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Premessa: La società Agricola Ruggiero V di Ruggiero Riccardo e Russonion di Russo Michele presentarono , , istanza del 28 ottobre 2016 per la assegnazione dell’area e del manufatto ex BM Filati e successivamente, assistiti dallo studio legale Morcavallo , ricorso al TAR avverso oil silenzio illegittimamente serbato dall’amministrazione comunale

Riteniamo giusto comunicare alla città che, con sentenza pubblicata ieri mattina, il Comune Comunicato dell’amministrazione comunale:

 

Amantea ha vinto la causa dinnanzi al TAR Calabria - Catanzaro instaurata dalle Aziende Agricole Ruggiero Riccardo e Russonion di Russo Michele relativamente alla pretesa esecuzione di una manifestazione di interesse per l’assegnazione dell’area e del capannone ex BM Filati, nonchè per l’annullamento della Delibera di G.M. n. 41 del 29/3/2018 con cui la Giunta aveva revocato quella manifestazione di interesse.

Sul tema i giornali e i siti locali, anche stimolati da una parte della minoranza consiliare, erano più volte intervenuti.

Diversi articoli avevano messo in discussione la scelta della Giunta.

Ribadiamo che l’Amministrazione Comunale ha il dovere e la responsabilità di agire nel solo interesse della città e dei cittadini, come avvenuto in questo caso specifico e come è stato sempre fatto - al costo di risultare impopolari - in questi primi due anni e mezzo

Abbiamo ritenuto corretto informare la cittadinanza di questa notizia pervenuta in mattinata.

Il Sindaco Mario Pizzino

La Giunta comunale

Pubblicato in Primo Piano

Abbiamo scritto l’articolo dal titolo “L’Italia , la TARI e le due giustizie” evidenziando che in Calabria i TAR si sono orientati a sostenere la illegittimità delle delibere assunte oltre la data, stabilita dall’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), per la deliberazione del bilancio di previsione per fissare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di competenza degli stessi , prevedendo, nel contempo, che in caso di mancata approvazione entro il termine indicato, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno, mentre il TAR Friuli ex adverso ha sostenuto che il MEF per impugnare una delibera deve risultare portatore nello specifico di un’utilità ricavabile dall’annullamento degli atti impugnati e che nel caso della TARI non lo sarebbe. (Vedasi in merito in basso le due decisioni).

Concludevamo chiedendoci se fosse “possibile adire il Consiglio di Stato in presenza di un siffatto orientamento del tribunale amministrativo friulano” e se il comune di Amantea desse incarico o meno”

Ed ecco che la giunta comunale, che nella udienza presso il TAR Calabria non si è nemmeno costituita, con delibera n 152 del 21 luglio( pubblicata solo il 9 agosto), prende atto della sentenza relativa a Mariano del Friuli da noi pubblicata e nella quale si legge “ non si vede quale utilità potrebbe ottenere il Ministero ricorrente dall’annullamento delle citate delibere, se non un mero ripristino della legalità, questione questa che non può di per sé fondare l’interesse al ricorso amministrativo sulla base dei principi del codice” e decide di ricorrere affidando l’incarico al famoso studio legale “Manzi e Reggio d’Aci”.

Ora non resta che aspettare la pronuncia del Consiglio di Stato.

Ed eccovi le due sentenze:

Catanzaro. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria(Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1839 del 2015, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del suo Sindaco in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro, domiciliato presso gliUffici di questa, in Catanzaro, alla via G. Da Fiore, n. 34; contro

Comune di Amantea, in persona del suo Sindaco in carica; per l'annullamento della delibera n. 37 del 12 agosto 2015, con la quale il Consiglio comunale di Amantea ha determinato le tariffe TARI per l’anno 2015.

Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2016 il dott. Francesco Tallaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. - Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha impugnato la deliberazione n. 37 del 12 agosto 2015, pubblicata in data 14 agosto 2015, con la quale il Consiglio comunale di Amantea ha determinato, per l’anno 2015, le tariffe TARI.

Il Ministero ricorrente ha dedotto due motivi di ricorso, con i quali ha rilevato:

1) la violazione del termine perentorio di cui al combinato disposto dell’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dell’art. 151 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, dell’art. 1, comma 683 l. 27 dicembre 2013, n. 147;

2) l’incompetenza, la carenza di potere, la violazione dell’art. 23 Cost., la violazione dell’art. 53, comma 16 l. 23 dicembre 2000, n. 388.

2. - Il Comune di Amantea non si è costituito.

3. - Il ricorso è stato trattato all’udienza pubblica del 15 giugno 2016.

4. - Va premesso che, per come già affermato dalla giurisprudenza di questa Sezione (T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 21 marzo 2014, n.n. 570, 571, 572, 573, confermata da Cons. Stato, Sez. V, 17 luglio 2014, n. 3817), risulta applicabile alla fattispecie la norma di cui al comma 4 del richiamato art. 52, secondo la quale “Il Ministero delle finanze può impugnare i regolamenti sulle entrate tributarie per vizi di legittimità avanti gli organi di giustizia amministrativa”. Si tratta un’ipotesi di legittimazione straordinaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sicché la possibilità di impugnare gli atti degli enti locali in materia di tributi, conferita al Ministero dalla norma richiamata, prescinde necessariamente dall’esistenza di una lesione di una situazione giuridica tutelabile in capo ad esso, che determini l’insorgere di un interesse personale, concreto e attuale all’impugnazione, giacché l’attribuzione della legittimazione straordinaria è prevista dal legislatore esclusivamente in funzione e a tutela degli interessi pubblici la cui cura è affidata al Ministero stesso.

5. - Nel merito, la delibera impugnata, che ha determinato le tariffe TARI per l’anno 2015, è stata adottata dal Consiglio comunale di Amantea in data 12 agosto 2015.

L’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) impone agli enti locali di fissare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di competenza degli stessi entro la data fissata dalla norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione, prevedendo, nel contempo, che in caso di mancata approvazione entro il termine indicato, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.

Nello stesso senso dispone l’art. 53, comma 16 l. 23 dicembre 2000, n. 388, e, con specifico riferimento alla TARI, l’art. 1, comma 683 l. 27 dicembre 2013, n. 147, il quale ultimo – tra l’altro – espressamente attribuisce la competenza al Consiglio comunale.

Per l’anno 2015, il termine per la deliberazione del bilancio di previsione è stato fissato al 30 luglio 2015 dal decreto del Ministero dell’Interno del 13 maggio 2015.

Il termine fissato per la deliberazione delle modificazioni di tariffe e tributi ha carattere perentorio, come si desume dalla previsione di cui al menzionato art. 1, comma 169, per la quale, in caso di mancata approvazione entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.

Ne consegue che la deliberazione consiliare impugnata è stata adottata successivamente alla data del 30 luglio 2015 e, quindi, oltre il termine perentorio di cui sopra ed è, quindi, illegittima.

Pertanto, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento della deliberazione impugnata, restando assorbiti i motivi non esaminati.

6. - Trattandosi di controversia tra pubbliche amministrazioni, sussistono i presupposti per compensare integralmente le spese e le competenze di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la delibera n. 37 del 12 agosto 2015, con la quale il Consiglio comunale di Amantea ha determinato le tariffe TARI per l’anno 2015.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Salamone, Presidente Francesco Tallaro, Referendario, Estensore Germana Lo Sapio, Referendario

Il 17/06/2016

Friuli Venezia Giulia

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia(Sezione Prima) ha pronunciato la presenteSENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4 del 2016, proposto da: Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;

contro

Comune di Mariano del Friuli, rappresentato e difeso dall'avv. Luca De Pauli, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del T.A.R. in Trieste, piazza Unita' D'Italia 7;
Regione Friuli Venezia Giulia;

per l'annullamento

omissis

della deliberazione del Consiglio Comunale di Mariano del Friuli n. 18, del 16.10.2015, recante determinazione delle tariffe della tassa sui rifiuti (TARI) per l'anno 2015;

omissis

di tutti gli atti presupposti e consequenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Mariano del Friuli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2016 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Agisce in giudizio il ministero dell’economia e finanze per l’annullamento di tre delibere del consiglio comunale di Mariano del Friuli:

1. La deliberazione n. 16 del 16 ottobre 2015 recante la modifica del regolamento dell’imposta unica comunale;

2. La deliberazione n. 18 della stessa data recante la determinazione delle tariffe della tassa sui rifiuti TARI;

3. La deliberazione n. 19 recante l’approvazione del tributo per i servizi indivisibili TASI.

Osserva il ministero ricorrente di aver ricevuto dal Comune le delibere impugnate e di averne rilevato alcuni vizi di legittimità, invitando il comune in via di autotutela ad annullare detti atti. Il Comune ha replicato osservando come la legge di stabilità per il 2016 prevedeva una sanatoria.

In via di diritto il ministero deduce i seguenti vizi:

A. Violazione dell’articolo 1 comma 169 della legge 296 del 2006 e dell’articolo 1 comma 683 della legge 147 del 2013, in quanto le delibere gravate sarebbero state adottate oltre il termine fissato per l’anno 2015 per l’approvazione del bilancio di previsione.

Osserva il ministero come per la determinazione della aliquote e tariffe dei tributi locali l’articolo 1 comma 169 della legge 296 del 2006 prevede che i comuni deliberano le tariffe le aliquote entro la data fissata per il bilancio di previsione; se approvate entro detta data hanno effetto dal 1 gennaio dell’anno di riferimento invece in caso di mancata approvazione nel predetto termine le tariffe si intendono prorogate di anno in anno. Tale principio è anche stabilito con riferimento alla TASI e alla TARI.

Per la regione Friuli Venezia Giulia gli enti locali deliberano il bilancio di previsione entro il 31 dicembre; per l’anno 2015 il termine è stato prorogato al 30 settembre 2015.

Nel caso in esame gli atti impugnati sono state approvati il 16 ottobre 2015 e quindi oltre il termine di legge. Tale termine ha natura perentoria come stabilito dal Consiglio di Stato, da alcuni Tribunali amministrativi regionali oltre che dalla Corte dei conti in varie pronunce. Quanto alla sanatoria essa non si applicherebbe alle delibere approvate dopo il 30 settembre 2015.

B. Come secondo motivo deduce l’illegittimità delle delibere per violazione dell’articolo 3 dello statuto del contribuente - legge 212 del 2000. Il comune ha aumentato l’imposta ai contribuenti residenti per un periodo di imposta già trascorso; ciò sarebbe illegittimo anche perché l’articolo tre dello statuto di contribuenti assume il valore di una norma di principio.

C. Le delibere sono viziate altresì per incompetenza, carenza di potere e violazione dell’articolo 23 della costituzione e dell’articolo uno comma 169 della legge 296 del 2006. Il comune ha adottato la delibera in data successiva rispetto al termine perentorio prorogato per la regione al 30 settembre 2015. Ha esercitato quindi un potere che la legge non gli attribuiva, violando inoltre il principio di cui all’articolo 23 della carta costituzionale.

Resiste in giudizio il comune che eccepisce la carenza di interesse al ricorso, in quanto le modifiche sono tutte favorevoli al contribuente, introducendo esenzioni e diminuzioni del carico fiscale rispetto all’anno contributivo precedente. L’unico interesse del ministero è un generico ripristino della legalità violata e quindi si tratta di un ricorso inammissibile.

Quanto al merito osserva come il termine non può essere considerato perentorio; contesta anche le restanti censure concludendo in conformità.

Con memoria depositata il 19 marzo 2016 il ministero riafferma il proprio interesse sulla base delle prerogative di coordinamento di cui all’articolo 52 comma quattro del decreto legislativo n. 446 del 1997. Ribadisce poi le proprie tesi nel merito.

Con memoria di replica depositata il 30 marzo 2016 il comune insiste sull’eccezione di carenza di interesse al ricorso. Nel merito ribadisce la natura non perentoria del termine per l’approvazione delle delibere.

Infine nella pubblica udienza del 20 aprile 2016 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. Viene all’esame il ricorso del Ministero dell’economia e finanze avverso il comune per l’annullamento delle tre delibere adottate in materia di tributi locali in data 16 ottobre 2015, oltre il termine previsto nella regione per il 30 settembre 2015.

2. La prima questione all’esame del collegio riguarda l’interesse del Ministero a tale impugnazione.

Ritiene questo collegio che l’interesse al ricorso non venga sufficientemente esplicitato dal ministero ricorrente.

Questo si limita invero a richiamare i suoi poteri di coordinamento in materia di finanza pubblica e in particolare l’articolo 52 comma quattro del decreto legislativo 446 del 1997, il quale peraltro non sostanzia un interesse specifico all’impugnazione delle tre delibere comunali.

Conviene riprodurre l’art 52 del d lgs 446 del 1997

Potestà regolamentare generale delle province e dei comuni.

• 1. Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti.

2. I regolamenti sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell'anno successivo. I regolamenti sulle entrate tributarie sono comunicati, unitamente alla relativa delibera comunale o provinciale al Ministero delle finanze, entro trenta giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi e sono resi pubblici mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale. Con decreto dei Ministri delle finanze e della giustizia è definito il modello al quale i comuni devono attenersi per la trasmissione, anche in via telematica, dei dati occorrenti alla pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale dei regolamenti sulle entrate tributarie, nonché di ogni altra deliberazione concernente le variazioni delle aliquote e delle tariffe dei tributi.

3. Nelle province autonome di Trento e Bolzano, i regolamenti sono adottati in conformità alle disposizioni dello statuto e delle relative norme di attuazione.

4. Il Ministero delle finanze può impugnare i regolamenti sulle entrate tributarie per vizi di legittimità avanti gli organi di giustizia amministrativa.

omissis

3. Invero, non risulta sufficiente l’astratta possibilità di impugnare una delibera per sostanziare in concreto l’interesse del ministero ricorrente, che deve risultare portatore nello specifico di un’utilità ricavabile dall’annullamento degli atti impugnati.

Infatti, in mancanza di ogni indicazione in ordine alla legittimazione e all'interesse ad agire, la domanda giudiziaria proposta innanzi al giudice amministrativo si traduce in una mera e inammissibile richiesta di ripristino della legalità violata (T.A.R. Napoli, sez. V, 06/07/2011, n. 3563).

4. In particolare, il Ministero non spiega i motivi per i quali le delibere gravate si presenterebbero lesive della sua sfera giuridica ovvero degli interessi pubblici di cui è portatore, omettendo di illustrare i meccanismi in forza dei quali, operando una rigorosa applicazione del rapporto causa-effetti, dall'annullamento di dette delibere potrebbero derivare effetti favorevoli per la propria sfera giuridica, limitandosi genericamente a denunciare una presunta loro difformità dalla legge, per quanto concerne la tempistica della loro approvazione.

5. Invero, secondo una nota e costante giurisprudenza: “Perché l'azione giurisdizionale possa dirsi ammissibile, l'interesse processuale deve presupporre, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed attuale dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio, nonché l'idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo interesse sostanziale, tale che in mancanza dell'uno o dell'altro requisito l'azione è inammissibile. Nell'ambito del processo amministrativo l'interesse a ricorrere deve, pertanto, intendersi caratterizzato dalla presenza dei medesimi requisiti sostanziali che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c. ovvero dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato. In tal senso, invero, sarebbe del tutto inutile eliminare un provvedimento o modificarlo nel senso richiesto dal ricorrente, se questi non possa trarne alcun beneficio concreto in relazione alla sua posizione legittimante (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3.9.2009, n. 5191).

6. In altri termini, non si vede quale utilità potrebbe ottenere il Ministero ricorrente dall’annullamento delle citate delibere, se non un mero ripristino della legalità, questione questa che non può di per sé fondare l’interesse al ricorso amministrativo sulla base dei principi del codice.

7. L’esame delle censure di merito conforta tale tesi, perché in esse si contesta il mancato rispetto del termine per l’approvazione delle delibere nonché la violazione dello statuto del contribuente, tutte questioni che non incidono sulle prerogative del Ministero né sugli interessi istituzionali di cui risulta portatore.

8. Per le su indicate ragioni il presente ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna il Ministero ricorrente al pagamento a favore del Comune delle spese e onorari di giudizio che liquida in euro 3.000, oltre alle spese accessorie.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2016

Pubblicato in Cronaca

Scrive Francesca Menichino del M5s:

“Quello che è successo ha dell’incredibile e lo devono sapere tutti i cittadini di Amantea:

 

LE BOLLETTE TARI 2015 SONO NULLE

E L’AMMINISTRAZIONE LO SAPEVA E NONOSTANTE CI0’ HA CHIESTO AI CITTADINI DI PAGARE, IMPUTANDO ANCHE I COSTI DELLA RACCOMANDATA E SPENDENDO SOLDI E LAVORO PER L’ ELABORAZIONE DEL RUOLO.

E’ ASSURDO OLTRE CHE ILLEGALE: NELLA SOSTANZA UN TENTATIVO DI FRODE AI CITTADINI ED UNA MANCANZA ASSOLUTA DI TRASPARENZA E LEGALITA’.

 

Vi spieghiamo che cosa è accaduto:

- il 12 agosto 2015 l’amministrazione porta in Consiglio il Bilancio di previsione e le tariffe tra cui la Tari; sono come sempre in ritardo, come abbiamo lamentato allora e anche adesso, nell’ultimo Consiglio Comunale dove sono arrivate proposte di delibera senza data e firma, senza il rispetto dei termini per il deposito degli atti e anche adesso come allora con diffida della Prefettura: il termine per il 2016 era il 30 aprile, l’anno scorso era il 30 luglio;

- il Ministero dell’Economia e delle Finanze impugna la delibera Tari che è la numero 37 con ricorso n.1839 che propone tempestivamente e che viene notificato regolarmente al Comune di Amantea, si apre il procedimento di fronte al Tar Calabria, siamo nel 2015;

- come se nulla fosse l’amministrazione Sabatino non dice nulla e, forse sperando che la cosa non venisse fuori, elabora il ruolo sulla base di quella delibera che sa essere nulla e nel 2016 manda le bollette ai cittadini addirittura con raccomandata, il che sarebbe anche opportuno secondo la nostra posizione comunicata in commissione ma se le bollette fossero regolari e valide;

- il 17 giugno 2016 (venerdì 17) il Tar annulla la delibera numero 37 rendendo nulle tutte le bollette che ne sono derivate.

 

In sostanza i soldi che abbiamo pagato al Comune per la spazzatura non dovevamo pagarli o, meglio, non dovevamo pagarli in base a quella delibera ma in base alla delibera delle Tari 2014.

E qui viene l’altro terribile problema: come ricorderete “l’orrore TARI” si era già consumato nel 2014, quando ci eravamo accorti degli errori e avevamo chiesto la sospensione del ruolo poi effettivamente intervenuta il 16 aprile 2015.

Ora se la delibera del 2015 è stata annullata perché fuori termine come può essere valida la correzione della tariffa del 2014 fatta nel 2015?

Come può la delibera del 14 maggio 2015 avere efficacia retroattiva e con un anno di ritardo fissare la tariffa dell’anno precedente?

 

Ed allora l’unica delibera valida sia per il 2014 che per il 2015 è quella del 30 settembre 2014, la numero 36 che è l’unica che trovate SELEZIONANDO L'ANNO 2014 sul sito del MEF, come potete verificare a questo indirizzo:

http://www1.finanze.gov.it/…/fisc…/IUC_newDF/sceltaanno.htm…

In tutta questa confusione l’unica certezza è che ci troviamo di fronte ad un’amministrazione assolutamente incapace, ma anche scorretta che invece di comunicare ciò che stava accadendo e di valutare gli opportuni rimedi ha preferito tacere e inviare bollette nulle.

E’ uno scandalo: l’assessore al bilancio si dimetta subito chiedendo scusa ai cittadini.

 

Ma provveda prima a

1) PUBBLICARE L’INFORMAZIONE SUL SITO DEL COMUNE

2) RESTITUIRE I SOLDI AI CITTADINI CHE HANNO GIA’ PAGATO

Mentre ci domandiamo se di questo scempio i consiglieri di maggioranza erano tutti informati (?), o la cosa, e sarebbe ancora peggio per gli stessi consiglieri, è stata gestita in “camera caritatis” con la collaborazione di ragionieri pensionati che continuano a gestire il Comune “da volontari civici”.

Chiunque abbia deciso questo comportamento amministrativo è uno scellerato irresponsabile che agisce con l’arroganza di poter fare tutto ciò che gli pare. Ma non è così!

 

Domani rivolgeremo richieste formali tanto al Responsabile del Sevizio Tributi Socievole, quanto al Ministero e vi informeremo in modo che i cittadini di Amantea possano avere un po' di chiarezza in questo guazzabuglio infinito che è diventato il nostro povero (o meglio impoverito) Comune.

Pubblicato in Politica

Giunge a conclusione il processo intentato dalla ditta Marmi Guido Rizzo S.r.l. di Amantea contro il provvedimento di chiusura della marmeria adottato con ordinanza n. 33 del 4 Aprile 2014, del Sindaco di Amantea, notificata alla ricorrente in data 7 aprile 2014, con cui si ordinava la chiusura delle attività della ditta Marmi Guido Rizzo S.r.l. in forza del parere sanitario sfavorevole dell’U.O.C Igiene Pubblica dell’ASP di Cosenza Dipartimento di Prevenzione del 28 marzo 2014 n. 5926.

 

Perché abbiamo utilizzato il termine “sbeffeggia” vi chiederete.

Valutate voi la approssimazione tecnica e giuridica dei comportamenti che emergono dalla sentenza allegata.

“Solo in data 12/11/2015 con nota Prot. n. 187268 la Regione Calabria-Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza- riscontrava le predette richieste del Comune di Amantea e sottolineava che i pareri sfavorevoli espressi dal dott. Egidio Viola, Dirigente Medico Igiene Pubblica, Dipartimento di Prevenzione Distretto Tirreno di cui non v’era traccia sul protocollo informatico aziendale, non erano di fatto documenti avente valore giuridico-probatorio”.

 

Praticamente il mancato protocollo portava la vicenda a rimanere nell’alveo dei rapporti privati tra il medico ed il comune. La mancata protocollazione impediva perfino di ricorrere ad un atto giuridico inesistente.

Non solo ma il Comune di Amantea “ha preso atto del parere sfavorevole dell’ASP di Cosenza n. 5926/2014 e ha disposto la chiusura della ditta senza provvedere ad esaminare e valutare i documenti che la ditta ricorrente aveva prodotto”.

Ma vi è di più “ Lo stesso Comune, rendendosi conto della propria superficialità, con le note prodotte a corredo dell’istanza di fissazione dell’udienza, hanno espressamente richiesto all’A.S.P. di Amantea di esplicitare i motivi per i quali “l’azienda è stata ritenuta pericolosa per la salute pubblica “( nota prot. 5732 del 30/3/2015; nota prot 4482 del 9/3/2015) ??.

Ed inoltre sostengono i giudici amministrativi che “provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere accompagnato da una adeguata istruttoria volta a ben contemperare e bilanciare gli interessi della tutela della salute pubblica e della libertà dell’esercizio delle attività economico produttive”

Carenze ed approssimazioni inaccettabili.

Ma non basta. Altro nella allegata sentenza

Chiudiamo con una domanda . chi è responsabile ?

A colui che l’ha firmata od a colui che gliela ha sottoposta?

Giudicate voi!

 

Quanto precedentemente esposto persuade il Collegio che il

N. 00804/2016 REG.PROV.COLL.             N. 00987/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA            IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 987 del 2014, proposto da:

Marmi Guido Rizzo S.r.l., rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Acri, con domicilio eletto presso Brunella Candreva in Catanzaro, Via A.Panella, 1;

contro

Comune di Amantea, rappresentato e difeso dall'avv. Rosaria Zaccaria, con domicilio eletto presso Rosaria Zaccaria in Amantea, Via della Libertà N. 63; Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza;

per l'annullamento dell’ordinanza sindacale n. 33 del 4 Aprile 2014, adottata dal Sindaco di Amantea, notificata alla ricorrente in data 7 aprile 2014, con cui si ordina la chiusura delle attività della ditta Marmi Guido Rizzo S.r.l. in forza del parere sanitario sfavorevole dell’U.O.C Igiene Pubblica dell’ASP di Cosenza Dipartimento di Prevenzione del 28 marzo 2014 n. 5926 ;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Amantea;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 febbraio 2016 il dott. Emiliano Raganella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente notificato e depositato la ricorrente impugna, chiedendone la sospensiva, l’ordinanza n. 33 del 4 Aprile 2014, notificata il 7 Aprile 2014, adottata dal Sindaco del Comune di Amantea, con la quale è stata ordinata la chiusura delle attività della ditta Marmi Guido Rizzo S.r.l. in forza del parere sanitario sfavorevole dell’U.O.C. Igiene Pubblica dell’ASP di Cosenza Dipartimento di Prevenzione del 28.03.2014 n. 5926.

La vicenda trae origine da un esposto di un “Comitato cittadino” che chiedeva di inibire l’attività della ditta Marmi Guido Rizzo S.r.l. a causa sia dell’inquinamento sonoro e ambientale provocato dalla lavorazione del marmo in zona densamente abitata sia del pericolo di danno alla salute degli abitanti.

A seguito del predetto esposto, con nota prot. n. 41 DAP del 21 gennaio 2014 indirizzata al “comitato cittadino di via Latina n. 41” ed al Sindaco del Comune di Amantea, il Dirigente medico Dott. Egidio Viola dell’ASP di Cosenza, esprimeva “parere sfavorevole” al proseguimento dell’attività di lavorazione dei marmi per i rischi alla salute degli abitanti posti nelle immediate vicinanze.

Sulla scorta di tale parere il Sindaco del comune resistente con ordinanza n. 10 del 5 febbraio 2014 con la quale si disponeva “che la ditta Marmi Guido Rizzo S.r.l. provveda alla produzione di documentazione tecnico – sanitaria atta a dimostrare che il ciclo produttivo non sia causa di danni per l’incolumità e la salute del vicinato”.

La ditta ricorrente, in data 8 marzo 2014 depositava presso il Comune di Amantea, con il Prot. N. 4684, la documentazione che le era stata richiesta.

Nello specifico depositava: 1) relazione descrittiva delle autorizzazioni già in possesso dell’Ente comunale; 2) relazione descrittiva sul funzionamento delle attività; 3) relazione tecnica della DELVIT Chimica S.r.l. sia per l’inquinamento acustico che ambientale; 4) rapporto tecnico di misurazioni fonometriche dell’ARPACAL di Cosenza.

In data 14 marzo 2014 il Sindaco, dopo aver trasmesso la suddetta documentazione al Dipartimento di Prevenzione dell’ASP ed in attesa di riscontro, prorogava la continuazione dell’attività produttiva per ulteriori 20 giorni.

In data 28 marzo 2014 il Sindaco, con nota contraddistinta dal prot. n. 5911, sollecitava il rilascio del parere da parte del Dipartimento di Prevenzione ed in pari data il detto Dipartimento, dopo aver valutato la documentazione trasmessa, esprimeva con nota Prot. n. 5926 del 28/3/2014, parere sfavorevole al prosieguo dell’attività ai sensi dell’art. 216 del T.U.L.S.

In forza di tale parere, il sindaco di Amantea notificava l’ordinanza sindacale oggetto di impugnazione.

Questi in sintesi i motivi di diritto a fondamento del ricorso: 1) nullità dell’intero procedimento per violazione e/o erronea applicazione degli artt. 216 – 217 T.U. sanitario ribaditi dall’art. 32 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 e dall’art. 31, co. 3, l. 28 Dicembre 1978 n. 833; 2) eccesso e/o abuso di potere per erronea valutazione dei fatti; eccesso e/o abuso di potere per erronea interpretazione e/o violazione di legge con riferimento all’iter procedimentale conclusosi con l’ordinanza impugnata;3) erronea valutazione e/o omessa valutazione della destinazione urbanistica della zona in cui trovasi ubicata la sede della Società ricorrente.

Si costituiva in giudizio il Comune di Amantea sostenendo come infondate le argomentazioni poste a sostegno del ricorso per cui non meritevoli di ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato.

Sostiene parte resistente che l’ordinanza impugnata si è resa necessaria, a seguito del parere sanitario sfavorevole emesso dal Dirigente Medico dell’ASP di Cosenza, in quanto finalizzata a tutelare la salute pubblica al fine di limitare l’esposizione della popolazione esposta alle esalazioni provenienti dalle lavorazioni industriali della Marmi Guido Rizzo (industria insalubre di prima classe in pieno centro abitato).

Alla camera di consiglio del giorno 24 luglio 2014 veniva respinta l’istanza cautelare proposta in quanto le censure avverso il secondo parere dell’ASP di Cosenza del 28.03.2014 non erano apprezzabili sotto il profilo del fumus poiché dalle conclusioni della Delvit emergeva la necessità che la ricorrente adottasse misure precauzionali nello svolgimento della propria attività.

Successivamente all’udienza camerale, il Comune resistente, su espressa richiesta di approfondimento istruttorio della Prefettura di Cosenza, convocava una conferenza di servizi per il giorno 6 novembre 2014.

L’Arpacal, in data 9 dicembre 2014 con la nota n.19560, informava il Comune di Amantea che presso lo stabilimento del sig. Rizzo, in data 11.12.2013, era stato effettuato un sopralluogo dal personale Arpacal congiuntamente alla Polizia Municipale di Amantea. Durante il sopralluogo l’impianto non era in attività, ma comunque è stato verificato che “non vi sono camini da cui fuoriescono emissioni gassose convogliate e che le attrezzature installate all’interno del locale, e utilizzate nella varie fasi della lavorazione, sono dotate di sistemi di abbattimento ad umido delle polveri che non dovrebbero dare luogo ad emissioni delle stesse verso l’esterno”.

Tale nota veniva prontamente trasmessa dal Comune di Amantea al Dipartimento di Prevenzione U.O. Igiene Pubblica dell’A.S.P. di Cosenza con richiesta di esplicitare le motivazioni che hanno portato al diniego del parere sanitario stante i fatti emersi in seguito alla conferenza di servizi.

Tale richiesta veniva reiterata dal Comune di Amantea in data 9.3.2015 ma non riceveva alcun riscontro da parte dell’Asp di Cosenza.

Solo in data 12/11/2015 con nota Prot. n. 187268 la Regione Calabria-Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza- riscontrava le predette richieste del Comune di Amantea e sottolineava che i pareri sfavorevoli espressi dal dott. Egidio Viola, Dirigente Medico Igiene Pubblica, Dipartimento di Prevenzione Distretto Tirreno di cui non v’era traccia sul protocollo informatico aziendale, non erano di fatto documenti avente valore giuridico-probatorio.

All’udienza pubblica del 17 febbraio 2016 la causa veniva trattenuta in decisione.

Il Collegio, alla luce delle documentazione prodotta dalla ricorrente successivamente all’udienza camerale, ritiene di rivedere il proprio convincimento espresso nell’ordinanza cautelare di rigetto n.365/2014.

Il ricorso è fondato e pertanto deve essere accolto.

La Marmi Guido Rizzo s.r.l. svolge attività di lavorazione del marmo nello stesso sito da 50 anni .

In questo lungo arco temporale nessuna contestazione è stata emessa dalle Autorità competente nei confronti della ricorrente, salvo l’ordinanza sindacale di chiusura n.1/2005 che veniva revocata con successiva ordinanza n. 116 de/2006 previo parere igienico sanitario favorevole rilasciato dall’Azienda Sanitaria di Paola.

Improvvisamente sulla scorta di un parere dell’ASP privo di motivazione, come si dirà da qui a poco, l’attività della ditta veniva ricompresa tra le industrie insalubri di cui all’art. 216 T.U. L. sanitarie, classificate nel D.M. 5/9/1974 di I Classe e che devono essere ubicate al di fuori dei centri abitati.

Giova da subito rilevare la carenza dell’onere motivazionale incombente sul Dipartimento di Prevenzione U.O. Igiene Pubblica il cui parere costituisce il presupposto dell’ordinanza impugnata.

Invero, sebbene la ricorrente avesse prodotto una puntuale relazione supportata da un’articolata documentazione, il Dipartimento di Prevenzione, nella persona del dirigente dott. Viola, si è limitato a fare riferimento unicamente alle analisi della ditta Delvit asserendo che “ non escludono danni alla salute del vicinato..” senza dare conto su quali fonti si fonda tale convincimento.

Sulla valenza giuridica di tale parere c’ è da dire peraltro che in data 12/11/2015 con nota Prot. n. 187268 la Regione Calabria-Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza- nel riscontrare le predette richieste del Comune di Amantea- sottolineava che i pareri sfavorevoli espressi dal dott. Egidio Viola, Dirigente Medico Igiene Pubblica, Dipartimento di Prevenzione Distretto Tirreno, di cui non v’era traccia sul protocollo informatico aziendale, non erano di fatto documenti avente valore giuridico-probatorio.

Per altro verso, la stessa ordinanza è carente di motivazione laddove non dà conto della ragioni per la quale ad oltre 50 anni dall’inizio dell’attività in quel sito, improvvisamente la stessa attività, soggetta al medesimo ciclo di lavorazioni, sia diventata nociva per la salute dei cittadini.

Non vi è dubbio che rientri tra i poteri del Sindaco quello di emettere provvedimenti inibitori per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle egualmente rispettabili dell’attività produttiva a condizione però, che gli inconvenienti igienici siano dimostrati da congrua e seria istruttoria

Al contrario, il Comune resistente ha preso atto del parere sfavorevole dell’ASP di Cosenza n. 5926/2014 e ha disposto la chiusura della ditta senza provvedere ad esaminare e valutare i documenti che la ditta ricorrente aveva prodotto.

Lo stesso Comune, rendendosi conto della propria superficialità, con le note prodotte a corredo dell’istanza di fissazione dell’udienza, hanno espressamente richiesto all’A.S.P. di Amantea di esplicitare i motivi per i quali “l’azienda è stata ritenuta pericolosa per la salute pubblica “( nota prot. 5732 del 30/3/2015; nota prot 4482 del 9/3/2015).

Quanto precedentemente esposto persuade il Collegio che il provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere accompagnato da una adeguata istruttoria volta a ben contemperare e bilanciare gli interessi della tutela della salute pubblica e della libertà dell’esercizio delle attività economico produttive.

Sulla base di tali rilievi, e ribadite le esposte considerazioni, dispone il Collegio l’accoglimento del presente gravame e, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento impugnato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie-

Condanna il Comune resistente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della ricorrente che sono liquidate in € 3.000,00, oltre accessori nella misura di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:

Giovanni Iannini, Presidente FF

Emiliano Raganella, Referendario, Estensore

Raffaele Tuccillo, Referendario

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/04/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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La seconda sezione del TAR di Catanzaro definitivamente pronunciandosi sulla vicenda della stabilizzazione di vigili con sentenza n 57/2016 ha dichiarato cessata la materia del contendere ed ha condannato il comune di Amantea al pagamento delle spese legali.

 

A pronunciarsi il collegio composto da Salvatore Schillaci, Presidente, Nicola Durante, Consigliere e Francesco Tallaro, Referendario, Estensore

Il TAR pronunciandosi “sul ricorso numero di registro generale 901 del 2015, proposto da:
Ornella Africano, Teresa Bossio, Antonella Guido Rizzo, Marilena Valeriano, Francesco Vilardo, rappresentati e difesi dall'avv. Crescenzio Santuori, elettivamente domiciliati presso lo Studio di costui, in Catanzaro, alla via Santa Maria di Mezzogiorno, n. 17, contro il Comune di Amantea, in persona del suo Sindaco in carica. per l'accertamento della illegittimità del silenzio serbato sulle istanze di conclusione del concorso indetto ed avviato con deliberazione di Giunta comunale del 7 marzo 2014, n. 37, mediante adozione di un provvedimento espresso; con declaratoria di illegittimità dell’inerzia sin qui maturata.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati , le memorie difensive, la dichiarazione resa in udienza dal procuratore di parte ricorrente, dalla quale risulta l'intervenuta cessazione della materia del contendere, sentito il relatore nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2016 il dott. Francesco Tallaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, il TAR atteso che nelle more del giudizio, l’amministrazione comunale ha portato a termine la procedura, ha dichiarata cessata la materia del contendere.

Le spese di lite debbono essere regolate secondo il principio di soccombenza virtuale e debbono essere accollate al Comune di Amantea, la cui inerzia è venuta meno solo a seguito della proposizione dell’odierno ricorso.

Per quanto nel merito il Tribunale Amministrativo Regionale ha condannato il Comune di Amantea, nella persona del suo Sindaco in carica, alla rifusione, in favore dei ricorrenti, delle spese e competenze di lite, che liquida nella misura complessiva di € 2.000,00, oltre al rimborso del contributo unificato e delle spese generali, nonché oltre ad IVA e CPA come per legge.

 

Il TAR impone così al Ministero dell'Interno di riesaminare la dotazione organica attualmente in essere pressi il Municipia di Serra d'Aiello. La vicenda è emblematica di una situazione che riguarda tantissimi comuni piccoli e medi di questa strana Italia dove il lavoro e l’uomo che lo presta sono indifesi.

 

Ormai la parola d’ordine è sempre la stessa “spending rewiew” ma nella accezione di tagli lineari finalizzati ad un presunto risparmio che determini un equilibrio finanziario ritenuto indispensabile.

Purtroppo in suo nome anche nei comuni, come nelle aziende private, quando ci sono disavanzi si ricorre a tagliare il personale.

E’ successo recentemente in Francia con una conseguente forte arrabbiatura del personale a rischio licenziamento che ha aggredito i dirigenti “licenziatori”.

Insomma il management è insufficiente o incapace e poi non il management viene mandato via ( e comunque con grandi indennità) ma i lavoratori!

Ma andiamo alla vicenda.

Il comune di Serra d’Aiello è in dissesto (dichiarato con delibera consiliare n 04 del 30/04/2014)e per esso si applica l’art 250 comma 6 del Tuel che dispone a carico dell’ente la rideterminazione della dotazione organica dichiarando eccedente il personale in soprannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione, rideterminazione che deve essere sottoposta all’esame della commissione per la finanza e gli organici degli enti locali.

La dotazione media è stata fissata con decreto del Ministero dell’interno del 24 luglio 2014 e prevede per i comuni di prima fascia ( fino a 499 abitanti) un dipendente ogni 78 abitanti.

Ne consegue che   Serra ha diritto ad una dotazione organica di 6 dipendenti.

 

Ora la dotazione organica sembra sia composta, ad oggi, di 4 unità (sul sito non è riportata) ed in particolare che oggi siano esistenti un geometra, un vigile urbano e due operai.

Fino al 2 settembre 2015 nella dotazione organica risultavano altre due unità di cui una collocata in pensione con decorrenza dal 3 settembre dalla commissione medica di Catanzaro e notificata all’interessato dal messo comunale sempre il 2 settembre ed una seconda Longo Filippina dichiarata eccedentaria e successivamente collocata in disponibilità.

Quest’ ultima, Filippina Longo, rappresentata e difesa dagli avv. Achille Morcavallo ed Antonio Cuglietta ha adito il Tar che con ordinanza n 450 dell’8 ottobre 2015, dato atto della mancata contestazione alle specifiche doglianze del ricorrente, conseguente alla mancata costituzione in giudizio di entrambe le amministrazioni intimate (Serra d’Aiello e Ministero dell’interno) ha deciso di disporre il riesame dell’atto di approvazione del 5.5.2015, da parte della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali presso il Ministero dell’interno, alla stregua delle motivazioni contenute nel ricorso e nei motivi aggiunti e fissata la conclusione della causa al 6 aprile 2016.

Ora il comune ed il Ministero dovranno prendere atto, nell'approvazione della neo dotazione organica, di quanto lamentato dalla ricorrente, anche alla luce che nelle more è intervenuto il pensionamento di un dipendente ed era, ed è, possibile ricostituire il rapporto di lavoro con la ricorrente.

Sarebbe infatti ben strano che nel mentre si licenzia un dipendente se ne assuma un altro per svolgere le stesse mansioni di quello ritenuto soprabnnumerario.

Telefonicamente l'avv. Antonio Cuglietta ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“L'impugnativa della delibera di Giunta Municipale del comune di Serra d'Aiello n. 09 del 15/10/2014 avente ad oggetto la rideterminazione dotazione organica dell'ente e della contestuale approvazione da parte del Ministero è stata una scelta obbligata da parte della dipendente visto il rifiuto categorico dell'Amministrazione comunale di trovare soluzioni alternative al licenziamento dell'unica dipendente donna del comune di Serra d'Aiello. Ed invero soluzioni alternative c'erano, e più di una. 

Anche da una prima e superficiale lettura, traspare come, con la determinazione contestata, la Giunta del comune di Serra d'Aiello abbia posto in essere, non già un’asettica ed economa rideterminazione della pianta organica, quanto un semplice atto persecutorio -quanto dispendioso- ai danni della mia assistita Filippina Longo, dipendente del comune di Serra d'Aiello dal 19/12/1987 con la qualifica di istruttore direttivo cat. D e posizione economica D1 nell'area demografica (anagrafe, stato civile, leva, protocollo, uff. relazioni con il pubblico), la cui unica colpa è quella di essere la moglie dell'ex sindaco.

Invero non può sottacersi come la necessitata rideterminazione della pianta organica debba essere improntata al perseguimento di alcune ineludibili finalità (risparmio, riduzione delle spese), a criteri razionali, di efficienza, economicità, trasparenza ed imparzialità, indispensabili per la corretta pianificazione delle politiche del personale e di reclutamento di risorse, e nel contempo temperata dal rispetto di alcuni principi basilari (la salvaguardia per quanto possibile dei posti di lavoro e delle professionalità impiegate attraverso, pensionamenti, prepensionamenti, contratti di solidarietà, riduzione dell’orario di lavoro, etcc..).

 

Orbene la delibera in questione ha fatto spregio, in un sol colpo, di tutti tali scopi, principi ispiratori, criteri e regole governanti anche la procedura del dissesto finanziario.

Non potrà, infatti, sfuggire, anche ad un semplice profano, come la Giunta municipale abbia, con un percorso inverso rispetto a quello effettivamente delineato dall’ordinamento, preliminarmente individuato il soggetto da eliminare e sulla scorta di tale scelta ridefinito il proprio organigramma senza però alcun concreto risparmio ed anzi con un aggravio di spese per l’ente. Ed in effetti non può leggersi in altro modo la scelta: (ipoteticamente corretta) di accorpare l'Area Demografica all'Area Amministrativa, assegnando all’area unificata i due dipendenti preposti ai distinti servizi, per poi decidere, non già di eliminare uno dei posti, bensì di individuare specificamente il lavoratore da eliminare dalla pianta organica (Responsabile, Istruttore Direttivo, categ. D, posiz. Econom D1, il ché equivale a dare nome e cognome: Longo Filippina), mentre tale individuazione avrebbe dovuto essere lasciata alla verifica postuma –magari mediata dalle OO.SS.- dei requisiti personali (tra cui quelli eventuali per il prepensionamento) degli interessati;

- nel contempo, di ripristinare l’Area Contabile (azzerando gli effetti dell'accorpamento predetto) da coprire con concorso dal 2015 e quindi in concomitanza con gli effetti “dei tagli per messa in disponibilità di due unità“ (così leggesi a pag. 41 Quadro 17 dell'allegato “F”).

 

Evidente la stridente contraddittorietà e conseguente illegittimità dell’atto amministrativo che nelle premesse afferma che “la dotazione organica dell'ente dovrebbe contenere un numero massimo di cinque dipendenti rispetto al vincolo numerico di cui al decreto ministeriale del 24/07/2014, e non di sette, quanto ne comprende ad oggi” per poi, infine, deliberare di dotare concretamente (col ripristino dell’Area Contabile) di sei unità l’organigramma dell’ente.

Un vero e proprio gioco delle tre carte con cui la Giunta ha deciso di eliminare fisicamente un proprio dipendente per sostituirlo con altro da individuare. Il tutto senza alcun risparmio ed anzi con notevole aggravio di costi (dovendosi sommare alle spese dell’unità non soppressa, quelle della mobilità della dipendente, quelle per l’espletamento del concorso, etcc).

 

Ed invero:

1) il Comune di Serra d'Aiello non ha attivato le procedure di cui all'art. 33 D.Lgs 165/2001 come specificato con la Circolare n. 4/2014 della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica:

2) non ha valutato minimamente la possibilità di ricollocazione del personale in eccedenza nel medesimo Ente,  la dipendente collocata in disponibilità possiede il titolo di ragioniere;

3) non ha attivato le procedure del prepensionamento (sembra che in totale tre dipendenti abbiano i requisiti);

4) non ha tenuto in considerazione la richiesta di mobilità volontaria avanzata dall'altro dipendente della nuova area amministrativa ed acclarata al protocollo dell'Ente;

In altre parole la procedura seguita dall'amministrazione locale ha fatto spregio della normativa di settore e delle prerogative riconosciute alle organizzazioni sindacali a garanzia del perseguimento di principi di obiettività e trasparenza. E' infatti totalmente mancata la fase di confronto con i sindacati preordinata alla determinazione dei criteri per l'individuazione degli esuberi o sulle modalità per avviare i processi di mobilità. Né tantomeno sono stati tenuti, per come inveritieramente affermato, appositi incontri tra tutti i dipendenti e l'Amministrazione (del resto non esiste traccia alcuna di verbali di tali incontri con i dipendenti e/o con le OO.SS.);

 

I criteri di scelta dei dipendenti da porre in mobilità -unilateralmente, autoritativamente e quindi illegittimamente- adottati dall'Amministrazione locale, non a caso, tradiscono la loro stridente illogicità e preordinazione a chiaro intento persecutorio: nell'area tecnica si è fatto riferimento correttamente alla maggiore anzianità anagrafica e di servizio, nell'area amministrativa al contrario a quella minore;

Nessuna considerazione è stata sprecata sulla mancata esternalizzazione dei servizi: appare incomprensibile -invero solo a chi ignora i sottesi rapporti parentali- la scelta di mantenere per un centinaio di utenze (divisa la popolazione per nuclei familiari) un fontaniere ed un elettricista quando l'appalto dei relativi servizi potrebbe costare solo qualche migliaio di euro.

Infine nonostante l'Amministrazione del comune di Serra d'Aiello, composta dalla dott.ssa Giovanna Caruso e dai sigg. Mendicino Guerino e Innocenti Fabio, quando in data 02/09/2015 è venuta formalmente a conoscenza del pensionamento dell'altro dipendente dell'Area Amministrativa ha proceduto ugualmente a sospendere il rapporto di lavoro con la ricorrente in data 15/09/2015 con comunicazione notificata il 14/09/2015. Cosa veramente assurda considerato che il Ministero dell'Interno ha anche espresso parere positivo circa la ricollocazione della mia assistita nella dotazione organica alla luce del prepensionamento dell'altro dipendente. Parere pure richiesto dalla stessa amministrazione comunale. Assurdità del genere si stanno vedendo solo nel comune di Serra d'Aiello: giorno 14/09/2015 l'Amministrazione sospende il rapporto di lavoro con una sua dipendente in servizio da 29 anni e nella stessa data protocolla (ordine dell'assessore Mendicino alla dipendente da licenziare) richiesta di utilizzo di dipendente di altra amministrazione. Invece di tutelare i posti di lavoro, per giunta nel proprio paese, l'Amministrazione di Serra d'Aiello si affatica per licenziare i propri dipendenti.

La vicenda, pertanto, non può non avere del seguito.

Voglio ringraziare pubblicamente il collega avvocato Achille Morcavallo che mi ha affiancato in questa procedura contestando punto per punto tutte le illegittimità poste in essere dall'amministrazione del comune di Serra d'Aiello”. Queste le conclusioni dell'avvocato Cuglietta

Pubblicato in Campora San Giovanni

La incresciosa ed incredibile vicenda della stabilizzazione dei Vigili di Amantea vive un altro passaggio giudiziario.

Come si ricorda Ornella Africano, Teresa Bossio, Antonella Guido Rizzo, Marilena Valeriano, Francesco Vilardo, rappresentati e difesi dall'avv. Crescenzio Santuori, avevano adito il TAR Calabria per l'accertamento della illegittimità del silenzio serbato sulla istanza di conclusione del concorso indetto ed avviato con deliberazione di Giunta comunale del 7 marzo 2014, n. 37, mediante adozione di un provvedimento espresso.

I ricorrenti hanno chiesto anche la dichiarazione di illegittimità dell’inerzia sin qui maturata.

Le parti hanno osservato che “Non è dato comprendere quale sia il motivo per il quale il comune di Amantea- pur in presenza di un supporto giuridico autorevole, quale il parere Anci sul punto espressamente sollecitato-non voglia procedere con il concorso; quale sia il fine realmente perseguito dall’amministrazione locale, sviando palesemente il potere pubblicistico”.

La stampa ha ricordato che il concorso dei Vigili è “gravato” da un’attività d’indagine portata avanti dalla Polizia di Stato.

Ed è per questo che il comune invece di avvalersi dei funzionari comunale buoni per ogni altro concorso intende servirsi di una commissione giudicatrice speciale composta da “una funzionaria della Prefettura di Cosenza, un maresciallo dei Carabinieri in pensione, e un alto graduato della Polizia Provinciale di Cosenza, anch’egli in pensione”, o chissà cos’altro!

Insomma una cautela forse eccessiva come se solo la nobiltà di una commissione speciale dia legittimità ad un concorso che diversamente sarebbe stato normale.

Comunque sia, siamo in un bel pasticciaccio che rischia di diventare sempre più greve man mano che il tempo passa salvo che alla fine non trovi soluzione con la prossima pronuncia della magistratura amministrativa e la eventuale nomina di un commissario ad acta.

Ed invece il TAR di Catanzaro con provvedimento n 901 dell’8 ottobre 2015 ha deciso “solo” di intimare al comune di Amantea di “depositare dettagliata e documentata relazione sull’attività amministrativa posta in essere con riferimento alla procedura concorsuale in oggetto, evidenziando le ragioni per le quali essa non è stata ancora portata a conclusione”

Ed ha assegnato il termine massimo del 2 novembre

Nessun riferimento alla celebrazione dei defunti, ovviamente; si tratta solo di una coincidenza

Contestualmente il TAR ha fissato al 12 novembre 2015 la data di trattazione del ricorso alla camera di consiglio.

Un altro mese di attesa. Poi forse la condanna del comune e la nomina di un commissario ad acta

Pubblicato in Cronaca

Dopo la pronuncia del TAR di Catanzaro che ha dato ragione ai vigili precari di Amantea Ornella Africano, Teresa Bossio, Antonella Guido Rizzo, Marilena Valeriano e Francesco Vilardo, rappresentati e difesi dall’avvocato Crescenzo Santuori , questi hanno proposto diffida all’amministrazione ad espletare il loro concorso.

I vigili hanno ricordato al sindaco il testo della sentenza pronunciata da dalla sezione seconda dal tribunale catanzarese Salvatore Schillaci,presidente , Nicola Durante, estensore, e Giuseppina Alessandra Sidoti, referendaria, sentenza che ha ritenuto improcedibile il ricorso per sopravvenuto difetto di interesse solo perchè il comune ha emanato il bando di concorso chiedendo la designazione dei componenti della commissione d’esame onde la loro nomina

Sempre la diffida ha anche ricordato che il TAR ha disposto che in caso di ulteriori inerzie procedimentali resta salva la possibilità di riproposizione del ricorso.

Non si esclude infatti che ulteriori inerzie procedimentali possano verificarsi ove le istituzioni adite non provvedano ( come sembra molto probabile) alla richiesta del comune di designare propri rappresentanti.

Sarebbe quantomeno atipico che istituzioni che potrebbero essere chiamate ad esercitare giudizi sul concorso medesimo ne possano far parte.

Come noto si tratta di una commissione “speciale” ben diversa dalle solite ordinariamente costituite dalla

segretaria generale Maria Luisa Merrcuri , dal comandante della Polizia municipale Emilio Caruso e dal responsabile del settore personale dr Mario Aloe anche nella qualità di segretario

E per ultimo, ma non ultimo, il legale di parte ha evidenziato che il comune è stato chiamato a pagare le spese dei ricorrenti perché rimasto virtualmente soccombente.

Pubblicato in Politica

La sentenza della causa al TAR di Catanzaro promossa dai vigilini contro il comune di Amantea la dice lunga sulla grave condizione nella quale versa il comune di Amantea

Ed in verità tranquillizza , anche, molti amministratori della vecchia giunta Tonnara.

In sostanza da una allenta lettura ci sembra che si sia molto lontani dalle prime affermazioni che parlavano di mera improcedibilità, come si è detto, e si sapeva, fino a ieri sera!

Altro che improcedibilità!

Il TAR, Salvatore Schillaci,presidente , Nicola Durante, estensore, e Giuseppina Alessandra Sidoti, referendaria, hanno deliberato ben altro!.

Ecco, in estrema sintesi, le conclusioni della seconda sezione del TAR di Catanzaro.

“Considerato che, successivamente alla predetta istanza, il comune ha superato la pregressa inerzia, procedendo ad emanare gli atti inerenti la nomina della commissione d’esame e dando così inizio alla successiva fase di celebrazione della selezione,e ritenuto, pertanto, che il ricorso in esame è divenuto improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, restando sempre salva la possibilità di essere riproposto, in caso di ulteriori inerzie procedimentali, e ritenuto di dover far gravare sul comune, rimasto virtualmente soccombente, le spese processuali liquidate come in dispositivo, definitivamente pronunciando sul ricorso, dichiara il ricorso improcedibile”

In sostanza il comune ha perso la causa ed è stato chiamato a pagare le spese del giudizio.

Ora il TAR ha passato al comune la palla ed il comune dovrà concludere il concorso bandito per la sanatoria della posizione dei vigili.

I vigili, quindi, hanno vinto la causa.

Ma non basta.

Non sappiamo infatti se il concorso bandito con delibera n 37 del 7.3.2014 sarà concluso.

Sullo stesso abbiamo accennato le nostre riserve ritenendo impossibile e fortemente anomalo che la commissione di concorso possa essere composta da persone appartenenti e designate da coloro che potrebbero essere chiamate a giudicare il loro stesso lavoro.

Riteniamo, a tal punto, e supponiamo ciò avvenga,che la commissione sarà costituota come le precedenti dalla segretaria generale , dal comandante della Polizia municipale e dal responsabile del settore personale dr Aloe anche nella qualità di segretario

E comunque restano le altre riserve sul “diritto”, oggi conclamato dalla sentenza del tribunale , alla assunzione previo concorso ed al pagamento delle mensilità decorrenti fino alla assunzione.

Pubblicato in Primo Piano

Il TAR accoglie il ricorso di Italia Nostra ed annulla il decreto regionale 10303 del 23 agosto 2011 del dirigente generale della Regione con il quale era stato dato parere favorevole di compatibilità ambientale. “Italia Nostra”, rappresentata dall'avvocato Marcello Nardi, aveva proposto ricorso contro Regione Calabria e Comune. Il Tar aveva già riconosciuto la validità delle osservazioni, e con l'ordinanza n. 487/12 del 15 settembre 2012 aveva sospeso il provvedimento impugnato rinviando all'udienza del 17 maggio 2013 per la trattazione nel merito. Di seguiti per una lettura approfondita il testo integrale della sentenza:

N. 00837/2013 REG.PROV.COLL. N. 00445/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 445 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da Italia Nostra Onlus, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Nardi, domiciliata presso la Segreteria del Tribunale;

contro

- la Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica, non costituita in giudizio;

- il Comune di Scalea, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Sangiovanni, domiciliato presso la Segreteria del Tribunale;

nei confronti di

- C.E.M. S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio Como e Giovanni Spataro, domiciliata presso la Segreteria del Tribunale;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

W.W.F. Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Spinelli, domiciliata presso la Segreteria del Tribunale;

per l’annullamento

del decreto n. 10303 del 23 agosto 2011 del Dirigente Generale della Regione Calabria, con cui è stato espresso parere favorevole in merito alla compatibilità ambientale del progetto per i lavori di realizzazione del porto turistico “Torre Talao” nel Comune di Scalea;

e, con ricorso per motivi aggiunti, per l’annullamento

del verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi del 3 gennaio 2012, di approvazione del progetto definitivo dei lavori di realizzazione del porto turistico;

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Scalea e di C.E.M. S.p.a.;

Visto il ricorso per motivi aggiunti proposto dalla ricorrente;

Vista l’ordinanza n. 487 del 15 settembre 2012, con la quale è stata accolta l’istanza cautelare proposta da parte ricorrente;

Visto l’atto di intervento del W.W.F Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella pubblica udienza del 17 maggio 2013 il Cons. Giovanni Iannini ed uditi i difensori delle parti, come da verbale;

Vista l’ordinanza n. 631 del 30 maggio 2013;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

1. Con atto in data 3 febbraio 2012 Italia Nostra Onlus proponeva ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il decreto n. 10303 del 23 agosto 2011 con cui il Dirigente Generale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente, sulla scorta del parere del Nucleo VIA - VAS- IPPC, aveva espresso parere favorevole, con prescrizioni, in ordine alla compatibilità ambientale del progetto per i lavori di realizzazione del porto turistico “Torre Talao” nel Comune di Scalea.

A fondamento del ricorso l’Associazione ricorrente deduceva:

1.1 Eccesso di potere per carenza di istruttoria, falsità di presupposti, travisamento ed erronea valutazione dei fatti; Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, 22, comma 3, 26, commi 1 e 5, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e dell’art. 97 Cost.

1.1.1 Secondo la ricorrente:

- il progetto definitivo redatto dal concessionario per la progettazione e l’esecuzione dell’opera, che contempla un porto a bacino interno con 510 posti barca, ha operato lo stravolgimento del progetto su cui si era espresso il Consiglio comunale di Scalea con la delibera del 26 febbraio 2003, che prevedeva un porto a moli convergenti della capienza di 320 posti barca;

- sul progetto di porto a moli convergenti di minore capienza sono stati predisposti dal consulente Prof. Paolo De Girolamo la relazione illustrativa, lo studio meteomarino, lo studio dell’impatto delle opere portuali sulla dinamica costiera e lo studio dell’inserimento ambientale paesaggistico;

- l’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime di Reggio Calabria, nel parere reso in data 14 marzo 2003 sul progetto preliminare a moli convergenti, ha suggerito di supportare i successivi affinamenti del progetto mediante adeguato modello fisico in scala adeguata (c.d. prova in vasca), in modo da rendere conto delle interferenze del porto con il trasporto solido longitudinale e degli effetti indotti a monte e a valle delle opere;

- l’ATI CEM, nel redigere il progetto definitivo, non si è preoccupata della prova in vasca, nonostante fosse stata già prescritta;

- l’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime di Reggio Calabria, in un nuovo parere del 7 maggio 2009, ha mantenuto la prescrizione di supportare il progetto con adeguato modello fisico, anche al fine di valutare gli effetti indotti dalla deviazione del canale Tirello;

- il modello matematico richiamato dall’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime è quello predisposto dal Prof. De Girolamo per “un porto scavato a terra con imboccatura del tipo a moli convergenti” molto più piccolo e molto meno sporgente in mare;

- la notevole differenza esistente tra un porto con moli convergenti che sporgono 80 metri e una diga foranea lunga 300 metri parallela alla costa, che sporge 200 metri dalla spiaggia, avrebbe reso necessario rifare ex novo i calcoli;

- le prevista deviazione e “tombatura” del canale Tirello stravolgerebbe equilibri tra elementi naturali armonizzati nel corso dei secoli;

- l’Autorità di Bacino della Regione Calabria, in un parere reso nella conferenza dei servizi del 15 maggio 2009, ha imposto la deviazione a nord della darsena di un altro canale parallelo al Tirello, denominato Sallegrino (o Sellerino);

- il progetto definitivo per la realizzazione del porto è approdato al Nucleo VIA della Regione Calabria in assenza dei dati per valutare gli aspetti più importanti dell’impatto ambientale correlato alla costruzione del porto, quali la variante progettuale per deviare il Sallegrino, uno studio matematico predisposto in relazione alle soluzioni di cui al progetto definitivo e la prova in vasca;

- in conseguenza il giudizio VIA è stato reso in assenza del dato più rilevante, costituito dall’impatto del porto sulla costa;

- l’illegittimità della valutazione espressa non è esclusa dalla prescrizione impartita dal Nucleo, per la quale: “al fine di determinare il reale impatto delle opere di progetto sulla dinamica costiera, dovrà essere sviluppato, a supporto del modello matematico utilizzato in fase progettuale, un adeguato modello fisico che permetta di rendere conto delle interferenze del porto con il trasporto solido longitudinale e degli effetti indotti a monte e a valle delle opere stesse”; ciò in quanto l’art. 26, comma 5, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 dispone che “il provvedimento contiene le condizioni per la realizzazione, esercizio e dismissione dei progetti, nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti”;

- è erronea e illogica altra prescrizione del Nucleo VIA, secondo cui: “qualora i risultati di tale modello fisico, previa verifica e controllo da parte dell'Arpacal, si discostino dalle previsioni del modello matematico, le nuove necessarie valutazioni progettuali dovranno essere sottoposte a valutazione di impatto ambientale”; ciò in quanto il modello matematico è relativo al progetto preliminare a moli convergenti del 2003, totalmente differente rispetto a quello definitivo adottato nel 2008.

1.1.2 Il porto dovrebbe sorgere nei pressi delle grotte di Torre Talao esistenti ai piedi della rocca, che costituiscono il più importante complesso musteriano della Regione.

Il rilievo planoaltimetrico, richiesto dalla relazione geologica costituente parte integrante del parere reso dalla soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria di Reggio Calabria, non avrebbe dovuto essere oggetto di ulteriore prescrizione con la VIA, ma avrebbe dovuto far parte dei documenti che il Nucleo VIA avrebbe dovuto esaminare ai fini della valutazione. In assenza di esso non sarebbe dato sapere quale sia l’esatta consistenza della Rocca, che è ricoperta alla base da materiale che dovrà essere asportato e dragato e presenta un piano di campagna sopraelevato di 4/5 metri rispetto al livello del mare.

1.1.3 Il progetto della CEM non terrebbe conto di quanto imposto dall’Autorità di Bacino nel parere del 15 maggio 2009, che ha evidenziato la necessità di deviare il canale Sallegrino, ipotizzando un percorso a monte dell’opera portuale in zona di sopraflutto.

1.2 Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà. Violazione e falsa applicazione dell'art. 26, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006.

La ricorrente richiamava l’art.. 26, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, per il quale la VIA “sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta, e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o dell’impianto”.

Tale previsione implicherebbe che la valutazione di impatto ambientale deve essere effettuata in relazione ad un progetto completo ed aderente alle prescrizioni fornite. Il decreto oggetto di impugnazione sarebbe intervenuto in relazione ad un progetto che non prevede la deviazione del canale Sallegrino, pur imposta dall’Autorità di Bacino e che non è supportato da adeguato modello fisico (prova in vasca), secondo le indicazioni dell’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime.

L’Associazione ricorrente concludeva chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.

2. In data 6 aprile 2012 la controinteressata CEM S.p.a. notificava all’Associazione ricorrente atto di opposizione ai sensi dell’art. 10 del DPR 24 novembre 1971 n. 1199, ai fini della trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale.

La ricorrente si costituiva innanzi al Tribunale ai sensi dell’art. 48 c.p.a.

Si costitutiva in giudizio la controinteressata CEM, che nel controricorso deduceva l’infondatezza delle argomentazioni dell’Associazione ricorrente. Essa negava che l’aumento dei posti barca, necessario al fine di assicurare la redditività dell’investimento, anche a causa della perdita dei finanziamenti pubblici, importasse una stravolgimento del progetto.

Il riferimento alle prescrizioni relative all’effettuazione di prove con adeguato modello fisico sarebbe frutto del travisamento del concetto tecnico espresso dal Genio Civile per le opere marittime in merito all’incertezza propria dei modelli matematici. Sottolineava la controinteressata che l’effettuazione di tali prove su modello fisico è stata rimandata al momento antecedente l’esecuzione dei lavori, per evitare inutili esborsi, data la possibilità di modifiche.

La controinteressata chiedeva, pertanto, il rigetto del ricorso.

La Regione Calabria non si costituiva in giudizio.

3. Con atto notificato al Comune di Scalea, alla CEM e alla Regione Calabria, l’Associazione ricorrente proponeva motivi aggiunti, estendendo l’impugnazione al verbale del 3 gennaio 2012 della seduta conclusiva della conferenza di servizi relativa all’approvazione del progetto definitivo del porto e chiedendo la concessione di misure cautelari.

Deduceva la ricorrente:

3.1 Violazione dell’art. 14 ter, comma 2, della legge n. 241/1990 e degli artt. 3, 4, 5, 6, 7 del DPR n. 509/1997.

Alla conferenza di servizi non avrebbe partecipato la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Regione Calabria, competente ad esprimere il parere in quanto l’intervento progettato necessita del parere di più soprintendenze di settore.

L’Agenzia del Demanio, cui, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto essere richiesta la concessione demaniale, non sarebbe stata invitata a partecipare alla conferenza di servizi relativa all’approvazione del progetto preliminare e, anche nell’ambito del procedimento relativo all’approvazione del parere definitivo, non avrebbe reso alcun parere.

Non sarebbe stato invitato, inoltre, l’Ufficio del Territorio del Ministero dell’Economia e Finanze, la cui partecipazione è prevista dal DPR n. 509/1997, che disciplina il rilascio delle concessioni demaniali marittime.

3.2 Violazione dell’art. 14 ter, comma 6 bis, della legge n. 241/1990, dell’art. 97 Cost., eccesso di potere per abnormità dell’azione amministrativa.

Alla conferenza di servizi non avrebbero partecipato numerosi enti ed uffici.

Il procedimento sarebbe stato chiuso anche se il progetto non prevede la deviazione del canale Sellegrino e in assenza degli studi idrogeologici dei canali Tirello e Sellegrino, pur imposti dall’Autorità di Bacino. Inoltre non sarebbero state effettuate le prove su modello fisico.

3.3 Violazione dell’art. 14 bis, commi 5 e 6, della legge n. 241/1990 e dell’art. 5, comma 5, del DR n. 509/1997.

Lo stravolgimento del progetto definitivo rispetto al progetto preliminare implicherebbe la violazione delle regole procedimentali per la concessioni demaniali marittime, articolate sull’approvazione in sequenza dell’uno e dell’altro progetto.

3.4 Violazione degli artt. 1, 6 e 7 della l.r. n. 23/1990.

Alla luce delle previsioni della l.r. n. 23/1990, che prevede le misure minime di salvaguardia in relazione ai territori costieri, zone di interesse archeologico, torri costiere, castelli e cinte murarie, nel luogo in cui dovrebbe essere collocato il porto sarebbero consentiti solo interventi di manutenzione e restauro.

Le previsioni della legge regionale, sottolineava la ricorrente, prevalgono su quelle degli strumenti urbanistici.

4. Con ordinanza n. 487 del 15 settembre 2012 veniva accolta l’istanza cautelare proposta da parte ricorrente.

5. Si costituiva, quindi, il Comune di Scalea, producendo numerosi documenti e chiedendo il rigetto del ricorso.

Spiegava, inoltre, intervento il W.W.F. Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature, in posizione adesiva rispetto alla ricorrente Italia Nostra, riprendendo le argomentazioni già svolte da quest’ultima e sottolineando la grave violazione delle norme comunitarie, non essendo stato valutato l’impatto dell’opera sul vicino sito di interesse comunitaria (S.I.C.) Fondali Isola di Dino - Capo Scalea.

Le parti producevano ulteriori memorie.

Nella memoria di replica la controinteressata CEM S.p.a., fatte le proprie deduzioni riguardo all’eccezione della ricorrente relative alla tardività del deposito di relazione tecnica di parte, formulava una serie di eccezioni di inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.

6. Alla pubblica udienza del 17 maggio 2013, sentiti i difensori delle parti, la causa veniva trattenuta per la decisione.

 

Nella camera di consiglio del 17 maggio 2013 il Collegio, sulla base del disposto del 3° comma dell’art. 73 c.p.a., rilevata d’ufficio, dopo il passaggio in decisione della causa, una questione non sollevate dalle parti, riservava la decisione e invitava le parti a presentare memorie vertenti su l’unica questione indicata, nel termine di quindici giorni. La questione atteneva, in particolare, all’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti a causa della possibile qualificazione del verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi quale atto endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile ed alla correlata necessità di sottoporre ad impugnazione il provvedimento finale dell’opera sottoposta a VIA, esibito dalla difesa del Comune di Scalea, nonché la connessa questione riguardante le conseguenze dell’eventuale inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti sull’ammissibilità o procedibilità del ricorso introduttivo avente ad oggetto l’impugnazione del decreto di compatibilità ambientale.

Le parti producevano memorie nei termini fissati.

Nella camera di consiglio del 20 giugno 2013 il Collegio scioglieva la riserva, decidendo la causa.

DIRITTO

1. Con deliberazione n. 178 del 2 settembre 2002 la Giunta comunale di Scalea assegnava all’Ufficio tecnico il compito di redigere un progetto preliminare per la costruzione di un porto turistico in località Torre Talao.

Il Responsabile dell’Ufficio tecnico, a sua volta, affidava al prof. Paolo De Girolamo l’incarico di effettuare gli studi e le analisi per valutare la fattibilità del progetto.

Il tecnico incaricato, effettuati gli studi necessari, consegnava al Comune la documentazione tecnica elaborata, costituita da relazione illustrativa, studio meteomarino, studio dell’impatto delle opere portuali sulla dinamica costiera e studio dell’inserimento ambientale paesaggistico.

Con deliberazione n. 4 del 26 febbraio 2003 il Consiglio comunale di Scalea approvava la proposta di realizzazione di un porto a moli convergenti della capienza di circa 320 barche, con il sistema della concessione di costruzione e gestione, per la durata massima di trenta anni, ai sensi degli artt. 19 e 20 della legge n. 109/1994 e dell’art. 84 del D.P.R. n. 554/1999.

Seguiva la conferenza di servizi volta all’acquisizione degli atti di competenza delle varie autorità in ordine al progetto preliminare, che, ricevuta la qualificazione di studio di fattibilità, veniva approvato con prescrizioni.

Veniva, quindi, avviato procedimento di evidenza pubblica volto all’affidamento della concessione, che si concludeva con la determinazione del 9 ottobre 2007 con cui veniva disposta l’aggiudicazione in favore dell’ATI CEM S.p.a. e Ing. Ferrara Raffaele della concessione di progettazione, costruzione e gestione del porto turistico. La durata della gestione veniva fissata in 90 anni, in conformità a quanto previsto dalla deliberazione del 9 novembre 2004 del Consiglio comunale, che, sulla scorta di una relazione aggiuntiva allo studio di fattibilità, aveva approvato la modificazione del termine originario, fissato in 30 anni.

Il contratto di concessione veniva stipulato il 3 giugno 2008.

Con delibera n. 113 del 9 settembre 2008 il Consiglio comunale di Scalea approvava il progetto definitivo predisposto dall’ATI aggiudicataria, che prevede la realizzazione di un porto a bacino, anziché a moli convergenti, con diga foranea prospiciente il porto, con capienza di 510 barche.

In data 15 maggio 2009 aveva luogo presso il Comune di Scalea la prima seduta della conferenza di servizi finalizzata all’acquisizione degli assensi delle autorità preposte alla cura dei diversi interessi pubblici coinvolti.

L’11 settembre 2009 il Comune trasmetteva il progetto definitivo al Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria, ai fini della valutazione di compatibilità ambientale.

Il Nucleo VIA - VAS - IPPC della Regione Calabria, nella seduta del 27 luglio 2011, esprimeva parere favorevole.

Con decreto n. 10303 del 23 agosto 2011 il Dirigente Generale della Regione Calabria, preso atto del parere del Nucleo VIA - VAS- IPPC, esprimeva parere favorevole in merito alla compatibilità ambientale del progetto per i lavori di realizzazione del porto turistico “Torre Talao” nel Comune di Scalea.

Avverso tale decreto Italia Nostra Onlus proponeva ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, successivamente trasposto in sede giurisdizionale.

Il 3 gennaio 2012 aveva luogo la seduta conclusiva della conferenza di servizi per l’approvazione del progetto definitivo dei lavori di realizzazione del porto turistico. Il relativo verbale era oggetto di impugnazione da parte di Italia Nostra Onlus, mediante ricorso per motivi aggiunti.

Con determinazione n. 27/LP del 22 maggio 2012 il Responsabile del Servizio Lavori Pubblici del Comune di Scalea prendeva atto dell’esito della conferenza di servizi, delle prescrizioni degli enti ed uffici intervenuti, da recepire nel progetto esecutivo da predisporre a cura della concessionaria, e della conclusione del procedimento della conferenza di servizi. Seguiva la pubblicazione ai sensi del comma 10 dell’art. 14 ter della legge n. 241/1990 nel Bollettino regionale, oltre che in un quotidiano a diffusione nazionale.

2. La controinteressata ATI CEM, rilevato che il ricorso è stato portato all’esame del giudice amministrativo a seguito di trasposizione di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha eccepito l’inammissibilità del gravame proposto innanzi al Capo dello Stato, destinata a riflettersi sul giudizio incardinato innanzi all’organo giurisdizionale.

Essa osserva che la controversia oggetto del presente giudizio rientra tra quelle concernenti procedure di affidamento di pubblici lavori, contemplate dall’art. 120, 1° comma, c.p.a., per le quali è prevista unicamente la proposizione di ricorso giurisdizionale innanzi al tribunale amministrativo regionale competente, con esclusione della possibilità di proporre ricorso straordinario al Capo dello Stato.

L’eccezione è priva di fondamento.

La controversia oggetto del presente giudizio non concerne una procedura di affidamento di pubblici lavori, ma riguarda esclusivamente atti inquadrabili nel procedimento attinente all’approvazione del progetto definitivo di un’opera pubblica.

Una procedura di affidamento vi è stata, ma si è conclusa con l’aggiudicazione definitiva della concessione in favore dell’odierna controinteressata.

La portata delle previsioni di cui agli artt. 119, 1° comma, lett. a) e 120, 1° comma, c.p.a., che fanno riferimento a procedure di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture, non può essere dilatata al punto da ricomprendervi anche ogni fatto giuridicamente rilevante conseguente all’affidamento, essendo chiaro, anche in base alla ratio legis, che le norme intendono riferirsi esclusivamente ai procedimenti finalizzati all’affidamento e non ad altre attività successive all’affidamento stesso.

Deve, pertanto, considerarsi ammissibile la proposizione di ricorso straordinario avverso l’atto oggetto del presente giudizio, con conseguente possibilità di trasposizione innanzi all’organo giurisdizionale.

Né maggior consistenza ha, invero, l’ulteriore rilievo della controinteressata, volto ad affermare la riconducibilità della fattispecie alle procedure di occupazione e di espropriazione di aree per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, con conseguente dimezzamento dei termini processuali. Il rilievo è stato avanzato al fine di superare l’eccezione dell’associazione ricorrente volta rimarcare la tardività della produzione di una relazione tecnica di parte in ordine all’utilizzo del modello matematico, avvenuta oltre il termine dei quaranta giorni precedenti l’udienza,

Il fatto che l’approvazione di un progetto definitivo di opera pubblica possa implicare dichiarazione di pubblica utilità non comporta che, in ogni caso, debba procedersi all’acquisizione di beni di proprietà dei privati.

D’altra parte, se anche, in ipotesi, siano previsti atti ablativi dell’altrui proprietà, ciò non determina l’attrazione di ogni possibile controversia nell’area delle espropriazioni, a prescindere dall’oggetto della stessa.

In conseguenza, deve disporsi lo stralcio dagli atti di causa della relazione tecnica, prodotta l’8 aprile 2013, oltre il termine sopra indicato.

3. Altra eccezione delle parti resistenti attiene all’autonoma impugnabilità del decreto con cui è stata dichiarata la compatibilità ambientale dell’opera di cui si tratta.

Si sostiene che la valutazione attinente all’impatto ambientale ha una valenza unicamente endoprocedimentale, con la conseguenza che le relative determinazioni possono essere oggetto di censura solo in sede di impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento.

L’eccezione è infondata.

Le procedure di V.I.A. si inseriscono all’interno del procedimento di realizzazione di un’opera o di un intervento, ma sono pur sempre dotate di autonomia. Esse, infatti, sono dirette a tutelare un interesse di carattere generale quale quello attinente all’ambiente. La relativa valutazione ha carattere di definitività ed è già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli atti conclusivi da parte dei soggetti interessati alla protezione di quei valori e, segnatamente, da parte delle associazioni aventi tra i propri scopi la tutela ambientale (ex plurimis, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 15 marzo 2013 n. 713; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 4 giugno 2012 n. 1177).

Il carattere di autonomia del procedimento in questione e l’immediata impugnabilità del provvedimento conclusivo di esso è, del resto, oggi agevolmente desumibile dal disposto dell’art. 27 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che prevede che “Il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale è pubblicato per estratto, con indicazione dell’opera, dell’esito del provvedimento e dei luoghi ove lo stesso potrà essere consultato nella sua interezza, a cura del proponente nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana per i progetti di competenza statale ovvero nel Bollettino Ufficiale della regione, per i progetti di rispettiva competenza. Dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ovvero dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della regione decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte di soggetti interessati”.

4. Come anticipato nell’esposizione in fatto, dopo il passaggio in decisione della causa è stata adottata ordinanza n. 631 del 30 maggio 2013, con la quale è stato sollecitato il contradditorio delle parti, mediante il deposito di memorie, su una questione rilevata d’ufficio, attinente all’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, a causa della possibile qualificazione del verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi quale atto endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile ed alla correlata necessità di sottoporre ad impugnazione il provvedimento finale dell’opera sottoposta a VIA, esibito dalla difesa del Comune di Scalea. Questione che coinvolge anche la connessa problematica riguardante le conseguenze dell’eventuale inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti sull’ammissibilità o procedibilità del ricorso introduttivo avente ad oggetto il decreto di compatibilità ambientale.

Ciò in base al disposto dell’art. 73, 3° comma, c.p.a., che, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 101 c.p.c., nel testo novellato dalla legge n. 69/2009, prevede che: “Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie”.

La problematica attiene all’ammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, che è teso ad impugnare il verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi, volta ad acquisire gli atti di assenso da parte delle amministrazioni cui è affidata la cura dei vari interessi coinvolti dalla costruzione dell’opera in questione.

L’art. 14 ter della legge n. 241/1990, al comma 6 bis prevede che “All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui ai commi 3 e 4, l’amministrazione procedente, in caso di VIA statale, può adire direttamente il Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; in tutti gli altri casi, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza...”.

Risulta dalla norma ora richiamate che all’esito della conferenza di servizi l’amministrazione procedente - nel caso di specie il Comune di Scalea - deve adottare una determinazione motivata sulla base delle posizioni prevalenti espresse in seno alla conferenza di servizi, che sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso di competenza delle amministrazioni partecipanti ovvero invitate a partecipare ma risultate assenti.

Si è detto che il 3 gennaio 2012 ha avuto luogo la seduta conclusiva della conferenza di servizi per l’approvazione del progetto definitivo dei lavori di realizzazione del porto turistico e che il relativo verbale è stato impugnato da parte di Italia Nostra Onlus, mediante ricorso per motivi aggiunti.

Il problema che si pone è se il verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi possa costituire oggetto di impugnazione ovvero se il gravame debba essere necessariamente diretto avverso la successiva determinazione, assunta con atto in data 22 maggio 2012, pubblicato ai sensi del comma 10 dell’art. 14 ter della legge n. 241/1990.

L’associazione ricorrente, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 73, 3° comma, c.p.a., ha evidenziato che il carattere meramente endoprocedimentale del verbale della conferenza di servizi deve essere negato a seguito dell’abrogazione del comma 9 dell’art. 14 ter, che prevedeva l’adozione di un provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva, dando luogo ad una struttura dicotomica dell’istituto della conferenza di servizi.

In sostanza, secondo l’associazione ricorrente, essendo venuta meno la necessità di adottare un provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva, l’impugnazione dovrebbe essere diretta avverso il verbale conclusivo, che avrebbe perso il carattere endoprocedimentale.

Osserva il Collegio che la conferenza di servizi in precedenza era caratterizzata da una struttura “dicotomica”, in quanto la fase conclusiva era articolata in due fasi: una prima, consistente nella determinazione conclusiva della conferenza e una seconda coincidente con l’adozione del provvedimento finale da parte dell’autorità procedente.

La giurisprudenza si è pronunciata in diverse occasioni sul rapporto tra la prima e la seconda fase, con riferimento, in particolare, al quesito se riconoscere valenza lesiva già all’atto conclusivo della prima fase, con conseguente onere di immediata impugnazione o se collegare tale effetto solo al provvedimento finale.

Nel periodo precedente all’entrata in vigore della legge 11 febbraio 2005 n. 15 e in base all’assetto delineato dalla legge sul procedimento amministrativo, nel testo novellato dalla legge 24 gennaio 2000 n. 340, si era affermato il carattere immediatamente lesivo della determinazione conclusiva della conferenza di servizi. Questo sulla base del disposto del comma 2 dell’art. 14 quater della legge n. 241/90 che, nel disciplinare l’ipotesi del dissenso espresso in sede di conferenza, prevedeva espressamente che la determinazione conclusiva avesse un carattere immediatamente esecutivo, nonché del disposto del comma 7 dell’art. 14 ter della stessa legge, secondo cui la determinazione conclusiva della conferenza era immediatamente impugnabile da parte dell'amministrazione dissenziente.

Con l’entrata in vigore della legge n. 15/2005, il quadro normativo è risultato profondamente modificato e la giurisprudenza ha dovuto prendere atto di significative novità. Innanzi tutto, l’esplicita abrogazione della previsione normativa di cui al comma 2 dell’art. 14 quater della legge n. 241/90, concernente il carattere immediatamente esecutivo della determinazione conclusiva dei lavori della conferenza. Tale abrogazione sarebbe significativa di “una piana voluntas legis volta al superamento del carattere di autonoma impugnabilità della suddetta determinazione” (Cons. St., sez. VI, 11 novembre 2008, n. 5620). Altro elemento rilevante l’abrogazione della previsione che consentiva alle amministrazioni dissenzienti di impugnare direttamente e immediatamente la determinazione conclusiva della conferenza di servizi (comma 7 dell’art. 14 ter). Infine, soprattutto, il nuovo comma 9 dell’art. 14 ter, che rimetteva all’amministrazione procedente il compito di emettere un provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6 bis dello stesso articolo, nel quale essa doveva tenere conto delle posizioni prevalenti, e non quantitativamente maggioritarie, espresse in sede di conferenza di servizi.

Alla luce della modifica introdotta a livello normativo il provvedimento finale è stato considerato come espressione di un autonomo potere rimesso all’autorità procedente, non legato da un nesso di presupposizione/consequenzialità automatica con le determinazioni della conferenza e, quindi, non soggetto ad un effetto caducatorio automatico derivante dall’eventuale invalidità delle determinazioni assunte in sede di conferenza (Cons. St., sez. VI, 31 gennaio 2011222 n. 712).

Da qui la configurazione di una struttura dicotomica dell’istituto in questione, per la quale il provvedimento finale non assume una valenza meramente riepilogativa e dichiarativa delle determinazioni assunte in sede di conferenza, ma costituisce autonomo momento costitutivo delle determinazioni conclusive del procedimento.

La giurisprudenza ha ritenuto che il legislatore, nel delineare la struttura bifasica cui si è fatto riferimento, ha inteso far sì che, all’esito dei lavori, debba sopraggiungere pur sempre un provvedimento conclusivo di competenza dell’autorità procedente, destinato ad assumere una valenza esoprocedimentale ed esterna, nonché un effetto determinativo della fattispecie e incidente sulle situazioni degli interessati.

Il tessuto normativo ha subito ulteriori modifiche a seguito delle modificazioni introdotte in materia dall’art. 49 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni in legge 30 luglio 2010 n. 122.

Il comma 9 dell’art. 14 ter, come si è detto, configurava l’atto finale del procedimento come un provvedimento necessariamente conforme alla determinazione di conclusione della conferenza di cui al comma 6 bis..

Tale comma è stato abrogato dal d.l. n.78/2010, di talché la determinazione finale rappresenta il momento terminale della conferenza e assume, in conseguenza, valenza provvedimentale e autonoma potenzialità lesiva di posizioni giuridiche soggettive ed è suscettibile, quindi, di immediata impugnazione. Tanto è vero che il comma 6 bis dell’art. 14 ter, nel testo riformulato, assegna ora alla determinazione motivata di conclusione del procedimento il ruolo di sostituire, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti.

È alla luce di tale quadro normativo che va valutata la problematica affrontata in questa sede, attinente al ruolo da assegnare alla determinazione n. 27/LP del 22 maggio 2012 del Responsabile del Servizio Lavori Pubblici del Comune di Scalea e alla necessità di impugnare tale atto in luogo del verbale della seduta conclusiva della conferenza di servizi, gravata dall’associazione ricorrente con motivi aggiunti.

Ritiene il Collegio che la configurazione di tale determinazione quale unico atto aggredibile in sede giudiziaria implicherebbe un sostanziale ritorno ad una struttura bifasica del modulo procedimentale in questione, che risulterebbe, tuttavia, in contrasto con l’attuale assetto normativo quale delineato dalle modifiche intervenute nel 2010, che, con l’abrogazione del comma 9 dell’art. 14 ter, ha esplicitamente escluso un’autonoma fattispecie provvedimentale successiva alla conclusione della conferenza di servizi.

Pur dovendosi rilevare uno scarso coordinamento fra norme quali risultanti a seguito della novella del 2010, che determina, indubbiamente, non pochi dubbi a livello interpretativo, la conclusione cui sembra potersi giungere è che la determinazione in questione ha una funzione meramente riepilogativa dell’andamento del procedimento relativo all’approvazione del progetto definitivo ed è finalizzata essenzialmente alla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione e sugli organi di stampa, così come previsto dal comma 10 dell’art. 14 ter.

Che le cose stiano in questi termini è confermato dal fatto che già nel verbale della conferenza di servizi, impugnato con motivi aggiunti, si specifica che alla luce dei pareri espressi si chiude favorevolmente la conferenza di servizi e si approva il progetto definitivo del porto turistico. D’altra parte, la determina n. 27 del 22 maggio 2012, come sottolinea l’associazione ricorrente, si limita ad effettuare una ricostruzione del procedimento e a dare atto della necessità di procedere alle forme di pubblicazione previste dalla legge.

Il Collegio, pertanto, ritiene che l’atto oggetto di impugnazione con motivi aggiunti possa assumere il ruolo di elemento determinativo della fattispecie, incidente sulle situazioni giuridiche degli interessati.

5. La controinteressata ha sollevato un’ulteriore eccezione, relativa alla mancata notificazione del ricorso per motivi aggiunti a tutti i soggetti che hanno preso parte alla conferenza e hanno concorso all’emanazione degli atti gravati.

L’eccezione non ha fondamento.

Il principio espresso dalla giurisprudenza è che il gravame deve essere notificato, non a tutti i soggetti che hanno partecipato alla conferenza, ma alle Amministrazioni che, nell’ambito della conferenza, hanno espresso pareri o determinazioni che la parte ricorrente avrebbe avuto l’onere di impugnare autonomamente, se gli stessi fossero stati adottati al di fuori del peculiare modulo procedimentale in esame (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 12 marzo 2013 n. 1406).

Nel caso di specie le censure non sono dirette a contestare il contenuto di atti di amministrazioni intervenute nella conferenza, diverse da quelle già evocate in giudizio, giacché, per converso, tali atti sono richiamati, sotto più aspetti, a sostegno delle tesi di parte ricorrente. Non si tratta, quindi, di atti che la parte avrebbe avuto onere di impugnare se assunti al di fuori del modulo procedimentale della conferenza di servizi.

6. Passando all’esame del merito, deve partirsi dal primo motivo di ricorso, con il quel l’associazione ricorrente deduce i vizi di eccesso di potere per carenza di istruttoria, falsità di presupposti, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, 22, comma 3, 26, commi 1 e 5, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e dell’art. 97 Cost.

Le argomentazioni della ricorrente sono volte, sostanzialmente, ad affermare che il provvedimento della Regione Calabria relativo alla compatibilità ambientale dell’opera è intervenuto in assenza di alcuni degli elementi indispensabili ai fini di un’adeguata istruttoria.

La rilevata carenza istruttoria discenderebbe, innanzi tutto, dalla profonda differenza tra il progetto definitivo approntato dalla concessionaria, in relazione al quale è intervenuta la valutazione di impatto ambientale, e il progetto di porto in relazione al quale erano stati effettuati gli studi da parte del tecnico incaricato dal Comune di Scalea ed era stato elaborato il modello matematico relativo agli effetti sulla costa della costruzione dell’opera.

Il progetto iniziale, sottolinea la ricorrente, era quello di un porto a moli convergenti, con una capienza di 320 posti barca, mentre quello delineato nel progetto della concessionaria è un porto a bacino interno con 510 posti barca e diga foranea di 300 metri. Aggiunge che sul progetto di porto a moli convergenti di minore capienza sono stati predisposti dal consulente prof. De Girolamo la relazione illustrativa, lo studio meteomarino, lo studio dell’impatto delle opere portuali sulla dinamica costiera e lo studio dell’inserimento ambientale paesaggistico e che l’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime di Reggio Calabria, nel parere reso in data 14 marzo 2003 sul progetto preliminare a moli convergenti, ha suggerito di supportare i successivi affinamenti del progetto mediante adeguato modello fisico in scala adeguata (c.d. prova in vasca). Ciò proprio al fine di rilevare le interferenze del porto con il trasporto solido longitudinale e degli effetti indotti a monte e a valle delle opere.

La stessa ricorrente soggiunge che la prescrizione di effettuare la prova in vasca, ribadita nel 2009 dall’ Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime, non è stata eseguite dall’ATI CEM, ai fini della redazione del progetto definitivo.

Il progetto sottoposto al Nucleo VIA non terrebbe in considerazione la prescrizione dell’Autorità di Bacino della Regione Calabria che ha imposto la deviazione a nord della darsena di un altro canale parallelo al Tirello, denominato Sallegrino (o Sellerino). La valutazione di compatibilità sarebbe stata espressa senza tenere conto di tale aspetto.

Quanto sopra, implicherebbe, innanzi tutto. il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria, in quanto il Nucleo VIA della Regione Calabria si sarebbe pronunciato in assenza dei dati per valutare gli aspetti più importanti dell’impatto ambientale correlato alla costruzione del porto, quali la variante progettuale per deviare il Sallegrino, uno studio matematico predisposto in relazione alle soluzioni di cui al progetto definitivo e la prova in vasca. Importerebbe anche la violazione dell’art. 26, comma 5, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 che dispone che “il provvedimento contiene le condizioni per la realizzazione, esercizio e dismissione dei progetti, nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti”.

Le censure succintamente richiamate sono fondate.

È incontroverso che gli studi predisposti dal Prof. De Girolamo, tecnico incaricato dal Comune di Scalea, riguardano il progetto di un porto a moli convergenti con 320 posti barca. Si tratta, in particolare, dello studio meteomarino, dello studio dell’impatto delle opere portuali sulla dinamica costiera e dello studio dell’inserimento ambientale paesaggistico.

Risulta, altresì, che non sono stati elaborati studi del genere rispetto al porto di cui al progetto definitivo e che non è stato approntato alcun modello fisico, né in relazione al porto di cui al primo progetto, né in relazione al porto di cui al progetto definitivo.

Osserva il Collegio che non può dubitarsi che gli studi effettuati hanno riguardato il progetto di un porto del tutto diverso rispetto a quello delineato nel progetto definitivo, sia dal punto di vista della tipologia che dal punto di vista delle dimensioni. Un porto a moli convergenti con 320 posti barca il primo, un porto a bacino con diga foranea e con 510 posti barca il secondo.

È un dato di comune esperienza che, tra le problematiche più rilevanti che devono essere affrontate nella elaborazione di un progetto di porto, vi sono quelle relative all’impatto delle opere portuali sulla dinamica delle coste, al fine di evitare fenomeni quale quello di interrimento. Tale impatto deve costituire oggetto di approfondito studio, da condurre in parallelo con altri studi attinenti anche all’ambiente meteomarino.

È, ugualmente, un dato di comune esperienza, rispondente, peraltro, a un criterio logico, che lo studio dell’impatto dell’opera sulle coste non può essere condotto, per così dire, in astratto, rispetto a opere portuali in qualunque modo eseguite, ma deve essere elaborato con riferimento ad un progetto di porto, con determinate caratteristiche, dal punto di vista della tipologia e delle dimensioni.

Alla luce di ciò appare esatto quanto affermato dall’associazione ricorrente, che rimarca che il parere di compatibilità ambientale è stato reso in assenza di uno degli elementi più rilevanti nell’ambito della valutazione da compiere a cura del Nucleo di valutazione, vale a dire lo studio sull’influenza dell’opera da realizzare sull’ambiente costiero. Il Nucleo, infatti, si è pronunciato sul progetto senza disporre di quel minimo di dati necessari per esprimere una valutazione in ordine agli aspetti ora richiamati. Gli unici dati disponibili erano quelli desumibili dagli studi e dal modello matematico elaborati in relazione al porto a moli convergenti, che, per quanto detto, non erano utilizzabili rispetto al diverso progetto di porto a bacino con 510 posti barca.

È esatto quanto rileva il Comune a proposito del fatto che la valutazione favorevole di impatto ambientale non implica l’assenza di qualsiasi impatto sull’ambiente; ma è anche esatto che per esprimere una valutazione è necessario disporre dei dati essenziali e, nel caso di specie, dei dati relativi all’impatto sull’ambiente costiero.

Non può valere a rimediare l’evidente carenza istruttoria il fatto che nel parere si specifichi che “al fine di determinare il reale impatto delle opere di progetto sulla dinamica costiera, dovrà essere sviluppato, a supporto del modello matematico utilizzato in fase progettuale, un adeguato modello fisico che permetta di rendere conto delle interferenze del porto con il trasporto solido longitudinale e degli effetti indotti a monte e a valle delle opere stesse”.

Questo in quanto, innanzi tutto, si fa riferimento ad un modello matematico non utilizzabile poiché riguardante un diverso progetto. D’altra parte, non appare ammissibile che, in sede di valutazione di impatto ambientale, si rinvii la determinazione del reale impatto dell’opera ad un momento successivo alla realizzazione di un adeguato modello fisico.

Come osserva l’associazione ricorrente, l’art. 26 del d.lgs. n. 152/2006 prevede che il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale deve contenere le condizioni per la realizzazione, esercizio e dismissione dei progetti, nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti e deve, pertanto, fissare tutte le condizioni inerenti alle modalità di attuazione del progetto, senza possibilità di rimandare a successive operazioni l’acquisizione di dati che tali condizioni servono a fissare, soprattutto allorché, come nel caso di specie, si tratti di dati di importanza basilare.

Ritiene, quindi, il Collegio che sussista anche la violazione della norma ora richiamata

Ugualmente fondati i rilievi della ricorrente relativi al fatto che il progetto su cui si è espresso il Nucleo Via non contempla la deviazione del canale Sallegrino (o Sellerino), pure imposta dall’Autorità di bacino della Regione Calabria. Il relativo parere è stato reso, quindi, in relazione a un progetto diverso rispetto a quello da realizzare, che non prevede un’opera importante sotto il profilo ambientale, quale la deviazione di un canale.

Anche sotto questo aspetto, il provvedimento impugnato risulta affetto dai vizi sopra individuati.

Ne discende l’illegittimità del decreto n. 10303 del 23 agosto 2011 del Dirigente Generale della Regione Calabria, oggetto di impugnazione con il ricorso introduttivo, che deve essere, pertanto, annullato.

 

Considerato il carattere assorbente delle censure esaminate può prescindersi dall’esame delle ulteriori censure mosse avverso tale provvedimento.

7. Con motivi aggiunti parte ricorrente ha esteso l’impugnazione al verbale del 3 gennaio 2012 relativo alla seduta conclusiva della conferenza di servizi, con il quale l’Amministrazione procedente ha sancito la chiusura favorevole della conferenza di servizi, disponendo l’approvazione del progetto definitivo.

Dell’autonoma impugnabilità di tale atto si è detto in precedenza.

Ritiene, innanzi tutto, il Collegio che la valutazione impatto ambientale assuma un ruolo tale nell’ambito del procedimento di approvazione del progetto definitivo, che eventuali illegittimità che affliggano il relativo provvedimento siano destinate a riflettersi in via automatica sui successivi atti.

Ma, al di là di questo aspetto, risulta comunque fondata, come già rilevato in sede di ordinanza cautelare, la censura, di cui al primo motivo del ricorso per motivi aggiunti, con la quale si rileva che, in violazione dell’art. 14 bis della legge n. 241/1990 e degli artt. 3, comma 2 e 5 comma 2 lett. f) del DPR n. 509/1997, l’Agenzia del Demanio non è stata posta in condizione di esplicare un’effettiva partecipazione al procedimento.

Risulta dagli atti che l’Agenzia ha rimarcato di non potersi esprimere sul progetto definitivo, in quanto l’invio di esso non è stato preceduto dall’invio del progetto preliminare.

La norma che viene in considerazione è quella di cui al comma 3 dell’art. 5 del DPR n. 509/1997, che dispone che le domande di concessione, complete degli allegati, sono inviate agli enti invitati alla conferenza almeno novanta giorni prima della data di convocazione, al fine di consentire ai medesimi l’espletamento delle procedure necessarie alla compiuta e definitiva espressione delle rispettive competenze. Ed è questo l’adempimento di cui l’Agenzia ha lamentato l’omissione, facendo presente di non potere esprimere parere sul progetto definitivo, senza avere esaminato i precedenti atti del procedimento.

Il fatto, rimarcato dalle parti resistenti, che oggi è lo stesso Comune a rilasciare la concessione è ininfluente, giacché, come si desume dalla nota del 29 dicembre 2011 del Direttore della Filiale della Calabria dell’Agenzia del Demanio, ciò che è mancato è stato l’invio del progetto preliminare alla stessa Filiale, che in conseguenza non ha potuto esprimersi su di esso, nonostante l’espressa previsione normativa.

L’inosservanza della norma richiamata determina l’illegittimità dell’atto impugnato con motivi aggiunti, che deve essere, pertanto, annullato. Restano assorbiti i motivi non esaminati.

8. In conclusione il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti sono fondati e devono essere accolti, con conseguente annullamento degli atti con gli stessi impugnati.

La complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) accoglie il ricorso e i motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Pubblicato in Alto Tirreno
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