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Quell’ uom tu sei che trent’anni or sono

cader facesti il muro di Berlino;

nel mondo diffondesti gran bel suono,

perché l’età finía di divisione.

 

Immemore or di festa universale,

muri piú alti costruisci ancora,

spartendo il mondo in modo diseguale,

che a te non ha donato la Natura.

 

Ti sei dimenticato che la guerra

figlia è dell’odio e della divisione.

Sappi che all’uom la sorte è sempre alterna

quand’Ares porta l’armi e Diche pena!

 

Separa un muro terre che per caso

abita una gente, ma potrebbe

un’altra possedere se il Caso

l’avesse favorita come avrebbe

 

voluto l’alternarsi del Destino

che toglie oggi a quei cui pria ha donato.

Sappi che altro Muro di Berlino

potrebbe a casa tua venire alzato

 

fra te e i figli tuoi e la consorte

amata cui vederti non sia dato!

Questo è il futuro che ti tocca in sorte

se la zizzania metti in seminato.

 

Non puote il colore della pelle,

lingua diversa o fede in altro dio

suscitar l’odio, generar procelle

e il bene e il bello porre nell’oblio.

 

Se questo accade, divisioni e guerra

porta e finiscon convivenza e pace;

gli uomini tutti un gran contrasto atterra

e dove pria scorréa la vita or tace.

 

Se invece in cuor di comprension la luce

s’accende e terre e mar son porti e ponti,

gli uni sarem degli altri membra e foce

sarà di umano amor la Terra e fonte.

 

Cleto, 20 gennaio 2019

                                       Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

Pubblicato in Basso Tirreno

Il poeta cletese Franco Pedatella interviene  sul prossimo referendum in Lombardia e Veneto preoccupato della unità della nazione .

Eccovi il suo nuovo lavoro poetico:

 

 

 

 

 

 

Non sono degni figli di Manzoni

quelli che in nome dell’autonomia,

sia pure regionale o locale,

distruggon l’unità della nazione,

 

dimentichi che fummo calpestati

dagli altri europei e pur derisi,

quando non eravamo un popol solo

ma numerosi italici divisi.

 

Grandi Lombardi tesero le braccia

ad altri che da Napoli e Sicilia

per l’unità pensavano ed opravano,

per sé rischiando e i figli i duri ceppi

 

dentro prigioni oscure e prive d’aria.

Altri nei campi di battaglia il petto

offrivan generosi a questa Patria

unita, tricolore e popolare.

 

Oggi vorrebber tutto cancellare

con segno di matita su una scheda,

senza quei sentimenti caldi e forti,

vili i fautori della secessione,

 

che nelle scarpe il fango di trincea

non han sofferto o, peggio, ai piedi nudi

non han provato il freddo dell’inverno

nevoso, quando soffia Tramontana

 

o imperversa Orione sulla terra

con neve e gelo, ma in palazzi agiati

il caffelatte e zucchero filato

han gole lor gustato a colazione.

 

Odo ancor gridare da prigione

“Italia” Maroncelli e Silvio Pellico

ed invocar Manzoni quasi in priego:

“Liberi non sarem, se non siam uni”.

 

Questo richiamo mi colpisce al petto

ed ammonisce che l’autonomia

è il primo passo invèr la divisione

di un popolo che torna ad esser franto.

 

Perciò tornate ad essere fratelli

sotto itala bandiera che vi stringe

in un sol corpo, membri di famiglia,

ov’oneri ed onori son gemelli!

 

Cleto, 7 ottobre 2017           Franco Pedatella

 

Pubblicato in Basso Tirreno

L’ultimo Ettorre della patria bella,

di quella bella patria ch’era il mondo,

estremo difensor del socialismo,

 

orfani ci lascia dell’autore

del gran disegno che un mondo vuole

d’uomini fatto liberi ed uguali.

 

Il nome mantenéa di Comandante,

ma della causa umil combattente

era e servitore della gente,

 

cui tutto avéa donato, vita e scienza.

Donato avéa la patria socialista

ad umili operai e contadini,

 

a medici, studiosi e dirigenti,

cacciando via superbi sfruttatori

d’ogni risorsa e delle braccia umane.

 

Qual Davide novél con picciol fionda

si oppose e resistette al soffocante

abbraccio di Golia terrificante,

 

che nelle forme nuove dell’embargo,

con armi in pugno, a passo guerreggiante,

con la brutale forza del denaro

 

che gli animi corrompe e i corpi compra,

invaderne volea le idee e i campi,

del socialismo cancellar le tracce.

 

Raúl, un fiore metti sulla tomba

e di’ ch’è il fior dei popoli del mondo

che di lottare mai non sono stanchi

 

per l’uguaglianza, libertà e la pace,

onde Fidel simbolo era al mondo

che ha sete di giustizia e fratellanza!

 

Cleto, 26 novembre 2016     Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

Dopo aver pensato alla mamma, lo stesso giorno ho pensato all’altra figura che nella famiglia ha sempre avuto un ruolo centrale per quanto riguarda il sostentamento e la guida educativa e morale, quando la donna, nella fami glia patriarcale, agiva solo all’inter no delle mura domestiche: il padre.

 

Il tuo papà è quei che con grand’arte

ti guida pei sentieri della vita,

se c’è il bisogno lascia tutto e parte

dietro a colei che gli è di man sfuggita:

 

la buona sorte ch’ei vuol t’accompagni

per tutti i giorni della tua esistenza.

Gli astri anche vuole che ti sian compagni

quando è necesse a te loro assistenza.

 

Poi vuol che non ti manchi il pane in bocca

e il sol ti arrida e illumini la notte

bianca la luna e l’acqua alla tua brocca

 

sia sempre pura qual sorgente emette.

Perché abbia questo tu, le spalle ha rotte

ei che dei giorni suoi fe’ dì di lotte.

 

Cleto, 13 maggio 2012                   Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

Pubblicato in Basso Tirreno

Il testo è stato concepito a seguito dell’invito rivoltomi dal giornalista, nonché ex alunno ed amico, Paolo Orofino a scrivere qualcosa sullo scioglimento del Consiglio Comunale di Cleto e le dimissioni del Sindaco. Gli ho risposto che avrei dovuto aspettare che la Musa mi fecesse visita e mi ispirasse. Poi questo è accaduto dopo qualche giorno: sul far del giorno la bella Musa mi è comparsa e mi ha parlato. Quindi il testo, dopo essere stato composto, ha atteso un po’ di tempo in computer prima di essere pubblicato, perché ho voluto limarne e perfezionarne i suoni e le rime, per quanto ho saputo fare. Penso, infatti, che sia ottima abitudine quella di “… nonam edere post hiemem …”, cioè pubblicare solo dopo un lungo lavoro di rifinitura, come dicevano i Latini.

Nell’ora che i sogni veritieri

son e ogni imago sotto i veli appare

più chiara e chiara parla ai miei pensieri, agli occhi miei la regina appare,

 

cosí come in boscaglia al cacciatore

fanciulla snella e fiera si presenta,

che ucciso ha un animale predatore

e i muscoli la corsa non le allenta.

 

Ha l’arco in spalla, in pugno la saetta, negli occhi un lampo, in fronte il sol fulgente; e, mentre ferma il passo, un po’ s’assetta, per presentarsi in atto conveniente.

 

Poi si rivolge a me con dir tonante,

che rende del suo cuore l’apprensione

sí che ad un fine solo non mutante

tendono il corpo e l’alma l’espressione:

 

“ Spiegami tu, che d’altra terra vieni,

ove fiorisce il gelso e l’artigiano

ovra e intelletto è fine e non ha freni:

perché la gente mia di vita vano

 

ha il corso, sí che mai non giunge al mezzo quel che ha previsto per la settimana, ma dell’impresa compie solo un pezzo e lascia alla mercé d’acqua piovana

 

il resto, che l’ingordo mar travolge?

L’invidia l’opra intrapresa segna,

poiché l’un l’occhio all’altro bieco volge e lite in paese eterna regna.

 

Gli animi tutti l’alterigia incera

e al peggio ogni buon pensiero move

sí che nel mio palazzo spesso impera

estraneo reggitor che ha il cuore altrove.

 

Contrasti di vedute tengon campo

più che badare al ben comune insieme,

sí che discordia scoppia come un lampo

e squarcia in ciel le nuvole serene.

 

Dimmi di queste cose la ragione

cosí che un poco in petto rassereno

l’animo che sobbalza in apprensione

e do riposo ad ogni pena in seno!

 

Tali non fûro i figli miei passati,

che uniti in campo sempre si battêro

di fronte un tempo ai forti Crotoniati

ed ampia di coraggio prova diêro.

 

Una la forza, una volontate

per la difesa del suol patrio fu;

ognuno allontanò ogni viltate

e mise in petto ogni sua virtù.

 

Di quelli la più forza poi da sezzo

piegò il coraggio, impose a noi saggezza:

fu’ io che ne pagai il maggior prezzo,

ma i miei ai figli diêro la salvezza.

 

Perciò d’esempio sian per l’avvenire

a chi s’appresta a gîr per governare,

ché dopo il verno viene primavera

e il frutto appronta all’uom d’ assaporare.

 

A chi le sacre penne vestir vuole

d’aver giustizia a cuor si raccomanda,

ché quel che in corpo e in animo si duole guarda con speme verso chi comanda.

 

Respira, opra e rema in sola barca

chi va benigno in mare periglioso,

e pesca ed in comune mette in arca

come Noè in diluvio rovinoso.

 

Non segga al posto mio chi dispennare

pensa l’uccello sacro del potere,

che al popolo si volge per guidare

la terra ov’olio e vino si può bere.

 

Forse era meglio fosse femminile

la trasmissione del potere antico:

tenevo al seno il popolo qual prole

ed il potere al popolo era amico”.

 

Quinci si volge e a me le belle terga

mostra né udire vuol la mia risposta,

ché la sua voce e il tono sa che alberga

ferma opinion e in cuor l’è ben riposta.

 

Indi scompare sí com’era apparsa,

lasciando me in gran dubbio e in afasia

e dietro a sé d’ambrosia in aere sparsa,

qual si conviene a dea, lunga scia.

 

Cleto, 16 aprile 2015             Franco Pedatella

Blog: francopedatella.com

Carissimi, per l'abitudine che ho di migliorare ciò che scrivo, per rafforzare il messaggio ed elevare il tono della figurazione, ho rivisitato il testo che avete gentilmente già pubblicato, aggiungendo anche due strofe. Perciò vi prego di pubblicare questo nuovo, sostituendolo a quello precedente. Colgo l'occasione per fare presente che il termine "dispennare", che ricorre nella quartultima strofa, non è un refuso ma una forma verbale arcaica e poetica scelta appositamente per conferire valore simbolico all'atto di per sé materiale e prosaico dello "spennare". Perciò deve rimanere "dispennare" (grafia unita). Ringrazio per la cortese attenzione. Saluti!

                                                               Franco

Pubblicato in Cosenza

Libero è l’Assolto di vagare

per monti, piani, ville, cielo e mari,

ma il mondo ride ché a berla ha dato

al Parlamento, che ha votato insano,

che quella che gli si prostituiva

nipote è a Mubarak l’Egiziano;

ed or che la sentenza è conclusiva,

deride e burla la mia patria bella.

Delle “Olgettine” l’impudica scena

il popolo sopporta e soffre e pena,

ché viene fatto scempio del Paese

da chi il timone n’ebbe indegnamente.

L’Italia è ritornata agli Spagnoli,

coi don Rodrigo e gl’ Innominati,

che in pugno tengon prepotentemente

del popolo le sorti, che si piega,

al lor passaggio, a un cenno delle ciglia, ch’è nel malvagio un ordine ogni voglia.

Cleto, 11 marzo 2015       Franco Pedatella

Pubblicato in Basso Tirreno
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