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lago vestiamoMercoledì 5 febbraio alle ore 9.30 presso la Sala Consiliare del Comune di Lago si terrà un convegno "vestiAMO Lago con le sue tradizioni", con argomento le tradizioni del nostro borgo, facendo leva su quelle artigianali e manufatturiere.

Nella Sala sarà allestita una mostra di abiti realizzati a mano in tessuti naturali rigorosamente tinti con i colori che la natura ci offre e saranno esposti pezzi unici cuciti e ricamati a mano dalle sarte di Lago.

Vi aspettiamo !

foto001I ragazzi di oggi. specialmente quelli che vivono in città, durante i mesi invernali non soffrono il freddo, e quando la sera vanno a letto non trovano le lenzuola freddissime. Le case di oggi sono ben riscaldate. Tutte hanno riscaldamenti centralizzati o autonomi a metano. Non sanno, quindi, cosa significa il freddo. Anche perché le scuole sono pure riscaldate. E se qualche giorno gli impianti di riscaldamento non dovessero funzionare i giovanissimi di oggi si rifiutano di entrare in classe. Ai miei tempi le scuole non erano riscaldate. E quando davvero faceva molto freddo, con il fiato tentavamo di scaldare la punta delle dita ed eravamo costretti a stare con il cappotto e la sciarpa al collo. Ogni tanto la maestra si faceva portare da casa un braciere acceso per poter riscaldare un po’ l’ambiente. Non era proprio un braciere, era una padella col manico lungo, “a frissura”,adatta a trasportare i carboni ardenti. Sicuramente della “frissura” e della “vrascera” i ragazzi di oggi non sanno niente, forse ne hanno sentito parlare un po’ vagamente dai nonni, sempre se hanno avuto la fortuna di averli. I ragazzi di oggi credono di possedere tutto, credono di avere avuto tutto dalla vita: comodità, benessere, soldi, biciclette, motorini, auto, televisione, computer, tablet, telefonini, internet, pub,discoteche,sala giochi, etc. A loro, però, è mancato qualcosa: l’intimità della casa. E’ mancato a loro qualcosa di veramente importante: la gioia, la serenità, l’amore della famiglia riunita intorno al braciere specialmente durante le lunghissime giornate invernali quando fuori infuriava la tempesta e tutti erano costretti a stare nelle proprie case.

Il nonno con la paletta in mano, ogni tanto muoveva il carbone acceso e poi lo ricopriva con la cenere per mantenere a lungo e sempre viva la brace. Questo era un compito importante che la famiglia gli aveva affidato e lui ne andava fiero. Come riassettava lui il fuoco non c’erano eguali. La nonna e la mamma, invece, filavano o sferruzzavano, mentre io e mia sorella Anna coi libri poggiati sulle ginocchia facevamo finta di leggere. Non avevamo nessuna voglia di studiare. Ascoltavamo i ragionamenti degli adulti che si facevano allora: la guerra, Mussolini,, i soldati che morivano di freddo e di fame in Russia, la scarsità del raccolto, i bombardamenti, il tesseramento, la scarsità del cibo, il freddo pungente che non voleva andare via.

Se domandate ad un ragazzo di oggi cosa sia un braciere o non vi saprà rispondere oppure vi dirà che è un sottovaso finemente lavorato dove la mamma ha posto nel salotto o nel soggiorno una bella pianta ornamentale. Ecco a cosa serve oggi il bel braciere di una volta, è stato declassato ad un semplice portavasi. Invece, una volta, era ritenuto un oggetto indispensabile ed essenziale per la casa, sia essa ricca che povera. Le ragazze, poi, quando si sposavano ne portavano, fra le altre cose, uno in dote. Il braciere era un recipiente circolare, per lo più di metallo, con due manici, che doveva contenere le braci accese per riscaldare le stanze. Era noto fin dai tempi più antichi. Nelle case dei ricchi e dei nobili c’era il braciere di ottone finemente martellato e con manici pesanti ben lavorati e con il fondo di rame. Era più resistente al calore delle braci, durava più a lungo e si manteneva sempre lucido. Nelle case dei poveri, invece, c’era il braciere di latta che spesso il calore del fuoco bucava il fondo e faceva cadere la cenere per terra. Di ottone o di latta, il braciere non poteva restare così in mezzo alle stanze. Aveva bisogno di un mobile di legno, una specie di ruota del diametro di circa un metro e venti centimetri, col buco in mezzo, costruito in modo che doveva tenere sollevato il braciere da terra. Il bordo della ruota serviva poi come poggia piede per tutti i componenti della famiglia. Gli accessori essenziali del braciere erano: la paletta di ottone o di ferro, che serviva per muovere le braci e poi ricoprirle con un sottile strato di cenere; la pinza, che serviva per prendere le braci ardenti dal caminetto; il ventaglio e la “magara”. Quest’ultima a forma di imbuto bucherellato fatta di latta serviva per il tiraggio. Senza la “magara” a volte era difficile accendere i carboni. Perché si chiamava “magara”? Quante volte me lo son chiesto e mai ho saputo darmi una risposta plausibile. Deriva forse da “magaria”, “magara” o da magia. Chissà! Certamente era l’oggetto indispensabile per accendere il braciere e in pochi minuti compiva la magia di trasformare la legna e i carboni in brace ardente.

Ma il braciere di una volta a differenza dei termosifoni di oggi spesso ubicati sotto i davanzali delle finestre o in un angolo della casa, compiva un’altra “magaria”: aveva il compito di riunire tutta la famiglia specialmente di sera. Non solo ci dava calore che riscaldava tutte le membra, ma ci dava calore umano. Stare tutti uniti, stare tutti vicini, ci faceva sentire una sola famiglia, un corpo ed un’anima sola Il calore che emanava dal braciere ci accumunava e ci disponeva a comunicare fra di noi, a raccontare barzellette, “rumanze”, le vicende della vita, tutti i nostri pensieri, tutto il nostro vissuto, gli affanni, gli amori, i tormenti, le soddisfazioni, le gioie e le pene, diversamente da oggi, i cui componenti della famiglia non si incontrano neppure a pranzo e a cena e il calore e il tepore del termosifone non ci dispongono a stare vicini e insieme, a sentire l’uno il calore, l’umore, l’odore dell’altro. Le case oggi sono meglio riscaldate, in esse si vive meglio, diversamente da ieri. Oggi, però, il tepore del termosifone è fine a se stesso. Riscalda sì l’ambiente, non riscalda , però, i nostri cuori, non dispone a niente.#

# Dai libri del maestro Gagliardi: La valigia dei sogni e Viaggio nella memoria.

Pubblicato in Calabria

hotelcasolareleterrerosseL’Hotel Casolare Le Terre Rosse, sito a San Gimignano e precisamente nella frazione di San Donato in Toscana, è la struttura perfetta per accogliere famiglie, coppie romantiche e comitive che vogliono visitare San Gimignano e i suoi dintorni. Tra le cose da vedere nel centro storico del paese c’è Piazza del Duomo, dove si potranno visitare gioielli incredibili di architettura medievale come il Duomo, le Torri Gemelle e il Vecchio Palazzo del Podestà, risalente al lontano 1300, all’interno del quale è possibile vedere il Teatro dei Leggieri. Un occhio di riguardo merita Torre Grossa, la torre più alta dell’intera città, da cui è possibile ammirare un panorama particolarmente suggestivo con le Alpi Apuane che fanno da cornice alla valle. Un luogo dal quale sarà inevitabile scattare foto suggestive ed indimenticabili selfies con i propri cari.

San Gimignano è cultura, tradizione e soprattutto arte. Nelle sale del Palazzo della Propositura sono presenti dei dipinti di inestimabile valore come l’affresco dell’Annunciazione del Ghirlandaio mentre nel Duomo si trovano due statue di Jacopo della Quercia e il Giudizio Universale di Taddeo di Bartolo. Oltre a piazza del Duomo, si può visitare Piazza della Cisterna, costruita alla fine del 1200, sede delle antiche botteghe del paese e che oggi ospita locali e ristoranti in cui assaporare il fascino antico di San Gimignano. Anche da questa piazza si intravedono le torri ancora oggi rimanenti, tra cui le torri gemelle degli Ardinghelli e la Torre del Diavolo, segno tangibile di quello che era un borgo ricco e signorile poiché in passato ogni casato nobiliare o aristocratico possedeva la sua torre. Tutte attrazioni storiche che meritano di essere visitare perché sono in grado di lasciare un ricordo indelebile delle proprie vacanze in questa magnifica località turistica.

Patrimonio dell’Umanità, San Gimignano è uno dei luoghi più caratteristici d’Italia e riporta alla mente un passato glorioso e florido. La Toscana offre davvero un perfetto mix tra natura, arte e cultura ed alloggiando in un hotel completamente immerso nel cuore verde delle colline toscane a San Gimignano come l’Hotel Casolare Le Terre Rosse, si potrà apprezzare la grandezza e la maestosità di una delle regioni più affascinanti e caratteristiche della nostra Penisola.

Inoltre, per gli amanti della buona cucina, l’Hotel dispone anche di un Ristorante rigorosamente riservato agli ospiti, in cui sarà possibile degustare i numerosi piatti tipici della tradizione culinaria di questo luogo, oltre che assaporare una varietà di vini doc che da sempre caratterizzano la produzione della Regione Toscana. Il ristorante della struttura, dopo una lunga giornata di camminate per visitare le meraviglie storiche presenti nei dintorni del casolare, diventa il fiore all’occhiello della vacanza. Un momento gustoso e al contempo di relax. A proposito di relax: in hotel sarà possibile godere di momenti di assoluto riposo grazie alla posizione molto tranquilla della struttura, attorniata dalla natura e fuori dal caos cittadino.

Se sei amante della Toscana e delle vacanze relax con un mix di divertimento e buon cibo, siamo sicuri di poter soddisfare queste tue aspettative consigliandoti questa idea di vacanza si qui brevemente presentata. Il resto te lo lasciamo scoprire di persona…

Pubblicato in Viaggi e Tempo Libero

paolaRiceviamo e pubblichiamo

Domani alle ore 19.00, presso l’antico complesso monastico della Badia di Paola, si svolgerà un pubblico incontro con Francesco Bevilacqua, avvocato civilista ed amministrativista di professione, scrittore e giornalista per passione, che ama definirsi “cercatore di luoghi perduti” e “sciamano culturale" per il profondo interesse che nutre per il trekking e la sua terra.

L’evento promosso dagli Escursionisti Appennino Paolano, il circolo Auser di Paola e la Rete dei Beni Comuni, in collaborazione con l’Accademia Nuove Armonie e l’Antico Borgo di Badia, nasce da un’idea degli organizzatori, maturata prima dell’estate, di coniugare la passione per la natura e i paesaggi incontaminati della Calabria col potere evocativo della scrittura di “intrappolare” nelle pagine dei libri la meraviglia e lo stupore per la bellezza dei nostri luoghi. Ciò che affascina è l’immensità del patrimonio naturalistico calabrese, una ricchezza da preservare e custodire in quanto bene comune per rilanciare il futuro della nostra regione.

Attraverso la proiezione di filmati lo scrittore presenterà due delle sue opere: “Sulle tracce di Norman Douglas. Avventure fra le montagne della Vecchia Calabria” e  “Lettere meridiane, cento libri per conoscere la Calabria”.

Il primo libro ripercorre le labili tracce di un eccentrico e colto viaggiatore britannico dei primi del Novecento, Norman Douglas, che attraverso un’entusiasmante viaggio tre le nostre terre solca antichi sentieri di montagna. Un viaggio che lo stesso autore decide di rivivere per ritrovare lo spirito del vecchio viaggiatore e il genio dei luoghi attraverso le impervie e solitarie montagne del Pollino, della Sila, delle Serre, dell’Aspromonte. Osservandole con gli stessi occhi incantati e contemplando la bellezza della sua patria. Con il secondo libro, invece, l’autore affronta quella che ben può definirsi “questione calabrese”, ovvero il riscatto di una comunità attraverso la cultura e la consapevolezza del proprio potenziale. Ma anche terra di assistenzialismo, sprechi, arretratezza, sottosviluppo, malgoverno, omertà, indolenza, ignavia. Con quest’opera vengono passate al vaglio dall’autore due scuole di pensiero: da un lato “chi considera la Calabria una terra irredimibile, in cui tutto è 'ndrangheta, malaffare, malapolitica e quant'altro”; dall'altro “chi considera la Calabria vittima di secoli di malgoverno e propugna, per reazione, una falsa retorica identitaria, rivendicando un autonomismo uguale e contrario a quello leghista”. Insomma, un’originale interpretazione della Calabria e dei Calabresi attraverso un catalogo ragionato di cento libri, tra narrativa, storia, geografia, scienze sociali, da leggere o consultare, per cercare di capire davvero perché Calabria e Calabresi sono come sono, al di là di ogni stereotipo, di ogni luogo comune, di ogni (auto)rappresentazione mediatica.

Pubblicato in Paola

odore

 

Amantea è un po’ come Venere, emersa dalle acque del mare; un tutt’uno con
questo grande elemento della natura, da cui ha sempre tratto vita, futuro.
Le storia della nostra città e della stessa Calabria trova nel mare le sue
matrici.
Anche culturali
E ci sembra questa la sintesi dello spettacolo "L'Odore del Mare".
Uno spettacolo di arte che è nato dalla percezione diversa ed insieme unificante
del mare quel mare il cui odore impregna la nostra pelle, riempie le nostre
narici, apre il cuore e la mente e pensieri che vanno oltre come le sue acque e
che "l’Al Mantiah Ballet" ha saputo esprimere con grazie e forza.
Brave.

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gigginoLa concussione, dal latino medievale  concussio “scossa, eccitamento”  dunque “pressione indebita, estorsione” è il reato del pubblico amministratore che, abusando della sua qualità e delle sue funzioni, costringe(concussione violenta) o induce (concussione implicita o fraudolenta) qualcuno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità anche di natura non patrimoniale. Questo termine è entrato prepotentemente nel nostro linguaggio quotidiano  a partire da Tangentopoli agli inizi degli anni 90. E’ un reato tipico dell'ordinamento giuridico penale della Repubblica Italiana, la fattispecie concussiva non è presente nella maggior parte degli ordinamenti europei e pubblica amministrazione. Oggi, la normativa italiana di contrasto al fenomeno concussivo è contenuta nel codice penale e precisamente nel Libro II, Titolo II "Dei delitti contro la pubblica amministrazione" (art. 314-360). Il reato “potrebbe essere punito con la detenzione da 3 a 11 anni.  Da non confondere con  La truffa aggravata che è configurabile quando la qualità o funzione del pubblico amministratore concorrono in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo, che viene convinto con artifici o raggiri ad una prestazione che egli crede dovuta. Invece deve ravvisarsi concussione tutte le volte che l'abuso delle qualità o della funzione del pubblico amministratore si atteggia come causa esclusivamente determinante, così da indurre il soggetto passivo all'ingiusto pagamento che egli sa di non dovere. Il fenomeno rientra pienamente nel rispetto della tradizione dell’antica Roma, quando la maggior parte dei componenti della nobiltà consideravano le province terra da bottino e il loro rappresentante il Pubblicano, cavaliere romano  svolgeva determinati incarichi per conto dello Stato: costruzioni di edifici pubblici e riscossione delle tasse nelle province. Il Pubblicano, chiaramente faceva di tutto per ottenere la costruzione al minor costo possibile con l’abbassare i salari ovvero con l’estorcere, senza alcuno scrupolo, più tasse di quelle che si era convenuto di pagare allo Stato da parte del popolo. In aggiunta non indietreggiava di fronte a nessuna oppressione, estorsione o ad alcuna sopraffazione del diritto, pur di arricchirsi. I Pubblicani erano, chiaramente, protetti dal ceto dominante. Solo nel 194 a.C. veniva varata una legge (la Lex Calpurnia  che prese il nome del suo ideatore Lucio Calpurnio Pisone Frugi) che rendeva possibile l’incriminazione di un Governatore o Pubblicano, che per i loro metodi oppressivi ed estorsivi si erano fatti odiare dalla popolazione. Di conseguenza “potevano” essere accusati di “repetundis pecuniis” (concussione). Questa legge, come è facile dedurre, non ebbe mai grande effetto. Le denunce non venivano prese in considerazione, oppure, chi si macchiava di tale reato, veniva condannato ad una semplice e banale multa, tanto per salvare le apparenze. Nel tempo intercorso da allora ai nostri termpi, poco è cambiato e se proprio si dovesse decidere di analizzare questo fenomeno tipicamente italico, bisognerebbe tenere in seria considerazione l’importanza delle nostre tradizioni e il rispetto delle stesse nel perpetuarle il più possibile senza stravolgerle. L’ex ministro dell’industria  Franco Nicolazzi, per esempio, durante Tangentopoli è stato condannato per concussione nell'ambito del processo per le cosiddette "carceri d'oro"; ciò “causò”, “udite!  udite!,  il suo ritiro dalla vita politica attiva. Altro esempio lo abbiamo avuto dal tribunale di Termini Imerese che ha condannato l'ex dirigente del settore Lavori Pubblici e del settore Finanziario del Comune di Bagheria, Giovanni Mercadante, a 2 anni e 8 mesi di reclusione per concussione. Avrebbe costretto la cooperativa sociale Serenità, minacciandola di ritardare i pagamenti delle fatture per crediti vantati nei confronti del Comune di Bagheria, a dargli 3 mila euro. Ovviamente, essendo la condanna a meno di 3 anni, il dirigente pubblico non fece carcere. Tutto nel pieno rispetto di almeno 2000 anni della nostra storia passata e nel rispetto della tradizione, perché solo così si distingue dalla semplice moda. Non è dunque un caso che una società nella quale le tradizioni sono svigorite diventa preda delle mode. Non sia mai!

Gigino A. Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Calabria

gigginoAppartenere alla propria terra significa avere memoria del proprio essere, della propria vita e della propria storia. La storia vissuta di ciascuno di noi si misura con il senso profondo dell'attaccamento alle proprie radici che traggono la linfa vitale dai luoghi che ci hanno visto nascere e crescere.  “Costruire” la propria esistenza serve a stendere un ponte di collegamento con il passato ed il futuro attraversando il presente ed in questo altalenante  ma affascinante viaggio, ognuno di noi ha, come compagni di viaggio, i luoghi e le persone che hanno contribuito a formare la nostra storia personale. Memoria che è fatta anche dal dialetto utilizzato fin dalla prima  infanzia.  Viviamo nell'era dell'informatica, con l'assunzione nel vocabolario italiano e sulla quotidianità dei giornali di moltissime parole straniere. E' vero che ciò è segno di progresso, di miglioramento, di universalità ma è altrettanto vero che non dobbiamo consegnare al dimenticatoio quello che è stato il nostro trascorso: sarebbe una grave offesa all'intelletto e alla memoria di quelli che ci hanno preceduto. In questo contesto, rinunciare al dialetto significherebbe  ripudiare secoli di cultura locale, di tradizioni, di sagge locuzioni trasmesse dagli antenati. Significherebbe perdere un inestimabile patrimonio di metafore, similitudini, modi di dire, frutto della fantasia popolare che quando crea le sue immagini, pittoresche e folgoranti, lo fa in dialetto. In una terra come la nostra dove l’incultura dell’illegalità ha radici ambigue e profonde è necessario inventarsi qualcosa che rappresenti, per molti giovani, una via di uscita da un futuro fatto di sopraffazione e violenza in un quadro di desolazione che rischia di chiudere le porte a quell’ultima dea a cui spesso ci si rivolge, sbagliando, in condizioni di disagio. E’ triste constatare quanto poco stia a cuore ai governanti il futuro dei nostri giovani e della nostra terra! Quanti di questi se la sentiranno di rimanere in Calabria e quanti genitori avvertiranno il bisogno di trasmettere loro il senso di attaccamento alle radici e la volontà di lottare per il proprio riscatto?  Ogni cosa nasce da una passione, nasce dove la si cerca… . L'amore per il proprio paese, per la propria terra,è lo stesso sentimento, lo stesso sapore. Questo amore è fatto dai ricordi, dalle amarezze, da sudori e fatiche, ma anche dalla gioia, dal  desiderio di dare una parte di sé, alla propria terra! Di questa Terra e del suo  ambiente ne abbiamo fatto un uso maldestro, spesso dimenticata, stuprata, avvelenata, sottomessa ai più meschini interessi. Oggi più che mai dobbiamo cercare di salvare ciò che resta di quel "buono", garantendo così un futuro alle generazioni che verranno.  Senza tutela e diffusione  tutto si perde. Bisogna dunque ricordare per rinnovare, sensibilizzare le nuove generazioni ad una maggiore consapevolezza di se, la memoria è un occasione di crescita, esperienza e conoscenza.  Il futuro riparte dal passato! Siamo quello che lasciamo, e così rammentando frammenti di vita dei nostri nonni che coltivavano,pescavano e rispettavano la natura e dalla terra attingevano forza e sicurezza ecco che riemergono forti emozioni. Bisogna amare la propria terra, anche nel sacrificio e nella fatica come hanno fatto i nostri avi, radici dell'umanità. Da tutto questo proviene quello che viene comunemente definito senso di appartenenza.  Questo è certamente  un sentimento di fondamentale importanza nella nostra vita quotidiana, un legame che si instaura tra individui coscienti di avere in comune una medesima matrice culturale, intellettuale, sociale, professionale, religiosa. Tuttavia è anche vero che un senso di appartenenza troppo marcato può comportare effetti deleteri. In questi casi l’organismo si chiude in se stesso separandosi dal suo naturale contesto; finisce col prendere piede una logica di divisione di tipo “dentro/fuori” per la quale gli estranei vengono visti come diversi. È appena il caso di rilevare che questa è la stessa logica che ispira i settarismi, i fondamentalismi, i nazionalismi; in questi casi, evidentemente patologici, la rivendicazione identitaria è talmente esasperata che gli estranei da diversi finiscono col diventare nemici. Il singolo, inoltre, rischia di vedere compromessa la propria individualità. Come dovrebbe dunque esser  vissuto un senso di appartenenza che, per quanto intenso e gratificante, sappia tenersi lontano da questi eccessi? Come si può appartenere ad una società civile senza esserne assorbiti, senza rinchiudere in essa i propri orizzonti intellettuali ed emotivi? Come soddisfare la propria curiosità in una parte della nazione ignorata dai governi centrali che in tutti questi anni ha costretto i giovani a recarsi lontano dalla propria terra per saziare la famelicità della sua curiosità? Collocarsi in una posizione di frontiera, di bordo - con i piedi dentro e con la testa fuori, se così si può dire – potrebbe costituire un sistema efficace: sufficientemente dentro, così da contribuire e attingere a un comune sentire, ma anche sufficientemente fuori, così da esercitare liberamente il proprio giudizio critico. Ci si troverebbe in una posizione un po’ decentrata, eccentrica, così da resistere ai richiami centripeti e non cedere a tentazioni centrifughe. Credo che questa sia la sola collocazione che consenta di non lasciarsi condizionare eccessivamente dal luogo di appartenenza: rimanere terzi rispetto ad esso quel tanto che basta per conservare la propria indipendenza di azione e di pensiero, per mantenere integra la propria obiettività di giudizio. Conseguentemente, il senso di appartenenza che deriva da questa collocazione marginale non è mai totalizzante, senza se e senza ma; al contrario, è sempre parziale, limitato. Si appartiene, certo, ma solo fino a un certo punto. È  vero, questo modo di appartenere potrebbe risultare intellettualmente complicato, pesante, molto impegnativo  da sostenere e da difendere: chi decide in tal senso corre il rischio di essere considerato come uno che ha l’arroganza di preferire la propria opinione a quella dei più, che col proprio comportamento mette a rischio l’unità del gruppo, che rifiuta l’ortodossia dell’appartenenza  stessa della quale fa parte; una posizione complessa, quindi, anche dal punto di vista emotivo poiché non risparmia sensi di colpa e conflitti interiori. Tuttavia, per quanto scomoda, questa collocazione sia anche l’unica che possa essere di una qualche utilità per se stessi e in fin dei conti anche per gli altri. È l’eresia, non certo l’ortodossia, il vero motore del rinnovamento; eretico è colui che ha il coraggio di scegliere e utilizza ciò che sceglie per aprire nuove strade, per esplorare nuovi territori. Per rinnovarsi e rinnovare bisogna essere eretici. Per essere eretici bisogna essere liberi. E per essere liberi bisogna restare ai margini della comunità di appartenenza.

Gigino adriano Pellegrini & G el Tarik

“Io sono innamorato del mio compagno. Una persona innamorata cosa può pensare di più bello se non coronare il proprio amore con una cerimonia di fronte alla comunità, alla famiglia e agli amici? Mi piacerebbe poter aver diritto anche alla cerimonia, forse sarò un pò tradizionalista…”.

Così Nichi Vendola risponde a Radio Due ribadendo la volontà di sposare il suo compagno.

VENDOLA SI VUOLE SPOSARE – Poco tempo fa il leader di Sel aveva già dichiarato la sua volontà in un’intervista a Vanity fair: ‘C’e’ una data di nozze fissata? Magari in Canada, Paese di origine del suo compagno, dove le nozze gay sono legali dal 2005?’.

‘Nessuna data, ma mi piacerebbe – risponde Vendola – farlo nella mia terra.

FINCHE’ MORTE NON VI SEPARI - Nell’intervista si chiedeva a Vendola, tra l’altro, se ‘non può bastare una legge dello Stato che tuteli i diritti delle coppie di fatto’. ‘

E’ anche bello – rispondeva – costruire un momento solenne di festa, di assunzione di responsabilità di fronte alla propria comunità. La ritualizzazione dei progetti d’amore appartiene alla storia della civiltà. I sogni d’amore si coronano con i fiori d’arancio, il lancio dei confetti e anche dentro un rito fatto di parole impegnative. Quelle dette sull’altare dal prete: ‘Nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non vi separi”. byGiornalettismo

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