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Non solo deficit, adesso anche mille lavoratori precari a rischio licenziamento entro la fine dell’anno con conseguenze inimmaginabili sui servizi forniti.

Sulla sanità calabrese si abbatte un’altra scure.

Il Consiglio dei ministri, infatti, su proposta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, ha deliberato lo scioglimento dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro.

 

Pesantissima la motivazione: «accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali».

Lo scioglimento durerà 18 mesi e in questo periodo la gestione dell’Ente sarà affidata ad una commissione di gestione straordinaria.

«La situazione della sanità in Calabria è molto seria» è stato il commento del neoministro della Salute Roberto Speranza, da subito impegnato con i problemi calabresi.

«Il rispetto rigoroso del principio di legalità sarà essenziale per aprire una stagione in cui il diritto alla salute venga effettivamente garantito» ha aggiunto il ministro.

Uno scioglimento, quello dell’Asp di Catanzaro, che giunge a sei mesi esatti da quello dell’Asp di Reggio Calabria, anche in quel caso decretato per infiltrazioni mafiose.

Attualmente l’Azienda sanitaria catanzarese era retta da un reggente, visto che ancora non era stato nominato il commissario che, in base al Decreto Calabria, avrebbe dovuto gestire l'Azienda per cercare di rimettere a posto i conti.

L’Ente era finito nell’occhio del ciclone nel novembre dello scorso anno, dopo l’operazione «Quinta Bolgia» della Direzione distrettuale antimafia che aveva portato all’arresto di 24 persone tra le quali ex componenti del management dell’Azienda.

Nell’inchiesta sono finiti l’ex direttore generale dell’Asp di Catanzaro, Giuseppe Perri - i suoi predecessori Gerardo Mancuso e Mario Catalano sono indagati in stato di libertà -, Giuseppe Pugliese, direttore amministrativo sino all’ottobre 2017, ed Eliseo Ciccone, già responsabile del Suem 118 ed ora destinato ad altro incarico.

Pesanti le conclusioni cui sono giunti i magistrati della Dda ed i finanzieri del Comando provinciale del capoluogo e dello Scico di Roma.

Secondo l’ipotesi accusatoria, infatti, la cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte aveva un controllo totale dell’ospedale di Lamezia Terme proprio grazie al management dell’Asp per il tramite di due politici, l’ex parlamentare Giuseppe «Pino» Galati e Luigi Muraca, componente del Consiglio comunale di Lamezia sciolto nel 2017 per infiltrazioni mafiose.

Secondo l’accusa, gli Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, grazie ai loro sottogruppi e alla connivenza di amministratori pubblici e politici, avevano il controllo della fornitura di ambulanze sostitutive del 118, oltre che dei servizi di onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario, del trasporto sangue e di altro ancora

«Lo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’Asp di Catanzaro conferma la necessità e l’urgenza che l’intero governo M5S-Pd prenda in mano al più presto la situazione della sanità calabrese, dotando le aziende del Servizio Sanitario Regionale di vertici capaci di garantire legalità e tutela della salute con indipendenza e coraggio».

Lo affermano, in una nota, i parlamentari calabresi del M5S Francesco Sapia, Bianca Laura Granato, Paolo Parentela e Giuseppe d’Ippolito, che aggiungono: «Il provvedimento del Consiglio dei ministri, analogo a quello che aveva già interessato l’Asp di Reggio Calabria, è indicativo della patologia principale da cui è affetto il Servizio sanitario della Calabria, cioè la sudditanza rispetto ad un sistema di potere che finora ha potuto agire incontrastato tra complicità e silenzi».

«Siamo certi – concludono – che il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il ministro Luigi di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle, raccoglieranno in prima persona questo nostro appello, anche perchè sulla sanità calabrese non c’è più tempo da perdere».

Pubblicato in Catanzaro

Lamezia Terme:“Nel giugno 2017 il Prefetto di Catanzaro Luisa Latella disponeva l'accesso della commissione presso il comune di Lamezia dopo l'inchiesta della Dda contro le cosche cittadine, nell'ambito della quale sono stati indagati un consigliere comunale ed il vice presidente dello stesso Consiglio.

In attesa che il decreto venga ufficialmente pubblicato su Gazzetta ufficiale, il Ministro dell'interno Minniti afferma anche che la relazione del Prefetto alla luce dell'accesso antimafia, effettua un "raffronto tra le risultanze dell'accesso attuale e quelle che diedero luogo agli scioglimenti per infiltrazioni nel 1991 e nel 2002 rinvenendo, in assoluta continuità, la persistenza delle medesime dinamiche collusive e dell'operatività degli stessi personaggi di spicco delle organizzazioni criminali dominanti in quel territorio".

Uno dei passaggi della relazione al Presidente della Repubblica fatta dal ministro dell'Interno Marco Minniti che ha portato allo scioglimento del Consiglio comunale di Lamezia Terme, evidenzia un diffuso quadro d'illegalità in diversi settori e dice che "Fonti tecniche di prova hanno attestato come la campagna elettorale per il rinnovo degli organi elettivi sia stata caratterizzata da un'illecita acquisizione dei voti che ha riguardato, direttamente o indirettamente, esponenti della maggioranza e della minoranza consiliare".

In sostanza sarebbero emerse le "Stesse dinamiche collusive degli scioglimento del 1991 e 2002"

Nella relazione si afferma che "ulteriore rilevante elemento che evidenzia un contesto ambientale compromesso è rappresentato dalla sussistenza di cointeressenze, frequentazioni, rapporti a vario titolo tra numerosi componenti sia dell'organo esecutivo che di quello consiliare con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata".

E Dall'attività della commissione è emerso un "Diffuso quadro di illegalità nell'Ente e rapporti con soggetti contigui ad organizzazioni criminali".

Cioè "un diffuso quadro di illegalità, in diversi settori dell'ente che, unitamente ad un generale disordine amministrativo, si sono rilevati funzionali al mantenimento di assetti predeterminati con soggetti organici o contigui alle organizzazioni criminali egemoni ed al consequenziale sviamento dell'attività di gestione dai principi di legalità e buon andamento".

Di particolare rilievo sono stati gli "Affidamenti a cooperative sotto indagine e appalti sempre aggiudicati dalle medesime ditte".

Pubblicato in Lamezia Terme

Lo ha detto la Bindi in occasione di un incontro a Cosenza per la sigla di un protocollo di legalità sugli appalti.

Alla firma era presente anche il ministro dell’Interno, Marco Minniti.

 

Una Bindi spietata: “Ci sono tutti gli elementi per sciogliere il Consiglio di Lamezia”.

Anche Cassano a rischio.

E’ vero che la decisione dello scioglimento spetta al Consiglio dei Ministri ma certo la Commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi ne sa tanto.

Ovviamente dopo i fatti, non prima delle elezioni!

Anzi sembrerebbe che la decisione potrebbe essere presa entro questa settimana.

Bene!

Almeno il sindaco di Lamezia, Paolo Mascaro soffrirà poco la fame.

Uno sciopero quindi inutile anche se lui lamenta di non essere stato sentito dalle autorità preposte per discutere dell’ipotesi di commissariamento (sarebbe il terzo in pochi anni per la quarta città della Calabria).

La stessa Bindi ha inoltre ricordato che la decisione sullo scioglimento.

Nel frattempo il sindaco di Lamezia, Paolo Mascaro, che aveva iniziato lo sciopero della fame lamentando il fatto di non essere stato ricevuto dalle istituzioni potrebbe anche porre fine a questo sforzo che sembra ormai inutile.

La Bindi si è spinta oltre, affermando che “anche Cassano Ionio è in una situazione che presenta elementi che possono portare allo scioglimento”.

Pubblicato in Lamezia Terme

L’ex sindaco di Tropea Pino Rodolico e gli ex assessori Rosalia Rotolo e Romana Lorenzo impugnano davanti al TAR lo scioglimento del consiglio comunale

 

Secondo i ricorrenti «Lo scioglimento del consiglio comunale di Tropea per mafia è stato decretato senza che ci fossero i necessari presupposti».

Nel documento gli ex amministratori contestano molti rilievi contenuti nella relazione inviata al ministero dal prefetto Carmelo Casabona.

Nella relazione del ministro Alfano al presidente della Repubblica viene evidenziata la “sussistenza di concreti elementi su collegamenti diretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata”

“L’analisi svolta evidenzia la sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi, riscontrando pertanto i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.

A Rodolico venne danneggiata da un ordigno esplosivo l’autovettura parcheggiata in pieno centro storico.

In particolare, l’attività di accesso agli atti ha evidenziato la “sussistenza di forti legami di parentela e di frequentazione di alcuni amministratori e dipendenti comunali, molti dei quali con gravi precedenti di natura penale, con esponenti di ambienti controindicati. Tali rapporti, consolidatisi nel tempo, hanno prodotto uno sviamento dell’attività amministrativa dell’ente in funzione degli illeciti interessi e delle regole della criminalità organizzata”.

Elementi di rilievo, nelle motivazioni, sarebbero poi “gli accordi pre-elettorali” che, secondo la commissione di accesso agli atti, sono “maturati alla presenza di soggetti presumibilmente vicini alle cosche mafiose Mancuso e La Rosa”. In particolare, emerge che nel mese di aprile 2014 “veniva organizzato un incontro in un albergo nelle vicinanze di Tropea al quale erano presenti, oltre al futuro sindaco, soggetti riconducibili ad ambienti criminali. Durante la riunione veniva decisa parte del futuro assetto della Giunta comunale con l’assicurazione, ad uno dei candidati sindaco che, se avesse ritirato la propria candidatura e avesse sostenuto la lista del primo cittadino, avrebbe ottenuto in cambio un incarico da assessore”. Circostanza che poi si è effettivamente verificata.

Ad aggravare ulteriormente il quadro: la coincidenza temporale dell’atto intimidatorio ai danni del sindaco (ancora ad oggi a opera di ignoti), con la revoca della delega di assessore ad Antonio Bretti, provvedimento di revoca avvenuto solo “in conseguenza dell’interessamento delle forze di polizia” alla famigerata vicenda del “tuffo di Capodanno” e non già alla “presa di coscienza della gravità dell’evento”.

In quella circostanza, come si ricorderà, “uno dei principali promotori della manifestazione fu un noto pregiudicato del luogo, all’epoca sottoposto a sorveglianza speciale”, che venne poi addirittura intervistato, “alla presenza dello stesso assessore e di altri esponenti del consiglio comunale”, nel corso di un servizio televisivo “formalmente richiesto alla Rai” proprio da Bretti. Iniziativa alla quale “diede il proprio benestare anche il sindaco”.

Nella relazione del ministro Alfano quell’evento viene rubricato alla stregua di “un chiaro messaggio mediatico per dimostrare il dominio della locale cosca agli occhi del pubblico”. Si elencano poi il ricorso ad “affidamenti diretti” per lavori di “somma urgenza” a “ditte verosimilmente vicine al contesto criminale locale”; le violazioni, anche di natura penale (turbativa d’incanti, falsità ideologica), “emerse in relazione alla realizzazione di un’aiuola alla Marina dell’isola con la scelta di procedere ad una spesa di circa 8mila euro pur essendovi la possibilità di eseguire tali lavori gratuitamente”; le irregolarità nella gestione dell’impianto di depurazione al fine di “favorire la prosecuzione del servizio alla ditta in carica”; le carenze “nelle procedure di rilascio delle concessioni delle aree demaniali nonché attività di vigilanza e controllo del settore”; le “ingerenze del sindaco e di parte della Giunta nella scelta delle ditte affidatarie attraverso il ricorso ad affidamenti in somma urgenza”.

Pubblicato in Vibo Valentia
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