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Riceviamo e pubblichiamo:

“Gentile Direttore/ Redattore, chi le scrive è una cittadina crotonese che ieri ha letto la notizia dell’increscioso episodio verificatosi nel reparto di ginecologia dell’ospedale di Crotone.

Lungi da me sobillare alla violenza ma, approfitto di lei perché faccia da megafono alla mia voce, ogni caso va esaminato nel contesto in cui si verifica.

Circa due mesi fa ho avuto modo di disapprezzare proprio il reparto coinvolto che mi ha vista protagonista quasi diretta (accompagnavo mia sorella per degli accertamenti) di quanto poco rispetto e quanta poca professionalità impera in quel reparto, a cominciare dal medico che, in fase di ecografia, chiamava il primario per invitarlo la mattina successiva ad essere presente perché aveva “sottomano un qualcosa di mai visto”.

L’amore per la scienza (sic) ha dunque prevalso sull’etica professionale causando un ulteriore trauma psicologico alla paziente (mia sorella, ribadisco, ed in mia presenza) che in quel momento si vedeva diagnosticare un cistoma ovarico di oltre 30 centimetri di diametro.

Subito dopo ci siamo scontrate con altri episodi poco edificanti per un ospedale, tipo il confondere (da parte di una delle infermiere) un farmaco antistaminico con il liquido di contrasto per la risonanza magnetica prescritta alla paziente, per passare (e salto tanti altri passaggi che mi hanno costretta ad impormi con toni roboanti) al momento di eseguire la risonanza, quando l’addetto ha “pregato” che la paziente (mia sorella) riuscisse ad entrare nel “tubo” visto il volume dell’addome (un cistoma ovarico di oltre 30 cm è come un feto cresciuto troppo nel grembo della madre…).

Finita la fase di accertamento diagnostico siamo state invitate dal primario del reparto per definire il modus procedendi, e qui sorvolo sulle continue interruzioni, che ha passivamente subito lo stesso da parte di inservienti alquanto irrispettose, durante il colloquio finale.

In considerazione dei tanti fattori esposti sia dai medici che dalle circostanze si decide di affidarsi all’ospedale vicino più qualificato per il tipo di intervento richiesto e la scelta ricade sull’ospedale “Annunziata” di Cosenza che vanta la presenza di una valida equipe medica oncoginecologica guidata dal primario Dr. Morelli.

La riuscita dell’intervento ha confermato la buona fama dell’equipe ma…anche qui c’è un ma, e questo “ma” vorrei fosse chiaro a chi parla per sentito dire o per il gusto di disprezzare il proprio perché se è vero che da noi ci sono pecche (non sottovalutabili) non è detto che gli altri ne siano immuni.

Dunque, dicevo, superato l’intervento è arrivata la fase piu’ delicata: il post operatorio.

Una fase che ci ha messo di fronte all’arroganza ed al menefreghismo del 90% del personale infermieristico, basti pensare che nei 9 giorni di ricovero di mia sorella io sono rimasta con lei 24 ore su 24 per 9 giorni poiché non aveva assistenza e, quando richiesta, arrivava dopo ore e con le lamentele e, spesso, le parolacce e la voce grossa degli addetti.

Il parossismo è stato raggiunto al momento della “liberazione dal catetere”, che ha provocato una paresi vescicale che stava per portare all’arresto renale e, dopo 8 ore (dico 8 ore) di dolori atroci e sorrisini sardonici da parte delle infermiere e del medico di turno quel pomeriggio, ha trovato la soluzione perché io (mia sorella era troppo debilitata per alzare la voce) mi sono imposta minacciando di rivolgermi ai Carabinieri.

Fortunatamente e grazie alla mia “maleducazione” il tutto si è risolto ma se non fossi stata “maleducata”?

La cosa peggiore è che in quel di Cosenza ho riscontrato un’usanza che (ahimè) esiste anche a Crotone (ed in altri ospedali): chi è valido viene boicottato, viene deriso e viene ostacolato nello svolgimento di quella che io definisco una missione, questo per dire che gli angeli esistono anche in mezzo ai demoni e l’angelo che abbiamo conosciuto ha il viso dolcissimo di una ragazzina ma appartiene ad una donna (infermiera) che vive il suo lavoro come una missione, ascoltando le pazienti e cercando di alleviarne i disagi.

Ma è sola e non fa numero.

Concludo questo mio “sfogo” ricordando a tutto il personale sanitario che opera negli ospedali che se una persona si trova a dove ricorrere al servizio ospedaliero lo fa perché ha un problema di salute e non certo perché non sa dove passare la giornata, per cui ci vuole umanità nella stessa misura della preparazione, ci vuole pazienza ed amore per il prossimo perché un sorriso aiuta spesso più di un farmaco e perché un ammalato è una persona fragile e timorosa.

Grazie per l’attenzione, Paola Turtoro – cittadina crotonese.

Pubblicato in Calabria

Un consiglio comunale aperto.

Un consiglio al quale sono stati presenti la deputata Enza Bruno Bossio ed il consigliere regionale Guccione oltre a vari sindaci dell’ex distretto di Amantea , tra cui quello di Serra D’Aiello, di Aiello calabro, di San Pietro in Amantea, di Fiumefreddo Bruzio, di Lago.

Numerosi gli interventi molti dei quali “ a braccio”.

In attesa di sbobinarli tutti cominciamo con il presentarvi quello della consigliere di minoranza Concetta Veltri che ha ricevuto il plauso del consigliere regionale Guccione:

Concittadini, sindaco, presidente, colleghi di maggioranza e di minoranza, 

credo che poche riunioni consiliari abbiano avuto l’ importanza che ha quella attuale.

Oggi parliamo, infatti, di sanità ed in particolare di strutture sanitarie e di servizi sanitari.

E non parliamo solo di Amantea, ma dell’intero comprensorio, cioè non di 15 mila, ma di 30 mila abitanti.

Se fossimo una unica città saremmo la decima città calabrese, subito dopo Vibo Valentia.

Siamo, cioè, una realtà socialmente e politicamente importante ed indiscutibile.

Ed è in questa ottica che oggi dobbiamo vedere la proposta all’ordine nel giorno, ed in relazione i nostri interventi, le nostre scelte. 

Parliamo cioè di una entità sociale che aspetta di essere capita e tutelata unitariamente sotto il profilo sanitario , così da impedire a chiunque di continuare a spogliare i nostri servizi sanitari, di continuare a trattarci come una cenerentola, se non come la “cenerentola” della Calabria.

Ma ho, ancora, davanti agli occhi l’auditorium della Mameli stracolmo di gente.

Una marea di persone scesa in campo per segnalare con forza i bisogni sanitari e la voglia di partecipare alla tutela dei propri diritti.

Un vero e proprio prodromo di rivoluzione sociale, figlio di una innegabile  voglia di autodifesa, una rivoluzione sociale nata dal contributo di cittadini e soprattutto delle loro associazioni ,insieme a partiti e sindacati.

Tutto ciò fa capire la valenza della rete come strumento di democrazia e partecipazione della città e di tutto il comprensorio.

Un prodromo che sembra denunciare la percepita assenza della politica, prima ancora che delle amministrazioni, sia nelle loro individualità che nel loro insieme.

Un monito, quindi, a politici distratti , abulici, se non assenti, che suona così“ Quello che non fate voi, lo faremo noi da soli” , per poi continuare “ Lo faremo per noi , per i nostri anziani e per i nostri figli. Lo faremo per il nostro territorio, per le nostre comunità”.

Mi sembra di essere sulla porta di un cambiamento radicale , se non epocale, che parte dalla raggiunta consapevolezza della necessità della partecipazione diretta della società civile alle scelte politiche.

Un cambiamento che è insieme un superamento del vecchio ruolo della politica che ascolta la comunità e che sceglie in relazione alle sue esigenze.

Se la politica viene avvertita come assente e lontana sembra doveroso che il popolo si autodifenda o muova forti sollecitazioni come ha fatto.

Basta allora al saccheggio del poliambulatorio di Amantea.

Non abbiamo un ospedale, una casa di cura, un pronto soccorso, capaci di curarci e salvare le nostre vite ed invece di potenziare il Poliambulatorio vogliono addirittura toglierci il laboratorio di analisi cliniche.

Il passo successivo sarà quello di revocare le convenzioni anche ai laboratori privati?

Siamo alla follia.

E tutto in nome della spending rewiew, tutta indimostrata e ritengo indimostrabile.

E’ sempre la stessa storia.

Negli anni settanta, appena nata la regione, veniva copiato il bilancio della Lombardia così che potevi leggere nei capitolo del bilancio calabrese la posta “ Interventi sulla riva sinistra del Po’”

Oggi, invece, si vuole riproporre un modello di laboratorio centralizzato dell’Emilia Romagna come se le due regioni avessero le stesse condizioni orogeografiche, gli stessi servizi sanitari, dimenticando che  nella sola provincia di Parma ( 445 mila abitanti nella intera provincia) ci saranno 26 case della salute entro il 2015.

In Calabria ancora il percorso non è stato avviato anche se sono stati previsti circa 67 milioni di euro di finanziamento .

I primi tre modelli previsti sono stati quelli diChiaravalle (finanziati con circa 8,1 milioni di euro), Siderno ( 9.7 milioni di euro) e San Marco Argentano ( 8,1 milioni di euro)

Il precedente governatore così si esprimeva «Utilizzeremo le strutture ospedaliere che sono state riconvertite in grado di dare risposte immediate ai pazienti sul territorio di riferimento con posti letto per lungodegenze e residenzialità. Si tratta di un servizio che avrà un costo molto più contenuto rispetto ai posti letto ospedalieri». 

Ecco, noi chiediamo la riconversione  del poliambulatorio in casa della salute e per questo la conservazione e l’ampliamento del laboratorio di analisi cliniche ed il completamento della struttura del poliambulatorio finalizzato all’ampliamento dei servizi sanitari . 

Il nostro comprensorio deve essere capace di offrire ai propri ammalati gli stessi diritti degli altri medio-grandi comuni calabresi.

È chiaro quindi che non solo ritengo che questa proposta vada approvata, mi auguro all'unanimità, a prescindere dai colori politici, ma vada seguita fino al raggiungimento dello scopo prefisso per il bene comune.

Pubblicato in Cronaca
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