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E' partita dal brutale pestaggio di una minorenne di etnia rom scappata dal campo di via San Severo a Foggia, l'indagine che ha portato gli agenti della Squadra Mobile del capoluogo al fermo di sei persone (delle quali quattro maggiorenni e due minorenni), tutti di origine rumena.

Sono accusate di riduzione e mantenimento in stato di servitù, induzione e sfruttamento della prostituzione minorile e sequestro di persona, ai danni di giovani ragazze minorenni.

I provvedimenti, emessi dalla procura ordinaria di Bari (direzione distrettuale antimafia) e dalla procura dei Minorenni sempre del capoluogo pugliese ed eseguiti nel campo nomadi di Foggia, hanno interessato i componenti di uno stesso nucleo familiare.

I reati tutti pluriaggravati sarebbero stati commessi dal mese di marzo fino a settembre di quest'anno ai danni di tre minorenni.

Sono stati fermati F. C., 47 anni, detto 'Bal Parno', P. C., 46 anni, nota come 'Poiana', M. R. I., 27 anni, S. C., 26, detto 'Solomon', e in S.D. e D.I., minorenni, mentre le vittime accertate risultano essere tre ragazze minorenni, di origine rumena, oggi tra i sedici ed i diciassette anni.

SEGREGATE E PRESE A CALCI E CINGHIATE- Il pestaggio che ha dato il via alle indagini è avvenuto nella notte del 3 settembre: la giovane è stata colpita con calci, pugni, schiaffi e cinghiate, sferrati in ogni parte del corpo, sulla faccia, sulla pancia e dietro la schiena, poi trascinata per i capelli, fatta strisciare per terra, all’interno della baracca nella quale veniva segregata da uno dei fermati, identificato in S.D.. Dopo essere scappata, la ragazza è riuscita a raggiungere un vicino accampamento occupato da italiani che hanno chiamato la polizia e il 118. Secondo quanto ricostruito dalla squadra mobile e dalla Procura di Bari le minorenni, tutte appartenenti a nuclei disagiati, una volta condotte nel campo con l’inganno e l'impiego degli stratagemmi più vari, venivano di fatto segregate all'interno di alcune baracche, chiuse dall’esterno con una catena ed un lucchetto, picchiate continuativamente per più giorni per piegare le loro capacità di reazione e costrette a prostituirsi sotto il diretto controllo dei loro aguzzini.

Grazie alla testimonianza di una delle vittime e ai riconoscimenti fotografici dei presunti autori dei delitti, oltre che ai sopralluoghi, agli accertamenti sui telefoni e all’esame dei social network, è emersa l’esistenza di una delle forme di 'schiavitù moderna'. Le giovani straniere, per lo più sole e non in contatto con la famiglia, venivano destinate al mercato della prostituzione, controllato dai fermati. E’ stato accertato, infatti, che nessuna delle vittime poteva scappare dal campo, essendo controllata 24 ore al giorno, sia durante la permanenza nelle baracche, sia durante gli spostamenti, che avvenivano sotto il diretto controllo degli uomini del gruppo criminale e delle donne, fino alla statale 16 (direzione Lucera, posto a circa duecento metri dallo svincolo per via San Severo), dove erano costrette a prostituirsi, dopo essere state accompagnate in auto dagli indagati. Era quasi impossibile sottrarsi: le ragazze, oltre a subire violenze e minacce, erano sole sul territorio italiano, nessuno avrebbe potuto reclamare la loro scomparsa. Per di più i fermati, una volta condotte le minorenni nel campo, le privavano dei telefoni cellulari e dei documenti.

COSTRETTE A VENDERSI ANCHE IN GRAVIDANZA - Le indagini hanno accertato che quella di costringere le minorenni a prostituirsi anche durante la gravidanza fosse una prassi consolidata. Di fronte al rifiuto opposto dalle vittime, le stesse sarebbero state picchiate senza pietà. Della loro segregazione nel campo nomadi si sarebbe occupata principalmente M.R.I., 27 anni, che avrebbe partecipato alle attività illecite del gruppo familiare, all’interno del quale si era inserita quale compagna di uno dei figli del capo famiglia. La donna assisteva a tutte le condotte illecite commesse ai danni delle vittime senza intervenire in loro aiuto, controllandole durante l’attività di prostituzione, e acquistando, insieme a P.C., i preservativi da fornire alle vittime. E' stata la vittima del pestaggio del 3 settembre a riferire di essere stata costretta a prostituirsi fino al settimo mese di gestazione.

BIMBO IN VENDITA - M.R.I. avrebbe inoltre proposto ai suoi complici di vendere a un uomo il figlioletto della ragazzina rom costretta a prostituirsi. La donna - secondo quanto riferito dalla minorenne scappata dopo il pestaggio- avrebbe infatti proposto agli altri fermati la possibilità di vendere a un uomo il suo bambino per la somma di 28.000 euro.

Pubblicato in Mondo

Tutto è partito da un’auto rubata ad un settantatreenne di Longobucco.

L’anziano si è rivolto ad un meccanico bocchiglierese di 48 anni, il quale si sarebbe adoperato con attività di intermediazione con soggetti che operano nel capoluogo bruzio per rinvenire la vettura, a fronte del pagamento della somma di 1.500 euro.

Il figlio della vittima del furto, Serafino Perfetti, forse non soddisfatto della proposta fatta dal meccanico, a sua volta avviava contatti con soggetti dell’ambiente cirotano attraverso Antonio Cirigliano.

Perfetti avrebbe, quindi, incontrato il meccanico, a Mirto Crosia, per discutere sul rinvenimento dell’utilitaria.

All’appuntamento, tuttavia, si presentavano, come ricostruito grazie alle immagini di un impianto di videosorveglianza, all’analisi dei tabulati telefonici, all’analisi dei gps installati sulle autovetture ed al riconoscimento effettuato dalla persona offesa, due cirotani, rispettivamente di trentanove e trentuno anni.

Pirillo, Perfetti e Lefosse avrebbero attirato il malcapitato in una via isolata e, dopo averlo fatto scendere dal proprio fuoristrada, lo avrebbe malmenato e rapinato del mezzo, minacciandolo di adoperarsi per il rinvenimento dell’utilitaria trafugata a Cosenza e per riottenere il fuoristrada, senza l’esborso di alcuna somma di denaro.

Il meccanico, il giorno seguente, ha denunciato alla Stazione Carabinieri di Bocchigliero il furto del proprio fuoristrada, non raccontando quanto accaduto per paura di ritorsioni.

Solo l’intuito del comandante di Stazione, insieme ad una rete di informazioni acquisite, ha permesso di avviare le indagini necessarie.

Il 27 maggio, una pattuglia dei carabinieri di Cosenza ha ritrovato, nel corso di un servizio di controllo del territorio, l’utilitaria scoperta, per cui il fuoristrada è stato prima posizionato lungo una strada che da Crosia collega a Cropalati e poi rinvenuto dai carabinieri della Stazione di Mirto Crosia.

Stamattina oltre cinquanta carabinieri del Comando provinciale di Cosenza sono stati impegnati in un'operazione, con ausilio di unità cinofile, per eseguire sei misure restrittive, emesse dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari.

In particolare, l'operazione ha interessato i comuni di Crosia, Pietrapaola e Cariati, dove i carabinieri della Compagnia di Rossano, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di quattro soggetti. Si tratta di due uomini di Crosia: Serafino Perfetti, 40 anni, e Rosario Le Fosse, 31, un cariatese, Rocco Pirillo, 34, e di un cosentino residente a Pietrapaola, Antonio Cirigliano, 54, indagati per i reati di rapina e tentata estorsione in concorso. 

All’operazione hanno preso parte anche le unità cinofile di Vibo Valentia ed al termine delle formalità di rito, Pirillo, Perfetti e Lefosse sono stati trasferiti presso la casa circondariale di Castrovillari, mentre Cirigliano è stato sottoposto agli arresti domiciliari nella propria abitazione.

Pubblicato in Calabria

Retata antidroga dei carabinieri che hanno arrestato tutti gli ospiti di un centro di accoglienza in provincia di Firenze perché accusati di spaccio.

 

 

 

 

 

 

I militari della compagnia di Empoli ha fermato 6 nigeriani, richiedenti asilo, ospiti di un centro di Sovigliana, frazione di Vinci, gestito dalla Misericordia di Empoli.

L’attività nasce dall’arresto in flagranza di reato di un nigeriano per spaccio in una strada di Empoli, sorpreso mentre questa mattina ha ceduto una dose di eroina ad una tossicodipendente.

Gli accertamenti hanno permesso di individuare il centro dove dimorava il nigeriano e nella successiva perquisizione sono stati sequestrati 70 grammi di eroina, 20 di marijuana e 700 euro in contanti, nonché strumenti per il confezionamento.

E’ stato sequestrato altro materiale ora al vaglio dei militari dell’Arma, considerato utile a dimostrare, con riferimento alle attività illecite, una forte mobilità degli arrestati in altri centri della regione, tra cui Firenze.

Quanto è stato rinvenuto era nella piena disponibilità degli altri 5 nigeriani richiedenti asilo, che sono stati arrestati e trasferiti presso il carcere di Sollicciano.

Il centro di accoglienza rimane, di fatto, privo di ospiti.

Pubblicato in Italia

“Tanto tuonò che piovve” è la frase emblematica che ha circolato stamattina nella cittadina tirrenica appena si è cominciato a sapere delle perquisizioni e degli arresti.

Una frase che sta ad indicare che molti si attendevano che ” qualcosa”avvenisse, come è avvenuta.

 

Stamattina, infatti, contemporaneamente numerose perquisizioni e diversi arresti

Si tratta della seconda fase della notifica avvenuta nel marzo 2018 da parte della Procura di Paola di 19 avvisi di chiusura di indagine.

Un evento invero fortemente sottovalutato se stamattina sono stati arrestati ben 6 persone tra amministratori, funzionari, impiegati, imprendiotori.

Parliamo di:

Fabrizio Ruggiero imprenditore;

Domenico Pileggi ex funzionario dipende di Amantea attualmente in servizio presso un altro Comune.

Finiti in carcere.

E di :

Emma Pati, assessore all’istruzione del Comune di Amantea;

Emilio Caruso, comandante dei Vigili urbani di Amantea;

Giacomino Bazzarelli, vigile urbano;

Mario Aloe, funzionario.

Finiti ai domiciliari:

Sotto indagine diversi appalti tra cui la mensa, il porto, i parcheggi e la derattizzazione.

Riporta la stampa locale “Al Comune di Amantea i servizi mensa, la gestione del porto, i parcheggi con le strisce blu, la derattizzazione, stando alle accuse erano prerogativa di determinate ditte, come la “Apa Multiservizi” di Fabrizio Ruggiero e la cooperativa “Gente di Mare” di Gregorio Bruno. Finte partecipazioni alle gare d’appalto e servizi affidati senza ricorrere al mercato informatico. Emblematica, come riferito in conferenza stampa dagli inquirenti, la gestione del porto cittadino di Amantea, dato in affidamento previo accordo e la cui offerta sarebbe stata visionata dalla ditta rivale che, per salvare le apparenze, ha fatto pervenire la sua offerta quando i termini erano già scaduti”.

È una vicenda che potrebbe avere ulteriori prosiegui.

Si legge, infatti, che “I tentativi di concussione, spiega il capitano delle fiamme gialle, avvenivano anche nei settori di Home Care.

Il campo sociale veniva sfruttato per inserire in determinati progetti di assistenza un’operatrice di settore gradita ad imprenditori e amministratori”.

Una vicenda che è tutta in divenire!.

Siamo qui!

Pubblicato in Primo Piano

Roma, poliziotti corrotti e rivelazione di segreti d'ufficio: arrestati 6 agenti e un dipendente della Procura

Poliziotti irreprensibili durante il servizio. Uno di loro premiato addirittura dal capo della polizia come un eroe per aver salvato la vita di un disperato che voleva tuffarsi da un balcone.

E una donna, un cancelliere della Procura, assegnata alla segreteria di un procuratore, candidata con la Lista Salvini alle comunali del 2016, e compagna di un agente addetto al servizio scorte.

Ma tutti loro, almeno secondo quanto ricostruito dagli investigatori, avevano una doppia vita, e una volta lasciati i panni del pubblico ufficiale si trasformavano in fiancheggiatori di un uomo coinvolto, secondo gli inquirenti, in un'inchiesta che aveva acceso il faro sulla criminalità organizzata nella capitale, Carlo D'Aguano, titolare di bar e sale giochi, su cui i pm capitolini stavano indagando per i suoi contatti con la camorra.

I sei agenti arrestati sono, oltre a Simona Amadio, 49 anni, dipendente della Procura, addetta alla segreteria di un procuratore aggiunto della Capitale, Angelo Nalci (44), compagno della donna e poliziotto addetto all'ufficio scorte, Fabio Di Giovanni (47), del commissariato Fidene-Serpentara, Gianluca Famulari, 44 anni (commissariato S. Basilio), Francesco Macaluso, 38 (Volanti), Federico Rodio, 44 (Fidene-Serpentara), Alessandro Scarfò, 38 (Fidene Serpentara). Indagati nel procedimento ci sono comunque altri agenti, uno dei quali sospeso dal servizio.

La talpa che dall'ottobre 2017 dava notizie e informazioni coperte da segreto ai poliziotti i quali poi le giravano a Carlo D'Aguano, quindi, era Simona Amadio. C'è una coppia dunque al centro dell'operazione carabinieri del Nucleo investigativo di Roma e della Squadra mobile della Questura, coordinati dai procuratori aggiunti Paolo Ielo e Michele Prestipino, che ha portato all'arresto di nove persone, fra cui 6 poliziotti, che per mesi hanno fornito informazioni sulla indagine che riguardava D'Aguano.

Il nome dell'imprenditore era stato toccato di striscio nell'operazione "Babilonia" dell'estate scorsa che portò alla luce due organizzazioni criminali, una romana e una legata alla camorra, che gestiva il traffico di droga nella Capitale, compiendo anche usure ed estorsioni.

Indagando poi su di lui, gli inquirenti hanno scoperto tutta la rete di corruzione, tra cui tre agenti del reparto Volanti e due agenti del commissariato Fidene che in cambio delle informazioni ricevevano denaro, quote societarie del gruppo D'Aguano e l'intermediazione per ottenere auto a prezzi di favore.

Uno di loro aveva a disposizione anche una Ferrari concessa da D'Aguano.

Le accuse per tutti a vario titolo sono corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, corruzione per l'esercizio della funzione, accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreti di ufficio.

La talpa.

Si chiama Simona Amadio e si era candidata nella lista "Noi con Salvini" alle ultime elezioni comunali del 2016.

La donna, 50 anni, da anni impiegata in procura, era compagna di uno dei poliziotti finiti in carcere, Angelo Nalci, addetto all'ufficio scorte della Questura.

A incastrare la donna, tra l'altro c'è un'intercettazione contenuta nell'ordinanza del gip, in cui si riporta un dialogo tra i due avvenuto lo scorso marzo, in cui la donna ripercorre «una conversazione avuta con D'Aguano che aveva necessità di qualcuno che gli potesse fornire informazioni circa l'esistenza di procedimenti penali sul suo conto».

«Io Carlo me lo voglio tenere - dice Amadio - allora tu devi pensare amore, che come tutti "gli impiccioni" lui ha amici poliziotti... la talpa in Procura... lui (D'Aguano)...la prima cosa che mi ha chiesto è: 'mi posso fidare?'...a lui gli serve un appoggio in Procura, cioè qualcuno che va ad aprire a va a vedere».

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Con Porcino in cella sono finiti ai domiciliari Ricciardelli e Alborghetti, comandante e commissario della Polizia Penitenziaria di Bergamo, Bertè, dirigente sanitario del Carcere, e due imprenditori di Urgnano.

Una gestione del penitenziario sconsiderata e spregiudicata.

Gli inquirenti descrivono così l’operato di Antonino Porcino, l’ex direttore della casa circondariale di Bergamo, arrestato nella mattinata di lunedì 11 giugno insieme ad altre cinque persone su ordinanza del Gip Lucia Graziosi per accuse che vanno dalla corruzione, alla turbata libertà degli incanti, al peculato, al falso ideologico, alla tentata truffa ai danni dello Stato. Con Porcino, in cella, sono finiti ai domiciliari Antonio Ricciardelli e Daniele Alborghetti, rispettivamente comandante e commissario della Polizia Penitenziaria di Bergamo (quest’ultimo distaccato al carcere di Monza), Franco Bertè, dirigente sanitario del Carcere e due imprenditori di Urgnano, Mario e Veronica Metalli.

L’inchiesta, coordinata dai Sostituti Procuratori della Repubblica di Bergamo Maria Cristina Rota ed Emanuele Marchisio, era partita nell’aprile 2017 da una segnalazione della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, nell’ambito di indagini collegate alla realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. L’imprenditore di Dalmine Gregorio Cavalleri, arrestato dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, aveva evitato la detenzione in carcere a Bergamo ed era rimasto a lungo ricoverato all’ospedale Papa Giovanni. Come? Con una serie di certificati medici che attestavano un presunto disturbo mentale. Che, però, non risultava nel corso degli interrogatori, in cui mostrava piena lucidità.

I carabinieri del comando provinciale di Bergamo e di Clusone, insospettiti, hanno messo sotto controllo il suo telefono cellulare. E hanno scoperto un accordo con il comandante della polizia penitenziaria. Ma non solo, perchè sono emersi una serie di altri illeciti, con coinvolti altri soggetti.

Uno su tutti, il direttore della casa circondariale. Grazie alla collaborazione dei militari della Guardia di Finanza, si è scoperto che Porcino, originario di Reggio Calabria, che dopo 33 anni in carica lo scorso 26 maggio è andato in pensione, nel suo ultimo anno di lavoro ha collezionato circa duecento giorni di malattia per presunto stress. Un’assenza resa possibile dai certificati compilati dal medico Bertè, secondo gli inquirenti in cambio di favori. L’intento di Porcino era quello di non fruire delle ferie che ancora aveva, in modo da farsele pagare, per una somma totale di circa diecimila euro.

Ma non solo. L’ex direttore, con l’appoggio dell’amico commissario di polizia penitenziaria Alborghetti, si sarebbe fatto corrompere da una società di Urgnano, gestita da Mario Metalli e dalla figlia Veronica, che installa distributori automatici di alimenti, bevande e tabacchi, per all’interno della casa circondariale di Monza, dove Alborghetti operava.

Porcino avrebbe poi sottratto materiale di vario genere in disponibilità alla casa circondariale. Come i due water per il suo appartamento di Lallio in fase di ristrutturazione. O ancora diverse risme di carta e alcune bombole a gas. Il tutto trasportato a casa da guardia del carcere, negli orari di lavoro e con auto di servizio.

C’è poi un particolare che coinvolge indirettamente il procuratore capo di Brescia Tommaso Buonanno e il figlio Gianmarco (non indagati), quest’ultimo detenuto in via Gleno per una rapina al Conad di Zogno a febbraio. Quando il padre qualche settimana fa chiese un colloquio più lungo con il  figlio, il personale del carcere glielo concesse senza però compilare regolarmente il registro. Compiendo, quindi, un illecito.

Sono 27 in totale le persone coinvolte nelle indagini. Lunedì sono scattate anche le perquisizioni nelle abitazioni degli indagati e in carcere, con la collaborazione di personale della Sezione di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza di Bergamo. Non sono esclusi ulteriori sviluppi.

Dabergamonews

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Fresca, fresca di stamattina

Su richiesta della DDA di Napoli eseguiti stamattina 6 arresti , tutti ai domiciliari

Tra questi il commercialista romano Umberto Flesca Previti nipote dell'ex ministro Cesare Previti .

Insieme l'imprenditore Dino De Megni, padre di Augusto il bimbo rapito alcuni anni fa, e poi diventato un personaggio televisivo vincitore della sesta edizione del Grande Fratello.
Ed ancora Leonardo Covarelli, ex presidente della società Pisa Calcio.

Nell'inchiesta della Dda i finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, coordinati dal procuratore aggiunto di Napoli Giuseppe Borrelli, e dal sostituto Giovanni Conzo, hanno anche eseguito nei confronti dei sei indagati, un sequestro di beni per equivalente pari a oltre 9 milioni di euro.
Tra i beni sequestrati ci sono ville e immobili (anche di valore storico) a Bologna, Pisa, Perugia e Roma, oltre a numerosi terreni nella provincia di Cosenza.

Agli indagati vengono contestati i reati di riciclaggio e reimpiego di denaro di illecita provenienza, intestazione fittizia di valori, falso in bilancio, formazione fittizia di capitale, tutti aggravati dalla trans nazionalità. Gli indagati - secondo gli inquirenti - avrebbero usato società con sede in Austria, Germania e Gran Bretagna, sui cui conti correnti sono stati accumulati capitali sottratti dal fallimento della San Pio S.a.s. società del settore alberghiero.

L'arresto è avvenuto nell'ambito dell’inchiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Napoli sulle procedure per la compravendita, poi non avvenuta, della clinica Ruesch spa, nota casa di cura napoletana.

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Alle prime luci dell’alba i carabinieri del Comando Compagnia di Cosenza hanno proceduto in Cosenza ed in vari centri dell’hinterland all’arresto di 6 persone, che secondo il sostituto PM della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza, Giuseppe Casciaro, si sono a vario titolo resi responsabili di estorsione e reati inerenti illeciti traffici di armi.

Un duro colpo alla criminalità bruzia.

Secondo gli inquirenti che hanno effettuato gli arresti dopo sei mesi di indagine, infatti, le armi sarebbero state destinate alla commissioni di reati di particolare gravità.

Ecco i nomi:

Antonio Dodaro, 48 anni, tassista, in carcere;

Antonio Belsito 52 anni, in carcere;

Luigi Imperatore, 23 anni, obbligo di firma;

Gianfranco Bruzzese, 45 anni, ai domiciliari ;

Eugenio Iannotti 56 anni, ai domiciliari ;

Pasquale Imperatore, 42 anni, ai domiciliari.

Pubblicato in Cosenza

Nei guai anche il senatore di Scelta Civica Aldo Di Biagio. Le accuse ipotizzate nei confronti degli indagati, a seconda delle posizioni processuali, vanno dall'associazione per delinquere, al falso in atto pubblico fino al riciclaggio.

Associazione a delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato, falso in atto pubblico e riciclaggio. Per questi reati sei persone, tra cui due avvocati (Gina Tralicci e Nicola Staniscia), una collaboratrice di studio, un'impiegata dell'Ente nazionale assistenza sociale e un dipendente di banca, sono finiti in manette nell'ambito dell'indagine della procura di Roma, coordinata dall'aggiunto Nello Rossi, su una truffa ai danni dell'Inps e del ministero della Giustizia. Indagato anche il senatore di Scelta Civica Aldo Di Biagio. I provvedimenti cautelari, firmati dal gip, sono stati eseguiti dai militari del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza. Avrebbero sottratto dalle casse dell'Inps in soli cinque anni oltre 22 milioni i due coniugi avvocati del Foro di Roma, ritenuti a capo di una associazione per delinquere, arrestati su ordine del gip Paola Della Monica. I due, inoltre, avrebbero inoltre recentemente depauperato le casse dello Stato di ulteriori ingenti somme, promuovendo avverso il Ministero della Giustizia molteplici ricorsi fraudolenti. In manette anche una collaboratrice dello studio legale e un faccendiere operante presso l'Ente Nazionale Assistenza Sociale (E.N.A.S.) in Croazia. Le indagini hanno permesso di scoprire la struttura estera dell'organizzazione, in Argentina e Croazia, nonché il coinvolgimento di altri avvocati e collaboratori, di un professore universitario, anch'egli esercente l'attività forense, di un compiacente funzionario di banca e di un Senatore della Repubblica, recentemente eletto nelle consultazioni politiche. Nell'ambito della stessa inchiesta sono complessivamente 13 le persone indagate per reati che vanno, a seconda delle singole posizioni, dall'associazione per delinquere, alla truffa aggravata ai danni dello Stato, alla falsità commessa da pubblici ufficiali in atti pubblici, fino al riciclaggio. Le accertate modalità di truffa sono consistite: nel patrocinare ricorsi, avverso l'Inps, per l'ottenimento di oneri accessori su pensioni per conto di centinaia di soggetti residenti all'estero risultati ignari e/o deceduti prima del conferimento della procura alla lite e, recentemente, nel presentare ricorsi, avverso il Ministero della Giustizia, per il riconoscimento «dell'equa riparazione per lungaggini processuali» (ex L. 89/2001, c.d. «legge Pinto»), anche in questo caso, per conto di molteplici soggetti ignari della pretesa creditoria. Le attività investigative del pool reati economico-finanziari della Procura della Repubblica di Roma, hanno accertato come l'associazione a delinquere - dopo aver incassato milioni di euro provento di reato, mediante articolate operazioni bancarie, agevolate dalla compiacenza di un funzionario di banca addetto alla liquidazione dei risarcimenti riconosciuti dai giudizi favorevoli emessi nei confronti dei fantomatici ricorrenti - li ha utilizzati, una parte, per acquistare una villa di ingente valore sita in Cortina d'Ampezzo (BL) ed immobili di pregio nella città di Roma, la restante parte, per la costituzione di consistenti provviste finanziarie, schermate da società fiduciarie, giacenti su rapporti di conto corrente accesi in Svizzera, Lussemburgo, Gran Bretagna e Panama. Sono altresì in corso di esecuzione da parte dei militari del Nucleo Speciale Polizia Valutaria di Roma sequestri preventivi di tre appartamenti di pregio oltre a disponibilità finanziarie per oltre 2,5 milioni di euro su conti correnti radicati in Milano, Roma e Svizzera nonché numerose perquisizioni nella capitale e a Padova presso gli studi legali e le abitazioni dei soggetti appartenenti all'organizzazione criminale. Le indagini si inseriscono in un più vasto e complesso scenario fraudolento al vaglio degli inquirenti che stanno valutando se le condotte criminali contestate ai predetti legali possano essere state replicate da altri professionisti. Non c'erano soltanto le false cause intentate all'Inps con i nominativi di cittadini ignari o di soggetti deceduti, quasi sempre con residenza all'estero (Croazia e Argentina), che Adriana Mezzoli, impiegata dell'Enas, girava agli avvocati Gina Tralicci e Nicola Staniscia. La procura di Roma ha scoperto che gli aderenti all'associazione per delinquere, data la cronica lunghezza dei tempi processuali della giustizia civile, presentavano ricorsi presso la corte di appello di Perugia, ovviamente con esito favorevole, contro il Ministero della Giustizia, per il riconoscimento "dell'equa riparazione per lungaggini processuali", come previsto dalla legge Pinto. Anche in questo caso gli arrestati agivano per conto di soggetti ignari della pretesa creditoria. "Non ho capito nemmeno io di che cosa si tratta: mi inquisiscono per aver promosso una causa, quindici anni fa, quando ero responsabile del patronato Enas. Io sono sereno, aspetto solo di conoscere i dettagli di questa vicenda". Lo ha detto il senatore di Scelta Civica, Aldo Di Biagio, dopo aver appreso di essere coinvolto nell'inchiesta della procura di Roma sulla truffa all'Inps. "La mia attività in Scelta Civica, comunque, non c'entra assolutamente nulla", ha concluso. Il Tempo

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