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Sarà un caso che immediatamente prima dell’incontro dei vescovi venezuelani con il Papa l'arcivescovo di Caracas, cardinale Jorge Urosa Savino, rampa gli indugi e dichiari che Maduro "ha perso l'appoggio popolare" e per questo ha lanciato il suo progetto di riforma costituzionale, per "impiantare un sistema totalitario, comunista, materialista e militarista", che è "contrario agli interessi di tutti, ma specialmente dei più poveri"?

Intanto un altro manifestante, appena 17enne, è stato ucciso dalle forze dell'ordine.

Ed è lo stesso governo ad ammettere che ci sono stati eccessi nella repressione delle manifestazioni dell'opposizione.

Ora Caracas protesta contro la riforma costituzionale lanciata da Nicolas Maduro - e respinta dall'opposizione come antidemocratica - con cortei finalizzati a raggiungere la sede centrale del Consiglio Nazionale Elettorale (Cne) da diversi punti della capitale.

La chiesa venezuelana ha preso atto che la Giornata di preghiera per la pace in Venezuela, svoltasi in tutte le diocesi del paese il 21 maggio, ed indetta per chiedere al Signore con insistenza la soluzione del problema politico ed economico, la cessazione della violenza, la fine della repressione del popolo nelle manifestazioni, il rispetto dei diritti umani, in particolare verso i detenuti politici, la validità dei valori democratici, la riconciliazione e la pace non sembra aver sortito gli effetti sperati

E forse per questo che il Cardinale Jorge Urosa Savino, Arcivescovo di Caracas ha detto che “I membri delle Forze Armate e della Polizia devono essere fautori e garanti del rispetto della Costituzione e, per vocazione, devono garantire, prima di tutto, la pace e la sana convivenza del popolo venezuelano al quale essi appartengono. Facciamo appello alla coscienza di quelli che comandano queste forze, dinanzi ai numerosi decessi di cittadini causati da abuso di autorità in azioni repressive. La responsabilità morale per gli atti che portano alla violenza, feriti e morti è di coloro che li attuano, così come di quelli che li hanno ordinati o consentiti”.

Aspettiamo cosa dirà il Santo Padre.

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L'opposizione venezuelana non molla e continua a resistere in piazza.

Il simbolo della protesta è la donna fotografata mentre, avvolta nella bandiera nazionale,

 

blocca da sola un blindato della Guardia Nazionale su un'autostrada di Caracas.

Un'immagine che immediatamente ha inondato i social e la rete riportando alla mente la foto-icona di Tienanmen con il ragazzo che fronteggia un carro armato.

La protesta, che ha già un bilancio di tre morti, ha riportato in strada anche oggi migliaia di persone che a gran voce chiedono la fine del governo di Nicolas Maduro.

Le rivendicazioni restano le stesse - elezioni anticipate, restituzione dei poteri al Parlamento, liberazione dei prigionieri politici, corridoio umanitario per cibo e medicine - così come non cambia la risposta del governo: unità antisommossa hanno cominciato a caricare i manifestanti quando ancora si stavano concentrando in diversi punti di Caracas.

«Cercano di evitare che la gente si riunisca, ma a noi non importa, aspettiamo che arrivi la gente e intendiamo marciare fino all'ufficio dell'Ombudsman», ha detto il deputato dell'opposizione Jorge Millan da uno di questi punti di raccolta, nel quartiere di Paraiso. Stesso scenario a San Bernardino (nord), Santa Monica (ovest) e Santa Fe (est).

Nel frattempo, il governatore dello stato di Tachira, José Vielma Mora, ha detto che la 23enne morta ieri a San Cristobal (capitale dello stato, nell'ovest del Paese) è stata uccisa da un militante dell'opposizione, contrariamente a quanto affermato da altre fonti locali.

Secondo Vielma Mora, la giovane donna è stata uccisa da un «militante oppositore» che «ha sparato dalla finestra del suo appartamento contro un gruppo di motociclisti che passavano per la strada». Ma testimonianze e video delle persone residenti nella zona - diffusi su Internet - raccontano un'altra versione: ad ucciderla sarebbero stati invece gli stessi motociclisti, in realtà militanti chavisti dei cosiddetti "colectivos".

E in questo clima di caos e violenza è arrivata dagli Stati Uniti la notizia che la General Motors ha deciso di sospendere tutte le sue operazioni in Venezuela, dopo che il governo ha «inaspettatamente sequestrato» la sua fabbrica locale, con una misura definita «arbitraria» ed «illegittima» dall'azienda americana.

Il costante degrado della situazione in Venezuela è stato commentato dal presidente colombiano e Premio Nobel per la Pace, Juan Manuel Santos, che in un tweet è lapidario: «Sei anni fa glielo dissi a Chavez: la rivoluzione bolivariana è fallita».

Domani sabato 22 aprile si terrà la "Marcia del silenzio" per i caduti nelle proteste fino alla conferenza episcopale venezuelana.

Il vicepresidente del Parlamento di Caracas, Freddy Guevara, ha chiesto agli oppositori di "sfilare in silenzio e vestiti di bianco verso le sedi della conferenza episcopale a Caracas e in tutto il Paese" sabato, per rendere omaggio alle persone uccise - almeno cinque- durante le manifestazioni dei giorni scorsi, compreso il sergente della Guardia Nazionale morto ieri nei dintorni della capitale.

E per lunedì 24 sarà il "grande buca" è previsto il blocco delle principali autostrade del Paese.

In quanto a lunedì prossimo, Guevara ha detto che l'opposizione organizzerà "blocchi autostradali che fermeranno il traffico su tutte le principali arterie del Paese durante l'intera giornata".

Registriamo le forti preoccupazioni degli italo venezuelani ritornati in Italia per la sorte dei propri cari ancora in Venezuela.

Il presidente Maduro ha detto che sono stati "gli Usa, il dipartimento di Stato a dare il semaforo verde, l’approvazione al colpo di Stato per intervenire in Venezuela".

L’accusa che è stata liquidata come "infondata" dal rappresentante ad interim americano nell’Organizzazione degli Stati americani, Kevin Sullivan.

Il ministro degli Esteri venezuelano, Delcy Rodriguez, che ha denunciato che "Il mondo e il Venezuela sono profondamente preoccupati per le bombe lanciate dagli Usa su Siria e Afghanistan".

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di Riccardo Noury. Dieci componenti di una stessa famiglia uccisi in 15 anni. Una storia drammatica, quella dei Barrios, in Venezuela.

L’ultimo omicidio risale appena al 16 maggio: la vittima si chiamava Roni Barrios e aveva 17 anni. Il suo corpo è stato ritrovato con ferite alla testa e al collo che hanno fatto pensare a un’aggressione a colpi di machete o di ascia.

Il ragazzo viveva e lavorava nella capitale Caracas ( nella foto) ma era appena rientrato nella sua città natale, Guanayén, nel sud del paese.

È qui, a Guanayén, che ha inizio la storia dolorosa della famiglia Barrios. Il 28 agosto 1998 la polizia fa irruzione nell’appartamento dove Benito Antonio Barrios, 28 anni, vive insieme ai due figli, Jorge Antonio e Carlos Alberto. Quattro agenti di polizia picchiano Benito Antonio e lo portano via. Il suo corpo viene rinvenuto all’ospedale locale, con ferite mortali d’arma da fuoco al petto e all’addome. La polizia giustifica l’irruzione (non ciò che è accaduto dopo, che resterà e resta tuttora un mistero), sostenendo di aver ricevuto una telefonata in cui si segnalava una rissa tra due uomini.

Cinque anni dopo, l’11 dicembre 2003, la polizia arresta Jorge Antonio, uno dei due figli di Benito Antonio Barrios. Lo zio Narciso e il cugino Nestor seguono gli agenti, ritrovano Jorge Antonio che alla fine viene rilasciato. Gli agenti però uccidono Narciso Barrios, sparandogli diverse volte alla testa, di fronte a Nestor.

Il 21 settembre 2004 Luis Alberto Barrios, fratello di Benito Antonio, testimone oculare dei fatti del 28 agosto 1998, viene raggiunto da una serie di colpi d’arma da fuoco alla testa e muore. Il giorno prima aveva ricevuto una telefonata minacciosa dalla polizia.

Pochi mesi dopo, siamo nel gennaio 2005, dopo quattro giorni di agonia muore il sedicenne Rigoberto Barrios. Prima di spirare, accusa un poliziotto di avergli sparato. Sua madre dichiara di aver ricevuto minacce di morte dalla polizia.

Quell’anno, la maggior parte dei Barrios lascia Guanayèn. Ma la storia non finisce qui.

Negli anni successivi, una seconda generazione dei Barrios perde la vita: Oscar José, 22 anni; Wilmer José, 19; Juan José, 28, Victor Tomas, 16, Jorge Antonio (figlio di Benito Antonio), 24; e, 10 giorni fa, come detto, Roni.

I Barrios ancora in vita sono terrorizzati. Alcuni di loro, i più tenaci nella ricerca della giustizia, sono stati ripetutamente minacciati. Si sono anche rivolti agli organi di giustizia regionali, che in diverse occasioni, a partire dal 2004, hanno ordinato al governo venezuelano di fornire protezione alla famiglia. Ordine non eseguito.

Nel novembre 2011, la Corte interamericana dei diritti umani ha stabilito che il Venezuela è responsabile dell’assenza di indagini efficaci e della mancata protezione. L’anno scorso, peraltro, il Venezuela ha annunciato il ritiro dalla Convenzione americana dei diritti umani e, di conseguenza, dalla giurisdizione della Corte.

Negli ultimi 15 anni, le autorità di Caracas non hanno detto una sola parola sullo sterminio della famiglia Barrios.

Questo è l’amaro commento di Eloisa Barrios (terza da destra in una foto scattata in occasione di un’udienza della Corte interamericana dei diritti umani), sorella di Narciso e zia di Roni: “Quando ho iniziato a chiedere giustizia per la morte di Narciso, il secondo dei miei fratelli a essere ucciso, non avrei mai immaginato che così tanti altri parenti sarebbero stati assassinati sotto i miei occhi. Ritenevo che cercando giustizia avrei protetto meglio gli altri. Ora mi rendo conto che è stato persino peggio”.

Quanti altri Barrios dovranno essere uccisi prima che il governo venezuelano si decida ad agire? ( da Il corriere della Sera)

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