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Inseguimento rocambolesco, la caduta dallo scooter (fortunatamente senza gravi conseguenze) e l’arresto. Presunto malvivente in manette, lì sotto il sole incerto di via nuova Marina.

 

 

 

Mancano dieci minuti alle quattro del pomeriggio domenicale, la città assiste alla partita con il Torino, poche auto in strada, c’è chi si accosta al carabiniere e gli chiede se ha bisogno di aiuto.

Un po’ d’acqua?

Un po’ di caffè?

Il militare alza il dito pollice, dice tutto ok, attende rinforzi.

È lo stesso carabiniere ad accudire il presunto malvivente, che nel frattempo è in manette è seduto sull’asfalto.

Gli appoggia la mano sulla spalla e gli dice di stare tranquillo.

Massimo fair play in una probabile scena tra guardia e ladri, a conferma della professionalità del militare intervenuto.

Napoli 6 maggio 2018

Pubblicato in Italia

Difficile per non dire impossibile non commuoversi dinanzi a fatti che mostrano il segno di quella bontà infinita e soprattutto inusuale che ogni tanto si scopre in giro per la nostra terra italiana.

 

Ecco il fatto riportato da Gennaro Morra su Il mattino

“Bimbi malati di cancro ordinano la cena, la risposta della paninoteca è commovente.

È stata una cena speciale, quella consumata mercoledì sera dai piccoli pazienti del reparto di oncologia pediatrica del Vecchio Policlinico di Napoli.

A organizzarla per loro i volontari dell’associazione “Diamo una mano Onlus”, che da anni svolgono attività di animazione all’interno di quel reparto, cercando di rendere meno pesante la degenza ai bimbi ricoverati e offrendo un sostegno morale anche ai loro genitori.

L’idea era semplicemente di cenare tutti assieme lì, in ospedale, lasciando scegliere ai bambini cosa mangiare.

E loro avevano espresso il desiderio di ordinare dei panini da Puok Burger Store, una paninoteca del Vomero che, in poco più di un anno di attività, è già diventata un punto di riferimento per gli amanti del genere.

 

Così i ragazzi di D1M hanno preso le ordinazioni e le hanno inviate al locale, avvisando che poi sarebbe passato uno di loro a ritirare il tutto.

E quando Viviana, la ragazza deputata a prelevare la cena, ha fatto rientro in reparto, bambini e volontari non credevano ai loro occhi: «Arriva Vivi, con buste piene zeppe di panini, patatine, salse di tutti i tipi, e ci dà un bigliettino (quello in foto), ci siamo emozionati tutti – si legge in un post pubblicato ieri sulla pagina Facebook dell’associazione –.

Ma non perché non ci abbia fatto pagare nemmeno un euro, o perché ci abbia mandato il doppio di quello che avevamo richiesto, ma per il modo e soprattutto l'amore in cui quel gesto è stato fatto!!».

Al post sono allegate tre foto, una delle quali mostra lo scontrino su cui sono stati battuti tutti zeri e al centro è riportato un messaggio scritto a penna: «Che sia un momento di gioia. Staff Puok».

Un gesto che ha commosso i tanti utenti che seguono l’attività dell’associazione attraverso il social network, come si può leggere nei numerosi commenti che fanno seguito al post: «Grande gesto, la migliore medicina per l'anima........l'altruismo e la generosità!!!

 

Chi vive di questi gesti ha tutto da raccogliere per quello che semina!!! Clonate queste persone che ne abbiamo un bisogno vitale!!!», scrive Lino.

Invece, Luisa commenta così: «Che bello mi sono emozionata, non ci sono parole x descrivere la vostra bontà».

E Franco si ripropone di far visita al locale prossimamente: «Appena torno a Napoli vado da Puok».

NdR.Appena ci sarà possibile non faremo anche noi!

Pubblicato in Italia

Vi presentiamo l’ articolo di Ilario Filippone tratto da “Il Mattino” del 24 aprile e che mostra una incredibile verità sullo stato di certa sanità Reggina.

 

“Reggio Calabria, aborti senza consenso: ecco le risate nelle intercettazioni choc dei medici arrestati

Anche quando è morto il piccolo Domenico, un neonato deceduto per gravi negligenze nella gestione del parto, è scoppiato a ridere. Il primario del reparto di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale Riuniti, Alessandro Tripodi, se l’è svignata inventando una scusa:

 

”E’ morto un bambino e io ho spento il cellulare apposta, sennò il collega mi avrebbe chiamato in continuazione ah ah ah”, spiegò, sghignazzando, alla moglie.

Le hanno battezzate le intercettazioni della vergogna, un abisso di miseria in cui sono precipitati in tanti, i dialoghi captati dalla Guardia di Finanza nel corso dell’inchiesta “Mala sanitas”.

In manette sono finiti quattro big del nosocomio di Reggio Calabria. Per gli indagati Pasquale Vadalà, ex primario dell’unità operativa finita sotto accusa, e Alessandro Tripodi, nipote del capomafia Giorgio De Stefano, sono stati disposti i domiciliari.

 

Il provvedimento è stato notificato anche ai dottori Daniela Manunzio e Filippo Luigi Saccà.

Se qualcosa andava storto in sala parto, secondo gli inquirenti, erano medici pronti a inquinare le cartelle cliniche delle pazienti, per nascondere colpe e pecche. Le indagini sono scattate nel 2010. Investigando su una morte sospetta, i militari delle Fiamme gialle sono riusciti a documentare i numeri dell’orrore: due neonati deceduti per la superficialità dei sanitari, un altro con danni cerebrali permanenti, un drappello di mamme con lesioni all’utero.

 

“AL COLLEGA GLI E' RIMASTO L'UTERO NELLE MANI, AH AH AH... LA PAZIENTE STAVA MORENDO”.

Anche questa frase, sghignazzata dal ginecologo Alessandro Tripodi, è finita nelle intercettazioni disposte dalla procura di Reggio Calabria.

La donna, Cornelia Ficara, morirà un anno dopo. Nel ricostruire il suo epilogo, il gip ne ha fissato l’incipit, attribuendo precise colpe ai medici Antonella Musella, Daniela Manunzio e Pasquale Vadalà: «Ai fini dell’individuazione delle responsabilità – scrive il magistrato Antonino Laganà – giova evidenziare, sulla scorta dei dialoghi captati, che le condizioni di salute già precarie della paziente, poi deceduta, si siano notevolmente aggravate in conseguenza di una serie di errori tecnici, commessi nel corso dell’ intervento eseguito dai sanitari reparto di Ostetricia e ginecologia».

Lei era stata operata il 26 luglio 2010. Dopo l’intervento, il primario Tripodi si fece un’altra risatina sui colleghi: «Aveva la vescica aperta, le hanno sfondato la vagina».

 

“SI E' STACCATO IL COLLO DELL'UTERO, USCIVA UNA FONTANA DI SANGUE, AH AH AH..."

Così, il 12 aprile 2010, l’intercettato Alessandro Tripodi commenta l’ennesimo sgorbio medico consumato dai suoi colleghi ai danni di una partoriente. “Immagino il dottor Timpano – sghignazza - ha fatto danni, poi ha concluso l’opera”, e ancora risate a squarciagola. Ridacchia anche l’infermiera: ”Mamma che scempio, povera chi ci capita”. Scrive il gip:«Si ride costantemente degli altrui errori, forieri di devastanti conseguenze per le gestanti, ignare vittime».

 

”FAGLIELA TRAGICA, HAI CAPITO? DILLE CHE C'E' UN DISTACCO E NON SI PUO' FAR NULLA”

L’elenco delle accuse è lungo: falso ideologico e materiale, soppressione di atti veri e interruzione di gravidanza senza il consenso della donna.

Il caso della partoriente Loredana Tripodi è il più eclatante. Il fratello, il ginecologo Alessandro, ha organizzato a tavolino il suo aborto: l’uomo sospettava che il feto presentasse delle patologie cromosomiche, così ha impedito il parto all’insaputa della donna.

Ne dà conto il dialogo captato il 16 giugno 2010. Quel giorno, fornì chiare indicazioni al collega, Filippo Saccà, sulla condotta da tenere: ”Fagliela tragica, hai capito? Dille che c’è un distacco e non si può far nulla”, spiegò.

In un primo momento, il dottore Filippo Saccà si mostrò contrario:”Ma scherzi? Non esiste, tuo cognato penserà che lo abbiamo ammazzato”, rispose.

La conversazione continuò. ”Mia sorella e mio cognato – aggiunse il primario – danno i numeri”. Alla fine, i due decisero di somministrare alla gestante un farmaco per interrompere la gravidanza: “Senza dirle un cazzo, le metto il Cervidil e le spiego che sospendiamo la flebo”.

Hanno affermato gli inquirenti: “La strategia concordata dai due sanitari era quella di somministrare, all’insaputa della donna, un farmaco abortivo, per stimolare le contrazioni della gestante ed indurre l’interruzione di gravidanza”.

Il primario Tripodi è stato intercettato più volte. Eccolo mentre impartisce nuove disposizioni, per impedire il parto della sorella. “Senza che ti veda nessuno, le metti tre fiale di Sint , cosi si sbriga ad abortire”, disse alla ginecologa Daniela Manunzio”.

Noi crediamo che sarebbe necessario leggere tutte le intercettazioni!

Pubblicato in Reggio Calabria
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