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1,2,3…25 anni fa la strage di Capaci. Impossibile dimenticare

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Ad Amantea,nella piazza Falcone e Borsellino c’è una tabella dove fino a qualche mese fa c’erano le immagini dei due eroi italiani della giustizia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

 

Poi le immagini di ceramica sono cadute e qualcuno misericordiosamente ne ha raccolto i frantumi.

Oggi la targa commemorativa è vuota.

Manca una città che avverta il dovere di ricordare

Manca una amministrazione che avverta il dovere di ripeterle.

Forse non ci sono soldi per pagare la nuova opera ceramica?.

Forse non ci sono più politici che abbiano voglia di apparire?

 

Abbiamo chiesto alla commissaria Colosimo se avesse intenzione di ricordare Falcone e Borsellino ma ancora ad oggi 22 maggio non abbiamo avuto risposta.

Noi facciamo quel che possiamo, tentiamo di non dimenticarli.

Sabato 23 maggio 1992 alle 17 e 56 nella cosiddetta "Strage di Capaci", cinquecento chili di tritolo fanno saltare in aria l'auto su cui viaggia il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

 

Il 23 maggio 1992, il giudice Falcone stava tornando a casa da Roma, come faceva solitamente nel fine settimana, insieme alla moglie Francesca. Partito da Ciampino con un jet di servizio intorno alle 16:45, atterra all'aeroporto Punta Raisi di Palermo dopo un volo di 53 minuti. Qui trova ad attenderlo 3 Fiat Croma blindate con la scorta. Falcone si mette alla guida della Croma bianca. In macchina con lui ci sono la moglie e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza. La macchina di Falcone è preceduta da una Croma marrone, con gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, e seguita da una Croma azzurra con gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.

 

Le auto prendono l'autostrada, dirette verso Palermo. Alle 17:58, al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, il sicario Giovanni Brusca aziona una carica di cinque quintali di tritolo, che era stata posizionata in una galleria scavata sotto la strada. Pochi istanti prima dello scoppio, Falcone aveva rallentato per prendere un mazzo di chiavi dal cruscotto della macchina. Lo scoppio quindi travolge in pieno solo la Croma marrone. I tre agenti della scorta muoiono sul colpo.

 

Nemmeno due mesi dopo alle 16,58 del 19 luglio 1992, in via d'Amelio nel centro di Palermo Cosa nostra uccide il magistrato Paolo Borsellino, il caposcorta Agostino Catalano, e gli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H (miscela di PETN, tritolo e T4 telecomandati a distanza, esplose in via Mariano D'Amelio 21, sotto il palazzo dove viveva la madre di Borsellino, presso la quale il giudice quella domenica si era recato in visita.

Lo scenario descritto da personale della locale Squadra Mobile giunto sul posto parlò di «decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati». L'esplosione causò inoltre, collateralmente, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via, danni che ricaddero sugli abitanti. Sul luogo della strage, pochi minuti dopo il fatto, giunse immediatamente il deputato ed ex-giudice Giuseppe Ayala che abitava nelle vicinanze.

L'agente sopravvissuto Antonino Vullo descrisse così l'esplosione: «Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l'auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l'inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L'onda d'urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c'erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto...»

 

Scompare la famosa agenda rossa del giudice, il diario sul quale il magistrato annotava riflessioni, pensieri e spunti investigativi aggiornati fino a pochi minuti prima della morte!

Tante le immagini ed i ricordi che sono rimaste nella storia.

Tra tutti le parole pronunciate dalla moglie dell'agente Schifani: "Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato..., chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare... Ma loro non cambiano... loro non vogliono cambiare... Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore...".

Non possiamo dimenticare, non dobbiamo dimenticare….

 

Ultima modifica il Lunedì, 22 Maggio 2017 13:58
Giuseppe Marchese

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