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Dalla Porta sul Catocastro a quella su Paraporto, il centro storico di Amantea è un luogo di leggende.

E queste leggende si toccano con mano quando sfiori i muri del centro storico.

E se di sera ne percorri silenziosamente i vicoli puoi udire i passi dei protagonisti di queste leggende che calpestano i ciottoli di fiume e sentire le loro voci sommesse che si raccontano.

E se poi conosci queste leggende ed i luoghi nei quali sono nate e sono state vissute, puoi anche vedere le immagini dei protagonisti, sentire le loro parole, le loro grida, i loro gemiti, avvertire le pulsazioni dei loro cuori, cogliere le loro paure, vedere i loro sorrisi.

Nella zona sud del centro storico , in quella parte che affaccia sul quartiere oggi chiamato Piazza , quando corso Umberto primo non esisteva ancora , proprio sopra la antica torre ,oggi inglobata in un vecchio fabbricato, ci sono i resti di un antico manufatto dal quale emerge una strana e bellissima torre cilindrica.

Una torre nella quale si raccontava abitasse donna Rosa , che si diceva fosse una “magara”.

Nessuno che la avesse mai sentita pronunciare una formula magica od altro, nessuno che la avesse mai vista fare un malocchio od una “magaria”, nessuno che la avesse vista preparare amuleti e tantomeno distribuirli, niente di niente .

L’unico elemento meritevole di attenzione era il fatto che questa donna era una profonda conoscitrice delle erbe, delle piante, dei fiori e delle loro proprietà curative e lenitive.

Insomma un brava erborista.

Un tempo erano le donne che si tramandavano, di generazione in generazione, i rimedi casalinghi popolari, raccoglievano nei campi spezie ed erbe medicinali spontanee e le essiccavano.

Ma donna Rosa era una delle poche donne del tempo che sapesse leggere e scrivere e questo le permetteva di confrontarsi facilmente con i migliori farmacisti del tempo.

A loro donna Rosa lasciava di preparare le preparazioni galeniche utili gli ammalati.

E se da loro richiestane preparava ella stessa le pozioni che metteva a disposizione gratuita di chi gliele chiedesse usando i farmacisti come tramite .

Lei, normalmente, raccoglieva e donava loro le piante medicinali spontanee raccolte nei campi.

E così a lei si rivolgevano in tanti, anche soltanto, per farsi identificare piante sconosciute o poco conosciute.

Ed a chi chiedeva come preparare una pozione con le erbe mostrava il vecchio libro di medicina salernitana con le modalità di preparazione e di uso.

E comunità le era molto grata

Donna Rosa, però, aveva un grave difetto.

Era una donna bellissima.

Per lei il tempo sembrava non passasse mai, i suoi occhi erano meravigliosi, i suoi capelli intensamente neri e lucidi, la sua pelle straordinariamente bianca morbida e liscia.

E questo le aveva fatto molti nemici tra le donne.

Donna Rosa, inoltre, era da tutti desiderata, anche se non dava retta ad alcuno degli uomini che la cercavano per farle la corte o per chiederle di sposarli.

Ed il fatto che non desse attenzione ad alcuno sembrava indurre tutti a qualificarla come diversa, anomala.

Donna Rosa viveva sola, ma usciva ogni volta che le era possibile, tempo permettendo, anche ogni giorno, per andare nei campi ed anche nei boschi a raccogliere erbe, piante e fiori che, poi, seccava all’ombra ed al vento.

Donna Rosa si era sempre servita dei suoi antichi libri senza dare credito alle credenze, quali quelle che le erbe raccolte nella notte di San Giovanni avessero poteri speciali contro il malocchio, le malattie, le avversità climatiche, che le erbe della notte tra i 23 ed il 24 giugno allungassero la vita, proteggessero i bambini e la casa dagli spiriti maligni, dalla malvagità e dall’invidia, e potessero portare soldi e prosperità.

Ma poi fece un terribile errore.

Uscì al mattino presto di un 23 giugno e si avviò per campi, lontano dal paese.

Qui giunta i suoi occhi vennero attratti dalla atletica figura di un falciatore che a torso nudo mieteva il grano.

Il suo corpo sudato brillava al sole e le sue movenze avevano l’eleganza di un ballerino.

Ne rimase affascinata e continuò a guardarlo a lungo.

Poi quando lui si fermò sotto l’unico albero per rifocillarsi lei gli si avvicinò.

Donna Rosa era una delle donne più belle, alte ed eleganti di Amantea e lui ne rimase folgorato.

Prese la lunga camicia dei contadini e tentò di infilarsela per coprirsi, ma lei lo pregò di non farlo e perdendo ogni pudore lo guardo lungamente negli occhi e gli disse che era l’uomo più bello che lei avesse mai visto.

Fu amore reciproco a prima vista.

Le disse chi era ed anche il contadino si presentò dicendo che il suo nome era Giovanni, che era sposato e che aveva due figli.

Donna Rosa si rattristò e lui se ne accorse.

Giovanni si lavò le mani alla piccola sorgente che dava vita al pioppo sotto le cui fronde si erano fermati e tolse dalla bisaccia il pane, il formaggio ed il vino, invitando Rosa a desinare con lui.

Rosa non amava il vino e dopo averne bevuto alcuni sorsi venne presa da uno strano dolce torpore e si addormentò tra le sue braccia sognando di amarlo con passione.

Non saprà mai dire perché il sogno si trasformasse in realtà ed i due finissero per amarsi dolcemente ed a lungo.

Poi Giovanni riprese il lavoro e Rosa distrattamente si mise raccogliere erbe.

Il sole stava rapidamente calando quando Giovanni la prese per mano e la portò nel granaio dove aveva raccolto gran parte dei covoni.

Rosa non aveva mai provato un letto più morbido ed i due amanti trascorsero una meravigliosa notte insonne.

Prima di andare via Rosa le indicò la lontana Amantea e la piccola torre perfettamente cilindrica svettante sui sottostanti fabbricati.

“Ecco Giovanni, quella è la mia casa. Quando vedrai la lanterna accesa io sarò ad aspettarti. Aspetta che cali la notte fonda e raggiungimi”.

E fu così che iniziò la loro lunga storia di passione.

Ma la storia della lanterna accesa o spenta non rimase a lungo segreta.

E furono proprio le donne che usavano la stessa tecnica per incontrare i loro amanti e che la odiavano a spargere a voce che Donna Rosa fosse una “magara”.

Qualcuno diede a questa parola il significato di strega, fattucchiera, mentre correttamente i siciliani del tempo davano a questa parola il significato di ammaliatrice, quale ella era diventata.

Poi questa storia di amore e di passione così come era improvvisamente nata, improvvisamente si concluse.

La lanterna si spense per sempre.

Donna Rosa vinta dalla infamia delle altre donne e dall’odio degli uomini non voluti e scartati , loro nobili, per amore di un contadino, si uccise.

Passò un anno ed anche Giovanni si uccise.

Poi a tanti parve di vedere di nuovo la lanterna che illuminava la piccola finestra della torre cilindrica.

E questo era il meno perché significava che gli amanti erano in casa.

Il terrore, invece, gelava il sangue di chi, nei vicoli buoi del centro storico, vedeva una lanterna galleggiare da sola nell’aria mentre intorno apparivano due sorrisi.

Ancora oggi certe notti sembra di vedere un piccola luce illuminare la finestrella della torre cilindrica.

Ma forse è solo suggestione. Forse .

Pubblicato in Primo Piano

La Statua della Madonna delle Grazie è stata restaurata

La Statua della Madonna delle Grazie dopo un lungo e accurato restauro, finalmente, in occasione del mese Mariano è stata esposta nella chiesa di San Pietro in Amantea a Lei dedicata.

Il restauro, ardentemente voluto dal Parroco Padre Pio Marotti, è stato eseguito a Cosenza presso la Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici.

E’ stato rimosso lo sporco che ingrigiva la vivacità dei colori riportando la scultura agli antichi splendori. Sono state recuperate le cromie originali, ben conservate al di sotto, occultate da strati di colore a smalto stesi durante interventi di manutenzione in epoche precedenti, per ridare luce a colori spenti e alterati da vernici ingiallite. Il delicato intervento ha messo in evidenza l’opera nella sua originaria bellezza.

La Statua della Madonnina, tanto cara, amata e venerata non solo dai sampietresi ma da tutto il comprensorio di Amantea, è stata accolta da uno scrosciante applauso dai fedeli che l’aspettavano con ansia e trepidazione sabato sera 30 aprile 2016.

E’ stata, poi, messa su un trono a sinistra della navata centrale della chiesa per essere ammirata e venerata.

La statua è di legno, sicuramente di scuola napoletana. Lo attestano i lineamenti del volto, gli occhi, lo sguardo, il leggerissimo sorriso. La Madonna guarda il Figlio che tiene nel braccio sinistro ed è felice che il Figlio Le accarezza il mento. Con la mano destra mostra il seno destro ed offre il latte al Figlio, ma anche a tutti noi, umanità sofferente. La Madre di Dio è raffigurata ad effigie intera e si notano finanche i piedi con i sandali.

La donna che nutre il suo piccolo al seno è l’immagine più completa e commovente della maternità. Carico di significati simbolici, primo fra tutti quello della fecondità, il seno è principalmente un’allusione all’inizio della vita, ai sogni infantili, al calore accogliente e nutritivo che ispira fiducia. Il seno che Maria offre al Bambino è ricolmo di latte – grazia, messaggio di salvezza per l’umanità.

E’ bella la Statua della nostra Madonnina e quando i fedeli arrivano davanti a Lei la guardano con attenzione, avvertono negli animi sensi di rispetto e di devozione e si prostrano davanti ai suoi piedi. Sulla provenienza della statua non si hanno le benché minime notizie, essa rimane,pertanto, legata ad una leggenda. Si racconta che la statua sia stata trovata rinchiusa in una cassa di legno presso la foce del fiume Catocastro. Uomini forti e robusti cercarono di trasportarla sulle spalle, ma Essa diventava più pesante e dovettero desistere. Ci provarono allora quattro vecchietti di San Pietro in Amantea suscitando l’ilarità dei presenti, e la statua divenne immediatamente così leggera che quasi di corsa la trasportarono nel nostro paese e la misero nella chiesa a Lei dedicata, in quel posto e in quel luogo felice che Lei aveva prescelto e che i sampietresi in suo onore avevano eretto una degna dimora. Questa è una leggenda, però ha messo stabili radici nei nostri cuori. E’ giunta così fino ai nostri giorni, non c'è traccia in nessun libro scritto.

Francesco Gagliardi

San Pietro in Amantea, 1 maggio 2016

Pubblicato in Basso Tirreno
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