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Già 20 anni fa Bettino Craxi, durante il suo esilio a Hammamet profetizzò un futuro per niente roseo per l’Italia nell’UE:”l’Italia nella migliore delle ipotesi finirà in un limbo, ma nella peggiore andrà all’inferno”.

 

 

Unione Europea uguale: declino, per l’Italia, la prima vittima dell’euro, grazie a un certo Romano Prodi.

E il contesto è chiaro: si scrive globalizzazione, ma si legge impoverimento della società e perdita di sovranità e indipendenza. Sono alcune delle “perle profetiche” di quello che Vincenzo Bellisario definisce «l’ultimo statista italiano», ovvero il vituperato Bettino Craxi, spentosi 17 anni fa nel suo esilio di Hammamet.

Un uomo che «bisognava eliminare a tutti i costi», scrive Bellisario, sul blog del “Movimento Roosevelt”, ricordando alcuni punti-chiave del vero lascito politico del leader socialista, eliminato da Mani Pulite alla vigilia dell’ingresso italiano nella sciagurata “camicia di forza” di Bruxelles, i cui esiti si possono misurare ogni giorno: disoccupazione dilagante e crollo delle aziende, con il governo costretto a elemosinare deroghe di spesa per poter far fronte a emergenze catastrofiche come il terremoto.

«C’è da chiedersi perché si continua a magnificare l’entrata in Europa come una sorta di miraggio, dietro il quale si delineano le delizie del paradiso terrestre», scriveva Craxi oltre vent’anni fa. Con questi vincoli Ue, «l’Italia nella migliore delle ipotesi finirà in un limbo, ma nella peggiore andrà all’inferno».

«Ciò che si profila, ormai – profetizzava Craxi – è un’Europa in preda alla disoccupazione e alla conflittualità sociale, mentre le riserve, le preoccupazioni, le prese d’atto realistiche, si stanno levando in diversi paesi che si apprestano a prendere le distanze Bettino Craxida un progetto congeniato in modo non corrispondente alla concreta realtà delle economie e agli equilibri sociali che non possono essere facilmente calpestati».

Il governo italiano, visto l’andazzo, «avrebbe dovuto, per primo, essendo l’Italia, tra i maggiori paesi, la più interessata, porre con forza nel concerto europeo il problema della rinegoziazione di un Trattato che nei suoi termini è divenuto obsoleto e financo pericoloso». Rinegoziare Maastricht? Nemmeno per idea: «Non lo ha fatto il governo italiano. Non lo fa l’opposizione, che rotola anch’essa nella demagogia europeistica. Lo faranno altri, e lo determineranno soprattutto gli scontri sociali che si annunciano e che saranno duri come le pietre».

A tener banco, ancora, saranno «i declamatori retorici dell’Europa», ovvero «il delirio europeistico che non tiene conto della realtà». Sbatteremo contro «la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione», un disastro che – secondo il “profeta” Craxi – è stato quindi accuratamente programmato.

L’euro? No, grazie: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro». Già, il mondo globalizzato: «La globalizzazione non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subita in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza».

Questo mortificante mutamento, aggiunge Craxi, si colloca «in un quadro internazionale, europeo, mediterraneo, mondiale, che ha visto l’Italia perdere, una dopo l’altra, note altamente significative che erano espressione di prestigio, di autorevolezza, di forza politica e morale». Non è certo amica della pace Romano Prodiquesta «spericolata globalizzazione forzata», in cui ogni nazione perde la sua identità, la consapevolezza della sua storia, il proprio ruolo geopolitico.

«Cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire». Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione, aggiunge Craxi, si avverte «il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare», opportunamente “accolti” da politici perfettamente adatti a questo nuovo ruolo di maggiordomi.

Un nome? Romano Prodi. «Nel vecchio sistema – scrive Craxi – il signor Prodi era il classico sughero che galleggiava tra i gruppi pubblici e i gruppi privati con una certa preferenza per quest’ultimi ed una annoiata ma non disinteressata partecipazione ai palazzi dei primi». Come presidente dell’Iri non era nient’altro che «una costola staccata dal sistema correntizio democristiano» e, lungo il cammino, si era dimostrato «poco più di un fiumiciattolo che rispondeva sempre, sulle cose essenziali, alla sua sorgente originaria». Il “signor Prodi”, come leader politico? «Nient’altro che il classico bidone». Infatti se ne sono accorti tutti. Vent’anni dopo.

Posted on gennaio 25, 2017 Fonte Libreidee.org

Pubblicato in Italia

Bruxelles ha deciso: la tassa regionale che l’Italia applica sulla benzina per autotrazione va abolita e l’Italia non può far altro che adeguarsi.

“Non ha finalità specifiche, ma unicamente di bilancio” afferma l’Unione europea e per questo risulta contraria alle normative europee sul regime generale delle accise.

L’invito dell’Europa ad abolire la tassa regionale pone l’accento sul modo di attuazione del federalismo fiscale in Italia: molti infatti hanno erroneamente pensato che l’autonomia in termini di tasse avrebbe potuto trasformarsi in un modo per raccogliere soldi utili, mentre la Commissione ha denunciato senza mezzi termini la questione.

Il decreto legislativo 398 del 1990 stabilisce che “le regioni a statuto ordinario hanno facoltà di istituire con proprie leggi un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione“: da qui è nata l’imposta messa in discussione da Bruxelles.

In seguito sono stati modificati i poteri delle Regioni con altre leggi, come la riforma del titolo V della Costituzione o la legge Calderoli del 2009.

Certo è però che è mancata una regolamentazione in merito, tanto che il governo Monti nel 2012 fece ricorso contro la legge regionale del Lazio che sanciva regole in materia di Irba.

Venne chiesto allora di “dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente annullare” articoli specifici della legge, quella stessa legge che Bruxelles oggi vuole abolire completamente.

La Commissione contesta all’Italia anche irregolarità per quanto riguarda l’Iva.

È stata avviata una procedura di richiamo per le condizioni aggiuntive che l’Italia applica in modo da rendere esenti da Iva i servizi riguardanti l’importazione dei beni.

Per la legge italiana il loro valore deve essere incluso nella base imponibile e soprattutto devono essere assoggettati a Iva in dogana, azione però contraria alla direttiva Iva del 2006.

Ci sono altre tre procedure avviate contro l’Italia: una riguarda i ritardi nella realizzazione delle reti di smaltimento delle acque di scarico, un’altra invece è stata avviata per “non aver garantito” serbatoi idonei per lo stoccaggio di gas Gpl portati sul mercato o in servizio.

L’Italia avrebbe consentito a vecchi serbatoi di stoccaggio destinati ad essere usati in superficie di essere modificati per essere usati come serbatoi ad uso sotterraneo.

Alle precedenti, si aggiunge l’ultima procedura, richiesta per “non aver assolto l’obbligo” di dare agli utenti informazioni minime affidabili e valide per tutti sulla viabilità connesse alla sicurezza stradale.

Da Europatoday:

“La Commissione risponde a Salvini che aveva puntato il dito contro Bruxelles: "Sui vincoli c'è la flessibilità che può essere usata per la manutenzione delle infrastrutture".

 

 

Oettinger: "In sette anni l'Italia ha ricevuto 14,5 miliardi di fondi comunitari per strade e treni"

L'Unione europea rispedisce al mittente le accuse del vicepremier Matteo Salvini che, dopo il crollo del ponte Morandi a Genova che ha causato la morte di 39 persone, aveva puntato il dito contro “i vincoli europei che ci impediscono di spendere soldi per mettere in sicurezza le autostrade”. "Per quanto riguarda la responsabilità sulla sicurezza delle infrastrutture stradali sul Trans-European transport network (Tent)", di cui ponte Morandi fa parte, "nel caso sia gestita da un operatore privato, è il concessionario ad avere la responsabilità della sicurezza e della manutenzione della strada", ha dichiarato un portavoce della Commissione europea rispondendo a una domanda sul tema.

Il ponte crollato a Genova, ha aggiunto, “è una infrastruttura che deve rispettare precisi requisiti stabiliti dalla direttiva del 2008 sulla sicurezza stradale e dai regolamenti delle reti Ten-t”, e “portare avanti le procedure previste è responsabilità delle autorità nazionali”.

La flessibilità sui vincoli

Parlando poi dei vincoli europei il portavoce ha ricordato che "le regole fiscali concordate" a livello Ue "lasciano la flessibilità a qualsiasi Stato di fissare le proprie specifiche politiche prioritarie e questo può essere lo sviluppo e la manutenzione delle infrastrutture”, poi “c'è flessibilità, nell'ambito del Patto di stabilità, e l'Italia è stato uno dei principali beneficiari di questa flessibilità".

I fondi per strade e ferrovie

L'Italia inoltre ha ricevuto in totale dall'Ue 14,5 miliardi di euro dall'Unione europea per strade e treni negli ultimi sette anni: 2,5 dai fondi regionali, 12 miliardi da EuInvest, a cui si aggiunge il via libera di Bruxelles a fondi nazionali per 8,5 miliardi destinati in parte proprio a Genova.

Lo ha scritto sul suo profilo Twitter il commissario Ue al Bilancio, Guenter Oettinger.

“È molto umano cercare qualcuno a cui dare la colpa quando succedono tragedie terribili come quella di Genova" scrive il commissario invitando però a "guardare ai fatti".

In un altro post il commissario aveva affermato anche che "sarà molto importante capire cosa è successo per evitare altri disastri di questo tipo.

Confido che le autorità italiane prendano le misure necessarie".

Ndr Che confusione!

Foto Ansa

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Bruxelles chiede una stretta sulle catture. Ma l'Italia protesta

E la Commissione Ue , infatti, ha preparato un piano d'azione per ridurre del 50% le catture.

Ma l'iniziativa non va giù all'Italia, soprattutto alle regioni adriatiche.

 

Le Marche contro il piano Ue

“La proposta europea avrebbe effetti economici e sociali devastanti per il settore e tutto l'indotto nella costa marchigiana”, hanno detto all'unisono i consiglieri della Regione Marche, Piero Celani (Forza Italia) e Fabio Urbinati (Pd) durante un'audizione alla commissione Pesca del Parlamento europeo a Bruxelles.

“Siamo disponibili a valutare l'introduzione di un piano pluriennale per una gestione efficace, semplice e stabile degli stock di piccoli pelagici”, continuano i due consiglieri regionali, ma “i nostri pescatori non possono assolutamente accettare la riduzione di tali stock, nella misura proposta dalla Commissione europea, pari ad oltre il 50%”.

“Tra l'altro in questo momento, la risorsa dei piccoli pelagici si sta riprendendo e i nostri pescatori lo vedono giornalmente in mare”, spiega Celani.

Prima che il piano d'azione della Commissione entri in vigore, occorre l'ok del Parlamento Ue: gli eurodeputati avranno tempo fino al 23 febbraio per presentare degli emendamenti.

“L'organo scientifico di supporto alla Commissione europea – dice l'eurodeputato Marco Affronte dei Verdi - sostiene che il collasso degli stock di acciughe e sardine sia molto vicino se dovessimo continuare a pescare come oggi, ma abbiamo sentito anche tanti pareri differenti.

Ho quindi chiesto ed ottenuto che venisse rinviata la scadenza per gli emendamenti al 23 febbraio. Ci serve tempo per lavorarci e chiarirci le idee”.

Il voto in commissione Pesca è previsto per marzo.  

Nessuna paura per Amantea!

Noi siamo avanti!

Abbiamo già chiuso il porto!

Pubblicato in Politica

"Gran parte dei rifiuti di imballaggio della plastica vanno a finire nei mercati al di fuori dell'Europa, in Cina, ha spiegato il Commissario Ue al Bilancio Guenther Ottinger , "la plastica vecchia, i sacchetti di plastica, il materiale di imballaggio vanno in Cina e diventano giocattoli per i nostri bambini.

Ma dal primo gennaio la Cina non prende più rifiuti plastici".

La marcia indietro di Pechino si ripercuoterà inevitabilmente sul nostro ambiente. 

"Noi produciamo e utilizziamo troppa plastica", ha insistito il Commissario, "nonostante il riciclaggio questa plastica finisce nei rifiuti, nell'interesse dei mari, degli animali, dei pesci e dei mammiferi, nell'interesse dei nostri paesaggi dobbiamo ridurre la quantità di plastica utilizzata. Ecco perchè ci sarà una tassa sulla plastica".

Dopo la tassa sui sacchetti di plastica ecco una nuova tassa europea in arrivo.

Una "tassa sulla plastica" per difendere "mari, animali, pesci, mammiferi e paesaggi" dall'inquinamento.

Il Commissario europeo al Bilancio, il tedesco Guenther Ottinger, ha promesso per la settimana prossima il lancio di una proposta volta a "creare stimoli alla riduzione di quantità di plastica attraverso unalegislazione fiscale più incisiva".

Ancora non è chiaro se a pagare saranno i produttori o i consumatori.

Il Commissario non ha voluto però chiarire questa tassa colpirà i produttori oppure i consumatori. "Dobbiamo vedere come ridurre la quantità generale di plastica, se partiamo dalla fabbricazione o alla fine della catena di consumo", ha affermato.

Ma noi abbiamo il forte sospetto che a pagare saremo sempre noi!

Noi abbiamo 3 soluzioni

La prima Bottiglioni riutilizzabili da 8 litri per l’acqua minerale al posto delle bottiglie da ½ litro, 1 litro ed 1 ½ litro

La seconda Bottiglie di vetro riutilizzabili per tutte le altre bevande

La terza Sacchetti di carta in luogo delle buste di plastica inquinanti

Pubblicato in Mondo

Una vicenda che se non fosse drammatica farebbe ridere, anzi sganasciarsi dalle risate.

I comuni hanno l’obbligo di depurare le acque reflue prima di immetterle nei laghi, nei fiumi, sul suolo e nelle acque costiere e freatiche.

 

 

 

Già, perché le acque non trattate rappresentano un rischio per la salute dell'uomo ed inquinano.

Secondo la legislazione dell'UE, infatti, entro il 2005 doveva essere introdotto un trattamento secondario per tutte le acque reflue provenienti da agglomerati con un numero di abitanti compreso tra 10.000 e 15.000 e per gli scarichi in aree sensibili, quali acque dolci ed estuari, provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 10.000.

E la Commissione europea in data 26 marzo 2015 ha sollecitato l'ITALIA a migliorare la raccolta e il trattamento delle acque reflue sotto pena di sanzioni eonomiche.

Tra gli agglomerati più grandi figurano Roma, Firenze, Napoli e Bari.

Alcuni agglomerati non rispettano inoltre l'obbligo di applicare un trattamento più rigoroso agli scarichi in aree sensibili.

Sono interessati una ventina di enti locali tra regioni e province autonome: Abruzzo, Basilicata, Bolzano, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trento, Umbria, Valle d'Aosta e Veneto. L'Italia non rispetta inoltre l'obbligo di eliminare il fosforo e l'azoto dagli scarichi in 32 aree sensibili.

Gli scambi di informazioni con l'Italia hanno confermato l'esistenza di quelle che la Commissione considera violazioni sistematiche degli obblighi UE.

La Commissione ha pertanto emesso un parere motivato.

Se non verranno adottate misure concrete per ovviare al più presto a tali carenze, la Commissione potrebbe adire la Corte di giustizia dell'Unione europea

Il 19 luglio 2012 la Corte di giustizia dell'Ue aveva statuito che le autorita' italiane violavano il diritto dell'Ue poiche' non provvedevano in modo adeguato alla raccolta e al trattamento delle acque reflue urbane di 109 agglomerati (citta', centri urbani, insediamenti).

A distanza di quattro anni la questione non e' ancora stata affrontata in 80 agglomerati, che contano oltre 6 milioni di abitanti e sono situati in diverse regioni italiane: Abruzzo (un agglomerato), Calabria (13 agglomerati), Campania (7 agglomerati), Friuli Venezia Giulia (2 agglomerati), Liguria (3 agglomerati), Puglia (3 agglomerati) e Sicilia (51 agglomerati).

La Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia dell'Ue di comminare una sanzione forfettaria di 62 699 421,40 euro.

La Commissione propone inoltre una sanzione giornaliera pari a 346 922,40 euro qualora la piena conformita' non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emette la sentenza.

La decisione finale in merito alle sanzioni spetta alla Corte di giustizia dell'Ue.

Se la Corte di giustizia dell'Ue comminerà le rilevanti sanzioni, chi le pagherà?

La regione? E cioè i calabresi tutti?

Ma non è giusto. Affatto. Le sanzioni dovrebbero essere fatte pagare a chi ha commesso l’omissione, ma come al solito, in Calabria, nessuno è mai responsabile di nulla.

E Renzi grida : Viva l’Italia!

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Basta. Basta. Iniziato lunedì 7 settembre con migliaia di agricoltori, continua il presidio di Coldiretti presso il valico del Brennero.

Massimo Albano, direttore di Coldiretti Piacenza, dichiara. «Durante le operazioni di verifica di camion frigo, autobotti  e container che circa un terzo, il 33 per cento, della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati con il marchio Made in Italy contiene materie prime straniere, all’insaputa dei consumatori e a danno delle aziende agricole». 

E’ scandaloso –continua- soprattutto perché andrà a riempiere barattoli, scatole e bottiglie da vendere sul mercato come Made in Italy.

2 prosciutti su 3 venduti sono venduti come italiani, ma provengono da maiali allevati all'estero.

3 cartoni di latte a lunga conservazione su 4 sono stranieri e senza indicazione in etichetta

La pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia

Il 50% delle mozzarelle sono in realtà fatte con latte o addirittura cagliate straniere. 

Si cercano ingredienti stranieri a minor prezzo

Minor prezzo ma minore qualità!

Per esempio il concentrato di pomodoro cinese, l’olio di oliva tunisino, il riso vietnamita,il miele cinese, eccetera.

Siamo i primi in Europa e nel mondo in fatto di sicurezza alimentare, con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,4%), quota inferiore di quasi 4 volte rispetto alla media europea (1.4%) e di quasi 20 volte quella dei prodotti extracomunitari (7.5%). 

Rispettiamo rigorose regole di produzione che ci consentono di immettere nel mercato prodotti di altissima qualità ma in Europa anziché valorizzare questo nostro indiscusso primato si assiste ad un crescendo di diktat alimentari a supporto di surrogati, sottoprodotti e aromi vari che snaturano l’identità degli alimenti consentendo, per esempio, per alcune categorie di carne, la possibilità di non indicare l’aggiunta d’acqua fino al 5 per cento.

Ma la madre di tutte le battaglie rimane l’indicazione dell’origine in etichetta per tutti i prodotti alimentari sulla quale si stanno realizzando importanti convergenze tra i diversi paesi dell’Unione. 

E la cosa più scandalosa è chela Ue in pratica vuole imporre all'Italia di produrre “formaggi senza latte.

La lotta continuerà il 15 dicembre ad Expo Milano con la Giornata Nazionale dell'agricoltura Italiana, indetta dalla Coldiretti.

Oliverio ha detto al presidente della Coldiretti calabrese Pietro Molinaro che ci sarà! Evviva! Come avremmo potuto fare senza di lui?

Pubblicato in Italia

Per un attimo tutti avevamo sperato che Syriza facesse sul serio. E invece venerdì sera ha ceduto: il nuovo governo greco ha concordato con la troika (ribattezzata "le Istituzioni") un programma in totale continuità col precedente. Il Word Socialist Web Site legge e commenta l'accordo: un atto di resa e un tradimento politico.

Questo venerdì il governo greco ha rinnegato le sue promesse elettorali, acconsentendo ad un'estensione per quattro mesi dei prestiti esistenti e del programma di austerità dettato dalla "troika" (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale).

Dopo circa un mese di trattative con i rappresentanti politici delle banche europee, Syriza ha accettato le condizioni richieste dalla troika. La dichiarazione dell'Eurogruppo sottolinea che l'accordo rimane condizionato alla presentazione entro lunedì di "una prima lista di provvedimenti di riforme, basati sugli accordi attuali" da parte della Grecia.

Le proposte di Syriza dovranno essere approvate il giorno seguente dall'Eurogruppo e dalla troika, i quali "forniranno un primo parere se tali proposte risultino sufficientemente ampie da costituire un valido punto di partenza per una conclusione positiva della revisione degli accordi".

La scadenza fissata affinché la Grecia completi la lista finale delle misure di austerità è aprile; questa lista sarà poi "ulteriormente dettagliata e infine accettata" dalla troika.

La dichiarazione afferma che:

   "Le autorità greche si impegnano ad astenersi da qualsiasi riduzione delle misure e da modifiche unilaterali delle politiche e delle riforme strutturali che possano avere un impatto negativo sugli obiettivi fiscali, la ripresa economica o la stabilità finanziaria, secondo la valutazione delle istituzioni".

Se la Grecia non accondiscende a queste disposizioni non riceverà i miliardi di euro di ulteriori prestiti che sono necessari per evitare il default sul suo debito di 320 miliardi di euro.

Il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha aperto la conferenza stampa seguita alle cinque ore di dibattiti, dicendo che la Grecia ha assicurato "il suo impegno inequivocabile nell'onorare i suoi obblighi finanziari" verso i creditori. Ha sottolineato che "la ripresa economica non può essere messa in pericolo, la stabilità fiscale non può essere messa in pericolo, la stabilità del settore finanziario non può essere messa in pericolo".

Prima che iniziasse l'incontro dell'Eurogruppo, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha tenuto una conferenza stampa con il presidente francese François Hollande. La cancelliera ha insistito che il governo greco non si era ancora spinto ad accettare i tagli brutali che erano stati concordati con il precedente governo guidato da Nuova Democrazia.

La Merkel ha ammonito: "Sono necessari miglioramenti significativi nella sostanza di ciò di cui stiamo discutendo, in modo che lo possiamo votare nel Bundestag tedesco, per esempio la prossima settimana".

Mentre le trattative erano in corso, almeno un miliardo di euro è stato ritirato dalle banche greche per paura che un accordo non fosse raggiunto. Un giornalista della TV greca SKAI ha commentato: "Sono venuti con la determinazione di raggiungere una soluzione politica, altrimenti da martedì sarebbe stato necessario introdurre controlli sui movimenti di capitali".

L'accordo di Syriza di continuare a far rispettare le misure di austerità sotto i dettami delle banche europee è la conclusione inevitabile della sua posizione di classe e dei suoi interessi sociali.

Pavlos Tzimas, un commentatore politico greco, ha commentato le ripercussioni sociali e politiche che Syriza dovrà affrontare, dicendo: "Sono state fatte concessioni molto pesanti, concessioni che saranno politicamente velenose per il governo. Ci sarà un crash test per il governo sul fronte interno".

Subito dopo la conferenza stampa il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha usato parole simili: "I greci avranno certamente delle difficoltà a spiegare l'accordo al loro elettorato. Fino a che il programma non sarà completato positivamente, non se ne vedranno i benefici".

Il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, aveva precedentemente dato segnali che Syriza era pronta ad accettare praticamente qualsiasi cosa. Atene "era andata non un chilometro oltre, ma dieci chilometri oltre" nelle sue proposte per un'estensione, ha detto. Gli altri paesi dell'eurozona incontreranno la Grecia "non a metà strada, ma a un quinto della strada" per il raggiungimento di un accordo.

L'annuncio fatto venerdì ha seguito di un solo giorno l'enfatizzato rifiuto, da parte del governo tedesco, delle proposte fatte giovedì dal governo greco per un'estensione dei precedenti accordi sui prestiti stabiliti con l'UE.

In quella proposta, che era stata presentata da Varoufakis, la Grecia insisteva che "il nuovo governo si impegna ad un ampio e profondo processo di riforme orientato a migliorare le prospettive di crescita e occupazione, raggiungendo la sostenibilità del debito e la stabilità finanziaria". Coi termini più vaghi possibile sollecitava "un miglioramento dell'equità sociale e una mitigazione dei significativi costi sociali della crisi in corso".

Appena il testo della proposta di Varoufakis è stato reso pubblico, il ministro delle finanze tedesco lo ha respinto. Peter Spiegel, che scrive per il Financial Times, ha rilevato che la Germania ha avuto particolarmente da obiettare sulla formulazione che "sembra lasciare molti punti aperti alle trattative" quando afferma che "la finalità dell'estensione di sei mesi richiesta per la durata dell'accordo" è "concordare termini finanziari e amministrativi che siano mutuamente accettabili".

Per la classe dirigente europea non esistono "termini finanziari e amministrativi che siano mutuamente accettabili": esiste solo la resa incondizionata.

Reuters ha pubblicato un documento che a sua detta "descrive la posizione della Germania" in risposta alla lettera di Varoufakis. Il documento sostiene che la richiesta della Grecia "apre immensi spazi di interpretazione" e "non include alcun chiaro impegno per il positivo completamento del programma attuale, ed è poco meno che un palese congelamento delle misure adottate dalla Grecia".

Il documento dice a chiare lettere la precisa formulazione che risulterebbe accettabile. Afferma:

   "Abbiamo bisogno di un chiaro e convincente impegno da parte della Grecia, che dovrebbe contenere solo tre frasi brevi e ben comprensibili: 'Richiediamo un'estensione dell'attuale programma incorporando la flessibilità. Concorderemo con le istituzioni qualsiasi cambiamento delle misure dell'attuale memorandum d'intesa. Ci proponiamo a concludere positivamente il programma.'"

Alla fine è stato questo che Syriza ha accettato. Si è solo rifiutata di ritornare con un accordo che richiamasse esplicitamente l'imposizione dell'odiato "Memorandum d'Intesa"—l'elenco delle misure di austerità inizialmente concordate come parte dell'accordo di finanziamento. Syriza ha avuto il permesso che la "troika" fosse ribattezzata "Istituzioni" e che il "Memorandum d'Intesa" fosse rilanciato col nome di “Master Financial Assistance Facility Agreement” (MFAFA).

Ad ogni modo, il MFAFA, il nome ufficiale dell'accordo di finanziamento, include la richiesta che la Grecia "si attenga alle misure sancite con il Memorandum d'Intesa", vale a dire con le misure di austerità prescritte dalle banche europee.

La miserabile resa del governo di Syriza mette a nudo la totale bancarotta politica della miriade di organizzazioni piccolo-borghesi di pseudo-sinistra di tutto il mondo, che solo poche settimane fa salutavano la vittoria elettorale di Tsipras come un evento clamoroso. Ben lungi dal denunciare il tradimento da parte di Syriza, ora questi gruppi faranno gli straordinari per tirare fuori scuse e giustificazioni. Ma ampi strati della classe lavoratrice greca vedranno l'accordo per quello che è: un atto cinico e codardo di tradimento politico. Henry Tougha | febbraio 22, 2015 alle 2:40 pm

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“Come riporta il Guardian, nonostante i falsi trionfalismi la situazione in Grecia è sull’orlo del collasso. Il rischio di elezioni anticipate che diano la vittoria al partito di Tsipras - contrario all'austerità - spinge politici e funzionari UE a interferire in flagrante nella politica nazionale usando a piene mani l'arma del terrorismo.

 

Ma in questo contesto si evidenziano le contraddizioni in cui si è cacciato Tsipras: nel tentativo di rassicurare il potere, ha garantito che non vuole un’uscita della Grecia dall’euro, da lui falsamente dipinta come catastrofica, ma così facendo ha dato uno strumento in mano agli avversari (che invece fanno capire che le sue politiche condurranno all’uscita) e si è privato di un’arma che avrebbe potuto usare nei negoziati.

Il Commissario UE alle finanze, Pierre Moscovici, è volato ad Atene lunedì a causa delle incertezze politiche seguite alla decisione improvvisa del governo di anticipare le elezioni presidenziali.

La visita del commissario francese avviene mentre il leader dell'opposizione di sinistra radicale del paese, Alexis Tsipras, intensifica le proteste per la campagna di "frenetico terrorismo" a cui è sottoposta la Grecia, non solo da parte del suo primo ministro Antonis Samaras, ma anche da alti funzionari europei, in vista dello scrutinio di questa settimana, il primo di tre votazioni.

"E' in corso un'operazione di terrore, di menzogne. Un'operazione il cui unico scopo è di seminare il terrore tra il popolo greco e tra i parlamentari, e di spingere il paese sempre più a fondo nella povertà e nell'incertezza del memorandum," ha detto domenica il leader di Syriza ai suoi sostenitori, riferendosi al programma di salvataggio sponsorizzato dal FMI e dalla UE per mantenere a galla l'economia strozzata dal debito.

Tsipras ha parlato dopo che i capi di governo avevano ribadito le loro paure che la Grecia potesse essere costretta a uscire dell’eurozona, se il Parlamento non fosse riuscito a eleggere un nuovo capo dello stato entro il 29 dicembre. Se l'alleanza di governo dovesse fallire le tre votazioni, la Costituzione greca richiede che vengano indette le elezioni generali, nelle quali il partito di Tsipras è dato in vantaggio. "Siamo appesi a un filo... e se si rompe, il paese potrebbe andare incontro ad una assoluta catastrofe", ha detto il vice-premier Evangelos Venizelos, il cui partito di centro-sinistra Pasok è partner di minoranza nella coalizione bipartitica di Atene.

In una riedizione del dramma che ha ossessionato la Grecia al culmine della crisi dell'eurozona nel 2012, i mercati sono sprofondati, con i costi di indebitamento del paese che si impennavano a causa dei rinnovati timori di un'uscita della Grecia – chiamata Grexit – se un governo guidato da Syriza dovesse salire al potere.

Moscovici, la cui visita di due giorni dovrebbe concentrarsi sullo stallo dei negoziati con la troika di creditori della nazione – Commissione Europea, FMI e Banca Centrale Europea – non incontrerà Tsipras. I suoi assistenti descrivono l'affronto come "incredibile". La scorsa settimana, il Commissario alle finanze ha detto che secondo lui Samaras "sa quello che fa" e che avrebbe vinto la sua scommessa di accelerare il voto per un nuovo capo dello stato. In un'intervista con Kathimerini di questa domenica, egli ha descritto l'ex Commissario UE all’ambiente Stavros Dimas, che è il candidato del governo alla carica presidenziale, come "un brav'uomo."

Ma il nuovo Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, che è grande amico di Samaras, si è spinto oltre, avvertendo dei pericoli di un "risultato elettorale sbagliato". "Non vorrei che le forze estremiste andassero al potere," ha detto, alludendo al rischio che le elezioni presidenziali possano dare il via ad elezioni generali anticipate. "Preferirei che venissero fuori dei volti noti."

Anche se non è la prima volta che la politica della paura è stata utilizzata per assicurare che la Grecia – due volte "salvata" dalla bancarotta – si attenesse al percorso deciso per lei, il palese intervento di figure così direttamente legate al programma finanziario di salvataggio di Atene da 240 miliardi di euro, ha immediatamente suscitato all'estero delle reazioni di rabbia. Sabato, correndo in soccorso di Syriza, il partito della sinistra europea, l’alleanza dei gruppi di sinistra del continente, ha denunciato che le parole di Juncker sono la prova di un declino della democrazia nell'Unione Europea. "La pressione della Commissione Europea sul processo elettorale di un paese sovrano è insopportabile e genera seri interrogativi sul futuro della democrazia in Europa", ha detto Pierre Laurent, presidente dell'organizzazione, in un comunicato pubblicato sul sito Web del partito.

Nonostante un livello sempre maggiore di polarizzazione – rappresentato da parlamentari che o sostengono a malincuore o si oppongono con veemenza al programma di salvataggio – la maggioranza degli elettori vuole che il Parlamento ribelle elegga un Presidente, in modo che le elezioni anticipate possano essere evitate. Un sondaggio di Kapa Research pubblicato lo scorso fine settimana, ha rivelato che il 57% vuole che il 73enne Dimas assuma la carica, ma il 61,1% pensa che lo scrutinio sia destinato a fallire.

Samaras ha detto che preferirebbe andare ad elezioni nazionali anzichè entrare in un governo trasversale "di salvezza nazionale". I sondaggi di opinione mostrano che il vantaggio di Syriza si va restringendo, alimentando la sensazione che sia improbabile che il partito vinca con una maggioranza assoluta.

Un collaboratore vicino a Samaras ha detto che il governo pensa di essere in una situazione "win-win".

"Anche se perdiamo [le elezioni per il Presidente], vinceremo ugualmente, perché gli elettori daranno la colpa a Syriza per il caos che ne conseguirà," ha detto. “E questo ci assicurerà la vittoria alle elezioni nazionali.” di Helena Smith, 14 Dicembre 2014

PS. Per saperne di più andate su http://sopravvivereingrecia.blogspot.it/

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