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Siamo lieti di presentarvi un "grande" articolo di un "grande" avvocato.

La libertà di un Uomo è il faro della moderna esistenza e le regole della Giustizia penale hanno quale presupposto l'inviolabilità di quella personale.

 

Molto spesso, tuttavia, si assiste, con particolare costanza, a limitazioni della citata espressione dell'essere umano per esigenze procedimentali che vedono impegnata la Giustizia a predisporre una coercizione cautelare, ancor prima che sia celebrato un processo, a carico dell'individuo.

Le ragioni sono note e ineriscono ai paradigmi delle misure cautelari personali, spesso applicate durante la fase delle indagini preliminari, fase in cui l'indagato (neppure ancora accusato, stante l'insussistenza della chiusura indagini, né consapevole della circostanza per cui su di lui si stia indagando) viene posto, a sorpresa, in vincolo carcerario ovvero domiciliare, nella prospettazione ideale, da parte dell'accusa, della verosimiglianza di un'ipotesi di reato sulla quale si sta investigando.

Questa procedura, per alcuni prospettica dell'esito del vero e proprio processo penale (che culminerà con la sentenza), si caratterizza per la consistenza di gravi indizi di colpevolezza più la costanza di una delle esigenze cautelari (pericolo di fuga, inquinamento probatorio, reiterazione del reato).

Molti, in ossequio alla presunzione di innocenza che ispira l'intero nostro sistema giustiziale, ritengono sia un'extrema ratio alla quale ricorrere nel caso in cui quella citata verosimiglianza sia così stringente da permettere un elevato giudizio prognostico sull'esito del processo futuro.

Questo giudizio di consistenza dell'ipotesi investigativa, tuttavia, non è neppure sufficiente, poiché il Legislatore, per evitare che si abusi di un arresto ancor prima di una sentenza di condanna, aggancia la probabilità della colpevolezza alla sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari indicate.

Orbene, si può certamente affermare che il sistema codicistico dell'attuale procedura penale, in ambito cautelare, abbia certa copertura costituzionale, considerate le limitazioni che alla libertà personale possono essere imposte dall'art. 13 della Costituzione.

A ben vedere, molto spesso accade che si arresti e, parimenti, il Tribunale della Libertà, investito del potere di riesaminare tout court la vicenda, è chiamato a confermare o annullare l'ordinanza cautelare.

Com'è noto, il ricorso al citato Tribunale, costituisce uno dei due unici casi di ricorso devolutivo assoluto, tipizzati dal nostro Ordinamento Giuridico (l'altro è l'opposizione a decreto penale di condanna).

L'effetto devolutivo assoluto comporta l'insussistenza di un obbligo di motivazione da parte dell'Avvocato che redige l’atto, considerato che dall'altra parte v'è un nuovo Giudice, impegnato a riesaminare, in maniera completa e a prescindere dai motivi di doglianza del ricorrente, l'intera vicenda cautelare.

Questa speciale caratteristica non la possiede il ricorso in appello o quello in Cassazione, considerato il carattere delimitato dell'effetto devolutivo, limitato a specifici motivi.

Non a caso, in questo ordine di idee, vale il brocardo tantum devolutum quantum appellatum.

Nell'appello si vincola il Giudice a specifici elementi di valutazione giuridica e fattuale, nel ricorso in Cassazione il limite è soltanto di legittimità giuridica.

Nel riesame, invece, la cognizione del Giudice, attivabile anche soltanto con poche righe che espongano l'intenzione di una rivisitazione della vicenda, è completa e disincagliata da limiti valutativi, potendo riesaminare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, soprattutto, la consistenza di una delle tre esigenze cautelari.

In questi casi, è bene motivarlo il ricorso, da parte dell'Avvocato, soprattutto per quel che concerne il vero punto debole di tutte le ordinanze che applicano misure cautelari, ovvero la sussistenza indiscutibile di una delle tre esigenze citate.

Nelle esigenze cautelari si riguadagna la Libertà.

Se la Giustizia è la nave ideale per la quale si deve postulare l’esistenza di un faro aderente all’assiologia costituzionale, occorre valutare come il confronto stia tra due idee valutative.

Da un lato, una visione spiccatamente orientata ad un garantismo particolarmente sensibile, dall’altro un interventismo repressivo, parimenti sensibile, corollario del monopolio legale dell’uso della forza posseduto dallo Stato.

In questi casi, in cui la libertà individuale è l’oggetto del contendere, la sensibilità valutativa, legata a parametri giuridici, rappresenta il punto di riferimento da cui prendere le mosse per capire se la limitazione della libertà personale debba essere attuata oppure rimandata.

Avvocato Francesco Bernardo

Pubblicato in Primo Piano
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