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È il sinistro annuncio dell’Isis.

Il nuovo portavoce della fazione Abu Hamza al-Quraishi, ha solennemente annunciato il nome del successore: si tratta dello stesso al-Qurayshi.

La mossa — come si legge sul Corriere — è arrivata nel giorno in cui il Pentagono ha diffuso i video del blitz nel quale ha ucciso Al Baghdadi e «ridotto a un parcheggio» il suo compound.

 

Nel messaggio Abu Hamza al-Quraishi ha anche dichiarato: «America, non ti rendi conto che lo Stato islamico è in prima linea in Europa e Africa occidentale?

È esteso da est a ovest.

Il vostro destino è controllato da un vecchio pazzo, che va a dormire con un’idea e si risveglia con un’altra.

Non celebrate (la morte di Baghdadi, ndr), non siate arroganti.

Il nuovo scelto vi farà dimenticare l’orrore che avete visto e farà sembrare dolci i giorni dei risultati di Al-Baghdadi».

L’Isis ha precisato che il nuovo leader ha esperienza in campo religioso, ha partecipato a molti combattimenti e – condizioni indispensabile – è un discendente della tribù al Qurayshi, quella del Profeta.

Identico legame per il portavoce definito un muhajr, ossia uno straniero.

Nel messaggio l’organizzazione, oltre a confermare la morte di al Baghdadi, esorta i militanti a pronunciare il giuramento di fedeltà.

Nulla cambia – ha sottolineato Abu Hamza – non siamo mai stati così vicine alle coste dell’Europa.

L’appello è destinato a innestare, probabilmente, la macchina della propaganda con i “Wilayat” pronti a riconoscere la nuova guida.

Pubblicato in Mondo

La Cina ha messo in guardia contro un «risveglio» di «organizzazioni terroristiche», incluso lo Stato islamico (Isis), in Siria, Paese arabo devastato da otto anni di guerra e ha invitato la comunità internazionale a non trascurare i «segnali di avvertimento».

Lo ha riferito la France Presse.

 

 

 

 

 

 

Xie Xiaoyan, inviato speciale di Pechino per la Siria ha parlato con i giornalisti a Ginevra dopo un incontro con l'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria Geir O. Pedersen.

«Oggi esiste il rischio che organizzazioni terroristiche come l'Isis si stiano svegliando», ha affermato.

L'Isis ha conquistato gran parte dei territori di Siria e Iraq nel 2014, dove ha proclamato un «califfato», prima di essere sconfitto da una coalizione internazionale.

La visita del diplomatico cinese a Ginevra arriva mentre il presidente siriano Bashar al-Assad si prepara a lanciare, con l'aiuto del suo alleato russo, un'importante offensiva contro Idlib, l'ultima roccaforte jihadista nel Nord-ovest della Siria.

La lotta al terrorismo non è ancora finita

Alla domanda sulla posizione di Pechino su una possibile offensiva da parte del regime di Damasco, Xie Xiaoyan ha ammesso che si tratta di una questione «molto complicata.

Sappiamo tutti che questa è l'ultima roccaforte di alcune organizzazioni terroristiche (...) e quindi è una questione da risolvere», ha aggiunto.

«La lotta al terrorismo non è ancora finita».

Pubblicato in Mondo

Non lasciate le vostre case perché noi abbiamo sete del vostro sangue.

Questo è quello che scrivono i terroristi dell'ISIS.

Ma noi rispondiamo mostrando l'altra guancia: Accoglienza, integrazione.

Inutile illudersi, i terroristi islamici sono in mezzo a noi e ieri ne abbiamo avuto le prove.

A Strasburgo, nel mercatino di Natale molto affollato, sono state uccise almeno tre persone e ferite, alcune in modo grave, una decina di festanti acquirenti.

Uccise e ferite da chi?

Ma da un terrorista islamico che ore le Forze dell'Ordine gli danno la caccia.

Lo conoscevano benissimo e ora ha anche un nome. Si chiama Cherif C., molto conosciuto in Francia, schedato,arrestato varie volte, processato, condannato e sempre messo in libertà e ora ha colpito ancora.

La mattanza poteva essere evitata? Certamente.

Sarebbe bastato che il terrorista fosse stato trattenute nelle patrie galere a marcire, invece, da libero cittadino, ha colpito ancora riportando indietro le lancette dell'orologio alle stragi di Parigi e di Bruxelles. Cherif doveva essere arrestato per l'ennesima volta proprio ieri mattina, ma la Polizia non l'ha trovato in casa.

Evidentemente stava preparando il vile attentato in un mercatino di Natale molto affollato, dove la gente allegra e spensierata faceva gli ultimi acquisti per la preparazione del presepe e dell'albero di Natale.

Ora è braccato dalla Polizia, si dice che sia finanche ferito ad un braccio.

E' riuscito a fuggire per i vicoli e le stradine di Strasburgo.

Dove sarà diretto? Sta forse preparando un altro attentato? Ma dove?

Mi torna in mente il terrorista dei mercatini di Natale di Berlino ricercato per giorni e giorni in Germania e poi ucciso in un conflitto a fuoco con le Forze dell'Ordine Italiane a Sesto San Giovanni.

Arrivati a questo punto una semplice domanda è d'obbligo.

Ma perché i terroristi dell'ISIS non attaccano per ora l'Italia? Perché le nostre Forze dell'Ordine sono molto più brave e preparate di quelle francesi e tedesche e quando riescono ad acciuffare un presunto terrorista per motivi di sicurezza viene subito espulso dall'Italia.

Pubblicato in Mondo

Il prossimo obiettivo adesso sarà l’Italia: lo avrebbe annunciato l’Isis sul canale di comunicazione usato dai jihadisti su Telegram.

Lo riferisce l’organizzazione Usa Site che monitora l’attività dello Stato islamico sul web.

In realtà non è la prima volta, se la notizia trovasse riscontri, che lo Stato islamico minaccia il nostro Paese, indicando addirittura di voler arrivare al Colosseo e San Pietro.

Sulla copertina di un vecchio numero di Dabiq, rivista patinata dell’Isis, campeggiava proprio una bandiera nera sopra l’obelisco di San Pietro.

Sarà vero? Non sarà vero? Intanto l’Italia si blinda.

E Paolo Gentiloni a Rimini dice "Non credo alla propaganda di questo o quel sito jihadista, ma nessun paese, neanche l'Italia, può sentirsi al sicuro dalla minaccia dell'Isis"

Si riferisce alla chat postata all’inizio di questo articolo.

Una chat , ecco la chat che minaccia l'Italia e sulla quale si legge:

"Bruxelles, Parigi, Stoccolma, Berlino, Nizza, Spagna, Finlandia, Russia... Who's next?".

Chi è il prossimo?

Ed ecco la bandiera tricolore.

La minaccia dei terroristi Isis all'Italia, è comparsa sulla chat segreta Telegram "Lone Mujahid", di cui Repubblica ha ottenuto i messaggi.

La bandiera italiana è inequivocabile.

Poco sotto, alcune scritte in inglese.

Anche queste lasciano pochi dubbi. "I nipoti di Tariq ibn Ziyad hanno seminato il terrore nei loro cuori, lo stesso faranno i nipoti del leone Omar al Muktar, che colpiranno presto!".

Roma, Milano, Firenze ?

Intanto le città vengono blindate, cementificate.

Pubblicato in Italia

Francesco Gagliardi si interroga e ci interroga.

Forse la risposta non è difficile ma è sicuramente brutta!

Ecco il suo articolo:

“Ancora una volta il mondo è rimasto gravemente turbato, attonito, dopo

l’attentato di Stoccolma in Svezia ad opera di un giovane dell’ISIS che con un camion ha seminato morti e feriti in una via del centro e dopo la strage avvenuta nella Domenica delle Palme in due chiese copte in Egitto dove hanno perso la vita centinaia di cristiani in preghiera.

Ci si stupisce. Perché Stoccolma? Perché l’Egitto? Perché Berlino? Perché Nizza? Perché Londra?

Perché siamo in guerra e perché è in atto una guerra di religione e di civiltà.

Ma nessuno lo dice. Anche il Santo Padre tace e invita alla preghiera. A questi perché non vogliamo rispondere perché abbiamo paura. Siamo dei vili, siamo dei codardi. Per viltà cerchiamo di fuggire ai pericoli, ma veniamo meno ai nostri doveri: difendere la nostra religione, difendere la nostra civiltà.

E’ vero che siamo in guerra, basta leggere i giornali, basta guardare la televisione.

Ogni giorno kamikaze che si fanno saltare in aria, uccisioni, bombardamenti, battaglie, distruzione, morte e rovine dappertutto. Gente che abbandona la propria terra e i loro affetti. Perseguitati che con mezzi di fortuna cercano di raggiungere una terra promessa.

E’ vero che è in atto una guerra di civiltà e di religione, è vero che l’islamismo radicale vuole sconfiggere il cristianesimo, ma tutti tacciono.

Hanno paura di dire la verità, hanno paura di dire le cose come stanno. Temono le conseguenze che sono pericolosissime.

Pierluigi Battista scrive sul “Corriere della Sera”:- Non riusciamo a concettualizzare una guerra culturale, scatenata contro un intero sistema di vita, contro i cristiani, gli ebrei e i musulmani di altre confessione, fatta per motivi ideologici e dove questa ideologia si chiama islamismo fondamentalista, radicale, integralista -..

Quando si era in guerra una volta si usavano gli aerei, le navi, i carri armati, i cannoni, le bombe.

Ora le armi che vengono usate contro i cristiani dai terroristi ovunque nel mondo sono le cinture esplosive, le asce, i coltelli, i camion, gli stessi corpi che si fanno saltare in aria per seminare il terrore.

Tanto loro vanno in Paradiso e saranno accolti da una marea di vergini, così fanno credere a questi poveri imbecilli.

Siamo in guerra. E’ una guerra di civiltà e di religione, continuo a dire. E ci ricordiamo di quei cristiani fatti saltare in aria nelle chiese e nelle vie solo quando sono pezzi di carne a brandelli sanguinanti colpevoli soltanto di professare la propria fede.

Centinaia di migliaia di famiglie cristiane sono costrette ad abbandonare ogni giorno la propria terra per sfuggire alle persecuzioni, alle barbare uccisioni e agli attentati dell’ISIS.

Oggi ci lamentiamo. E’ tardi. E’ troppo tardi. Le bombe nelle chiese copte il giorno delle Palme sono la dimostrazione di una verità ormai inconfutabile. In quei paesi africani dove l’ISIS è forte la vita dei cristiani è in pericolo.

Grazie anche agli errori commessi dall’Europa e alla indifferenza dei cristiani occidentali. Si rischia la vita ovunque, non solo se si va in chiesa, ma anche nelle vie e nelle piazze, nei negozi, nei bar, nei pub, nelle discoteche.

Perché tutto questo? Perché per gli integralisti musulmani i cristiani, tutti i cristiani, sono degli infedeli e quindi devono essere eliminati, distrutti, se non si convertono alla loro religione. E intanto il Santo Padre invita alla preghiera:-

Il Signore converta il cuore delle persone che seminano terrore, violenza, morte-.

Ma Santo Padre, le preghiere non bastano, non sono sufficienti a fermare le mani dei carnefici e le carneficine contro i cristiani.

Oltre alle preghiere e nei casi estremi ci vuole dell’altro.

Per sconfiggere il fascismo e il nazismo ci sono volute le bombe sganciate dagli anglo-americani e gli sbarchi in Sicilia, ad Anzio , in Normandia e ad Est l’avanzata dell’Armata Rossa.

Per sconfiggere il Giappone ci sono volute le bombe atomiche sganciate ad Hiroshima e Nagasaki.

Per sconfiggere il comunismo c’è voluto il crollo del muro di Berlino e l’avvento di Gorbaciov.

E’ vero, Santo Padre, che Gesù è presente in tanti fratelli e sorelle che soffrono a causa delle guerre e del terrorismo, ma noi cosa facciamo, cosa abbiamo fatto fino ad ora per alleviare le loro sofferenze?

Francesco Gagliardi

Pubblicato in Mondo

Pur addolorato come ci ha scritto Francesco ( Ciccio) Gagliardi non manca di intervenire su quanto successo ieri l’altro a Berlino. Questo è il suo pensiero che pubblichiamo nel ridondante silenzio della politica e della cultura della nostra città:

“Ad una settimana del Santo Natale che è la festa più sentita e più grande per noi cristiani di solito ci siamo interessati di regali da fare agli amici e parenti, di panettoni e di pandori, di luminarie, di concerti che le Amministrazioni Comunali organizzano in,piazza, di cullurielli e di turdilli che le nostre mamme preparano in abbondanza.

Quest’anno, invece, ci dobbiamo interessare, e le pagine dei giornali sono piene di questo triste avvenimento, di un attentato terroristico avvenuto in Germania e precisamente in una via di Berlino dove si svolgeva il mercatino di Natale.

E’ vero che Berlino è molto distante dall’Italia, ma questi vili attentati contro gente inerme compiuti dai terroristi islamici in nome del loro Dio Allah, colpiscono anche le nostre coscienze.

Quello che è accaduto a Berlino potrebbe accadere anche nelle nostre città, sia grandi che piccole. Ancora una volta, a distanza di pochi mesi, un grosso camion è piombato sulla folla inerme che felice faceva shopping in un mercatino in una via di Berlino seminando distruzione e morte.

E pure questa volta anche una fanciulla italiana che si trovava a Berlino per lavoro é vittima di questo vile attentato terroristico.

Ancora una volta abbiamo vissuto l’incubo di Nizza, in Francia, quando 86 persone persero la vita falciate da un grosso Tir impazzito guidato da un terrorista islamico sulla Promenade des Anglais piena di gente, che assisteva ai fuochi d’artifizio in occasione della festa nazionale francese. A Berlino, per fortuna, i morti sono stati soltanto dodici.

I feriti una cinquantina, una ventina molto gravemente.

I giornali italiani oltre ad interessarsi delle crisi che affliggono le nostre banche, vedi il caso dei Monti di Paschi di Siena, del Governo Gentiloni che dovrà votare al più presto una nuova legge elettorale, della crisi dei vari partiti politici e delle lotte interne, della crisi dell’Azienda Mediaset sotto attacco da parte di una azienda francese, della crisi dell’Amministrazione Capitolina e del Sindaco di Milano costretto ad autosospendersi per un avviso di garanzia, si sono dovuti interessare, loro malgrado, di un vile attentato fatto in nome di un Dio e dell’uccisione dell’Ambasciatore Russo in Turchia ad opera sempre di un integralista islamico che ha voluto vendicare i bombardamenti Russi su Aleppo.

Tutti speravano stupidamente che almeno per il Santo Natale ci sarebbe stata una tregua, che non ci sarebbero stati attentati, uccisioni, lutti e rovine. Si sono sbagliati.

Anche a Natale si uccide.

Anche a Natale non c’è nessuna tregua.

E probabilmente si ucciderà ancora perché siamo in guerra, anche se molti fanno finta di non saperlo.

Questa guerra non finirà mai perché i terroristi islamici ci odiano, ci vogliono tutti morti. Anche noi li abbiamo nelle nostre città e forse anche nei nostri piccoli paesi dove ci sono centri di accoglienza. Essi vivono accanto a noi. Li vediamo tranquilli in fila al supermercato dietro di noi. Fanno finta di sorriderci, ma ci odiano.

Ci vogliano distruggerci perché siamo occidentali, europei e cristiani. Per sopravvivere dobbiamo tutti convertirci alla loro religione, rinnegare i nostri usi e costumi, le nostre tradizioni. Sono pronti ad ucciderci in nome del loro Dio Allah.

Non abbasseremo la guardia, chiese, monumenti, fiere e mercati sono presidiati dalle Forze dell’Ordine, siamo al sicuro dicono i nostri governanti. Balle.

Ci colpiscono quando vogliono e dove vogliono, negli stadi, nei mercati, nei supermarket, nelle piazze, nelle vie affollate, nelle chiese, nelle scuole, nelle discoteche, nei bar, ovunque. Ormai non siamo più al sicuro neppure nelle nostre case.

Non usano più bombe a mano, granate, pistole, mitragliatrici. Usano i mezzi di trasporto, camion di grossa cilindrata, perché più sicuri e senza controllo.

Uccidono e poi spariscono.

Poi, improvvisamente (ri)compaiono e uccidono ancora al grido di:”Allah è grande”.

Non hanno paura di morire anzi si offrono al martirio perché sono convinti che Allah ha preparato per loro il Paradiso e che ad attenderli ci saranno centinaia di vergini.”

Pubblicato in Basso Tirreno

New York, 26 aprile. Lo dice James Clap per capo dell’intelligence americana.

 

Cellule terroristi che dormienti dello Stato islamico sono presenti in Italia, in Germania e nel Regno Unito.

Si tratta di gruppi analoghi a quelli che hanno organizzato gli attentati di Bruxelles dello scorso 22 marzo, in cui più di trenta persone sono state uccise.

 

A lanciare l'allarme ieri è stato il capo dell'intelligence americana James Clapper a un evento con il quotidiano statunitense Christian Science Monitor.

Alla domanda se credeva che esistano simili cellule clandestine nelle tre nazioni europee, Clapper ha risposto "Si".

 

Clapper ha sottolineato la necessità per i Paesi dell'Unione Europea di impegnarsi di più nella condivisione di informazioni d'intelligence per contribuire a contrastare attacchi terroristici.

 

Secondo l'esperto, il desiderio delle nazioni Ue di incoraggiare la libera circolazione di beni e persone attraverso i loro confini e di garantire la privacy dei propri cittadini "in alcuni casi è in conflitto con la responsabilità di proteggere la sicurezza"(askanews).

Pubblicato in Mondo

Qualcuno può anche pensare che sia un titolo folle.

E ci può anche stare, in partico lare per chi non ha mai saputo, perché non la ha vissuta, cosa sia una guerra, atteso che è ormai lontana dall’Europa da oltre 70 anni.

 

Soprattutto può pensare che sia un titolo folle chi non ha mai saputo come si vive con l’orecchio teso al segnale d’allarme che imponeva a tutti di correre al più vicino rifugio per evitare di restare sotto le bombe od i proiettili sparati dagli aerei che violavano il cielo anche delle più piccole città.

E può pensarlo chi non ha negli occhi gli effetti delle bombe, sulle persone e sulle cose.

Parlo della guerra di cui abbiamo visto tanti effetti, come nel caso dei 17 morti dell’attentato al Charlie Hebdo del gennaio 2015 fatto in nome di Allāhu Akbar.

 

Parlo dei 130 morti del 13 novembre 2015 a Parigi, quando in 40 minuti è cambiata la storia della Francia e dell'Europa.

Parlo degli attentati di oggi 22 marzo a Bruxelles, capitale dell’Europa, attentati troppo vicini alla cattura di Salah Abdeslam.

 

Ovviamente non mancheranno gli insulsi che, per tranquillizzare popoli impauriti, sosterranno che si tratta dei colpi di coda dell’ISIS che sta perdendo la sua guerra.

 

Noi vogliamo invece segnalare la intelligenza tattica degli attentati.

L’attacco alla libertà di stampa, principio e fine della intera libertà della nostra Europa.

L’attacco ai giovani ed ai loro luoghi di incontro.

L’attacco ai trasporti come elemento indispensabile di contatti tra popoli e merci.

Per questo la riteniamo una guerra non dichiarata.

Per questo la temiamo.

Per questo ne parliamo.

Per questo chiediamo ai governi di combatterla senza limiti.

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chiapettaFiumefreddo bruzio  - Anche lo studio di Psicologia della Dottoressa Gesina Chiappetta si unisce ai colleghi che già in queste ore hanno messo a disposizione la loro competenza e professionalità per assistere gli italiani che si trovano nella capitale francese.

 

Verranno presi in carico testimoni, sopravvissuti ma anche semplici cittadini italiani che devono affrontare la vita di ogni giorno. 

 

"Forse in questo momento un fiumefreddese desidererebbe esprimere le sfumature delle sue emozioni nella sua lingua, desidererebbe essere ascoltato, sostenuto e aiutato nel rielaborare il dramma del 13 novembre.          

 

per ricevere la consulenza gratuita basta inviare una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.         

 

indicando nome e cognome

Pubblicato in Mondo

(NdR: Non è obbligatorio leggerlo, ma potrebbe aiutarci a riflettere e capire!)

 

“Il massacro commesso dagli assassini alla sede di Charlie Hebdo ha scioccato, sconvolto e indignato. Ma lancia anche una sfida. E' compito della polizia chiarire le complicità di cui gli autori di questo crimine efferato hanno potuto beneficiare. Questo sarà il tema dell'inchiesta e, si spera, dell'imminente processo a questi assassini (secondo le ultime notizie uscite mentre scriviamo, gli assassini sono stati uccisi dalla polizia, ndt). Ma, già da ora, emergono due problemi: quello della nazione, e, quindi, della sovranità, e quello della laicità.

Il fallimento dell'integrazione è prima di tutto il rifiuto della Nazione

Ciò che rivelano le derive del settarismo, certamente molto minoritarie, ma comunque esistenti in una parte della gioventù francese, è il sentimento di anomia1 dell'identità. Una parte dei giovani, figli di immigrati, non riescono a integrarsi, perché non sanno a cosa integrarsi. Un'espressione importante, e davvero molto giusta, del maggio 1968 è che non ci si può innamorare di un tasso di crescita. Allo stesso modo, non ci si integra a un PIL. Questi giovani, che a volte manifestano rumorosamente il loro attaccamento al paese d'origine dei loro genitori, sanno che in realtà essi sono respinti dalle società del Nord Africa. Non si sentono francesi, perché non osiamo più parlare della Francia. Eppure, quando le cose vanno male, ci si ritorna immediatamente. Nel suo discorso del 7 gennaio, il Presidente della Repubblica non ha fatto menzione dell'Europa. E' una dimenticanza veramente rivelatrice.

Ma questi giovani sanno bene di essere nati da qualche parte e che la loro storia personale è irreversibile. Questo sentimento può portare a delle reazioni molto diverse. Alcuni possono trovare dentro di sé le risorse per cercare di integrarsi malgrado tutto. E qui ci inchiniamo davanti ad Ahmed Merabet, 42 anni, figlio dell'immigrazione e poliziotto membro della brigataVtt del commissariato del XIesimo arrondissement di Parigi, vigliaccamente assassinato a sangue freddo dai criminali che hanno colpito Charlie Hebdo; ugualmente ci si inchina davanti a Franck Brinsolaro, poliziotto del servizio di protezione, responsabile per la protezione di Charb. Questo vale anche, ma se ne è parlato di meno, ed è cosa deplorevole, per i molti soldati francesi uccisi durante le operazioni all'estero. Ad esempio in Mali, come il sergente Thomas Dupuy, o in Afghanistan; questi uomini danno testimonianza del loro attaccamento alla Francia, terra di adozione divenuta patria e per la quale sono morti. Sì, l'integrazione funziona, ma riguarda ormai solo una parte di coloro che dovrebbe raggiungere. C'è il timore, se non stiamo attenti, che questo processo si amplifichi.

L'illusione del religioso, l'importanza del narcisismo.

Altri si rivolgono alla religione e può finire nel fanatismo. Ma, dietro l'apparenza di un aumento della religiosità, in realtà stiamo assistendo a un aumento dell'affermazione della propria identità e del narcisismo. Le restrizioni dei tabù sul cibo e sull'abbigliamento, sui segni esteriori (come ad esempio la questione del velo tra i musulmani) hanno in primo luogo lo scopo di identificare brutalmente una comunità, separandola dal resto della popolazione e rinchiudendola entro dei riferimenti mitizzati a beneficio di pochi. Queste pratiche, che producono delle reazioni, in realtà approfondiscono le divisioni tra gli individui, invece di mettervi fine. Nella ricerca della purezza, e ogni religione distingue il "puro" dall'"impuro", non vi può essere un movimento collettivo, se non di piccole comunità assediate dalle reazioni violente di altre comunità. Questa è anche la trappola che viene tesa dagli assassini, come ha ben sottolineato Robert Badinter nel giornale FR2 di mercoledì 7 gennaio. Colpisce il fatto che Marine Le Pen, nella sua breve dichiarazione (sempre su Fr2), abbia detto sostanzialmente la stessa cosa.

Attraverso questo ritorno alla religione, hanno quindi ritenuto di proteggersi dall'anomia. In realtà, ci si sono precipitati a capofitto. Qui è necessario constatare il fallimento dell'integrazione per una parte della popolazione immigrata, perché questi ultimi non hanno avuto dei riferimenti che potessero assimilare. L'integrazione è un processo di assimilazione di regole e costumi, che è in parte cosciente (attraverso lo sforzo fatto per imparare la lingua e la storia della società in cui ci si vuole integrare), ma è anche in parte incosciente. Perché questo meccanismo inconscio si possa mettere in atto, è necessario che ci sia un riferimento. La perdita o l'eliminazione di quest'ultimo nel nome di un "multiculturalismo", che non rappresenta in realtà che la tolleranza verso pratiche molto diverse, è un grave ostacolo all'integrazione. In realtà, così come per fare degli scambi si devono stabilire degli oggetti che non si scambiano, così per integrare e far pervenire degli individui a un principio di tolleranza, devono essere definiti dei confini molto chiari, dei punti sui quali non si può transigere. Ancora una volta, scopriamo i danni causati dallo scandaloso relativismo che si fregia delle insegne delle scienze sociali per sovvertirne meglio gli insegnamenti.

Il tradimento delle élite e la perdita della sovranità.

Dobbiamo quindi sottolineare le enormi responsabilità delle élite politiche, l'UMP come il PS, che abbandonano la Francia a piccoli passi, sia perché non credono più nel nostro paese (ma come fa allora la Corea del Sud?) o per interessi stupidi e malvagi, la voglia di vivere la vita delle élite globalizzate. Quello che dimenticano tutti i politici che hanno ceduto al canto delle sirene della "popolizzazione" è che per oltre il 95% della popolazione francese, la vita reale avviene entro i confini di questo paese che si chiama Francia. Per coloro che non credono più nella Francia, ci si sarebbe aspettati almeno il tentativo di costruire un'Europa veramente federale, sul modello della Germania o degli Stati Uniti. Si tratta di un progetto che possiamo comprendere. Ma il progetto è fallito. Si sarebbe dovuto proporre quando è crollato il muro di Berlino. Invece, abbiamo voluto perpetuare il metodo tradizionale della costruzione europea, quello dei "piccoli passi". E oggi ne paghiamo il prezzo, con la Francia che non è più un vero paese poiché ha abbandonato molte delle sue prerogative sovrane, dalla moneta al bilancio, alle istituzioni europee, e un'Europa che non sarà mai un paese, come vediamo tutti i giorni, in particolare nella riduzione del bilancio dell'Unione europea, che oggi è a meno dell' 1,3% del PIL. Il sistema confederale che ne risulta, e in cui ci troviamo per impostazione predefinita, provoca la crisi sia economica che politica che l'Europa sta attraversando. Questa crisi che devastato la Grecia, il Portogallo, l'Irlanda, la Spagna e l'Italia, e domani, se non stiamo attenti, devasterà la Francia.

La Corte costituzionale tedesca ha ben visto il problema, quando ha ricordato in una delle sue sentenze del 2009 che non c'era nessun popolo europeo, e che solo i diversi paesi costituivano il quadro democratico. In questo spazio di mezzo in cui vegetiamo nasce l'anomia. E dall'anomie nascono dei mostri. Tutti i politici francesi che non hanno voluto ascoltare quello che chiaramente aveva detto il nostro popolo già dieci anni fa, col rifiuto della Costituzione europea tramite referendum, ne sono responsabili. Sono quindi profondamente squalificati quando oggi richiamano all'unità nazionale.

Poiché l'Europa federale è impossibile, e con essa il mito di un '"Europa sociale", bandiera del PS e di una parte della sinistra e oggi ormai completamente screditata, bisogna quindi tornare rapidamente indietro e restituire alla Francia gli strumenti della sua sovranità. Questa passa per la moneta, naturalmente, con la dissoluzione della zona euro, ma anche per le diverse regole vincolanti in materia di bilancio. È auspicabile che ciò avvenga a livello europeo. Ma ciò che è desiderabile, non è tuttavia sempre possibile. È necessario che questo avvenga in ogni modo, che i nostri partner lo vogliano o no.

Società eterogenee società dense.

Ma la costruzione di una nazione, o la ricostruzione, richiede di riflettere su ciò che può creare un legame tra persone diverse con credenze differenti. Quale può essere la natura di questo cemento? Si ritiene che oggi, in questi tempi che vogliamo "globalizzati", il fattore economico prevalga sulla politica. Le relazioni "di mercato", si sostituirebbero dunque alle relazioni che costituiscono il tessuto della società. Quest'ultima sarebbe quindi solo il risultato di una somma di "contratti" tra due o più persone, e, quindi, potrebbe essere colta attraverso ciascun particolare contratto. Ciò implica una spersonalizzazione dell'azione e del ruolo delle norme che ne derivano, spersonalizzazione basata su principi simili a quelli dell'economia monetaria perfetta descritta da Simmel [1]. Ma Simmel stesso era consapevole del fatto che una società il cui cemento non fosse un insieme di istituzioni tra loro collegate e interdipendenti , che non potessero quindi essere separate analiticamente le une dalle altre, potrebbe portare solo all'anomia [2].

Noi in realtà viviamo in società ad alta densità economica, ma anche sociale. Diciamo subito che questa definizione della densità non è quella dei geografi o dei demografi, anche se prende da loro in prestito naturalmente alcuni aspetti. Le società moderne hanno infatti la caratteristica di essere dense, non solo umanamente (in senso geografico e demografico), ma anche a causa delle interazioni sempre più sviluppate e più potenti tra gli attori. Queste interazioni derivano da quello che si potrebbe chiamare "progresso delle forze produttive", per prendere in prestito una formula di Marx. Questi sono gli effetti di esternalità sempre più importanti indotti dai mezzi materiali utilizzati dal XIX secolo. Dobbiamo a Durkheim la paternità del concetto di densità sociale. Nel suo libro Le regole del metodo sociologico egli stabilisce il concetto di densità dinamica e di densità materiale della società. [3] Questa densità dinamica corrisponde al numero delle relazioni esistenti tra le unità di una società data:

"La densità dinamica può essere definita, a parità di volume, in funzione del numero di individui che sono effettivamente tra loro in relazioni non solo commerciali ma anche morali; vale a dire che non solo si scambiano servizi o si fanno concorrenza, ma vivono una vita in comune". [4] La densità materiale corrisponde a sua volta alla densità demografica, ma anche allo sviluppo dei canali di comunicazione e di trasmissione. Per Durkheim, queste due densità sono necessariamente collegate: " Per quanto riguarda la densità del materiale (...) essa di solito avanza di pari passo con la densità dinamica e generalmente può servire a misurarla" [5]

L'eterogeneità degli agenti in una società che è materialmente densa induce allora una eterogeneità e una molteplicità di forme di interazione. La complessità che ne risulta può essere trattata solo da un insieme di istituzioni e di forme organizzative. Questi insiemi istituzionali e queste forme organizzative devono essere complementari, sia nelle regole che producono sia negli effetti generati da queste regole. Questa doppia complementarietà preclude qualsiasi tentativo di replicare la logica dell'atomismo al livello delle istituzioni. Dobbiamo quindi tener conto della necessità di un'azione collettiva. [6] Qui troviamo il contributo della filosofia pragmatica di Dewey. [7] La relazione con l'istituzionalismo apre così la questione del suo rapporto con l'olismo metodologico. [8]

La laicità, compagna necessaria della sovranità

Ma il riconoscere l'importanza di una prospettiva di analisi olistica, solleva la questione di su quali basi costruire le regole e le istituzioni, in breve, le forme collettive necessarie. C'è nostalgia per un'età mitica in cui si affermava la trilogia "Un re, una legge, una fede." Questa nostalgia trova espressione sia tra i fondamentalisti islamici che tra gli identitari. Ma questo mitico ideale è stato frantumato una volta per tutte dalla eterogeneità delle credenze, che si è imposta come uno dei fatti più importanti della Riforma.

Le guerre che ne sono derivate sono state tra le più atroci e più implacabili che l'Europa abbia mai conosciuto. L'unica soluzione stava nella separazione tra la vita pubblica e la vita privata, e nel confinamento della religione a quest'ultima. Questo è stato riconosciuto e teorizzato alla fine delle guerre di religione da Jean Bodin, in un'opera postuma, la Heptaplomeres [9] compagno segreto dei Sei libri della Repubblica. Il suo contenuto non fa che continuare e portare avanti quello dei Sei libri. Di cosa si tratta dunque? Bodin immagina che sette personaggi, i quali praticano tutti la medicina [10] e professano una fede diversa, siano riuniti in un castello. Ognuno al proprio turno cercherà di convincere gli altri sei. Naturalmente, ogni volta è un fallimento, e per una semplice ragione: la fede non è una questione razionale. Quando il settimo di questi personaggi ha finito di parlare, si pone una domanda formidabile: che cosa faranno?

La risposta è illuminante per due motivi. Il primo è che essi decidono di non parlare più tra loro di religione, cioè la religione è esclusa dal dibattito pubblico e diventa una "questione privata", anche se, a titolo di cortesia, si impegnano tutti ad andare alle celebrazioni gli uni degli altri. La seconda è che decidono di lavorare in comune "per il bene dell'umanità." Un'altra fine sarebbe stata possibile. Essi avrebbero potuto decidere di separarsi e ognuno lavorare separatamente nella propria comunità. Ed è qui la seconda "invenzione" di Bodin. Si insiste, giustamente, sulla prima e cioè la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata. È essenziale. Ma questa non dovrebbe nascondere la seconda, non meno importante. L'invenzione della sfera privata, e del confinamento della fede in quest'ultima, ha senso solo perché le persone di fedi diverse devono coabitare insieme. Che Jean Bodin sottolinei l'azione comune delle persone di diverse credenze religiose è molto importante. Ciò significa che ci sono delle cose comuni, la Res Publica, che sono più importanti della religione. Questo significa anche che ciò che chiamiamo nella nostra lingua "laicità" è una condizione di esistenza delle società eterogenee. [11] Sottraendo le questioni della fede dallo spazio pubblico si consente così di creare il dibattito e approfondire altri argomenti. In questo senso, Bodin pone il problema dell'articolazione dell'individualismo con la vita sociale, un problema che è al centro del mondo moderno.

Sovranità e laicità

Oggi dobbiamo reagire. Non chiedendo sanzioni più severe e un arsenale repressivo. Questo può essere necessario, ma essendo consapevoli che si è in un campo essenzialmente simbolico. Si può fare un gesto politico, ma la reazione dovrebbe essere più profonda e, in un certo senso, più radicale. Di fronte alla crescita dell'anomia e dei suoi mostri occorre ricostruire urgentemente le condizioni per l'esercizio della sovranità popolare all'interno della nazione. Ma, per questo, è indispensabile avere un atteggiamento fermo sulla laicità, che è la garanzia fondamentale delle nostre libertà. Sì, dobbiamo riunirci e trovare le fondamenta della Res Publica. Ma i nostri leader eletti sono gli ultimi a poterlo fare.

Gli assassini sembrano forti solo perché noi siamo deboli, e dimentichi dei principi di cui siamo portatori. Li abbiamo lasciati montare sulle nostre spalle. Raddrizziamoci e cadranno a terra!

di Jacques Sapir, 8 gennaio 2015

[1] Simmel G., Philosophy of Money, Routledge, Londres, 1978; pubblicato originariamente col titolo Philosophie des Geldes, 1900;

[2] Deutschmann C., “Money as a Social Construction: on the Actuality of Marx and Simmel”, Thesis Eleven, n°47, novembre 1996, pp. 1-20

[3] E. Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, Presses Universitaires de France, coll. Quadrige, Paris, 1999 (première édition, P.U.F., Paris, 1937).

[4] Id., pp. 112-113.

[5] Id. pp. 113.

[6] D. Truman, The Governmental Process , A. Knopf, New York, 1958.

[7] J. Dewey, John Dewey: Philosophy, Psychology and Social Practice , edito da J. Ratner, Putnam's Sons, New York, 1963.

[8] M-C. Villeval,, "Une théorie économique des institutions?", in Boyer et Saillard Théorie de la régulation. État des savoirs, La Découverte, Paris, 1995, pp.479-489.

[9] Bodin J., Colloque entre sept sçavants qui sont de différents sentiments des secrets cachés des choses relevées, traduzione anonima del Colloquium Heptaplomeres di Jean Bodin, testo curato da François Berriot, con la collaborazione di K. Davies, J. Larmat et J. Roger, Genève, Droz, 1984, LXVIII-591.

[10] Cosa che non è senza importanza perché la medicina, sotto l’impulso di persone come Ambroise Paré, e grazie alla pratica della dissezione dei cadaveri, è diventata la scienza del corpo umano, e ha intrapreso la strada che la renderà una scienza.

[11] Un commento illuminante del suo contributo alle idee di tolleranza e di laicità si trova in: J. Lecler, Histoire de la Tolérance au siècle de la réforme, Aubier Montaigne, Paris, 1955, 2 vol; vol. 2; pp. 153-159

1 "Anomia": Il termine fu coniato da Durkheim nel suo studio sul suicidio del 1897 per identificare quello stato di tensione e smarrimento che affliggerebbe l’individuo qualora posto in un contesto sociale debole, ossia incapace di proporre norme e valori sociali condivisi e riconosciuti, NdT

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