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gigggggòòòQualche anno fa mi trovavo in Gran Bretagna e per l’esattezza all’Università di Reading dove insegnava un caro amico dell’Italia, Zygmunt G. Baranski e anche mio. Eravamo seduti in un pub e si parlava di ‘Diritto’ ed io ho subito rivendicato la matrice italiana del Diritto. Zygmunt mi guardò e disse : “E’ vero il ‘Diritto’ è stato partorito a Roma ma subito dopo si trasferì in Inghilterra”. Non replicai e continuai a mangiare le mie fish and chips contenute in un foglio di giornale.

Proprio in questi giorni l’amico Baranski mi è tornato alla mente mentre riflettevo su di una antica espressione latina la: Res publica.

Secondo alcuni storici antichi nel 509 -507 a.C. si sarebbe verificata la caduta della monarchia a Roma, quando il re etrusco Tarquinio il Superbo, divenuto un vero e proprio tiranno, venne cacciato da una congiura di aristocratici romani capeggiata dal nobile Lucio Giunio Bruto che si rifiutò di mettersi alla testa di Roma affidando il potere della città al popolo romano.

Da quel momento in poi, la gestione dello Stato non era più appannaggio del re, che se ne occupava come di un possesso privato (res privata), ma era appunto possesso comune del popolo romano libero (res publica).

Il bene comune può essere caratterizzato da due definizioni. Una è la 'non rivalità,' il che significa che il godimento di una persona di un bene non diminuisce la capacità di altre persone di godere dello stesso bene. L'altra è la 'non-escludibilità,' il che significa che alle persone non può essere impedito di godere dello stesso bene.

La qualità dell'aria è un importante esempio ambientale di un bene comune. In molte circostanze, il respirare dell’aria fresca di una persona non riduce la qualità dell'aria per gli altri; e alla gente non può essere impedito di respirare l'aria.

Il bene comune è definito tale in contrasto con il bene privato, che è, per definizione, sia rivale che escludibile. Un panino è un bene privato, perché mangiare un panino di una persona diminuisce chiaramente il suo valore per qualcun altro, e il panino è tipicamente escludibile a tutti gli individui non disposti a pagare. (Da questo scenario, naturalmente, emerge il proverbiale “nessun pranzo gratis”).

Molte risorse ambientali sono caratterizzate come beni comuni, tra cui la qualità dell'acqua, lo spazio aperto, la biodiversità, e un clima stabile. Questi esempi si affiancano ai classici beni comuni come le torri dei fari, la difesa nazionale, e la conoscenza. In alcuni casi, tuttavia, è ragionevole chiedersi se le risorse ambientali sono beni comuni in senso completamente puro.

Con gli spazi aperti, ad esempio, la congestione tra coloro che ne godono può causare un certo grado di rivalità, e non tutti gli spazi aperti sono accessibili a tutti. Tuttavia, molte risorse ambientali si avvicinano molto alla definizione di puro bene comune, e anche quando non è precisamente così, (più vicino ad un impuro bene pubblico), il concetto di base è utile per capire le cause di molti problemi ambientali e potenziali soluzioni. L’acqua, per esempio, è un bene comune ed un diritto umano. La sua gestione deve essere pubblica. L’acqua è fonte di vita. Senza acqua non c’è vita. L’acqua costituisce pertanto un bene comune dell’umanità, un bene irrinunciabile che appartiene a tutti. Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile: dunque l’acqua non può essere proprietà di nessuno, bensì bene condiviso equamente da tutti.

Oggi sulla Terra più di un miliardo e trecento milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Si prevede che nel giro di pochi anni tale numero raggiunga i tre miliardi. Il principale responsabile di tutto ciò è il modello neoliberista che ha prodotto una enorme disuguaglianza nell’accesso all’acqua, generando oltretutto una sempre maggior scarsità di quest’ultima, a causa di modi di produzione distruttivi dell’ecosistema.

Pur tuttavia, vi sono potentati socio-economici che hanno come fine anche la privatizzazione dell’acqua e l’affidamento al cosiddetto libero mercato della gestione delle risorse idriche che, imperterrite travalicano trasversalmente le diverse culture politiche ed amministrative.

Come è ormai consuetudine, la liberal-democrazia italiana non ha molto rispetto per le proprie leggi. Nel 2011 i cittadini italiani dissero che andava abrogato il decreto Ronchi, che obbligava gli enti locali a mettere a gara anche la distribuzione dell’acqua nelle case, e che andava cancellata la voce della bolletta che garantiva “adeguata remunerazione del capitale investito dai gestori”.

Gli italiani dissero che quel servizio non andava messo sul mercato, ma gestito dal pubblico senza fini di lucro. Quanto contarono i 26 milioni di italiani che in quel lontano giugno del 2011 votarono “sì” ai due referendum sull’acqua pubblica? Poco o niente. Così confermava, non molto tempo fa il governo Renzi: la gestione dei servizi idrici non doveva essere pubblica, ma di mercato. Insensibile al fatto che, nel 2010 le Nazioni Unite riconoscevano il libero accesso all'acqua come un diritto dell’umanità.

Dopo decenni di liberismo sfrenato, gli effetti della messa sul mercato dei servizi pubblici e dell’acqua dimostrano come solo una proprietà pubblica e un governo pubblico, degno di tale nome, possono garantire la tutela di questa irrinunciabile risorsa.

Gigino A Pellegrini & G elTarikin collegamento dal deserto del Sahara.

 

 

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