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Gratteri photo-01Il toto nome sul nuovo presidente della Repubblica italiana anima il dibattito politico e non solo. Tra i vari profili, in questi ultimi giorni, emerge anche il nome del procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri. Nome venuto fuori da una ventina di parlamentari, ma anche tramite una petizione online su Change.org (al link https://chng.it/Z6vT27tGRF) ed intitolata “Nicola Gratteri Presidente della Repubblica”, che ha raccolto in pochi giorni più di 1700 firme. A dimostrazione del fatto che all’opinione pubblica Nicola Gratteri piace e vedrebbe di buon occhio la sua nomina al più alto scranno dello Stato italiano.

A lanciare la petizione è Vincenzo Romano, giovane ricercatore universitario calabrese, in Erasmus in Olanda, nonché presidente dell’associazione “Spegniamo il fuoco, accendiamo il futuro” di Longobucco, in provincia di Cosenza.Romano nella petizione sottolinea: “Solo pochi testimoniano quotidianamente con passione, dedizione ed abnegazione nei fatti, e non a parole,un forte senso di appartenenza allo Stato. Solo pochi mettono a rischio la propria vita e quella dei propri cari per difendere i principi e i valori della nostra Costituzione. Tra questi pochi, Gratteri ha dimostrato di poter riuscire in un’impresa che a tutti gli altri sembrava impossibile: cercare di liberare la Calabria e l’Italia intera dallo strapotere della ‘Ndrangheta”.

“Nessuno più di Gratteri può dare quel senso di riscatto – conclude così la petizione lanciatal’8 gennaio scorso –che permetterebbe a tutti gli italiani di fare di più e meglio. Cosa bisogna aspettare? Che lo uccidano per poi eleggere presidente della Repubblica suo fratello?”. Riferimento questo a Piersanti Mattarella, fratello dell’uscente presidente Sergio Mattarella, ammazzato a Palermo nel 1980 da Cosa Nostra, mentre ricopriva la carica di presidente della Regione Sicilia.

L’auspicio di Vincenzo Romano è che:“molti parlamentari, ed in particolare i leader dei partiti, facciano propria questa candidatura per eleggere un presidente della Repubblica di cui tutti gli italiani possano sentirsi orgogliosi”.

Pubblicato in Italia

Da questa mattina, a Catanzaro, Lamezia Terme e Roma, militari del nucleo investigativo carabinieri di Catanzaro, coadiuvato dai colleghi dei Comandi locali, stanno dando esecuzione a un decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura della Repubblica, guidata da Nicola Gratteri, nei confronti di 3 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di abuso d’ufficio, falsità ideologica e peculato.

Gli indagati sono l'ex presidente della Fondazione (ed ex deputato) Giuseppe Galati, e i segretari generali Giuseppe Antonio Bianco, dirigente della Regione Calabria, e Mariangela Cairo.

Il sequestro per equivalente ammonta a oltre 1,2 milioni di euro.

Le indagini, che si inquadrano nell’ambito dell’attività volta al contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, avrebbero permesso di acclarare la responsabilità dei tre in merito alla distrazione di fondi comunitari destinati alla Fondazione “Calabresi nel mondo”, ente in house della Regione Calabria, attualmente sottoposta a procedura di liquidazione, nonché individuare l’illecita locazione di un locale avente sede a Roma.

In merito parla anche il M5s. Ecco il comunicato stampa:

«Conferma la bontà della nostra battaglia politica la notizia del sequestro preventivo per 1,2 milioni di euro nei confronti dell'ex parlamentare Giuseppe Galati ed altri, nell'inchiesta sulla distrazione di fondi comunitari destinati alla Fondazione Calabresi nel mondo, coordinata dalla Procura catanzarese guidata da Nicola Gratteri».

Lo afferma, in una nota, il deputato M5s Giuseppe d'Ippolito, che aggiunge: «In più occasioni, anche nell'ultima campagna elettorale, avevamo posto l'attenzione sulla storia della Fondazione Calabresi nel mondo, difendendo i lavoratori e accusando tutta una rete politica legata a Galati.

La giustizia farà il suo corso. Intanto il Movimento 5stelle ha dal canto suo denunciato la pericolosità politica di soggetti, come Galati, che per fortuna sono stati bocciati dagli elettori e che dunque non possono utilizzare l'immunità parlamentare».

«In Calabria – prosegue il deputato 5stelle – la denuncia politica e il controllo di magistratura e forze dell'ordine devono camminare di pari passo, nella loro indipendenza.

C'è la necessità di indagare sempre più a fondo sugli atti amministrativi e sulle eventuali pressioni degli esponenti politici».

«Grazie – conclude D'Ippolito – agli sforzi dei magistrati, all'impegno di una politica sana e alla consapevolezza dei cittadini, in Calabria si sta aggredendo un sistema di potere che ha privato la comunità di risorse e beni pubblici, che per anni ha condizionato il voto e, soprattutto, che ha prodotto diseguaglianze, disservizi ed emigrazione.

Siamo sulla buona strada, ma serviranno strumenti normativi e mezzi più forti, argomento di cui dovrà occuparsi la nuova commissione parlamentare Antimafia, che dovrà guardare con maggiore profondità alla gestione amministrativa calabrese».

Ndr. Non sarebbe male!

Pubblicato in Lamezia Terme

Il Tribunale del riesame respinge la richiesta di arresto per il consigliere regionale Orlandino Greco e per l’ex consigliere provinciale Aldo Figliuzzi.

Per entrambi non sussistono gravi indizi di colpevolezza né esigenze cautelari.

 

 

Nel dispositivo del tribunale, per Orlandino Greco soltanto la campagna elettorale del 2008 merita dei maggiori approfondimenti investigativi.

L’ex sindaco di Castrolibero oggi consigliere regionale eletto nella lista “Oliverio presidente” e Aldo Figliuzzi erano stati accusati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro di corruzione elettorale e voto di scambio politico-mafioso.

All’epoca dei fatti il pm dell’antimafia Pierpaolo Bruni, oggi procuratore a Paola, aveva richiesto l’arresto.

La misura cautelare è stata però rigettata nel mese di dicembre.

La scelta è stata successivamente impugnata dal procuratore Nicola Gratteri il quale sostenne come fosse necessaria la restrizione della libertà per gli indagati.

A pesare sull’intero quadro probatorio per i due politici ci furono le dichiarazioni di sei collaboratori di giustizia: Roberto Calabrese Violetta, Adolfo Foggetti, Ernesto Fogetti, Marco Massaro, Daniele Lamanna ed Edyta Kopaczynska.

L’appoggio del clan ad Orlandino Greco, difeso dall’avvocato Franco Sammarco, sarebbe arrivato grazie alla consegna di una mazzetta di 20mila euro consegnata da Greco per ottenerne l’appoggio durante la campagna elettorale.

Sia Greco che Figliuzzi, difeso dall’avvocato Pasquale Naccarato, hanno ribadito nel corso delle testimonianze processuali come i rapporti con il defunto Michele Bruni (ex reggente del clan Bella-bella) non avessero nessun fondamento.

Linea difensiva basata dunque sulla inattendibilità dei racconti dei pentiti.

Oggi il verdetto atteso ormai da mesi.

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Pubblicato in Cosenza

La Confartigianato dice che Calabria è la regione messa peggio del Paese.

Fa eco Gian Antonio Stella del Corriere della Sera con il suo articolo” Paletta e secchiello.

Per mettere in sicurezza la terra più esposta d’Italia al rischio idrogeologico, i «forestali» calabresi sono dotati degli strumenti di un bambino in spiaggia.

Basti dire che al suo arrivo, sei mesi fa, il nuovo commissario straordinario trovò un esercito di 5.887 uomini e tre ruspe.

Tre. Tutte tre fuori servizio.

Chiese una Panda: mancava l’assicurazione.

A dispetto di spese per circa duecento milioni. Nascoste in un bilancio intenzionalmente impenetrabile. Dieci volte più pesante di quello dei forestali del Veneto.

«Questa volta non ci saranno picchetti e occupazioni. Il governo Renzi, grazie al presidente Oliverio e alla delegazione parlamentare pd, ha inserito in legge di Stabilità 50 milioni per Lsu e 130 per i forestali!», esulta sul suo blog la deputata Enza Bruno Bossio.

«Avanti sulla strada dei diritti!». Quali?

Questo è il punto: i «diritti» dei dipendenti di «Calabria Verde» fondata nel 2013 per sistemare in un unico carrozzone i vecchi forestali dell’Afor, i riciclati delle comunità montane e gli addetti alla sorveglianza idraulica, passati dal part-time al tempo pieno con un raddoppio dei costi?

O i diritti dei cittadini italiani che si fanno carico di queste spese di assistenzialismo puro e ancor più dei cittadini calabresi ai quali dovrebbe esser garantita la possibilità di vivere senza l’incubo che al primo nubifragio venga giù tutto?

Sono 9.417 le frane censite che mettono a rischio quasi la metà del territorio.

Un quadro così allarmante da spingere mesi fa lo stesso Sergio Mattarella a ricordare quanto la Calabria abbia «sofferto speculazioni e incurie» nonché del «perverso connubio tra malaffare e cattiva amministrazione».

«Il dissesto idrogeologico», ammonì, «è causa di un impoverimento di risorse e di rischi per le popolazioni. Intervenire per ridurlo è opera di grande valore sociale».

Parole al vento. Anche l’ultimo conto consuntivo della società, nonostante la svolta tentata con la nomina a commissario di Aloisio Mariggiò, un generale dei carabinieri scelto per arginare le polemiche, mostra come solo una minima parte dei costi esorbitanti finisca nella gestione dell’azienda e oltre il 96% in stipendi.

Eppure, denuncia il geologo Mario Pileggi, i «2.587 interventi per un costo di un miliardo e duecento milioni ritenuti necessari» nel Piano di difesa del suolo del 2008–2009, sono stati portati a termine solo «in minima parte».

Ovvio: «Ci sono operai mandati a mettere in sicurezza una fiumara pericolosa senza un mezzo meccanico», sorride amaro il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri. «Qualcuno si è portato il badile da casa. Si può risanare un territorio pericoloso senza una ruspa e con le vanghe portate da casa?».

O il forestale è un eroe e si spacca la schiena come gli antichi schiavi nubiani o si mette all’ombra e aspetta sera.

Dice tutto, sulle priorità della politica (niente grane coi forestali, al risanamento penseremo poi…) l’inchiesta aperta appunto dalla magistratura su 80 milioni di euro di Fesr (Fondi Europei Sviluppo Regionale) stanziati per contenere i rischi idrogeologici e usati invece per gli stipendi a quella massa abnorme di forestali.

Soldi che la Ue a questo punto non verserà più. Persi. Addio. Come la spieghi, agli europei e agli italiani, quella scelta? Come possono capire, gli «altri», una Regione con 5.887 forestali stabili (e va già meglio d’una volta quando lo stesso Giacomo Mancini, calabrese, li definì «una maledizione») contro i 277 (ventuno volte di meno) del Veneto, dove il costo (tutto compreso, anche i 347 «stagionali») è di 21 milioni netti contro i 185 per i soli stipendi «forestali»?

Un dettaglio?

Il tributarista Michele Mercuri, dell’UniCal, ride amaro dell’incasso 2014 per il «materiale legnoso» che doveva coprire un po’ i costi: 14.603 euro. «Sufficienti a coprire poco me meno dello 0,005% delle spese».

E il bello è che in questi stessi anni, come emerge dall’inchiesta a Castrovillari del giudice Eugenio Facciolla, c’è chi col legno ha fatto montagne di soldi.

Chiudendo contrattini da poche centinaia o migliaia di euro per la rimozione di legname caduto a terra per poi radere al suolo ettari ed ettari di alberi secolari con motoseghe, gru e camion rimorchi. Misfatti ecologici già denunciati da decenni. E da decenni combattuti a chiacchiere. Esattamente come l’antico vizio dei mammasantissima politici locali di usare forestali, ricattati con le clientele, per costruire o restaurare le proprie abitazioni.

Vizietto costato l’arresto a settembre a Paolo Furgiuele, che da direttore generale non solo aveva concorso a dirottare i soldi di cui dicevamo, ma per ristrutturare casa sua aveva usato gli operai di Calabria Verde e il parquet destinato agli uffici aziendali. Altra inchiesta parallela, con alcuni protagonisti già indagati per il dirottamento degli 80 milioni dalle opere idrogeologiche agli stipendi, quella su un appalto da 32 milioni di euro per l’acquisto (finalmente) di macchinari indispensabili per la guerra agli incendi.

Appalto finito «fuori tempo massimo» (sui responsabili decideranno i giudici) col solito risultato, raccontato sul Quotidiano della Calabria da Paolo Orofino: soldi perduti e buttati via.

E i camion, le autobotti, le attrezzature da comprare? Addio… «L’assoluta mancanza di mezzi meccanici adeguati e le limitazioni contrattuali previste per il personale impiegato nella sorveglianza idraulica, non hanno consentito di effettuare l’auspicato salto di qualità», accusa il commissario Aloisio Mariggiò nella relazione allegata al bilancio 2015.

Pubblicato in Calabria

Lidia Baratta per conto de Linkiesta ha intervistato Nicola Gratteri.

Ve la riproponiamo perché ci appare indispensabile che la si conosca. Di essa vi segnaliamo alcuni passaggi di estrema intensità.

“È meta febbraio, ma il termometro a Reggio Calabria segna già 22 gradi. Non fa solo molto caldo in riva allo stretto. In meno di dieci giorni, in città si sono consumati quattro agguati, tutti con modalità che sembrano di stampo mafioso: tre tentati omicidi; e un omicidio, in pieno giorno, il 15 febbraio, nel quartiere Gallina.

Lo studio del procuratore aggiunto Nicola Gratteri, da trent’anni in prima linea contro la ‘ndrangheta, si trova in linea d’aria a circa sei chilometri da lì. Sono i suoi ultimi mesi nel palazzone della procura di Reggio: presto andrà a combattere i mafiosi come procuratore alla Dda di Catanzaro. Da quest’ufficio si vede l’ultimo tratto della Salerno-Reggio Calabria: è da qui che, tra i viaggi, le lezioni di Economia della criminalità all’Università Mediterranea e le domeniche nell’orto di Gerace, studia l’escalation di agguati e intimidazioni a negozi, sindaci e sindacalisti che dall’inizio dell’anno ha colpito la Calabria da Nord a Sud. Dal cosentino allo stretto.

L’11 febbraio a Reggio Calabria è “sceso” pure il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che ha dato la sua spiegazione dei fatti. «È la reazione della ‘ndrangheta alla pressione dello Stato», ha detto, «segno della debolezza delle cosche». Una spiegazione che però non convince Gratteri. «Non bisogna fare un’insalata di tutto quello che sta succedendo», dice. «È improbabile che i boss di ‘ndrangheta, visto che negli ultimi anni abbiamo arrestato 2mila di loro, si siano riuniti e abbiano deciso di bruciare un po’ di pullman lì, mettere bombe carta qui, gambizzare e uccidere da un’altra parte». Anche perché, dice Gratteri, che è uno che le parole le misura, «non tutto è ‘ndrangheta e i fatti vanno analizzati uno a uno, con le cause e le concause. Molte volte sono fatti singoli, in altri casi cinque o sei eventi hanno un unico disegno».

Come gli agguati e l’omicidio a Reggio Calabria?

Sì, questi sono eventi collegati tra loro, che ricordano le guerre di ‘ndrangheta. Una ‘ndrangheta che uccide solo quando è necessario.

Cosa significa?

Al di là dei singoli episodi, sui quali ci sono indagini in corso, la ‘ndrangheta che conosco io non ha alcun interesse a fare rumore e ad avere uno scontro con le istituzioni.

Quindi non siamo di fronte a un’emergenza?

L’emergenza c’è, ma c’era anche un anno fa quando c’erano meno episodi criminosi. Per me l’emergenza c’è sempre. Non misuro la presenza o la pervasività delle mafie dal numero delle macchine bruciate o dai morti a terra. Non è quella l’emergenza. La ‘ndrangheta che conosco io discute, parla, dà consigli, formalmente non minaccia ma intimidisce. La ‘ndrangheta che conosco io è quella che muove tonnellate di cocaina e poi con i soldi guadagnati condiziona l’economia e quindi la libertà della gente. È quella che controlla il voto, gli appalti, che dice non solo chi vince l’appalto, ma anche dove deve essere costruita un’opera pubblica e se deve essere costruita. Per me l’emergenza dura da trent’anni, da quando faccio il magistrato.

Gli amministratori locali, però, negli ultimi mesi sembrano nel mirino della criminalità.

In questo caso la situazione è più delicata.

Cioè?

Bisogna fare una premessa: la ‘ndrangheta vota e fa votare. Tutti i candidati dicono sempre che i voti della mafia non li vogliono, lo dicono pubblicamente, anzi lo urlano. Ma spesso nelle ultime 48 ore al candidato viene il panico di non essere eletto e quindi è nelle ultime 48 ore che fa i patti col diavolo. Ovviamente nel momento in cui una famiglia di ‘ndrangheta ti consegna un pacchetto di voti che è il 20% dell’elettorato attivo, determina chi sarà il sindaco. Il capomafia quindi vorrà quantomeno cogestire il comune. Come minimo indicando chi sarà il tecnico comunale o intervenendo sul piano regolatore. Può darsi anche però che la ‘ndrangheta sbagli il cavallo vincente, ma il capomafia non starà alla finestra a guardare, farà di tutto per entrare nella spartizione della torta.

E questo cosa significa?

Significa che non tutti gli attentati ai pubblici amministratori sono fatti dalla mafia perché l’amministrazione si è opposta alla mafia. Molti attentati vengono fatti perché l’amministratore non è stato al gioco e al giogo della ‘ndrangheta. Alcuni attentati vengono fatti perché l’amministratore o il politico non è stato ai patti precedenti con ‘la ndrangheta. Altri attentati ancora possono non riguardare la ‘ndrangheta, ma essere problemi anche interni ai rapporti tra pubblici amministratori.

   Non misuro la presenza o la pervasività delle mafie dal numero delle macchine bruciate o dai morti a terra. Non è quella l’emergenza. La ‘ndrangheta che conosco io è quella che muove tonnellate di cocaina e poi con i soldi guadagnati condiziona l’economia e quindi la libertà della gente. È quella che controlla il voto e gli appalti

Angelino Alfano a Reggio ha detto che la nuova serie di attentati è segno della debolezza delle cosche. Chi sta vincendo, voi o loro?

Penso che stiamo pareggiando la partita. Per vincere davvero bisogna cambiare le regole del gioco. Come dicono nei teatri di guerra, bisogna cambiare le regole di ingaggio: il codice penale, il codice di procedura penale, l’ordinamento penitenziario, sempre nel rispetto della Costituzione. È necessario fare tante di quelle modifiche finché delinquere non sarà più conveniente. Sono tutte proposte che abbiamo messo nero su bianco nella Commissione voluta dal governo, che ho presieduto a titolo gratuito chiamando i migliori esperti sul campo (Commissione Gratteri, ndr).

Mi fa un esempio di quello che avete proposto?

In Italia ci sono 44mila uomini della polizia penitenziaria. Ogni giorno diecimila di questi vengono impegnati per trasferire i detenuti. Se a Reggio Calabria si tiene un processo con 40 imputati detenuti che devono rispondere di concorso in associazione di stampo mafioso, bisogna impiegare gli uomini che scortino fino a Reggio i detenuti di massima sicurezza, che in genere stanno da Roma in su. Nel tribunale di Reggio questi detenuti stanno insieme sette-otto ore. Qui hanno il tempo di incontrarsi, parlare, fare affari, trasmettere attraverso gli avvocati messaggi di morte o richieste di mazzette, minacciare i testimoni. Per otto-nove mesi vengono tenuti nelle carceri tra Reggio, Palmi e Vibo Valentia. Poi torneranno a Reggio magari dopo sette-otto mesi per l’appello. Questo giochino in tutta Italia costa 70 milioni di euro. Quello che abbiamo proposto noi è che tutti i detenuti di alta sicurezza sentiti a qualsiasi titolo, come indagati, testimoni, o anche se si devono separare, non vengano trasferiti, ma restino dove sono sfruttando le videoconferenze. Con una sola modifica si eviterebbe che i detenuti possano continuare a nuocere e minacciare e si risparmierebbero 70 milioni di euro l’anno. Immaginiamo quanti uomini della polizia penitenziaria potremmo assumere con questi soldi.

La Commissione ha concluso i lavori nel dicembre 2014. Che fine hanno fatto queste proposte?

Io immaginavo, fantasticavo, sognavo che un blocco di queste cose ovvie passassero velocemente con un decreto legge, il resto con dei disegni di legge. Purtroppo forse non c’è una maggioranza forte tale da portare avanti queste piccole rivoluzioni. Alcune di queste proposte si stanno discutendo ora in Parlamento.

Ma le procure calabresi hanno i mezzi per combattere le cosche?

Esclusa Reggio, nelle altre quattro province calabresi la presenza della ‘ndrangheta è stata ed è sottovalutata da magistrati, istituzioni e studiosi. Tranne alcuni. Come Giovanni Bombardieri (procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, ndr), che urla e grida dicendo che con questi organici non ce la fanno più e non sono in grado di tenere testa alle ondate di mafiosi. Ma non lo sta ascoltando nessuno. Tutti a dargli pacche sulle spalle, a dirgli che ha ragione, ma nessuno concretamente gli ha dato una mano nel corso degli anni.

   Con la ‘ndrangheta stiamo pareggiando la partita. Per vincere davvero bisogna cambiare le regole del gioco: il codice penale, il codice di procedura penale, l’ordinamento penitenziario. È necessario fare tante di quelle modifiche finché delinquere diventerà non conveniente

Ma bastano modifiche normative e più mezzi per sconfiggere la ‘ndrangheta?

No, bisogna anche investire in istruzione e in cultura. Basta risparmiare i soldi spesi in convegni antimafia e assumere gli insegnanti calabresi che stanno andando in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana. Avremmo bisogno di in una scuola a tempo pieno. I giovani in Calabria sono sempre più ignoranti, così vengono affascinati dall’onnipotenza che può dar loro l’affiliazione alla ‘ndrangheta: è su di loro che bisogna lavorare. Certo, con le modifiche normative vedi i risultati già dopo quattro o cinque anni. Se investi in istruzione e cultura hai bisogno di molto più tempo per vedere i risultati. E il politico purtroppo non fa progettazione di lungo periodo: il politico fa progetti i cui risultati devono vedersi al massimo tra un anno e mezzo. Sarà molto dura.

La principale fonte di finanziamento per la ‘ndrangheta resta il traffico cocaina, come lei ha raccontato in Oro Bianco (scritto con Antonio Nicaso). Ha in mente una soluzione anche per fermare il narcotraffico?

Noi sequestriamo solo il 10% della cocaina che passa. Vuol dire che le regole di ingaggio non vanno bene, vuol dire che bisogna modificarle. Io ho un’utopia: se avessimo un' Onu diversa da quella che c’è oggi, potremmo risolvere il problema della cocaina. Purtroppo l’Onu è un organismo debole. Io lo vedo come il posto degli sfigati. Ma se fosse un organismo di peso, si dovrebbe andare in Colombia, Bolivia e Perù – i tre Paesi produttori di cocaina al mondo – e dire che siccome i governi locali non sono stati in grado di risolvere il problema della coca, lo faranno le Nazioni Unite.

Come?

I caschi blu scendono sulla terra rossa della foresta amazzonica e parlano con i cocaleros. Se coltivando la coca guadagnano 100 e coltivando granturco guadagnano 40, l’Onu si impegna a dare il 60% del mancato guadagno. Con i caschi blu che restano là e controllano se effettivamente si sta coltivando granturco. In questo mondo risolveremmo il problema del traffico di cocaina con un terzo della spesa che il mondo occidentale spende per contrastare le narcomafie. Ma risolveremmo anche il problema del riciclaggio e di un’economia drogata dove alcuni giocano con regole del libero mercato mentre altri con le carte truccate perché per comprare un albergo non devono farsi prestare soldi in banca visto che ce li hanno già. Il problema delle elite della ‘ndrangheta oggi non è quello di arricchirsi, ma di giustificare le ricchezze. La fatica per loro ora è far uscire alla luce del sole i milioni accumulati.

   Se avessimo un Onu diverso da quello che c’è oggi, potremmo risolvere il problema della cocaina. Purtroppo l’Onu è un organismo debole. Io lo vedo come il posto degli sfigati.

Pubblicato in Calabria

Gratteri è un grande magistrato.

E che sia stato nominato presidente della apposita commissione voluta da Renzi per riscrivere norme, procedure e regolamenti in modo da creare nuovi strumenti di contrasto alla criminalità organizzata, è stato un bene per l’Italia.

 

Per intuire il rispetto dovuto alla commissione basti ricordare, tra l’altro, che è l’unica commissione che lavora sul serio in Italia, la cui partecipazione “per espresso volere del presidente Gratteri, condiviso da tutti i componenti, sarà a titolo assolutamente gratuito”.

In questi giorni le prime anticipazioni .

Molto ci piace, su qualcosa abbiamo personali riserve.

 

Ci piace,per esempio quanto su:

I REATI AMBIENTALI Pene più severe anche per i reati ambientali: da cinque a quindici anni per i promotori e da quattro a nove anni per gli aderenti.

I PROCESSI PIU' VELOCI Per accelerare i processi il rilascio delle copie degli avvocati delle parti avverrà solo per via digitale, ad eccezione dei casi in cui ciò non sia possibile. In questo modo si potrà alleggerire il carico di lavoro del personale amministrativo e della polizia giudiziaria.

IL GIUDICE ASSENTE, MA NON SI RICOMINCIA Fino a questo momento se un giudice (sia monocratico che collegiale) viene trasferito o non può più partecipare a un processo il procedimento deve ricominciare dall'inizio. La proposta della Commissione è quella dell'utilizzabilità delle prove dichiarative, salvo eccezioni dettate da «esigenze difensive e di accertamento».

LE CIMICI AMBIENTALI Per disporre intercettazioni ambientali in luoghi privati il pubblico ministero non dovrà più sostenere che sta commettendo un crimine. Sarà sufficiente ribadire che ci sono necessità di indagine. Le intercettazioni dovranno adeguarsi alle nuove tecnologie.

LA PUBBLICAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI Ecco che cosa propone la Commissione sulla pubblicazione delle intercettazioni: «Chiunque, fuori dai casi consentiti, pubblica o diffonde il testo delle intercettazioni o altri documenti di indagine, il cui contenuto sia diffamatorio e che risulti irrilevanti ai fini della prova, è punito con la reclusione da due a sei anni e con una multa da 2mila a 10mila euro».

 

Ci piace moltissimo , poi, in particolare:

LE NUOVE REGOLE PER LA PRESCRIZIONE Dopo la sentenza di primo grado la prescrizione cesserà il suo decorso e il reato non potrà più estinguersi. L'imputato condannato avrà diritto a uno sconto di pena che stabilirà un giudice.

LA CONFISCA DEI BENI L'organismo, guidato da Gratteri, propone la confisca dei beni anche per i condannati per il reato di autoriciclaggio.

GLI AGENTI SOTTOCOPERTURA. La Commissione, infine, vuole agenti "sottocopertura" per le inchieste sulla corruzione.

IL VOTO DI SCAMBIO Si inasprisce la pena per il voto di scambio politico-mafioso: si passa a una pena non «inferiore ai dieci anni». Per la Commissione «la risposta punitiva dello Stato è necessaria non solo nel caso in cui l'accordo riguardi l'impegno del gruppo malavitoso a procurare voti con le modalità del metodo mafioso, come è previsto dalla legge del 2014, ma anche nel caso in cui l'accordo avvenga con un singolo appartenente a un'associazione mafioso».

Non ci piace che i mafiosi possano votare uno o più politici inquinando gli esiti delle elezioni e condizionando le amministrazioni , in specie quelle comunali, senza che gli stessi amministratori, e/o chi per essi, poi, non vengano costantemente indagati su quanto fanno per ripagare i voti avuti.

Pubblicato in Italia

La notte delle stelle. Era stata presentata dagli organizzatori in questo modo l’undicesima edizione della Grotta dei Desideri, ma la realtà è stata superiore alle più rosee aspettative. Non solo è stato un successo di pubblico senza precedenti, sono state più di 4mila le persone che hanno affollato la suggestiva cornice del parco della Grotta ad Amantea, ma soprattutto l’evento ha messo in luce le contaminazioni culturali che il mondo della moda può generare. Senza pregiudizi e senza ipocrisie.

 

Grandi ospiti, Valeria Marini, Claudia Peroni e Michele Affidato, ma anche contenuti attuali e ricercati che hanno messo in evidenza uno studio attento e scrupoloso del lavoro autorale curato dalla direzione artistica affidata al giornalista Ernesto Pastore che ha condotto la serata con il supporto di Nicoletta Gattuso, brava ed elegante come non mai.

L’avvio della kermesse è stato preceduto dalla consegna al sindaco Monica Sabatino di una collana intitolata Temesa, realizzata dalla creatrice di gioielli Daniela Morettti che ha fornito il suo prezioso supporto a molti degli stilisti in concorsi.

Un omaggio alla progenitrice dell’attuale Amantea, con l’auspicio che la storia possa essere testimone di rinascita.
L’assenza del magistrato Nicola Gratteri, che si è venuta a determinare all’ultimo minuto per la mancata coincidenza di alcuni voli aerei, non ha intaccato l’animo dell’evento. Arcangelo Badolati, raccogliendo applausi a scena aperta, ha incantato il pubblico raccontando la non cultura della mafia, snocciolando aneddoti e curiosità, finalizzati a riconsiderare la mitizzazione del fenomeno malavitoso. Dopo i défilé di apertura firmati Graziano Amadori, che nella sua veste di presidente di giuria ha presentato una nuova collezione realizzata ad hoc, e di Sposa Lucy, poesia allo stato puro, la gara tra i giovani fashion designer in concorso è entrata nel vivo. Alla fine sul podio sono saliti Federico Stefanacci dalla Toscana (terzo posto), Danilo Forestieri (secondo posto) dalla Calabria ed il duo siciliano composto da Salvatore Martorana e Simone Bartolotta. I primi due classificati riceveranno le borse di studio patrocinate da Banca Mediolanum per il valore complessivo di 2 mila euro.

E poi le grandi storie.

Quella di Claudia Peroni, capace di infrangere i tabu del mondo sportivo della Formula 1 tremendamente maschilista ed allo stesso tempo pronta a rincorrere nuove sfide, mettendosi a disposizione della Calabria per organizzare eventi motoristici di alto profilo. È poi la star delle star: Valeria Marini che ha voluto conoscere ogni angolo del territorio, incontrando i suoi fans sullo sfondo della grotta illuminata per l’occasione. Ed infine Michele Affidato. Uno spazio creato ad hoc per colui che ha realizzato opere per tre pontefici e che ha saputo emozionare le donne più belle del mondo. Esempio più grandioso della Calabria che produce.

«È stata una serata perfetta – spiegano gli organizzatori – che ci stimola a dare il meglio in vista della prossima edizione. Il prossimo 1 ottobre uscirà il nuovo bando e nei prossimi giorni valuteremo se realizzare un calendario utilizzando gli abiti degli stilisti vincenti. La Grotta dei Desideri 2016 è già iniziata.

Valeria Marini sfoggia la sua cultura

Pubblicato in Cronaca

Amantea. L’undicesima edizione della Grotta dei Desideri entra nel vivo e dopo la serata di Anteprima si appresta a celebrare l’atto solenne più alto: il gran gala.

 

Martedì 4 agosto nella suggestione assoluta che solo il parco della Grotta è in grado di offrire l’eleganza diventa protagonista, per consentire a venticinque giovani promesse del made in Italy di entrare nell’olimpo della moda e del design.

 

Le premesse ci sono tutte.

La Serata di Anteprima, condotta da Ernesto Pastore e Nicoletta Gattuso, che ha avuto luogo nella cornice di piazzetta Calavecchia ad Amantea ha messo in luce le potenzialità di questi giovani artista del taglio e del cucito.

Ricerca, sperimentazione, cura del dettaglio, sono solo alcuni degli elementi che si evidenziano in ogni singolo abito realizzato e presentato al pubblico.

«Siamo consapevoli del fatto – spiega il presidente della giuria tecnica Graziano Amadori – di aver raggiunto il fine ultimo delle selezioni: alzare il livello qualitativo per rendere la gara incerta e combattuta fino alla fine. Chi è presente alla Serata di Gala è già un vincitore, perché ha superato una selezione complessa e difficile, ma soprattutto perché ha saputo mettersi in gioco, confrontandosi con se stessi e con gli altri». Questa tendenza trova già riscontro nei fatti. Nel corso della serata di Anteprima è stato conferito il premio speciale della stampa e così come accaduto nella finale del 2014 due stilisti hanno raggiunto lo stesso ed identico punteggio: da un lato Maria Chiara Saraceno, dall’altro il duo composto da Simone Bartolotta e Salvatore Martorana. In applicazione del regolamento è stato il presidente di giuria, la giornalista Mediaset Claudia Peroni ad operare la scelta finale, optando per il duo proveniente dalla Sicilia.

Ora si riavvolge il nastro ed i giovani fashion designer in gara dovranno nuovamente essere giudicati per la formazione della graduatoria finale che prevede il conferimento di due borse di studio: la prima da 1.300 euro, la seconda da 700, entrambe offerte da Banca Mediolanum. E poi le storie dei grandi protagonisti. Di coloro che hanno saputo convertire i sogni in realtà. Valeria Marini, star indiscussa del jet-set, riceverà il premio “Job & Fashion”; alla giornalista sportiva Claudia Peroni sarà consegnato il premio “National Press”, mente il maestro orafo Michele Affidato riceverà il premio “Media Event”.

Ad aprire la serata il magistrato Nicola Gratteri in un faccia a faccia con il giornalista Arcangelo Badolati.

E ancora la presenza d’eccezione dell’ammiraglio Felicio Angrisano, per celebrare l’impegno e dedizione della Guardia Costiera e delle Capitanerie di porto.

Cultura, arte e moda vanno così a contaminarsi tra loro in un percorso unico e avvincente, senza perdere di vista il fine supremo: consegnare al futuro le nuove stelle del made in Italy. In questo parterre da gran soiréè si accomoderanno anche Aristide Malnati (giornalista ed autore televisivo), Fiorella Felisatti (Radio Italia solo musica italiana), Federica Montanelli (Gazzetta del Sud), Angela Altomare (Vanity Fair), Silvia Sacchi, Carola Santopaolo e Kaoutar Elfathi (7 Gold), Gabriele Ardemagni (fotografo), Claudia Ferrise (stilista), Andrea Celentano (public relations), Filomena Greco (Gruppo iGreco), Fausto Laganà (GDS Media), Jessica Pisani (avvocato), Ilaria Lupi (consulente legale) Marco Maisto (vincitore Grotta dei Desideri edizione 2014). Presente anche Daniela Moretti, una giovane creatrice di gioielli di origine lucana che ha voluto realizzare una particolare opera dedicata all’antica città di Temesa. Un omaggio alla storia e all’arte.

NiclaGratteri

Valeria Marini

Michele Affidato

Venerdì 3 luglio alle ore 19:15, l’Associazione Culturale KAIROS nell’ambito dei “Caffè Letterari 2015”, con il patrocinio della Provincia di Reggio Calabria e del Comune di Gioia Tauro, presenta il volume ANGELA NAPOLI. L’ANTIMAFIA DEI FATTI a cura di Orfeo Notaristefano (Falco Editore).

 

Dopo i saluti del Presidente dell’Associazione Kairos, Prof.ssa Milena Marvasi Panunzio e del Dott. Giuseppe Pedà, Sindaco di Gioia Tauro, introdurrà e relazionerà il Dott. Nicola GRATTERI Procuratore aggiunto D.D.A. del Tribunale di Reggio Calabria.

 

Concluderà l’autrice, Prof. On. Angela Napoli, Consulente della Commissione Parlamentare Antimafia e Presidente dell’Associazione Risveglio Ideale.

L’incontro, che avrà luogo nella suggestiva cornice del Terrazzo di Palazzo Baldari a Gioia Tauro, prevede intermezzi musicali che saranno eseguiti da Domenico Rullo e Giuseppe Cordì. Presteranno la loro voce le lettrici: Prof.ssa Antonella Belfiore, Dott.ssa Maria Carbone, Prof.ssa Sara Caristena, Avv. Annunziata Piccolo, Dott.ssa A. Maria Proto

Sotto forma di intervista, il libro è un dossier impressionante di atti parlamentari e iniziative a favore dei territori in cui Angela Napoli ha combattuto in prima persona contro la ’ndrangheta e le altre mafie per la Legalità e la Giustizia. Il suo è un impegno costante nell’Antimafia dei fatti, agli antipodi di quella parolaia, di parata e inconcludente. Gli episodi di vita vissuta e i documenti riportati attengono a un arco temporale di oltre vent’anni: emerge così la sua attività nella Commissione Parlamentare Antimafia e nelle tante realtà critiche dell’Italia, nonché il contributo che ha dato a livello internazionale.

Il curatore: 63 anni, giornalista professionista, calabrese. Laureato in Sociologia, collabora con la Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri) ed è fondatore del network Verso sud. La stima che nutre per la figura di Angela Napoli e l'amicizia per la sua persona lo hanno spinto ad approfondire la sua storia e realizzare questo libro intervista per illustrare la sua ampia attività parlamentare e regionale di lotta alla 'ndrangheta.

ANGELA NAPOLI: Nata a Varallo (VC), è residente a Taurianova (RC). Laureata in Matematica, ha insegnato ed è stata Preside di scuola. Deputata dal 1994 al 2013, è stata componente delle Commissioni Parlamentari Permanenti Cultura, Scienza, Istruzione, Affari Esteri, Affari Sociali e Giustizia della Camera dei Deputati e di quattro Commissioni Parlamentari Bicamerali di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, ricoprendone anche la carica di Vicepresidente. Oggi è presidente dell’Associazione politico-culturale Risveglio Ideale della quale ne è la fondatrice. Tielle Communication.

Pubblicato in Calabria

In ogni elezione ci sono e , forse, ci saranno, promesse ed impegni elettorali

Sono quelli assunti dai capilista per aiutare la propria lista a vincere.

Poi ci sono quelli assunti dai singoli componenti delle stesse per accaparrarsi voti o preferenze ed essere, così, eletti

Si tratta di promesse ed impegni elettorali per lo più impossibili da mantenere e che spesso sollevano grasse risate per coloro che non li ricevono e ne vengono a conoscenza.

Qui da noi siamo stati abituati a tantissimi impegni uno meno realistico dell’altro

Il caso più famoso è quello della ferrovia a San Procopio ma anche quello dell’aeroporto a Lacquari non è da meno. Impegni che hanno fatto sorridere tutta Amantea.

Oggi, invece, le promesse sono quasi esclusivamente relative ai posti di lavoro

Qualcuno garantisce di far lavorare sempre i soliti.

Qualcun altro si impegna addirittura ad assumere a tempo indeterminato

“ Ho preso impegno ad assumere ………” e lo dicono anche in riunioni collettive come un vanto, dimostrazione della loro “potenza” politica.

Impegni che dicono siano assunti da più parti politiche.

Impegni ai quali si crede come si è creduto alla ferrovia di San Procopio.

Certo viene da chiedersi se sia più sciocco chi li promette tali posti od assume tali impossibili impegni o chi ci crede.

Di fatto è un gioco sporco e vergognoso.

Illudere una persona che sarà garantito un posto di lavoro in un momento difficile come quello attuale e solo per avere voti e sopravvivere è un comportamento oltraggioso

Siamo quasi al voto di scambio, io do una cosa a te e tu mi dai il voto a me.

Ed ovviamente tutto a spese del comune.

Ed ovviamente occorre evitare che il comune vada in dissesto perché in tale condizione si bloccherebbe tutto

Ma qualcuno lo sa e spara bordate di cavolate e di promesse da marinaio. Tanto poi la scusa è bell’e pronta

Mi piacerebbe che queste promesse venissero registrate dalla magistratura e dalle Forze dell’ordine e rese pubbliche con pubblicazione degli elenchi di chi le fa e di chi le riceve.

E questo indipendentemente da eventuali processi penali per voto di scambio

Non è solo un nostro pensiero, lo pensa anche Nicola Gratteri il nostro magistrato, vanto della Calabria e della magistratura, il quale ricorda che «Mi rendo conto della difficoltà della politica calabrese. È una politica debole. I parlamentari calabresi sono molto deboli. Sono pochi e, inoltre, c’è il dilemma se nelle ultime quarantott'ore si debba cedere al voto di scambio o meno. Sul palco tutti diciamo che non vogliamo i voti della mafia. Bisogna vedere l'ultima o la penultima notte che cosa succede».

E parliamo di “grandi”politici, figurarsi quando si parla di piccoli od inani politici locali.

Ma Gratteri ha anche detto che : «Oggi, invece, sono i politici che vanno a casa dei capimafia, a chiedere pacchetti di voti in cambio di appalti (e di posti). Mediamente in Calabria i paesi hanno 5.000 abitanti. Tutti ci conosciamo e nessuno può dire di non sapere chi è il mafioso. È impossibile, perché siamo nati nello stesso paese di 5.000 o 15.000 abitanti. Non puoi dire che non sai chi è il mafioso, chi è il faccendiere, chi è il politico, chi è la persona onesta. Lo sappiamo tutti. Eppure anche la Chiesa, anche i preti, anche i vescovi hanno detto che non possono chiedere il certificato penale. Se sei vescovo da dieci anni in quel paese, non mi puoi dire questo. Questa risposta non mi appaga. È una foglia di fico. Oggi se è il politico che va a casa del capomafia a chiedere i voti, vuol dire che nel comune pensare e sentire si ritiene che il modello vincente è il capomafia. Perché il capomafia interviene anche sulla ristrutturazione di un marciapiede da 20.000 euro? Con tutti quei soldi si interessa pure di un marciapiede? Sì, perché lui farà lavorare per venti giorni cinque padri di famiglia per quel lavoro, e quando sarà ora di votare quei cinque padri di famiglia si ricorderanno di votare per il candidato prescelto dal capomafia».

Ma allora anche nei comuni, medi o piccoli, la mafia sceglie chi far vincere?

Giuseppe Marchese

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