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chiRigiro tra le mani una tazza decorata da cuoricini colorati colma dell'ennesimo caffè americano sulla veranda della mia dimora albertina ai piedi delle Montagne Rocciose. Il mio pensiero è tornato indietro nel tempo. Durante gli anni dell’università, per aumentare la mia capacità di concentrazione, avevo provato un farmaco sperimentale datomi da un amico della facoltà di neurologia. Un simile farmaco veniva usato anni dopo dai militari americani in Iraq e Afghanistan per restare svegli e vigili per giorni. Ero uno che non si rassegnava ai limiti che l'evoluzione aveva imposto fino ad allora sull'uomo in termini di potenzialità e durata della vita da sveglio. Un Calabrese. Data la straordinaria estensione delle trasformazioni che si stanno verificando, non è facile indicare in modo certo la dimensione specifica di questo cambiamento, che possa dare un'idea esaustiva di ciò che sta accadendo.

Ovvero: esistono vari “rischi esistenziali”, dal riscaldamento climatico alla tecnologia fuori controllo, e bisogna occuparsene prima che loro si occupino di noi. Ironia della sorte Bill Gates, in una lettera aperta, mette in guardia da un futuro prossimo in cui le macchine potrebbero superare gli uomini dal punto di vista cognitivo. “Non necessariamente una singola macchina più intelligente di un umano, ma anche un'intelligenza collettiva che cumulativamente lo supera”.

Sempre nell’ambito di una visione “democratica”, il presidente Obama qualche tempo fa dichiarava che il compito di un governo è spesso di spostare il timone di soli 2 gradi a est o a ovest per poi, magari dieci anni dopo, far sì che il Paese si ritrovi da tutt'altra parte. Mentre se provi a virare di colpo di 50 gradi la nave si ribalta. Quello che desiderano tutte le democrazie occidentali, è restare ancorate al sistema vigente di imperare sulle persone con una disposizione da parte di questi ultimi a obbedire. La causa efficiente, dunque, del potere non sarebbe né più né meno che la disposizione a obbedirgli da parte del popolo.

Stiamo entrando nel vivo della questione del prossimo futuro dell’umanità e ci ritroviamo nel Sud in particolare nel nostro amato paese, a contestare un’Amministrazione Giurassica con strumenti dell’epoca, ignorando tutto ciò che ci circonda e utilizzando la nuova tecnologia semplicemente nel “postare” su FB “ciò che non funziona nel nostro paese”, invece di utilizzarla nel capire e denunciare, questi personaggi da cartone animato e la loro incapacità o volontà di non usufruire di risorse che vengono messe a disposizione dei giovani meridionali. Dimettendosi per poi potersi insultare a vicenda come vecchie baldracche. O ancora, in maniera pacatissima, richiamare il sindaco e la Giunta, ad un comportamento “consono”. Roba da scompisciarsi per giorni. Un emerito cittadino, sempre su FB, si lamentava di una fottutissima grondaia. Non è mia intenzione imbarcarmi in una valutazione complessiva della visione del potere, ma solo dare alcuni suggerimenti che attenuino la contrapposizione usuale. Piuttosto, si vuole solo presentare una traccia schematica di quanto è condiviso e incontroverso sulla situazione attuale nel Meridione. In altre parole, l’invito a guardare con attenzione ai meccanismi del potere moderno, possono essere occasione non solo per una ribellione o una critica distruttiva delle istituzioni di potere della contemporaneità.

Tutte le relazioni sociali vengono attraversate da modalità di potere, e il potere ingloba e include anche la “resistenza”, si fa per dire, al potere stesso: resistenza e potere sono reciproche, almeno quando si tratti di un sapere-potere, e il potere presuppone sempre spazi di libertà di chi vi è coinvolto, al contrario del dominio. Ecco l’idea dell’abitudine all’obbedienza come elemento distintivo della collettività: quando un numero di persone (sudditi) si pensa che abbia l’abitudine di obbedire ad una persona, o ad un insieme di persone, descritti in maniera certa e nota (governanti), tali persone prese nel loro complesso (sudditi e governanti), si dice che siano in uno stato di società politica. Quando si pensa che un numero di persone ha l’abitudine di avere una relazione reciproca, ma, nello stesso tempo, non ha quella stessa abitudine di cui abbiamo parlato sopra, allora si dice che è in uno stato di società naturale. Le relazioni fra soggetti divengono relazioni di potere, dove chi è soggetto a un potere esercita a sua volta un potere su altri, e viceversa – e si perde il centro da cui irradia il potere, e la distinzione fra governante e governato svanisce. Per tale motivo, l’opposizione al potere non può più assumere la forma di “progetti” di riforma delle istituzioni, di ingegneria istituzionale, ma deve piuttosto manifestarsi all’interno delle relazioni di micro-potere, sfruttando tali relazioni medesime, evitando i grandi progetti rivoluzionari, e privilegiando le rivolte individuali o di gruppo, su singoli momenti e in specifiche occasioni: la resistenza dev’essere sempre resistenza locale. Quando un gruppo, una minoranza o un popolo intero dice: “Non ubbidisco più”, di fronte a un potere che giudica ingiusto, rischia la vita – questo movimento mi sembra irriducibile. Perché nessun potere è capace di renderlo assolutamente impossibile. Qualcuno l’altro giorno, sempre su FB, citava l’ex presidente Pertini il quale incitava i cittadini a cacciare via, gli amministratori corrotti e incapaci, a pedate e con i bastoni.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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acquaNessun uomo entra mai due volte nelle stesse acque, perché l’acqua non è mai la stessa, ed egli non è lo stesso uomo. Anche se si tratta del Mare di Ulisse, il mare è l’acqua più pura e più impura. Per i pesci che la popolano è potabile e permette loro di vivere, mentre per gli esseri umani è imbevibile e nociva. Il filosofo greco Eraclito traeva origine dalla consapevolezza del mistero che circonda l’umanità, ma anche dall’impotenza di squarciare il velo della non-conoscenza. Da tale buio proviene l’angoscia esistenziale, schiacciata dalla volontà di indagare, di risolvere razionalmente gli interrogativi che opprimono gli esseri umani. La risposta da alcuni è ritenuta impossibile, altre volte una falsa soluzione è prospettata dal possesso dei beni terreni, mezzi per godersi la vita, eludendo il fine ultimo. E il tempo impietoso trascina i suoi passi e non concede tregua. Inseguendo le ombre di sogni impossibili e brancolando tra i tentacoli dei problemi sociali e individuali, l’uomo alla fine solamente si accorge che il suo percorso sta per volgere al termine e spesso capita che non abbia neppure la possibilità di avvedersene, fulminato sul sentiero della vita dalla sorte avversa, senza aver avuto la possibilità di trovare risposte.

Forse una storia era destinata a durare perché non era una storia d’amore. Era una storia di pioggia e di sole, di vento e di calma, d’attesa e passione, d’amicizia e condivisione, di tempo e concretizzazione, di sintonia e incomprensione, di silenzi e rumori. Non era una storia d’amore. Era una storia. Con dentro l’amore. O, forse, era amore. Con dentro una storia… Così l’uomo scopre, avendone l’opportunità, che Lei manca ma non si può dire. Manca al di là del mancabile. Manca il fatto di non poterle dire che manca. Allora la follia induce a scrivere su di un foglio bianco con una penna senza inchiostro, per scrivere, urlando, che Lei non c’è in maniera spropositata. Senza lasciare spazio tra le parole, perche una tale mancanza non consente fiato. Si continua a scrivere, pur senza inchiostro su carta bianca, un foglio bianco, vuoto, senza Lei. La Sua mancanza è la più presente di tutte le assenze.

Gli elementi fondamentali che caratterizzano il mondo in cui l'uomo è costretto a vivere sono il mutamento, il divenire e la contraddizione. Forse è questo il messaggio che il filosofo greco lanciava attraverso i suoi oscuri poemi, nei quali cercava di parlare ad una società profondamente mutata e che non sembrava disposta ad ascoltarlo. La guerra è il padre del mondo, diceva Eraclito, e la realtà è un perpetuo fluire e trasformarsi di tutte le cose. Lo stato di quiete che appare a volte nelle cose, in realtà non è altro che un precario equilibrio fra forze opposte. E’ come una lucida follia, oppure l’oscura chiarezza. Il tutto privo, in apparenza, di qualsiasi senso logico. L’uomo è riuscito a inventare tutto tranne la soluzione ai mali gravi, alla melanconia alle assenze e alla morte. Vivere allora si trasforma in un atto imposto di cui pesa la scelta all’origine, sicuramente diversa se fosse stata concessa, in un fantasiosa ipotesi, la libertà di decidere se affacciarsi alla vita oppure no. E i macigni in cui il passo inciampa durante il cammino esistenziale sono tanti e diversi tra loro.E alla fine ci attende l’abisso. “O viva morte, o dilettoso male,/come puoi tanto in me, s'io nol consento?” come scriveva Francesco Petrarca. Allora ci vorrebbe qualcuno che ci facesse capire che la conciliazione degli opposti non può essere compiuta solo nel pensiero, ma anche nella realtà sociale. Biasimando la mentalità bigotta, i comportamenti superstiziosi della gente o l’uso di adorare delle immagini che è lo stesso che parlare col muro.

In piedi davanti al mare
meravigliato della propria meraviglia:

io un universo d’atomi
un atomo nell’universo.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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fotoQualcuno in maniera superficiale deumanizza le persone di cui parla, le rende un numero.

A nessuno interessa guardare una persona negli occhi e vedere quanta sofferenza esprimano.

Questo potrebbe essere definito un articolo contro l’indignazione. Ma come, replicheranno gli indignati, con tutto quel che accade per cui è sacrosanto indignarsi, stai a vedere che ora il problema è l’indignazione!

Con gli scandali che germogliano a cadenza settimanale; la corruzione, le inefficienze, i disservizi, gli esempi d’inciviltà che affliggono i cittadini di Amantea ogni giorno – come sarebbe possibile non indignarsi?

E poi l’indignazione serve a cambiare, se si pensa che dall’altro lato c’è soltanto la rassegnazione. Dunque è meglio essere indignati che rassegnati.

A me sembra che il punto, però, sia un altro.

Ed è concreto, storico, non astratto: il problema non è l’indignazione in generale, ma l’indignazione che è venuta montando in questa cittadina tirrenica negli ultimi anni.

Un’indignazione che da qualsiasi punto di vista la si osservi non rappresenta più una soluzione.

 

Negli ultimi tempi tutta la Giunta di potere è diventata una vera e propria protagonista mediatica. Il tema è sempre lo stesso, quello dello “sdegno” da parte dei signori del Municipio, che, attraverso Sparaballe, ne diffonde la novella per le strade novembrine di Amantea.

Queste poche righe non vogliono essere di natura “strettamente” politica, ma esprimere una grande preoccupazione. Viviamo in un’epoca in cui la notizia deve viaggiare veloce, arrivare al cittadino senza preamboli o giri di parole. Sembra ormai che non abbiano nessuna importanza i perché, o l’importanza delle fonti, ma solo il carico emotivo.

 

C’è però un anello mancante tra l’indignazione e la partecipazione attiva a bloccare tutte le malefatte di una Amministrazione come quella Amanteana , su questo c’è poco da discutere.

L’anello è l’esercizio di indignazione a distanza, per così dire, che impigrisce, anche se è vero che c’è poco rinnovamento nei partecipanti alle manifestazioni: chi non partecipa si è abituato a riconoscere slogan e manifesti già visti altrove, anzi a tutte le manifestazioni di qualunque genere esse siano.

A tutto questo disfacimento partecipano a pieno titolo i media locali con quello di creare, si, proprio di creare un nemico esterno. Si osservi bene, per esempio, Salvini della Lega, una persona che cavalca l’onda dell’indignazione e della rabbia di un paese in ginocchio, indirizzandola verso delle minoranze a vantaggio del proprio partito.

Ritornando in casa nostra; a tutto questo aggiungerei che i “leaders” stessi dell’opposizione sembrano avere scarsa conoscenza del sistema che vogliono “abbattere” e precipitano in luoghi comuni di ingenuità imbarazzante. L'indignazione è lo sport nazionale italiano ergo degli Amanteani. I campionati, a cui partecipano i due terzi della popolazione, vengono trasmessi in diretta tv ogni giorno, nei telegiornali e nei salotti televisivi dei principali network nazionali.

E’ dovuta spesso a cause di interesse comune, come ad esempio microcriminalità, tasse troppo alte, servizi pubblici inefficienti. La caratteristica di queste crisi di “collera” è che la reazione è eccessiva e inappropriata rispetto all’ episodio (solitamente banale. Pensiero benpensante) che l’ha scatenata.

La rabbia viene espressa in modo esplosivo, non mediato dalla ragione e non di rado viene agita con comportamenti che mirano, senza volerlo, all’autodistruzione.

Malgrado le apparenze, le esplosioni di rabbia ripetute rivelano una profonda sofferenza interiore. In molti casi le persone che si indignano troppo, a causa della loro storia personale, sono particolarmente sensibili alle esperienze di perdita, rifiuto e abbandono. Una indignazione collettiva sacrosanta si trasforma in disagio personale. Per questa ragione ogni minimo segnale di rifiuto o di disinteresse da parte di una persona significativa è in grado di innescare una sensazione di disperazione che si esprime con rabbia e accuse. Nulla di più. L’indignazione si vende oggi nelle strade e sui social in rete benissimo, meglio di quasi tutto il resto, forse meglio anche di Madonna che annuncia sesso orale per tutti se vince Hilary Clinton.

 

Motivi per indignarsi, figuriamoci, questa nostra cittadina ne ha da vendere. Ed è vero pure che a certe condizioni l’indignazione serve a qualcosa. Il punto, però, è un altro.

Il problema non è l’indignazione vaga, generale, ma l’indignazione che è venuta montando ultimamente ed è quell’indignazione che, malgrado all’inizio sia stata generata da fatti concreti (la nauseante gestione della cosa pubblica), poi li ha trascesi, e s’è trasformata in una sorta di condizione dello “spirito”: uno stato d’animo autosufficiente e lievitante, pervasivo e stabile; che non ha più bisogno della realtà per sostenersi ma, al contrario, determina il modo in cui la realtà viene letta; e che in breve tempo si dilaterà a dismisura e inghiottirà qualsiasi avvenimento, cosa o persona.

Che inghiottirà, alla fine, l’intero Paese, Regione e Nazione.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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