati di giustizia, bisognosi, vittime di soprusi e di violenze, perché vostro è il regno di Dio.

Nonostante tutti i nostri impegni ogni sera ci presentiamo ai piedi della Madonna delle Grazie, ci presentiamo davanti a suo Figlio Gesù che amorevolmente è tenuto in braccio da sua Madre e chiediamo perdono per i nostri peccati. Rivolgiamoci dunque a Lei come ad una madre viva e vera, che conosce tutti i nostri bisogni, pronta ad ascoltarci sempre ed in ogni ora della nostra giornata e a lenire ogni nostro affanno.

Benvenuti, dunque, in questo luogo di pace, di gioia e di preghiera, per festeggiare la nostra Madonnina. Ogni sera recitiamo il Santo Rosario che la Madonna chiede a tutti noi di recitare con fede e devozione non solo per la salvezza delle nostre anime, ma per la salvezza e la conversione di tutto il mondo. La Madonna lo ha chiesto a Fatima tantissimi anni fa ai tre pastorelli Francesco, Giacinta e Lucia, lo chiede anche a noi oggi, nell’anno del Signore 2016, coinvolgendoci tutti quanti e chiedendo a noi, miseri mortali, di aiutarla a salvare i peccatori.

Sono sicuro che alla fine della Santa Messa lascerete la nostra chiesa, sempre più bella e accogliente, con animo più sereno, rinnovati nello spirito e come ha scritto il Vescovo di Nicotera, Mileto e Tropea Mons. Luigi Renzo:- Con in mano la fiaccola dell’amore da portare a questo nostro tempo così difficile e contorto; da portare alle nostre famiglie spesso tanto provate; ai giovani esasperati e senza futuro; al cuore di ogni uomo disorientato e senza riferimenti sicuri-.

Chiediamo, dunque, alla Madre di Gesù, che noi qui, in San Pietro in Amantea veneriamo col meraviglioso titolo di Madonna delle Grazie, di vegliare sulle nostre famiglie, sui nostri cari emigrati in terre lontane, sui malati, sui poveri, sui bisognosi, sugli emarginati, sui disoccupati, sugli esodati, sui malavitosi, sui mafiosi e camorristi perché si convertano ad una vita migliore e giusta, su questa nostra martoriata Italia, su questo nostro mondo, su questa nostra terra perché scompaiono le ingiustizie, l’odio, le violenze, le guerre, la sopraffazione di ogni tipo, sul nostro piccolo paese perché regni l’amore e la concordia, ahimè, da diversi anni perdute. E che la Madonna delle Grazie faccia scomparire per sempre dai nostri cuori l’odio che rende gli uomini miseri ed infelici.

Buona festa a tutti e grazie per la vostra presenza sempre più numerosa e molto significativa.

Francesco Gagliardi

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