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san giuseppeLe origini di questa ricorrenza che coincide con la fine dell’inverno

Solo alcuni Paesi il 19 marzo possono osservare su Google un doodle animato dedicato alla Festa del Papà. Perché? La ricorrenza è celebrata in tutto il mondo, ma in date diverse: il 19 marzo — ad esempio — in Paesi come l’Italia, la Spagna, il Portogallo e in alcuni stati del Sud America, perché viene fatta coincidere con il giorno di san Giuseppe. Negli Stati Uniti, invece, il «Daddy’s day» si celebra la terza domenica di giugno, mentre in Russia il 23 febbraio, in corrispondenza con il «Giorno dei difensori della patria». In Scandinavia (Norvegia, Finlandia, Svezia), poi, la seconda domenica di novembre

La «nostra» festa del papà
In Italia la festa del papà ricorre il 19 marzo per motivi religiosi. Nel calendario della Chiesa, infatti, in questo giorno si festeggia san Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo della figura paterna. Il culto di san Giuseppe arriva dall’Oriente, anche se i primi a diffonderlo furono alcuni monaci benedettini dopo l’anno Mille (1030 circa), seguiti poi dall’ordine dei Servi di Maria nel XIV secolo e dai francescani nel Quattrocento. Fu Papa Sisto IV (nato Francesco della Rovere, 1414 - 1484 ) a iscrivere la festa nel calendario romano. Nel 1871 la Chiesa cattolica proclama San Giuseppe protettore dei padri di famiglia e patrono della Chiesa. Fino al 1976, in Italia il 19 marzo era ritenuto festivo anche agli effetti civili (venne soppresso con la legge n. 54 del 5 marzo 1977).

Fin qui la storia della festa religiosa, in passato anche festa civile, e che oggi, vogliamo ricordarlo, è in un anno bisestile!!!.

Novità di quest’anno è l’assenza:

  • della SS. Messa nella chiesetta che si erge, piccola e fragile sul fianco della collinetta sul lato nord del fiume Catocastro quasi a voler proteggere nella sua solitudine il centro storico, antico monumento ed orgoglio di storia amanteana;
  • della .processione religiosa che una volta veniva impreziosita dal candore delle “verginelle”(adolescenti) che in prima fila armonizzavano lo storico rituale dando splendore alla festa in onore del Santo;
  • di suoni di banda a rallegrare cuori e strade ora vuote per le note situazioni di una epidemia che mette a dura prova anche le nostre tradizioni che mai avevano subito una interruzione neanche penso in tempo di guerra o di eventi sismici.

Momemto molto difficile per Amantea, per l’Italia, per l’Europa e per il mondo intero per cui preghiamo il Santo affinchè protegga le nostre famiglie, i nostri cari.

Tutto quindi rimandato al prossimo anno dove verranno ancora più numerosi i fedeli che durante la festa non ricorderanno nulla del Covid-19 perche Amantea è più grande, più forte di questo virus a cui non dobbiamo permettere di arrivare ai nostri cuori.

Amantea mia sii forte!!! ❤️

Andrà tutto bene

La nostra amata Italia è composta da oltre 8.000 comuni e in ogni comune, sia esso grande o piccolo, si svolgono regolarmente i riti della settimana Santa.

Ogni comune ha il proprio rito e non c’è paese, anche il più piccolo, che non abbia la processione del Venerdì Santo, con Cristo morto seguito dalla Madonna Addolorata.

I riti, le tradizioni, le processioni sono molto sentite in Calabria, specialmente dalle nostre parti. Quando si tratta di celebrare i riti del Venerdì Santo le Confraternite sono sempre in prima fila. In Amantea in particolare sono ancora vive e operanti.

Le cose che mi hanno sempre colpito sono i vestiti lunghi che indossano i confratelli, la mantellina, lo stemma con l’effigie del Santo, il bastone come emblema dell’autorità dei superiori della Confraternita e la corona di spine sulla testa.

Ma andiamo con ordine.

Il Giovedì Santo inizia il triduo Pasquale. In tutte le chiese parrocchiali si celebra la Messa in “Coena Domini”.

La sera prima della sua passione il Signore istituisce il sacramento dell’Eucaristia e del Sacerdozio.

Ha anche luogo la rievocazione della lavanda dei piedi.

Al termine di tale celebrazione i dodici apostoli ricevono un pane benedetto e un bicchiere di vino.

Una volta, almeno così si faceva in San Pietro in Amantea, mio paese natale, colui che aveva impersonato l’apostolo Giuda riceveva anche uno schiaffo dal sacerdote.

E Giuda, ogni anno, veniva impersonato dal mitico sacrestano del luogo il compianto Stefano Sconza.

Dopo l’Eucarestia veniva deposta dentro un’urna in un altro altare preparato con rami d’ulivo, fiori e debitamente ornato con piatti di grano, ceci, lenticchie germogliate.

Una volta la gente chiamava questo altare impropriamente sepolcro.

La tradizione popolare voleva che essi venissero visitati dai fedeli.

Il venerdì Santo le campane delle chiese sono mute.

Si ode soltanto il suono delle trocche.

E’ giorno di lutto e di silenzio.

La giornata del Venerdì Santo, però, è senza dubbio quella che coinvolge maggiormente e emotivamente gli animi dei fedeli, specialmente in Amantea, con la processione delle Varette, del Cristo Morto, del Cristo in Croce e della Madonna Addolorata.

Le Varette, tutte di cartapesta, sono nove e sono portate dai ragazzi delle scuole, mentre il Cristo e la Madonna dai confratelli e dai fedeli.

La maggior parte degli uomini segue il Cristo Morto e Gesù in croce, mentre le donne l’Addolorata.

Segue il Cristo morto una delle bande musicali della città di Amantea e tra un canto e l’altro esegue delle marce funebri.

Non sempre sono le processioni a farla da padrone tra i riti della Settimana Santa.

A volte le tradizioni antiche prevedono particolari usanze. A Firenze c’è un carro tirato da due buoi fino al Duomo.

Un filo di ferro unisce il carro all’Altare Maggiore.

Lungo il filo è legata una colomba che porta nel becco un ramoscello d’ulivo.

Al momento del Gloria, l’Arcivescovo accende i razzi e la colombina percorre tutta la navata centrale.

I mortaretti piazzati sul carro prendono fuoco e la colombina ritorna verso l’Altare Maggiore.

Se lo scoppio é perfetto e la colombina compie il percorso per intero, per la città di Firenze si preannuncia un anno positivo. Ma veniamo nella nostra Calabria.

E parliamo della famosa affruntata.

L’affruntata che nel dialetto calabrese significa incontro, è una rappresentazione religiosa che si tiene in alcuni comuni della provincia di Reggio. Famosa è l’Affruntata di Vibo Valentia, di Bagnara Calabra, di Cinquefrondi, di Rizziconi e di Cittanova.

E’ di carattere prettamente popolare con origini pagane.

La manifestazione si svolge per le strade principali dove le statue della Madonna Addolorata e quella di Gesù portate a spalla si incontrano.

Proprio questo vuole simboleggiare: l’incontro della Madonna col Figlio dopo la resurrezione. La corsa, l’incontro e poi lo “sbilanciamento”, la caduta del velo nero indossato dalla Madonna per il lutto che diventa azzurro, sono i momenti salienti della manifestazione.

A Nocera Tirinese, invece, uno dei principali avvenimenti della Settimana Santa sono i cosiddetti “Vattienti”.

Alcuni fedeli, i cosiddetti “penitenti”, durante le processioni di rito si flagellano le gambe con pezzi di vetro, fino a sanguinare.

Poi percorrono le vie del paese visitando le case di parenti e amici ricevendo del vino che viene versato sulle ferite come disinfettante.

E’ un rito che risale al 1473 e in passato finanche condannato dal Vaticano.

E’ un antichissimo e suggestivo rito, una tradizione che si tramanda da padre in figlio.

Questo rito a me non piace e non ho mai voluto assistere fino ad oggi a nessuna cerimonia.

E’ un rito, forse inspiegabile, ma ricco di fascino che rende la Calabria terra di tradizioni millenarie con radici che si perdono nella notte dei tempi.

di Francesco Gagliardi

Ancora un altro miracolo quello che, oggi, Venerdì Santo 2016, si è svolto in Amantea in occasione della rappresentazione della morte di Gesu'.

 

Ancora una volta, come sempre in passato, la rappresentazione della passione di Cristo unisce tutta la popolazione senza distinzione di ceto o di appartenenza, anche territoriale.

Il mistero, che coinvolge tutti i presenti e che li rende anche inconsapevolmente partecipi attivi dell’evento, è sempre nel miracolo della resurrezione di Cristo e nella vittoria contro la morte , contro il dolore, suo e della madre.

Un miracolo che si tende a ripetere ed avente come indispensabile corollario la morte di Gesù e la sua passione.

Un miracolo che umanizza , che rende vicini, che permette di superare ogni distanza, che avvicina, che rende eguali.

Anche se oggi si ripete il percorso tradizionale non bisogna dimenticare che questo percorso era quello che “costituiva” la Amantea di un tempo, e soprattutto la Amantea del Centro Storico e la Amantea della piana , che ne era, come ne è, il futuro, e dove insisteva l’agricoltura e la portualità.

 

La processione in sostanza raggiungeva quanto possibile del territorio al fine di sacralizzarlo per proteggerlo contro gli eventi negativi, come ed al pari della morte.

La morte, e in genere tutte le credenze sul Male, dovevano essere ricacciate fuori dal perimetro. Anche oggi questo perimetro deve essere inteso come virtualmente rappresentativo , della intera città.

Oggi sembra che questa concezione , questa rappresentazione, vadano oltre la sacralità del suolo fisicamente calpestato dalla processione per estendersi a tutto quello che partecipa , affidato come è al popolo dei fedeli che giunge da ogni parte e ritorna in ogni parte.

 

Forse è per questo che i due momenti più sacrali dell’intero evento sono la partenza e l’’arrivo.

Le varette, dormienti per un intero anno, sembrano svegliarsi dal loro letargo ed offrirsi, tramite la Confraternita Santissimo Rosario, al popolo dei fedeli che se ne impossessa manualmente e le strasporta lungo le strade cittadine per poi ritornare nella loro tomba fisica da dove ogni anno risorgono.

Anche in questa azione il miracolo della resurrezione; la resurrezione della fede degli amanteani e del loro amore per Gesù e per la madre.

 

Poi ogni anno la ripetizione del medesimo rituale. Le varette scendono la difficile gradinata e si snodano lungo via indipendenza in uno stretto, rigido e storicamente ripetitivo ordine:

-Gesù nel podere del Getsemani, affiancato da un angelo;

-Gesù flagellato da un uomo del governatore della Giudea,   Ponzio Pilato, sotto gli occhi di un soldato romano;

- l’“Ecce Homo”; Cristo è stato percosso ferocemente, vestito poi di un manto color porpora, mani legate e corona di   spine in testa, così che Pilato potesse esporlo alla folla   («Ecco l’uomo!») per dimostrare al popolo di aver esaudito   la richiesta di punizione;

-Gesù sostiene a fatica la croce, Simone il Cireneo viene costretto ad aiutarlo;

- la Veronica, figura leggendaria, asciuga il volto sanguinante di Gesù;

-San Giovanni l’Evangelista, da solo;

- Gesù Cristo in croce;

- Cristo morto (disteso in orizzontale);

- l’Addolorata, Maria madre di Gesù, vestita a lutto.

 

Una madre che va oltre la Madonna e diventa la madre di ognuno di noi, quella che soffre se noi soffriamo, quella che ci soccorre, che ci è vicina in ogni momento, anche doloroso, della nostra vita.

Anche per questo, penso, che si tratti della processione più sentita tra tutte quelle che ancora sopravvivono nella comunità cattolica amanteana e non.

Una rappresentazione che durerà fino a quando durerà l’amore di una madre per i propri figli. Infinitamente.

Senza dimenticare che Cristo per tutti i fedeli che partecipano alla processione, ed in particolare che ne fanno parte, rappresenta l’uomo.

L’uomo, con i suoi valori, con il suo porsi agli altri, con la vita comune, con i momenti di gioia e di sofferenza, con la sua temporaneità, la sua paura della morte, il suo amore.

Ed infatti il popolo della processione è fatto di uomini e donne, di oggi e di domani, in quello straordinario ripetersi del passato che si trasfonde, ne futuro, nella ripetizione della partecipazione dove i padri e le madri accompagnano i figli , ognuno dei quali sceglie liberamente o meno la sua varetta ed impara il relativo canto.

Difficile però omettere di percepire e di ricordare che oggi, nel tempo del cinema e della televisione , ben diversa è la posizione del popolo dei fedeli che nelle loro diverse e distinte posizioni sociali si sottopongono al rituale della partecipazione, atto di omaggio alla fede ed alla tradizione, rispetto ala posizione del popolo degli astanti, pur aficionados, ma comunque uditori , che si fanno trovare lungo le strade in attesa delle statue, ma non per partecipare, ed il cui ruolo è quello, al più, di alzare gli occhi verso il Cristo in Croce o la Madonna in lacrime, non si sa bene se in una vera o finta commozione, e di segnarsi, magari soltanto apotropaicamente.

 

Amantea , gran parte di Amantea, si ferma, per partecipare alla processione e quelli che restano alla loro attività, hanno l’orecchio attento ai canti od alla musica.

Tra i canti, il Miserere (riportato in fondo) e lo Stabat mater (Jacopo De Benedictis detto Jacopone da Todi- riportato in fondo), O popolo mmi deu , Gesù mio, con dure funi, A Gesù  Appassionato, O discepolo più caro, Oj’è llu Vennaru Santu; Visitamu la   ‘Ndulerata; Jesu, Madonna chi cori facisti; Quannu Cristu fu misu ‘n crùcia; ‘A Madonna ppe’ mari jive; E considera a lla rivoglia; Gesù Cristu ca si’ alla cruci; ‘U rilogio.

Una forte preoccupazione si fa strada nella città ed è quella che la processione possa man mano spegnersi

Anche per questo dal 2009 la confraternita del santissimo Rosario ha democraticamente “aperto” alla partecipazione delle altre 3 confraternite che oggi sono tutte parte integrante della processione.

Le confraternite amanteane sono: la Confraternita del Sacro Cuore di Gesù (saio bianco, con cappuccio mantellina rossa e corona di spine sul capo); Confraternita dell’Addolorata (saio bianco, con cappuccio, mantellina nera e corona di spine, si vestono in pratica uguali ai Confratelli del Rosario ma hanno uno stemma diverso sul petto); l’Arciconfraternita dell’Immacolata Nostra Signora (che nel passato ebbe come affiliati solo i nobili di sesso maschile, e che indossa camice bianco, con cappuccio, una mantellina di seta celeste, ma non porta la corona di spine).

Una novità che via, via sta per essere metabolizzata.

Ma altri cambiamenti sono dietro la porta.

 

La processione arriva alla Chiesa matrice da dove è partita. Ed è qui che Cristo e la Madonna salutano il popolo dei fedeli e la città.

Ognuna delle varette in cima alla scala si volta verso la città in quello che è un gesto di saluto, un arrivederci al prossimo anno. Lo fa anche la Madonna , lo fa anche Cristo , ma “lui” si sposta verso la balconata e traguarda la città verso Coreca ed il mare; i marinai è a “lui” che si rivolgevano durante le mareggiate improvvise.

E sotto il popolo alza gli occhi ed il volto.

Già quello che importa è il volto del popolo fedele nel quale sembrano imprigionarsi il dolore e la sofferenza quali espressione della partecipazione al dolore ed alla sofferenza del Cristo e della Madonna.

 

Finchè più delle musiche struggenti tra cui quelle scritte da Mario Aloe e Domenico Fiorillo, più dei canti dolenti, più dolente partecipazione, ad essere presente sarà il volto dolente e triste dei partecipanti la processione sarà viva e vitale e sopravviverà ad ognuno di noi.

 

 

Le varette

Le confraternite

Il popolo

Miserere mei, Deus: secundum magnam misericordiam tuam.

Et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam.
Amplius lava me ab iniquitate mea: et a peccato meo munda me.
Quoniam iniquitatem meam ego cognosco: et peccatum meum contra me est semper.
Tibi soli peccavi, et malum coram te feci: ut iustificeris in sermonibus tuis, et vincas cum iudicaris.
Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum: et in peccatis concepit me mater mea.
Ecce enim veritatem dilexisti: incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.
Asperges me, hyssopo, et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor.
Auditui meo dabis gaudium et laetitiam: et exsultabunt ossa humiliata.
Averte faciem tuam a peccatis meis: et omnes iniquitates meas dele.
Cor mundum crea in me, Deus: et spiritum rectum innova in visceribus meis.
Ne proiicias me a facie tua: et spiritum sanctum tuum ne auferas a me.
Redde mihi laetitiam salutaris tui: et spiritu principali confirma me.
Docebo iniquos vias tuas: et impii ad te convertentur.
Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meae: et exsultabit lingua mea iustitiam tuam.
Domine, labia mea aperies: et os meum annuntiabit laudem tuam.
Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique: holocaustis non delectaberis.
Sacrificium Deo spiritus contribulatus: cor contritum, et humiliatum, Deus, non despicies.
Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion: ut aedificentur muri Ierusalem.
Tunc acceptabis sacrificium iustitiae, oblationes, et holocausta: tunc imponent super altare tuum vitulos. »

Stabat Mater

Stabat Mater dolorósa

iuxta crucem lacrimósa,

dum pendébat Fílius.

Cuius ánimam geméntem,

contristátam et doléntem

pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta

fuit illa benedícta

Mater Unigéniti!

Quae moerébat et dolébat,

Pia Mater dum videbat

nati poenas ínclyti.

Quis est homo, qui non fleret,

Matrem Christi si vidéret

in tanto supplício?

Quis non posset contristári,

Christi Matrem contemplári

doléntem cum Filio?

Pro peccátis suae gentis

vidit Jesum in torméntis

et flagéllis subditum.

Vidit suum dulcem natum

moriéndum desolátum,

dum emísit spíritum.

Eia, mater, fons amóris,

me sentíre vim dolóris

fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum

in amándo Christum Deum,

ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,

crucifíxi fige plagas

cordi meo válide.

Tui Nati vulneráti,

tam dignáti pro me pati,

poenas mecum dívide.

Fac me tecum pie flere,

Crucifíxo condolére

donec ego víxero.

Iuxta crucem tecum stare,

et me tibi sociáre

in planctu desídero.

Virgo vírginum praeclára,

mihi iam non sis amára,

fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,

passiónis fac me sortem

et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,

cruce hac inebriári

et cruóre Fílii.

Flammis urar ne succénsus,

per te, Virgo, sim defénsus

in die iudícii.

Fac me cruce custodíri

morte Christi praemuníri,

confovéri grátia.

Quando corpus moriétur,

fac, ut ánimae donétur

paradísi glória.

Amen.

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