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Ad un certo punto nella mattinata di oggi sento lo squillo del telefono.

Nemmeno il tempo di dire pronto che dall’altro capo del telefono si sente “Ma hanno arrestato qualcuno o sono state soltanto perquisizioni?” 

“…………non ne so nulla” rispondo.

 

“Guarda davanti alla caserma dei CC ci sono un sacco di volanti”

 

Rispondo: “Non è che sia in relazione alla vicenda dei Casalesi?

 

Stamattina infatti il web ha riportato che c’è stata in tutta Italia una pioggia di misure cautelari per camorra.

I carabinieri di Casal di Principe (Caserta) hanno fermato 46 persone ritenute appartenenti al clan dei Casalesi nelle province di Caserta, Napoli, Benevento, Viterbo, Parma, Cosenza e Catanzaro.

La Dda di Napoli ha eseguito 46 misure cautelari nei confronti di 46 indagati ritenuti appartenenti a clan dei Casalesi.

I provvedimenti sono stati eseguiti nelle province di Caserta, Napoli, Benevento, Viterbo, Parma, Cosenza e Catanzaro.

 

Tra i destinatari anche l’ex boss Francesco Schiavone, detto Sandokan, e il figlio Walter.

Scoperto un gruppo, riconducibile alla fazione Venosa del clan, che si occupava anche di racket di una piattaforma per il gioco online che imponeva agli esercenti.

Nessun arresto a Parma, bensì la notifica di un'ordinanza di custodia cautelare in via Burla a un camorrista già detenuto: Francesco Schiavone, detto "Sandokan".

E' quindi confermato che il boss si trova in carcere a Parma.

Il presunto gruppo criminale, che è accusato di essere dedito, tra l’altro, alle estorsioni e alla gestione del gioco on line, è riconducile alla fazione Venosa-Schiavone del clan dei Casalesi e secondo le indagini incassava quasi il 60% dei guadagni degli esercenti ai quali veniva imposta la piattaforma.

Agiva prevalentemente nei Comuni casertani dell’Agro Aversano.

 

Le misure cautelari sono state emesse dal Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea.

Le accuse contestate dagli inquirenti sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ricettazione, estorsione, illecita concorrenza con minacce e violenza, intestazione fittizia di beni, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, spaccio e detenzione illegale di armi.

Con particolare riferimento al settore del gioco, il presunto gruppo criminale svolgeva attività come imposizione di slot machine o estorsione.

Gli indagati avevano anche messo a punto piattaforma di poker online per bar, i cui proventi andavano per il 60% al clan e il restante all’esercente complice.

Scoperta anche una bisca clandestina in un bar di Casapesenna.

Il Procuratore Giuseppe Borrelli ha spiegato che il titolare di tale bisca “in accordo con il clan, durante l’orario di chiusura organizzava partite al gioco della “zecchinetta” percependo da parte del clan una percentuale sui guadagni”.

Relativamente all’imposizione delle slot “distribuite dalla società prescelta del clan”, il Procuratore Borrelli ha spiegato che i referenti dell’azienda versavano, in cambio del monopolio, una quota per ogni apparecchiatura installata e che ora sono “indagati per concorso esterno in associazione di tipo mafioso”.

E così la domanda resta inevasa.

Ed il titolo inesplicato.

Ma….vi faremo sapere.

Camorra Casalese, imprenditori legati a Cosa nostra, un boss della 'ndrangheta, prestanome vari, professionisti locali. L'inchiesta "Rischiatutto" coordinata dal pm Antonello Ardituro della Procura antimafia di Napoli ha portato tre giorni fa a 57 arresti, 165 indagati e al sequestro di 450 milioni di euro. Un patrimonio enorme sottratto al clan dei Casalesi e alle sue cellule modenesi.

 

Questo romanzo criminale racconta di alleanze tra camorristi di Casal di Principe, imprenditori legati alle famiglie Santapaola e Madonia e di Cosa nostra e boss della 'ndrangheta, diventati in Emilia padroni del settore gioco d'azzardo legale.

C'è Nicola Schiavone, il figlio di "Sandokan", padrone di Gomorra. C'è Antonio Padovani, imprenditore delle slot e delle sale bingo vicino alla mafia siciliana che fino al 2011 tramite i figli gestiva la Gari Srl nella zona indutriale dei Torrazzi di Modena. C'è Renato Grasso e i suoi fratelli, impresari diventati milionari con il gioco legale e appoggiati dal gotha dei Casalesi. C'è Nicola Femia, "Rocco", che ai circoli modenesi del Clan piazzava le ricariche per il poker online e a un certo punto diventa socio occulto di Antonio Noviello (punto di riferimento dei Casalesi a Modena) a cui fornisce la connessione dei siti per giocare online. Portali sul web registrati all'estero, in Romania, dove sia Femia che Schiavone hanno diversi interessi economici, e a Malta, l'isola diventata il paradiso per chi vuole investire nel settore delle scommesse e del poker.

Tra gli indagati compaiono anche i romani Luigi e Antonio Tancredi, figure di primo piano del settore con forti agganci nelle lobby politiche del gioco, coinvolti insieme a Femia nell'indagine "Black Monkeys"dell'Antimafia bolognese del gennaio scorso.

SISTEMA GIOCO. Gli inquirenti hanno scoperto che i circoli modenesi del Clan guidato da Schiavone venivano riforniti dalle aziende legate alla 'ndrangheta che fanno capo a Nicola Femia e per un periodo dalla società Gari, con sede a Modena di proprietà della famiglia Padovani (colpito nel 2011 da un sequestro di 40milioni di euro da parte della Finanza di Caltanissetta). «Si assiste a una vera e propria marcia di conquista, da parte dello Schiavone e dei suoi che, nel solco già tracciato da consorterie siciliane e calabresi e, talvolta, in parallelo ad esse, invadono letteralmente intere province del nord, soprattutto dell'Emilia Romagna installando "circoli privati"».

A Castelfranco Emilia, Carpi, Cavezzo, nel Bolognese, si trovavano questi "circoli". E qui pensionati, operai, giovani e meno giovani, hanno sperperato centinaia di migliaia di euro. Ogni circolo, a detta degli indagati fruttava almeno 4mila euro al giorno. A incassare era il Clan dei Casalesi, le aziende di Padovani e quelle di Femia che mettevano a disposizione macchinette e postazioni per giocare a poker online.

«Emerge, poi, con chiarezza, il rapporto che legava i campani al siciliano Padovani, il quale utilizzava i locali del Matrix (circolo di Castelfranco) quale luogo in cui installare gli apparecchi a lui riferibili e da lui appositamente taroccati, dividendo con i gestori del circolo i relativi introiti», scrive il gip di Napoli che ha firmato l'ordinanza di arresto. «Abbiamo tutto... due piani sono, abbiamo una quarantina di slotmachine e computer collegati con il casinò». Intercettato è Carmine Sola, tra gli arrestati e ritenuto il prestanome del super boss Nicola Schiavone. Sola in una telefonata si autodefinisce "socio" del circolo di Castelfranco. «C'ho il circolo che va molto bene un po’ la Isolantetti (la ditta di Sola), il Circolo (di Castelfranco, ndr) guadagna 4mila euro al giorno». Denari che, secondo gli investigatori, finivano nei libri mastri del grande capo Schiavone. Carmine Sola è una figura centrale nell'indagine e pedina strategica in provincia di Modena. È l'uomo dei reinvestimenti dei soldi nell'economia legale, nel settore delle costruzioni.

L'AVVOCATO. Agli atti dell'inchiesta spuntano anche professionisti modenesi che parlano di affari con gli uomini di Schiavone. C'è un'avvocatessa modenese indagata. B. P., per cui il gip ha rigettato la richiesta di arresto della Procura. Ma nell'ordinanza emergono i suoi rapporti con uno degli indagati più importanti, Carmine Sola che secondo l'accusa è il prestanome emiliano del boss Schiavone. P. «prestava la sua opera professionale relazionandosi con Carmine Sola, diretto referente di Schiavone Nicola». E inoltre avrebbe fissato "incontri "de visu «finalizzati esclusivamente ad aggiornare lo stesso Schiavone sull'evoluzione delle vicende per le quali era stata incaricata».

«Qualsiasi ora, qualsiasi momento o Carmine o Nicola Schiavone chiedono qualche cosa… la pregherei di riferirgli tutto quello che c'è da riferire», uno degli imprenditori legati a Sola sollecita l'avvocato P., che risponde: «Come ho fatto fino adesso…». Sono telefonata registrate tra il 2004 e il 2005, finite agli atti dell'indagine "Rischiatutto" in cui si descrive ampiamente il rapporto tra Sola e P..

Gli accertamenti svolti dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Modena consentivano di individuare il cantiere edile relativo agli investimenti immobiliari del clan e al quale si faceva riferimento nel corso delle conversazioni. Un sopralluogo ha permesso di verificare l'esatta posizione del complesso residenziale: via Bertelli, frazione San Martino Secchia del Comune di San Prospero. Qui il Clan ha realizzato cinque immobili. «Gli appartamenti, come si vedrà sarebbero stati poi rivenduti, in modo da realizzare, sempre in forma sotterranea, ulteriori utili».

Non solo riciclaggio dunque, ma il clan riesce a creare profitti dalla vendita degli immobili costruiti per ripulire il denaro sporco. Un soggetto economico attivo a tutti gli effetti. La prima fase dell'investimento immobiliare è del 2001, anno in cui ottengono regolare concessione edilizia (la numero 27 del 2001) intestata a Giuseppe Corvino, detto "Peppe l'evangelista", un imprenditore orginario di Casal di Principe e trapiantato in Emilia Romagna, che risultava, anche per altri versi, vicino al giovane padrino Nicola Schiavone. Tre anni più tardi comunicano l'inizio lavori e una variante. E forse parlano proprio di questo Sola e l'avvocato quando l'imprenditore accusato di essere prestanome del boss dice all'avvocato P.: «Io devo pagare 8.000 euro al Comune per la concessione edilizia… per San Prospero».

I TESSERATI PDL. Tra gli indagati ecco spuntare nuovamente tesserati al Pdl. Iscritti al partito di Silvio Berlusconi almeno fino al caos scoppiato in seguito alle denunce di Isabella Bertolini e dall'inchiesta della Gazzetta di Modena in cui si davano i primi nomi dei tesserati legati al Clan.

Nell'indagine compare il nome di Gianfranco Dessi, di Castelfranco, inserito nell'elenco dei tesserati Pdl. A cui si aggiunge Giovanni Corvino, di Cavezzo, altro indagato nell'inchiesta "Rischiatutto", che dagli atti risulta coinvolto nella gestione di un circolo bisca in via Rua Muro a Modena. Prima del congresso erano state sospese in via cautelativa 180 tessere, tra queste quella di Renato Corvino, ritenuto elemento di spicco del clan in provincia. Tra i 180 però non c'era né Gianfranco Dessi, né Luigi Melucci, indagato con Corvino dalla procura antimafia di Bologna.

BANCARI INDAGATI. Al centro dell'indagine sono finiti anche due dipendenti di banca. Sergio Pittalà, dipendente della Cassa di Risparmio di Carpi nell'agenzia di Formigine, nel periodo incriminato(il 2005), e Cristian Giusti della Unicredit Banca Impresa: «Nelle loro qualità favorivano l'organizzazione criminale, permettendo a Carmine Sola e a Antonio Noviello di operare sul conto corrente di Dell'Aversano Massimo» per eludere e aggirare le norme antiriciclaggio. Denaro, secondo gli inquirenti, che proveniva dalla gestione del gioco d'azzardo. Benvenuti a Modena, tra Gomorra e 'ndranghetopoli. Gazzetta di Modena di Giovanni Tizian  

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