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È accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, perché avrebbe messo a disposizione dei clan di Vibo Valentia i propri legami massonici

C’è anche il gran maestro onorario della massoneria del Goi (Grande Oriente d’Italia), Ugo Bellantoni, 83 anni, per anni alla guida dell’Ufficio tecnico del Comune di Vibo Valentia, fra gli indagati a piede libero dell’operazione “Rinascita-Scott”.

 

Nei suoi confronti la Dda di Catanzaro muove l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Per la Procura distrettuale avrebbe messo a disposizione dei clan di Vibo Valentia i propri legami massonici.

Il gip distrettuale ha tuttavia respinto la richiesta cautelare della Dda di Catanzaro pur sottolineando i suoi rapporti con Giovanni Giamborino, 59 anni, di Piscopio (frazione di Vibo Valentia), quest’ultimo arrestato (carcere) per associazione mafiosa e cugino di Pietro Giamborino, l’ex consigliere regionale finito agli arresti domiciliari.

Nella spedizione dei Mille il ruolo della massoneria inglese fu determinante con un finanziamento di tre milioni di franchi ed il monitoraggio costante dell’ impresa.

Lo sostiene la Massoneria di rito scozzese, dell’ Obbedienza di Piazza del Gesù,

 

ricordando la data di nascita (4 luglio 1807) del nizzardo in una conferenza stampa ed un convegno alla presenza del Gran Maestro Luigi Pruneti e del Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, Pierre Lambicchi.

«Il finanziamento – ha detto il prof. Aldo Mola, docente di storia contemporanea all’Università di Milano e storico della massoneria e del Risorgimento – proveniva da un fondo di presbiteriani scozzesi e gli fu erogato con l’impegno di non fermarsi a Napoli, ma di arrivare a Roma per eliminare lo Stato pontificio.

Tutta la spedizione garibaldina – ha aggiunto il professor Mola – fu monitorata dalla massoneria britannica che aveva l’obbiettivo storico di eliminare il potere temporale dei Papi ed anche gli Stati Uniti, che non avevano rapporti diplomatici con il Vaticano, diedero il loro sostegno».

«I fondi della massoneria inglese – ha aggiunto Mola – servirono a Garibaldi per acquistare a Genova i fucili di precisione, senza i quali non avrebbe potuto affrontare l’ esercito borbonico, che non era l’esercito di Pulcinella, ma un’armata ben organizzata.

Senza quei fucili, Garibaldi avrebbe fatto la fine di Carlo Pisacane e dei fratelli Bandiera».

«La sua appartenenza alla massoneria – ha detto ancora il prof. Mola – garantì a Garibaldi l’appoggio della stampa internazionale, sopratutto quella inglese, che mise al suo fianco diversi corrispondenti, contribuendo a crearne il mito, e di scrittori come Alexandre Dumas, che ne esaltarono le gesta.

Col senno di poi, è un po’ come se Garibaldi avesse detto “obbedisco!” non solo al re Vittorio Emanuele, ma anche ai Rothschild.

La Calabria è una bella terra, dal grande passato ma dal futuro incerto

Una terra dove tanti rubano e che tantissimi spogliano.

Una terra di massoni onnipotenti, di politici incapaci, di fedifraghi, di ignavi , di falsi, di ipocriti, di prostituti, di leccaculo, di opportunisti, eccetera

Ma, insieme, di persone per bene, oneste, serie, di grandi lavoratori.

Persone per le quali lei è un esempio da seguire, la speranza per i propri figli.

Stamattina, in fila dal medico si parlava di lei, di lei che è la speranza di un futuro di onestà, di giustizia, di libertà.

Un futuro che lei è in grado di garantire.

Con il suo straordinario ed immenso spirito di sacrificio.

Lei che è capace di lavorare fino alle 23.00 e ricominciare il giorno successivo alle 07.00 dimentico di quelle feste che per noi sono importanti.

Per questo vogliamo augurarle un meraviglioso 2019, sapendo che potrebbe-e ce lo auguriamo tutti- essere l’anno della svolta, l’anno del destino, quello che porrà fine a questo dileggio della nostra terra.

E le assicuro che siamo in tanti ad aspettare che continuino i miracoli ai quali Lei sta abituando tutti i calabresi.

Tutti aspettiamo che la vostra e le altre procure inquisiscano coloro che ad ogni livello, dai comuni alla regione, infangano i calabresi e la Calabria.

Negli enti pubblici c’è tanto marcio da portare alla luce, tanti disonesti da inquisire.

E quello che offende è la supponenza della propria intoccabilità.

Auguri dr Gratteri, le assicuro che pendiamo dalle sue labbra.

Pubblicato in Primo Piano

Catania. Gli inquirenti ricostruiscono la figura di Corrado Labisi, massone e titolare della casa di cura Lucia Mangano, con contatti nel clan Santapaola-Ercolano e, come lui stesso afferma, con il Ministero della Difesa.

A cui avrebbe chiesto di "far saltare le teste degli investigatori", una volta appreso dell'indagine su di lui

L'accusa, secondo la Procura della Repubblica di Catania, è quella di distrazione di fondi regionali per la gestione di un istituto di cura per anziani e disabili, provocando un buco di 10 milioni di euro. Nell'operazione 'Giano Bifronte', che ha portato oggi all'arresto di quattro persone non sono contestati reati legati alla mafia.

Né, tanto meno, l'appartenenza alla massoneria costituisce fattispecie penalmente rilevanti. Ciò non toglie, come spiegano gli inquirenti, che il principale protagonista della vicenda legata alla casa di cura Lucia Mangano, il Gran Maestro Corrado Labisi, abbia mantenuto 'contatti con il pregiudicato Giorgio Cannizzaro, noto esponente della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano". 

Un dettaglio che gli inquirenti hanno acquisito grazie alle indagini svolte in due grossi procedimenti che hanno indagato il rapporto tra cosche e massoneria: 'Fiori bianchi' e 'Belfagor'.

"La vicinanza tra i due uomini - chiarisce il capo della Dia di Catania, Renato Panvino - è stata anche confermata dalla presenza di Cannizzaro tra le prime file, in chiesa, durante il funerale della madre di Labisi".

A lui, la Procura della Repubblica, contesta oggi il reato di associazione a delinquere finalizzata all'appropriazione indebita di somme di denaro, in qualità di capo, organizzatore e promotore.

Per lui il gip del Tribunale di Catania ha disposto la custodia cautelare in carcere.

I servizi segreti

Ma non solo.

Gli uomini della Procura della Repubblica, coordinati dal procuratore capo Carmelo Zuccaro, hanno messo in risalto anche i collegamenti che Labisi avrebbe intrattenuto con "esponenti di primissimo piano", anche provenienti dal mondo delle istituzioni.

Tra questi, nel corso delle intercettazioni che hanno confermato i sospetti degli investigatori, compare anche una persona, definita "amico" di Labisi, "appartenente ai servizi segreti e, in particolar modo, al Ministero della Difesa", come spiega il pm Carmelo Zuccaro in conferenza stampa.

Rivolgendosi a quest'ultimo, Labisi, una volta appreso delle indagini sulla casa di cura da lui gestita, avrebbe detto "dobbiamo capire a 360° se c'è qualcuno che deve pagare perché questa è la schifezza fatta a uno che si batte per la legalità...vediamo a chi dobbiamo far saltare la testa".

"Il riferimento - aggiunge il sostituto Fabio Regolo- è chiaro: sta parlando degli inquirenti che indagano su di lui, cercando di capire in che modo intervenire per frenare o, addirittura, bloccare del tutto l'inchiesta". Richiesta alla quale, come spiega ancora il sostituto procuratore, "da parte del soggetto del Ministero non arrivano parole di distacco rispetto alle affermazioni di Labisi". Un'operazione non riuscita, tuttavia, come conferma anche Zuccaro: "Nonostante questa forma di richiesta di interessamento, come potete vedere - afferma il procuratore - gli uomini della Dia hanno avuto pieno mandato dalla Procura per proseguire, arrivando in pochi mesi alla richiesta di misure cautelari".

Il Giano Bifronte

Quello descritto dagli inquirenti è un vero e proprio 'Giano Bifronte' - da qui il nome dell'inchiesta - che "se da un lato si opera per costruirsi un'immagine pulita, quella di un soggetto sostenitore di iniziative per entrare nei salotti istituzionali antimafia - aggiunge Renato Panvino - dall'altra sottrae denaro da fondi regionali destinato ai pazienti della propria casa di cura, speso invece per i fini personali della propria famiglia".

Labisi era infatti anche presidente di un'associazione, intestata anche al giudice ucciso dalla mafia palermitana Rosario Livatino. I premi in denaro che l'associazione prevedeva per  uomini e donne delle istituzioni che, nel corso del proprio lavoro, si sono distinti per il contrasto alle mafie "venivano anche dalle somme distratte dall'Istituto", aggiungono gli investigatori.

L'indagine e la genesi

A dare il 'la' all'operazione, come spiega Fabio Regolo, sono stati degli esposti in Procura da parte di alcuni soggetti "all'esito di un'indagine per bancarotta per distrazione, a danno di altri soggetti".

Da qui sono partiti i magistrati che sono arrivati a scoperchiare un vero e proprio vaso di Pandora, al cui interno hanno trovato "fatti ancora più gravi di quelli denunciati".

Stiamo parlando di operazioni di distrazione dei fondi regionali destinati all'istituto Lucia Mangano - privato con convenzione regionale - per un valore totale di circa 10 milioni di euro. La struttura funzionava insomma come un "bancomat" dal quale la famiglia Labisi, ed in particolar modo Corrado, la moglie Maria Gallo, la figlia Francesca Labisi, ed alcuni collaboratori - Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì - prelevavano denaro per utilizzarlo in modo improprio.

A questi ultimi soggetti la Procura contesta infatti il reato di associazione finalizzata all'appropriazione indebita di somme di denaro, ed il Gip ne ha disposto gli arresti domiciliari.

Così come emerso nel corso delle indagini, il trattamento riservato agli ospiti dell’Istituto “Lucia Mangano”, alla luce delle indebite sottrazioni riscontrate, sarebbe stato di livello accettabile, soltanto grazie all’attività caritatevole del personale, e non certamente per la "illecita gestione della famiglia Labisi".

Infatti, così come testimoniato da qualche dipendente “se fosse dipeso da loro, si continuerebbe a dare (ai pazienti) latte allungato con acqua, maglie di lana e scarpe invernali nel periodo estivo". Gli stretti collaboratori di Labisi, Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì, erano regolarmente assunti nell’istituto con mansioni differenti da quelle effettivamente svolte.

"I due - scrive la Procura - mettevano consapevolmente a disposizione le loro buste paga, dove venivano inserite ad arte voci di costo giustificative delle uscite indebite dell’istituto", un artificio dal quale ottenevano "benefit e premi di produttività per cassa, il cui ammontare variava tra i 500 e 1.500 euro".

L'istituto, come ha spiegato in fine Renato Panvino, ha rischiato la chiusura ed il licenziamento di tutto il personale. 

Pubblicato in Italia

È questa la durissima conclusione di Riccardo Nuti, deputato del Movimento 5 Stelle e membro della commissione Antimafia: "Dai dossier emerge qualcosa di impressionante"

"Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta calabrese da tempo immemorabile e costantemente fino ai nostri giorni nutrono e coltivano un accentuato interesse nei confronti della massoneria”.

Lo scrive la Commissione Antimafia nella relazione della presidente Rosy Bindi.”Da parte delle associazioni massoniche si è registrata una sorta di arrendevolezza nei confronti della mafia-si legge-.

Sono i casi, certamente i più ricorrenti, in cui si riscontra una forma di mera tolleranza che si rivelano i più preoccupanti”.

Da qui la durissima conclusione di Riccardo Nuti, deputato M5s e membro della stessa commissione: "Il lavoro di indagine che abbiamo svolto in commissione Antimafia e che ha portato alla relazione su 'Mafia e massoneria' ha fatto emergere qualcosa di impressionante: non solo si può, ma si deve parlare di mafia e massoneria di Stato, contro cui bisogna agire immediatamente".

"Dal dossier – continua Nuti – emerge che dal 1990 a fine 2016 tra gli affiliati alle logge massoniche di Sicilia e Calabria ci sono stati ben 193 soggetti con precedenti penali per fatti di mafia.

Ma il vero dramma è che negli elenchi ci sono persone iscritte che sono dentro i tribunali, dentro le forze dell’ordine, dentro il comparto militare.

E parliamo solo di Sicilia e Calabria, figuriamoci nel resto d’Italia".

"C’è un particolare poi che non deve assolutamente sfuggire e che è indicatore inquietante della questione: dei 193 iscritti, la gran parte sono persone con alle spalle sentenze archiviate o assoluzioni.

Di due l’una: o le varie procure hanno preso un mega abbaglio con questi soggetti, oppure, cosa ben più grave, la massoneria è riuscita ad indirizzare le sentenze di alcuni giudici".

"Ora tutti cercheranno di nascondere queste conclusioni sotto il tappeto – sottolinea ancora Nuti – troppo scomode a fine legislatura e con la campagna elettorale alle porte.

In un Paese normale ci dovremmo fermare tutti e dire: ora, ci occupiamo solo di questo, con norme chiare che obbligano queste associazioni ad avere elenchi pubblici, consegnati in prefettura; bisogna poter controllare chi c’è lì dentro: questa gente non può aver nulla a che fare con l’amministrazione pubblica".

Nuti conclude: "Lancio un appello al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: intervenga lui, esattamente come fece a suo tempo Sandro Pertini che sciolse Limbadi senza ancora una legge per lo scioglimento per mafia dei comuni.

Intervenga con coraggio, in qualità di garante dello Stato e della Costituzione, per cacciare immediatamente gli iscritti alla massoneria dagli uffici pubblici"

Seeh!

Pubblicato in Italia

E’ una storia già datata che riemerge oggi .

Una storia che emerge dalla testimonianza fornita ai magistrati della Dda di Reggio Calabria da Giuliano Di Bernardo (nella foto) e che trae spunto dalle dichiarazioni del cosentino Ettore Loizzo.

 

“Ettore Loizzo di Cosenza, mio vice nel Goi, persona che per me era il più alto rappresentante del Goi, nel corso di una riunione della Giunta del Grande Oriente d’Italia che io indissi con urgenza nel 1993 dopo l’inizio dell’indagine del dottor Cordova sulla massoneria, a mia precisa richiesta, disse che poteva affermare con certezza che in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta. Io feci un salto sulla sedia”.

A dirlo è stato l‘ex-gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Giuliano Di Bernardo in carica nei primi anni ’90 e fondatore poi della Gran Loggia Regolare d’Italia sentito il 6 marzo 2014 dal pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nell’ambito dell’inchiesta Mammasantissima sulla cupola segreta degli “invisibili” della ‘ndrangheta.

Nel corso della testimonianza Di Bernardo prosegue: “Gli dissi subito: e cosa vuoi fare di fronte a questo disastro? Lui mi rispose: nulla. Io ancora più sbigottito chiesi perché. Lui mi rispose che non poteva fare nulla perché altrimenti lui e la sua famiglia rischiavano gravi rappresaglie.

Fu questo – ha aggiunto Di Bernardo al pm – che mi indusse prendere contatti con il Duca di Kent, che è al vertice della Massoneria Inglese che è la vera Massoneria, a cui esposi la suddetta situazione. Lui mi disse che già sapeva questa situazione tramite notizie da lui avute dall’Ambasciata in Italia e dai servizi di sicurezza inglesi. Io feci espresso riferimento alla commistione fra criminalità organizzate e Goi”.

Giuliano Di Bernardo uscì poi nel 1993 dal Goi per fondare la “Gran Loggia regolare d’Italia” ottenendo il riconoscimento della massoneria inglese per la sua nuova obbedienza ritenuta dai massoni del Regno Unito come l’unica regolare presente in Italia.

La massoneria inglese negò quindi, a seguito dell’inchiesta dell’allora procuratore di Palmi Agostino Cordova e del suo aggiunto Francesco Neri, il riconoscimento al Goi (la massoneria italiana più antica e più numerosa come numero di adepti).

Riconoscimento che manca tuttora. Giuliano Di Bernardo spiegò molti segreti della massoneria del Goi alla Procura di Palmi, ma dopo il trasferimento di Agostino Cordova a procuratore di Napoli, tutta l’inchiesta sulla massoneria deviata passò a Roma che, con il gip Augusta Iannini (moglie del giornalista Bruno Vespa), l’archiviò interamente sostenendo che si era in presenza di “notizie”, ma non di “notizie di reato”, pur scrivendo nel suo provvedimento di archiviazione che gran parte del materiale proveniente dalla Procura di Palmi (migliaia di carte e fascicoli) erano divenuti “inconsultabili” in quanto ammassati senza ordine e senza un indice in uno dei tanti scantinati del palazzo di giustizia di Roma. La decisione dell’archiviazione provocò le “rimostranze” dell’allora procuratore di Napoli, Agostino Cordova, che fece notare l’incomprensibilità di un’archiviazione con l’ammissione da parte di un gip di non aver esaminato tutti gli atti. In ogni caso, Cordova fece notare che il gip di Roma avrebbe potuto archiviare solo la parte dell’inchiesta sulla massoneria deviata che interessava territorialmente la competenza della Procura di Roma, ma non certo l’intera inchiesta che abbracciava invece tutta Italia ed i cui atti avrebbero dovuto per questo essere trasmessi a tutte le Procure italiane territorialmente competenti.

Nessuna informazione su quali fossero le logge controllate e quali no, e se questa situazione sia perduri.n (L’operazione "Mammasantissima" di Reggio Calabria ha messo in luce i rapporti tra ndrangheta e massoneria).

Da http://www.grandeoriente.it/

Queste le logge in Calabria:

N° Loggia Loggia Oriente
153 Michele Morelli Vibo Valentia
267 Tommaso Campanella Catanzaro
269 Bruzia – P. De Roberto 1874 Cosenza
271 Francesco Saverio Salfi Cosenza
272 Ettore Ferrari Palmi (RC)
273 Giovanni Amendola Paola (CS)
275 Giovanni Bovio Reggio Calabria
276 Pitagora Reggio Calabria
277 Giuseppe Logoteta Reggio Calabria
278 Michele Bello Siderno (RC)
363 La Sila – Dionisio Ponzio Decollatura (CZ)
387 I Pitagorici Crotone
523 Il Nuovo Pensiero Catanzaro
556 Bernardino Telesio Cosenza
597 Italia Nuova Catanzaro
718 Francesco Sprovieri Acri (CS)
752 Giosuè Carducci Vibo Valentia
905 Pietro Mazzone-G.Ruffo Roccella Jonica (RC)
972 Luigi Minnicelli Rossano (CS)
978 Giordano Bruno Catanzaro
980 Giovanbattista Martelli Soverato (CZ)
990 La Fenice Catanzaro
991 Placido Martini Catanzaro Lido
992 Bertrand Russel Cosenza
995 I Figli di Zaleuco Gioiosa Jonica (RC)
1018 Bereshith Cosenza
1033 Giuseppe Mazzini Reggio Calabria
1038 La Concordia Reggio Calabria
1043 Fratellanza Italiana Lamezia Terme (CZ)
1057 Oreste Dito Scalea (CS)
1099 XX Settembre 1870 Amantea (CS)
1100 Federazione Achea Rossano (CS)
1101 Rhegion Reggio Calabria
1112 Fratelli Bandiera Cosenza
1133 Prometeo Cosenza
1139 Monteleone Vibo Valentia
1145 Ettore Loizzo Cosenza
1168 Pitagora-Ventinove Agosto Palmi (RC)
1194 Monti D’Arete Amantea (CS)
1195 Mediterraneo Crotone
1207 Federico II Lamezia Terme (CZ)
1211 Gli Eccellenti di Menesteo Squillace (CZ)
1213 Giuseppe Garibaldi Reggio Calabria
1230 Giuseppe Garibaldi Paola (CS)
1232 Umanità e Patria S. Marco Argentano (CS)
1234 San Giovanni Catanzaro
1239 Albert Schweitzer Reggio Calabria
1240 Risorgimento Cosenza
1241 Eduard Eugeen Stolper Cosenza
1245 Giovanni Bovio Acri (CS)
1249 Eadem Resurgo Reggio Calabria
1253 Benjamin Franklin Gioia Tauro (RC)
1254 Vincenzo De Angelis Brancaleone (RC)
1259 Uomini Liberi Acri (CS)
1265 San Giorgio Reggio Calabria
1269 Francesco Galasso Rossano (CS)
1291 Antonio Jerocades Catanzaro
1292 Francesco De Luca Catanzaro
1301 Paolo Ungari Trebisacce (CS)
1302 Domenico Romeo Reggio Calabria
1304 Quatuor Coronati Rende (CS)
1315 Gioacchino Murat Vibo Valentia
1316 Martiri delle Grazie Curinga (CZ)
1318 Randolfo Pacciardi S. Marco Argentano (CS)
1319 Benedetto Musolino Vibo Valentia
1329 Mazzini-Mori Gioia Tauro (RC)
1338 Melchisedek Catanzaro
1346 Fenice Bruzia Cosenza
1362 Armonia Siderno (RC)
1363 Gli Argonauti Cosenza
1385 Le Colonne d’Ercole Cetraro (CS)
1391 Gaetano De Rose Cosenza
1400 Libero Pensiero Rende (CS)
Pubblicato in Calabria

“Ci sono ancora molte cose da fare, per questo abbiamo deciso di ricandidarci”. Lo ha spiegato il sindaco di Napoli Luigi De Magistris intervenendo a Radio Cusano.

 

“Ho sempre voluto fare il magistrato” ha affermato De Magistris.

“Poi mi hanno strappato la toga di pm dicendo che ero incompatibile con la Calabria perché indagavo su ‘ndrangheta, massoneria, politica e affari.

E da allora io non programmo più la mia vita.

 

Adesso faccio il sindaco, la politica mi sta entusiasmando, la grandissima partecipazione popolare che vedo, la gente che si sta appassionando e si sta riappropriando dei suoi spazi.

Spero di fare politica da prossimo sindaco di Napoli, ma la farei in ogni caso nella mia città”

“Quando 5 anni fa iniziavo la campagna elettorale, Napoli era sommersa di rifiuti, senza turisti. Oggi non ha più rifiuti, e’ la città più cresciuta in termini di turismo, ed ha una grande forza culturale.

 

E’ un’altra Napoli, su cui comunque dobbiamo ancora lavorare.

Finora abbiamo governato senza soldi e con un deficit spaventoso.

Voto alla mia giunta?

 

Lo faccio dare ai cittadini, non do’ grande peso nemmeno ai sondaggi.

Meritiamo di essere confermati secondo me, perché abbiamo governato con onestà e abbiamo sicuramente migliorato rispetto a 5 anni fa.

I frutti del lavoro seminato stanno emergendo, quindi dobbiamo continuare con la serietà di questi anni, incidere sul decoro, sulla quotidianità della vita.

Nelle piccole cose, nel quotidiano, dobbiamo migliorare”.

Pubblicato in Italia
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