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Scrive Gigi:

“Carissimi e in qualche modo invisibili amici, il M5S va dove tira il vento, e ultimamente il vento tira sempre più a tribordo.

Adesso punta sul respingimento dei profughi.

 

Molte delle sue proposte vanno dall’estrema destra all’estrema sinistra tipo l'etichettare come "servo delle banche" chiunque ricordi che esiste un vincolo di bilancio (sotto sotto nasconde l'idea che il fatto che non si possa spendere più di quanto si abbia per un tempo illimitato sia un'invenzione dei capitalisti, dei banchieri, degli eurocrati o di chi si preferisce).

Forse potrebbe tornare utile a lor signori pentastellati ricordare o apprendere il giuramento dei politici eletti nell’antica Atene: “Giuro di restituire Atene migliore di come me l'avete consegnata”, questo è il senso della politica - ha detto il senatore a vita Renzo Piano, sottolineando di non essere un politico, ma di adorare la Politica

L'Italia è sempre più intollerante e maledettamente ignorante.

L'Italia è sempre di più alla ricerca di un qualcosa qualcuno a cui addossare tutte le colpe.

L'Italia è anche sempre di più alla ricerca di motivi per cui indignarsi e arrabbiarsi.

In questi moderni qualunquisti Penta-Galattici che si lamentano, si indignano e si arrabbiano, intravedo ben poco disagio (a parte quello mentale).

Da American idiot dei Green Day:

"Summer has come and passed

The innocent can never last

Wake me up when September ends."

Traduzione

L'estate è venuta e passata,

L'innocente non può mai durare,

Svegliami quando il settembre si conclude

Gigino A Pellegrini & G el Tarik


Pubblicato in Italia

In queste ultime settimane sento sempre più spesso espressioni come: “anti-Amanteano”, “sfascista”, “irresponsabile” , invettive indirizzate a persone che denunciano dei fatti gravissimi come l’inquinamento del mare di Ulisse, l’immondizia sparsa per le strade, l’odore nauseabondo della putrida rete fognaria e le migliaia di buche che ormai fanno parte del tessuto cittadino.

 

Questo accanimento contro persone che fondamentalmente vogliono bene al proprio paese e vorrebbero che le cose migliorassero, lascia trapelare un egotismo senza freno da parte di una bella fetta di popolazione arruffona e sbrodolona che non sa neanche cosa sia un sentimento profondo come l’amore per gli altri e per il proprio paese.

 

L'intero concetto di amore per la propria terra è costruito attorno al concetto di difesa collettiva. Il concetto di autoconservazione dove sacrificare certi diritti per ottenere maggiori benefici.

 

L’amore per la propria terra in questo caso costruisce una robusta difesa per proteggere il "paese natale".

La gente lavora per l'amore del paese per creare posti di lavoro e raccogliere i benefici nel suo complesso. Così logicamente se si desidera mantenere una parte di un sistema funzionante e trarre vantaggi dagli sforzi collettivi: energia elettrica, acqua pulita, difesa, legge e ordine, trasporti pubblici ecc. Dovresti amare il tuo paese.

 

Tutti conoscono l’espressione “nemo propheta in patria”.

E' una locuzione in lingua latina che significa:"Nessuno è profeta in patria.

L'espressione vuole indicare la difficoltà delle persone di emergere in ambienti a loro familiari; in ambienti estranei viene generalmente assunto che sia più facile far valere le proprie capacità e qualità.

E’ un’espressione tratta a dai Vangeli: tutti e quattro riportano, direttamente o indirettamente, questa frase di Gesù di Nazaret nell’occasione della visita alla città di Nazareth dove partecipava alla liturgia della sinagoga. Matteo:

E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua».

Marco:Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».

Luca.Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria».

Giovanni Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria.

Il contesto dell'affermazione è nelle note riassuntive della visita di Gesù alla sua città di Nazaret, dove partecipò alla liturgiadella sinagoga e applicò a sé la profezia di Isaia riguardante il dono dello Spirito Santo al Messia del Signore.

La reazione dei nazareni è di rifiuto, e lì Gesù pronunciò la frase in questione.

Invece in Giovanni l'affermazione appare nel contesto generico di un ritorno a Nazaret di Gesù dopo una festa di Gerusalemme. Ancor oggi simile espressione viene usata da coloro che vedono il proprio operato non apprezzato da chi sta più vicino: famigliari, colleghi, amici...

Essendo il successo, la fama, come qualcosa fuori dell’ordinario, stentiamo ad attribuire queste doti ad una persona che vive la nostra stessa vita ordinaria.

Le attribuiamo più facilmente a chi non conosciamo affatto e viene da lontano.

Avere la propria Terra nel cuore significa sentire forte l'appartenenza e portare le radici dentro di sé, in qualunque parte del mondo ci si ritrovi ad essere, a nascere, a vivere, ad amare e anche a morire. E' un legame inscindibile dal proprio Dna, esattamente come avviene per il proprio gruppo sanguineo.

La propria Terra tale e quale al proprio sangue, diviene un'identità, un' appartenenza, una necessità ed anche una priorità.

Solo le qualità che sorgono dalla nostra attività spontanea danno forza all'io e formano per tanto la base della sua integrità. L'incapacità di agire spontaneamente, di esprimere quel che veramente si sente e si pensa, è la conseguente necessità di presentare uno pseudo io agli altri e a se stessi, sono la radice del sentimento di inferiorità e di debolezza.

Beaumont sur Mer12 luglio 2017                              Gigino A Pellegrini

Pubblicato in Amantea Futura

Stamattina alla radio qualcuno parlava di Giovanni Verga che diceva: “ Il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole”.

 

Oggi in Calabria, sempre di più, ci si preoccupa solo del malaffare dei politici, senza guardare al paesaggio e all’ambiente.

Al mare, in particolar modo che potrebbe dare delle grandi soddisfazioni come quelle di un tempo. Spero che, non solo chi direttamente interessato, possa aderire a questo urlo di protesta, ed un giorno avventurarsi per i magnifici paesaggi del suolo calabrese e fare un bagno nelle acque limpide e pulite del mare di Ulisse.

Il turismo sarebbe teoricamente una delle nostre più grandi risorse. Scrivo di questo “urlo” affinché molti cittadini possano sentirsi meno dimenticati.

Gli amministratori calabresi non possono abbandonare il proprio meraviglioso mare in questo modo, non possono privare ai propri e legittimi cittadini questo azzurro elemento.

Bisogna tutelare le bellezze del territorio, e non lasciarle alla deriva, i depuratori funzionano (dicono), il problema maggiore sono tutte le porcherie che vengono scaricate in mare. La Regione Calabria e la Provincia di Cosenza e tutti i suoi comuni che si affacciano sull’Ulisse mare, con i fondi stanziati dal Governo dovrebbero mettersi in moto immediatamente sia per la salute dei cittadini sia per quella degli ipotetici turisti che potrebbero giungere sino alle nostre coste. Non più tardi di qualche anno fa il nostro carissimo, attuale, presidente della Regione Gerardo Mario Oliverio sosteneva che l’acqua del nostro mare fosse così pulita che addirittura “si poteva bere”, la sua lotta contro le “male lingue” è stata così energica da meritargli un premio: il Tapiro d’oro.

 

A questo punto bisognerà invitarlo a brindare con un bicchiere colmo d’acqua del nostro ‘pulitissimo’ mare”. Sono anni che l’acqua del mare di Ulisse é sporca, che si é impossibilitati a fare il bagno, che si aspetta che la corrente porti con se la melma che quasi per tutto il giorno giunge a riva.

I più coraggiosi possono raccontare di aver letteralmente nuotato in un mare di merda, tra pannolini ed assorbenti, ed il giorno dopo essersi svegliati con eruzioni cutanee al pronto soccorso. 

Pesci con malformazioni alla colonna vertebrale e aspetto deforme sono stati pescati poco tempo fa in questo sacro mare. 

Il valore più elevato riguarda una componente ritenuta da molti ricercatori tra i responsabili di mutamenti genetici negli animali.

Ma anche pericolosa per la stessa salute dell’uomo visto che è stato accertato il suo effetto cancerogeno. Anche il monitoraggio di Goletta Verde di Legambiente lo conferma: l’80% della costa calabrese risulta inquinato.

Per dissipare i sospetti diffusi ovunque, anche attraverso i social, è necessario informare sulle reali condizioni dello stato di salute del mare e delle spiagge non solo di Amantea ma di tutti i 716 Km di coste della regione.

Nell’interesse della Calabria e dell’intero ex Bel Paese, s’impone la necessità di informare con dati certi e verificabili sull’intero patrimonio costiero regionale. Un patrimonio di terre e acque ricche di minerali e sostanze che, tra l’altro, alimentano una grande varietà di vegetali e animali e anche di quei preziosi prodotti enogastronomici presi in considerazione dal New York Times per inserire la Calabria tra i luoghi da visitare nel 2017. E’ necessaria la mobilitazione dei cittadini indignati dalle condizioni in cui versano anche quest’anno le acque del Tirreno cosentino e di tutta la Calabria. Una mobilitazione popolare per tutelare ambiente e cittadini. Un messaggio forte indirizzato al governatore della Regione Calabria Mario Oliverio, al presidente della Provincia di Cosenza Mario Occhiuto e alla Procura della Repubblica con il quale si intende denunciare le precarie condizioni delle acque del Tirreno cosentino.

Roma 4 luglio 2017                Gigino A Pellegrini

Pubblicato in Amantea Futura

Ora verrò accusato, come spesso accade, di parlare facendo uscire il fiato, o peggio.

Alle spalle ci sarebbe il suono fan-fan, tipico dei tromboni militari.

Ma la vanvera, o “piritera”, era anche l’oggetto simile all’antico prallo che non era altro che un uovo di ceramica o di legno dotato di due fori comunicanti.

Tale uovo durante i lunghi banchetti dei Faraoni, degli Imperatori Romani, insomma dei Potenti del mondo, veniva infilato nel pertugio anale al fine di attenuare l’effetto dei miasmi delle flatulenze.

Al suo interno vi si infilavano delle erbe odorose, inoltre il gas, nel suo attraversamento, provocava una curiosa nota musicale tipo trombetta o fischietto.

Non vorrei trascurare o dimenticare la “piritera”.

La piritera è arrivata nel Meridione, secoli dopo, assieme ai Principi Borboni (Tenete presente che il termine medico ‘borbogismo’ vuol dire rumore e gorgoglio intestinale e sembra che i Borboni ne soffrissero alquanto).

Si trattava di una specie di piffero in ceramica.

Famose sono le Piritere di Capo di Monte.

Da un lato aveva una imboccatura, dall’altro le sembianze della testa di un uccellino.

Veniva adoperato nelle sfilate del Principe attraverso la città  di Napoli: Il Principe, disteso nella sua portantina, appoggiava l’ imboccature all’ ano in modo che con l’emissione di flati il piffero suonasse in faccia alla gente che lo osannava dicendo ”Lunga vita al Principe“ o “Salute al Principe”.

Parlare a caso, senza considerare quel che si dica. Temere loqui. Dicesi anche: parlare in aria. Cioè: senza fondamento.

Parlare a vanvera.

Così scrive il poligrafo toscano, Francesco Serdonati, vissuto tra il XVI e il XVII secolo, alla lettera P dei suoi Proverbi . La presenza dell’espressione alla lettera P dei Proverbi di Serdonati è significativa poiché ci dice che, a quell’altezza cronologica, la locuzione avverbiale a vanvera veniva già percepita insieme al verbo parlare: “senza senso, a caso, senza fondamento, senza riflettere”.

Sulla provenienza di “parlare a vanvera” si sono fatte molte ipotesi.

Alcuni studiosi, ad esempio, asseriscono che la radice di vanvera assomigli a quella di vano.

Altri ritengono che la parola derivi dal "gioco della bambàra", una locuzione, forse di origine spagnola, con la quale s'intendeva una perdita di tempo. A rinforzare questa tesi c'è il fatto che in certe zone della Toscana si dica proprio "parlare a bambera". Oggi gli etimologisti sono favorevoli a credere che parlare a vanvera sia una locuzione onomatopeica che deriva dal suono di chi parla farfugliando e dunque perde tempo senza riuscire a esprimere qualcosa di sensato. 

Inoltre si raccontano altre origini, più o meno fantasiose, della parola vanvera. Una di queste racconta la meravigliosa storia di una bambina di nome Vera Van, alla quale piaceva ascoltare tutto; a cinque anni chiese di andare a scuola per ascoltare le lezioni.

La maestra le disse che si sarebbe annoiata ma Vera scosse la testa e fu iscritta.

Quando la maestra faceva l’appello chiamava “Van Vera” e non Vera Van. A Vera piacque molto sentirsi chiamare così.

Quando divenne adulta Vera divenne Uditrice Giudiziaria. Col tempo poi divenne vecchia e sorda e i suoi nipoti e pronipoti, che fino a quel momento le avevano raccontato i loro problemi, decisero di ricambiarle il favore.

A turno andavano a trovarla e le raccontavano storie e discorsi senza senso.

O voi di Amantea nobili cittadini, patrocinanti di una buona causa, difendete con l’armi il mio diritto di “parlare a vanvera” sulla giustizia, sulle malefatte dei prepotenti, sulle falsità di parecchi amministratori che si sono succeduti negli anni.

Voi, cittadini, ,sostenete ora con le vostre spade il diritto e la giusta causa di tutti e non dei pochi. Fate sì che rivivano nella vostra impresa quegli onori che furon dei nostri avi.

Amanteani, amici, fidi seguaci del giusto, sostenitori del buon diritto, nessun di voi permetta che al seggio di primo cittadino a virtù consacrato ed a giustizia, a dignità e modestia di costumi, s’accosti il disonore, ma fate che da libera elezione rifulga il merito.

Combattete urlando le parole attribuite secondo la tradizione a Marco Giunio Bruto nell’atto di uccidere Giulio Cesare: “ Sic semper tyrannis”.

Beaumont sur Mer 28 april 2017 Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Primo Piano

Per mia scelta non scrivo molto di “politica”. Non perché non mi interessi, anzi… ed ho anche precise idee in merito. Ma troppi ne parlano già. Siamo sommersi da opinionisti più o meno improvvisati, analisti più o meno competenti.

Oggi tuttavia sento l’irrefrenabile impulso, quasi un dovere, da cittadino, di esprimere il mio personale malessere, il mio disappunto, il mio desiderio di aria pulita, di una politica meno corrotta, di dibattiti sugli ideali e non sugli interessi. Avrei voglia di usare tutte le mie energie in una battaglia di recupero dei valori civili che stanno sul letto di morte. Avrei tanta voglia che si organizzasse una nuova Resistenza. Penso spesso a quella generazione di donne e di uomini che in nome di un ideale hanno combattuto a costo anche della loro vita. Auspico il recupero del senso della “cosa pubblica”, dell’idea che si deve concorrere al suo mantenimento proprio perché una sua parte appartiene a me. Forse dovremmo comportarci, come si fa con ciò che ci appartiene: la casa, l’auto e oggetti vari. Leggevo un post di Silvio Clemente su Facebook, nel quale lo stesso era convinto che dalle prossime elezioni verrà fuori la “migliore Giunta” perché eletta dal popolo. Di questo non era convinto, tanti anni fa, neanche un allenatore geniale e impetuoso come il triestino Nereo Rocco, l'indimenticabile “Paròn”, quando alla vigilia di una partita delicata tra il suo piccolo Padova e la grande Juventus, a un giornalista che gli augurava “vinca il migliore”, rispose convinto: “Speremo de no”. Considerato che “il sistema rappresentativo è una procura data a un certo numero di uomini da parte della massa del popolo, che vuole difesi i suoi interessi e al tempo stesso non ha il tempo per difenderli da sé” la delega della sovranità e, quindi, il conferimento di poteri mediante elezioni a soggetti politici esige idonei contrappesi. Tante, tantissime, troppe chiacchiere interne. E’ bene informare, si tratta del nostro paese ma in questi giorni regna la confusione, almeno da quello che si legge sul Gazebo di Campaiola. Chi sfiducia e abbandona la nave, chi se ne va, chi ritorna e ridiventa ancora una volta il protagonista della scena, ruolo in realtà mai abbandonato anche quando era dietro le quinte. A parte il mondo, cos’altro vorreste che finisse? Io qualche idea l’avrei: gli sparaballe, i corruttori, i dispregiatori del diritto, i terrorizzati dalla morte che frequentano giovinezze comprabili e mettono fard sulle rughe e capelli arancioni sulla pelata. I populisti che sanno parlare solo alla pancia e hanno l’impudenza di chiamarla cuore. Gli omini di burro che fanno la spola fra il Paese dei gonzi e quello dei balocchi, e se lo spread sale, dicono, chi se ne frega. I grilli sparlanti che furono comici e adesso affermano senza sorridere: sono così democratico ma così democratico che se qualcuno dei miei ha qualche dubbio in proposito vada pure fuori dalle palle (oh yes!). Vorrei che finissero anche quelli come me, che appena gli sparaballe, corruttori, dispregiatori terrorizzati populisti ritornano in scena ormai solo come maschere grottesche, gli ringhiano addosso, accampando la scusa che sono ancora pericolosi mentre sono soltanto funzionali al desiderio rassicurante di continuare a parlare e a indignarsi delle stesse cose. Però vorrei che finissero anche quelli tra di voi che hanno ricominciato a parlare indignandosi di loro. Parimenti, tuttavia, non vanno sottaciute le responsabilità di cittadini la cui propensione all’apatia e alla deresponsabilizzazione atrofizza ogni capacità di cognizione politica. Se, come sempre più sovente accade, essi votano rappresentanti nei quali non si riconoscono del tutto, ma da cui discordano meno rispetto ad altri, la delega conferita sulla base di una fiducia non piena dovrebbe indurli a una verifica più oculata su quanto viene loro presentato come scelta maggiormente vantaggiosa: esperti indipendenti dalla politica offrono a chi sia interessato, anche se non “addetto ai lavori”, critiche qualitativamente argomentate sull’operato dei pubblici decisori. Infine, alcuni media, troppo attenti a farsi portavoce delle contrapposte posizioni e poco impegnati a priori ad analizzarne nel dettaglio le implicazioni, hanno contribuito a rendere il voto non “stupido”, bensì “razionalmente ignorante”. I cittadini, poco avvezzi a pretendere dai propri rappresentanti trasparenza circa ragioni, atti e obiettivi misurabili delle loro proposte, non possono poi reclamare un diritto di ripensamento, lagnandosi del risultato di proprie scelte poco informate: l’eventuale “errore” (non si è mai troppo severi verso la propria persona) commesso può consentire loro, in prosieguo, una maggiore consapevolezza nell’esercizio delle prerogative democratiche di cui sono titolari. I cittadini, poco avvezzi a pretendere dai propri rappresentanti trasparenza circa ragioni, atti e obiettivi misurabili delle loro proposte, non possono poi reclamare un diritto di ripensamento, lagnandosi del risultato di proprie scelte poco informate: l’eventuale errore commesso può consentire loro, in prosieguo, una maggiore consapevolezza nell’esercizio delle prerogative democratiche di cui sono titolari. Come la tela di Penelope…

Beaumont sur Mer 25 april 2017 Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Politica

Quando la corruzione è frutto di un caso isolato, una necessità, un’irrefrenabile sete di potere o di denaro, essa è deprecabile, ma non è un problema.

Basta individuare quanto accaduto, isolarlo e cercare di fare il possibile per impedire che si ripeta.

 

Il problema vero comincia quando la corruzione diventa sistemica, quando lo scambio di favori, di cariche e di potere diventa il collante, il lubrificante che fluidifica l’intera macchina amministrativa.

Sto per tornare ad Amantea dopo 10 giorni di assenza.

La sensazione più immediata e malinconica è quella di una previsione sul prossimo futuro.

Sulle elezioni Comunali.

Un possibile disastro annunciato?

Per ora, mi limito a dire che tutti gli Amanteani, diciamo così, di strada e di piazza, dai contadini ai baristi, dai commercianti ai giovani con lavoro o senza e ai vecchi disincantati, ironizzeranno e imprecheranno sul fatto che si perderà, come sempre è accaduto in passato, una favolosa occasione di riscossa, comunque sarà un’operazione estranea a noi e alla città, sappiamo di essere pessimisti e peggio ancora indifferenti.

Ancora più demoralizzanti saranno le battute di alti personaggi che incontrerò, al livello sociale ed economico, sulle prossime elezioni.

Qualche anno fa lo scrittore Italo Calvino scriveva: “C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia”.

Al mio ritorno da Roma sentirò solo battute umoristiche tipo: “E’ previsto anche uno stand in piazza Commercio per illustrare la corruzione e il malaffare!”

Se le persone che amano Amantea e la rispettano decideranno di starsene al balcone a guardare, uscendo di scena, senza vigilanze e indirizzo morale, le elezioni future serviranno, come ci hanno raccontato le cronache degli ultimi anni – esclusivamente, a dare non solo pane ma anche formaggio alle solite corruttele, a intrallazzatori di ogni risma.

Amantea, gli Amanteani vorranno rispettare la tradizione mandando ad amministrare il paese persone, con tutte le forme d’illecito, da quelle più subdole a quelle più selvagge che si salderanno in un sistema avente una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potranno trovare il loro vantaggio pratico, senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto?

Potranno, ancora una volta dirsi unanimemente felici molti Amanteani, non fosse per una pur sempre numerosa categoria di cittadini onesti ai quali non si saprà quale ruolo attribuire?

Al termine del racconto di Calvino un’insospettabile classe di individui conquista piano piano il proprio spazio, è quella della “controsocietà degli onesti” coloro che “non per qualche speciale ragione…. erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso.

Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone”.

Gli Amanteani come me da oltre vent’anni, sono alla ricerca di questa controsocietà.

Roma 9 mar 2017 Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Il sostantivo corruzione deriva dal verbo corrompere, che ha vari significati: il primo, secondo il vocabolario della Treccani, si riferisce alla decomposizione e al disfacimento, il secondo al guastarsi e al degenerare di qualcosa, il terzo, non più in uso, utilizzava il termine come sinonimo di contagio (come nel caso per esempio del vaiolo) e il quarto, infine, si riferisce all'opera di qualcuno che induce qualcun altro a fare del male. L’onestà in politica è uno degli aneliti più frequenti. Abbiamo anche avuto personaggi che ci hanno costruito sopra un partito, dal programma tanto ideale quanto fumoso e improbabile. Naturalmente l’onestà costituisce un dovere e costituirebbe un vantaggio in tutte le sedi e a tutti i livelli. Ma se è per questo anche un clima che permettesse la giusta irrigazione delle colture, i giusti giorni di sole per le vacanze e il resto sarebbe migliore di quello che di fatto abbiamo. Il discorso su “ciò che sarebbe bello” non conduce da nessuna parte. L’onestà, come è difficile averla nella società, è difficile averla negli amministratori. Per la semplice ragione che la politica è fatta da quelle stesse persone che costituiscono la società. Né si vede perché i politici dovrebbero essere più onesti degli altri, quando proprio loro esercitano un’attività che, a sentire Machiavelli, è essenzialmente aliena dalla morale. Pretendere più onestà da loro sarebbe come pretendere la massima igiene dagli spazzini o la massima fantasia dai geologi. Chi parla di “debellare una volta per tutte la corruzione” prende in giro il prossimo, se è in malafede, e se è in buona fede è un pericolo per il Paese. Uno sciocco può fare più danni di un delinquente. La corruzione non si debella, come non si debella il male cui essa inerisce. Tutto ciò che si può fare è limitarla: e non con le maledizioni, gli insulti e le minacce, ma con le proposte concrete. Nel mondo dei cittadini normali, dopo che gli invitati se ne sono andati, nessuno conta le posate d’argento. È lo stesso fenomeno - che tanto mi stupiva quando sono arrivato la prima volta in nord America, dove il lattaio lasciava il latte dietro la porta del cliente, e la pila dei giornali era a disposizione dei clienti, i quali poi pagavano la loro copia mettendo gli spiccioli in una cassetta. Per quanto riguarda la corruzione in materia di denaro pubblico, in cui si hanno contemporaneamente grandi somme e scarsa sorveglianza, contro di essa si lotta soprattutto diminuendo le occasioni di malaffare.    Si è pensato così di privatizzare alcuni servizi, in modo da contrapporre al desiderio di rubare quello di non essere derubati. Un Municipio , luogo rappresentativo di una collettività, è infatti un’astrazione e chi dovrebbe difenderlo non lo difende come difenderebbe i suoi propri soldi. Il senso del dovere sembrerebbe essere una molla troppo debole per questa funzione. Ecco perché a volte il controllore si associa col ladro: perché ci guadagna pure lui.
Il modo migliore di lottare contro il perpetrarsi della corruzione e del malaffare nelle istituzioni pubbliche – anche se richiederà più tempo – sembrerebbe essere quello di cambiare a poco a poco la società, partendo dal non permettere, a quelli che in passato hanno contribuito allo sfacelo di Amantea, di rimettere le mani ancora una volta sulla cosa pubblica. Gli Amanteani, quando sono in vena di autoflagellazioni - e avviene spesso - dicono che loro sono un pugno di disonesti, mentre gli olandesi, mentre i danesi, mentre gli svedesi… Si sbagliano. Se in quei Paesi c’è maggiore correttezza è segno che c’è (stata) una severità tanto maggiore da creare delle buone abitudini. Ma le politiche anti-corruzione possono nascere anche dal basso. Già esiste, infatti, un sapere pratico costruito dai soggetti che a vario titolo si occupano quotidianamente di questi temi nella loro esperienza amministrativa, per ragioni di ricerca o di impegno civile. Questi personaggi hanno col tempo elaborato una serie di iniziative, provvedimenti e meccanismi utili a recepire segnali del rischio di corruzione e infiltrazioni criminali. È un quadro ancora frammentario, in via di evoluzione. La classe politica appare oggi sempre più delegittimata nello svolgere il loro compito teso al bene della collettività, anche per la sensazione diffusa di una corruzione dilagante, e si condanna così a un'inerzia funzionale agli interessi degli stessi corrotti. Per uscire da questa impasse occorre forse cambiare paradigma, distaccarsi da quei fantasmi del passato che hanno in mente di riprendersi la gestione amministrativa attraverso le elezioni che probabilmente si svolgeranno prima dell’estate. Diceva Tacito che più corrotto è lo Stato maggiore è il numero delle leggi e questo potrà anche essere vero ma un'altra verità è che la colpa della corruzione non risiede nella legge ma nei corrotti, intesi come coloro che corrompono (e quindi corrotti nel senso di “guastati” moralmente) e come coloro che vengono corrotti (cioè, riprendendo sempre le definizioni del vocabolario, indotti a “fare del male”). Tra corrotti e corruttori si stabilisce un rapporto asimmetrico, sì, ma complice: chi corrompe la volta prima potrà essere corrotto quella dopo, chi deve un favore potrà restituirlo, chi è stato pagato pagherà la prossima volta. Il corrotto è comunque quello che permette, eleggendolo, il corruttore. Siamo così abituati, da una trentina d'anni a questa parte, a considerare quella della corruzione come una dinamica normale che anche se ogni tanto i giornali e la magistratura riportano alla nostra attenzione l'esistenza, da qualche parte, di un codice morale e del diritto che ci dice che la corruzione va punita e non dovrebbe regolare le nostre vite, tuttavia non ci crediamo: “è tutto uguale, non cambia mai niente” è un modo di dire tipico degli Amanteani. Questo modo di dire e di pensare si traduce però anche in un modo di “non-fare”, in un'immobilità complice che sostiene questo sistema di malaffare come ben sa chi ne approfitta e che spesso è il primo a dire che è “tutto un magna-magna”. Le possibili ricette di una politica anti-corruzionepresentano un minimo comune denominatore: la presenza di una formazione politica disposta a investire in questa battaglia risorse di credibilità e di consenso lungo un arco di tempo sufficientemente esteso, auto-vincolandosi attraverso un impegno credibile agli occhi di cittadini.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Cronaca

Grazie all’ arrivo del Commissario Prefettizio Emanuela Greco, Amantea e gli Amanteani hanno scoperto come risolvere i problemi che affliggono la città.

In un incontro, voluto dalla Commissaria, i commercianti ed esercenti Amanteani hanno ascoltato, in doveroso silenzio,

la strategia carnevalesca con la quale il comune affronterà le pesanti problematiche cittadine.

Colombina la messaggera cerca, cerca la Primavera la più bella che ci sia me la voglio portare via.

Ecco qui che l’ha trovata, tutta bella incipriata con le scarpe di cioccolata, Colombina vuol ballar.

E’ la sera di Carnevale, Colombina vuol ballare e si fece accompagnare da un vecchio Barbablù che saresti proprio tu.

In uno dei suoi Dialoghi, Lucianodi Samosata immagina che Giove e Mercurio si improvvisino venditori di filosofi e che uno scrupoloso acquirente interroghi ad uno ad uno i sapienti delle diverse scuole, per saggiare l'opportunità dell'acquisto.

E così, dopo aver interrogato Pitagora e Diogene, l’estroso compratore si trova di fronte ad uno spettacolo che lo colpisce: i due filosofi che Giove e Mercurio magnificano per la loro saggezza gli appaiono uniti da un singolare contrasto poiché l'uno continuamente ride, l'altro invece piange.

Il filosofo che ride è Democrito: se tutto è davvero una danza di atomi nel vuoto allora ogni vicenda umana deve rinunciare alla sua pretesa di senso e, risibili, debbono apparire le preoccupazioni e le cure degli uomini che non sanno adeguare le proprie passioni a ciò che la ragione del mondo cerca di insegnare agli umani.

Al riso del filosofo cui la ragione consiglia di prendere commiato dalle passioni del mondo fa da contrasto il pianto di Eraclito, il filosofo del divenire umano che non riesce a scostare gli occhi dalla fugacità degli eventi, e che nel tempo, che travolge tutte le cose, avverte la tragicità di un mondo in cui il senso trapassa nel non senso, il valore nel differenziato da colori e schiamazzi.

Il Carnevale!

La soluzione a tutti i mali.

Il toccasana dei poveracci.

Il Santo di tutti i santi!

Inoltre. il carnevale è considerata la festa dell'allegria per eccellenza.

Uomini e donne di ogni ceto sociale si recano a balli in maschera e sfilate variopinte, cercando di liberare la fantasia e di catturare un po' di felicità.

Lo scherzo "vale" ed il commercio che vi è connesso raggiunge il suo apice; vengono acquistati, da chi può, vestiti da indossare solo per qualche giorno, poi, come ogni anno, rimangono soltanto piazze e strade da ripulire.

Prima però si celebra il rito della Estrema Unzione del Carnevale alla vigilia del Martedì grasso, ultimo giorno di festa,e preannuncia l’avvento di astinenza e penitenza della Quaresima a cui ci si sottopone.

Una volta, per l’occasione, si metteva in scena una singolare mascherata: una banda di finti sacerdoti sfilava per le vie della città e impartiva una bizzarra benedizione, recitando in vernacolo la vita del morente Carnevale.

La processione, dalle prime ore della sera fino a notte fonda, vagava per piazze e locali.  

E si arrivava così al Funerale del Carnevale, cioè al Martedì grasso segnando la fine delle licenze carnevalesche.

I festeggiamenti culminavano solitamente con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale di un fantoccio, che rappresentava allo stesso tempo sia il Potere di un auspicato e mai pago mondo di "cuccagna", sia il capro espiatorio dei mali dell'anno passato.

La fine violenta del fantoccio poneva fine al periodo degli sfrenati festeggiamenti e malefatte. Tutti gli Amanteani andranno a dormire a notte fonda quel Martedì e il mercoledì ci si sveglierà e Amantea come l’araba Fenicia, risorgerà dalle ceneri .

L'araba fenice è divenuto il simbolo della morte e risurrezione, si dice infatti "come l'araba fenice che risorge dalle proprie ceneri".

Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruiva un nido sulla sommità di una palma, ci accumulava cannella, spigonardo e mirra, e ci s’abbandonava sopra, si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme. Per questo rappresenta così bene la rinascita.

La Fenice nell’antichità annunciava il ritorno di ricchezza e fertilità dopo che la forza dell’acqua del Nilo invadendo la terra, offriva nuovo vigore e perciò nuovi raccolti per sfamare ed arricchire le genti.

Amantea come l’Araba Fenice, imparerà dalle sconfitte ed “errori” per diventare vincente, anche senza il Nilo?

Qualcuno mi ha raccontato che alla fine dell’incontro con la Commissaria, una voce solenne, rivolgendosi ai presenti abbia detto: “ Ora quanti di noi riescono ad essere come l’Araba Fenice e risorgere dalle proprie ceneri? Coraggio amici, cerchiamo di esserlo un po’ tutti, senza dimenticare mai che il bene paga il bene ed il male l’esatto contrario”.

Un lungo applauso concludeva l’incontro.

Beaumont sur Mer 10 feb 2017 Gigino A Pellegrini & G el Tarik

 

Pubblicato in Cronaca

Potrebbe essere utile ricordare alcune nozioni del vivere in collettività a partire dai tempi che furono.

 

La democrazia nella Grecia antica e la democrazia moderna sono diversissime rispetto al problema della libertà politica.

La libertà del cittadino della polis (città-stato) consisteva nella sua frazione di sovranità.

 

Vale a dire che la sua libertà non era concepita come uno stato di sicurezza e di indipendenza individuale, come uno ‘spazio privato’ all’interno del quale ciascun individuo era protetto dai suoi ‘diritti personali’.

 

L’individuo come tale era assorbito nel corpo collettivo, il polítes era chiamato ad esistere per la polis (mentre noi affermiamo l’opposto, che è lo Stato che esiste per servire i cittadini).

 

Con questo non si vuol dire che i greci chiamassero libertà ciò che noi consideriamo oppressione.

La loro libertà era interamente subordinata all’esistenza di una piccola comunità politica diffusa (in nessun modo equiparabile allo Stato nel senso contemporaneo del termine), tanto piccola da consentire che la libertà del singolo potesse essere affidata alla sua frazione di esercizio della sovranità.

"La nostra costituzione – diceva Pericle – non calca l’orma di leggi straniere.

 

Noi piuttosto siamo d’esempio agli altri senza imitarli.

Il suo nome è democrazia, perché affidiamo la Città non ad un’oligarchia, ma ad una più vasta cerchia di cittadini; ma in realtà le sue leggi danno a tutti indistintamente i medesimi diritti nella vita privata; e per quanto riguarda gli onori ognuno viene prescelto secondo la fama che gode, non per l’appartenenza all’uno o all’altro partito a preferenza del valore…..

Sicché la Città nostra è ammirevole sotto questo come ancora sotto altri aspetti.

L’amore del bello non ci insegna lo sfarzo, né la cultura ci infiacchisce.

La ricchezza è per noi uno stimolo di attività, non motivo di superbia loquace. ….

 

E quando la sete di denaro e di potere prevalgono sull’etica, quando l’avidità divora l’uomo al potere e non esistono più princìpi morali su cui fare riferimento, ogni mezzo è lecito per riuscire a placarla”.

Anche la corruzione. Specialmente la corruzione.

La capacità di lottare per la propria realizzazione è ciò che i Greci chiamavano areté: un insieme di doti naturali, di esercizio e di previdenza.

Richiedeva conoscenza e un carattere forte, che non si lasciava abbattere dalle sventure e affrontava le malefatte di pochi ai danni dei più, è ciò che contraddistingueva l’uomo virtuoso, eccellente.

Ma non bastava e non basta sicuramente oggi..

E’ necessario avere una esatta visione delle cose per fare la mossa vincente.

Questa esatta comprensione della realtà e come modificarla a beneficio della maggioranza dei cittadini, è il compito proprio della ragione.

E’ giunto il momento, per voi ricchi: di piangere e gridare per le sciagure che avete provocato ai cittadini nei secoli!

 

Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti dovranno essere divorate dalle tarme; i vostri ori ed argenti dovranno essere consumati da una qualsiasi forma di ruggine, che dovrà levarsi a testimonianza contro di voi per poi divorare le vostre carni come il fuoco.

Avete accumulato tesori! Avete ingannato, sfruttato e defraudato i semplici cittadini.

Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati, probabilmente, per il giorno della vostra miserabile fine.

Beaumont sur Mer 28 gen 2017 Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Adesso che tutti si preparano alla carnevalata delle elezioni future, ho contato almeno 10 signori/e che si propongono come futuri sindaci, con i loro sfarzosi costumi e i loro lodevoli principi e i loro incrollabili atteggiamenti buonisti e onesti, che prefigurano

 

come sempre il bene della collettività, ho pensato che sarebbe utile ricordare loro e a tutti gli Amanteani alcuni diritti, rigorosamente sempre disattesi da tutte le amministrazioni fino ad oggi.

 

Partiamo dal diritto di avere servizi che l’Amministrazione dovrebbe garantire alla cittadinanza.

I servizi pubblici locali sono quei servizi di interesse generale, volti a soddisfare i bisogni di una comunità non solo in termini economici, ma anche in termini di promozione sociale.

Fra i principali, quelli che vengono definiti a rilevanza economica, vi sono il servizio idrico, quello di igiene urbana, l’erogazione dell’energia elettrica, l’illuminazione pubblica.

E poi quelli di rilevanza non economica, o appunto di promozione sociale: ad esempio, gli asili comunali per l’infanzia, la mensa e il trasporto scolastici, il trasporto pubblico locale, l’assistenza sociale, la gestione degli impianti sportivi comunali, così come del teatro o della biblioteca comunale.

 

I servizi pubblici locali devono essere erogati dagli Enti locali, ossia Comuni, Consorzi pubblici, Province, Regioni, e tutti gli enti che amministrano localmente il bene pubblico per conto e secondo le leggi dello Stato.

In alcuni casi, i servizi sopra elencati sono sempre più spesso “esternalizzati”, ossia gestiti da soggetti privati o attraverso società partecipate dal Comune, aventi capitale, e non solo, interamente o prevalentemente pubblico.

Con il processo di esternalizzazione, che ha investito il settore dei servizi pubblici sin dall’inizio degli anni Novanta, le Amministrazioni pubbliche si sono trasformate da semplici erogatori diretti del servizio ad interpreti dei bisogni dei cittadini utenti e responsabili del loro soddisfacimento attraverso “idonei operatori privati”.

Con l’esternalizzazione nel sistema dei servizi, si sono venuti a distinguere due differenti posizioni e funzioni: da un lato l’ente locale con la sua attività di indirizzo e controllo, dall’altro il soggetto erogatore incaricato di organizzare materialmente in servizio.

Nel caso dei servizi esternalizzati, l’ente locale si dovrebbe occupare dell’effettiva e corretta erogazione del servizio come previsto contrattualmente, limitandosi a verificare gli aspetti prestazionali e non quelli organizzativi interni del gestore.

E’ sotto gli occhi di tutti come quello di appaltare i servizi sia divenuto fin dall’inizio un serbatoio di malaffare e voto di scambio.

In teoria, quello di appaltare i servizi ai cittadini, dovrebbe essere svolto attraverso una serie di strumenti di rilevamento e controllo da parte delle amministrazioni del bene pubblico, che dovrebbero garantire un reale e costante monitoraggio delle prestazioni erogate e dei loro risultati.

Il soggetto gestore, detto anche affidatario, dovrebbe eseguire gli indirizzi e gli obiettivi fissati dall’amministrazione pubblica e, sulla base di questi, organizzare ed erogare il servizio, garantendo il conseguimento degli standard di prestazione pattuiti.

Il rapporto tra Ente locale e soggetto gestore dovrebbe essere regolato attraverso il contratto di servizio o il capitolato di appalto.

Gli appalti pubblici di servizi sono contratti a titolo oneroso, cioè non gratuito, stipulati tra un’azienda di servizi e un’amministrazione.

La mensa scolastica, o il servizio di pulizia delle strade, la manutenzione della rete fognaria, sono tipici esempi di servizi affidati in appalto a una ditta/impresa cooperativa.

 

Purtroppo, i cittadini utenti, seppur destinatari delle prestazioni oggetto del contratto di servizio, non rivestono la qualifica di parti contraenti e dunque sono “fuori” da questi accordi, anche se concorrono alla copertura dei costi del servizio, attraverso la fiscalità generale e il pagamento della tariffa.

Per ovviare in qualche modo a questa lacuna, è stata introdotta la Carta dei servizi, che oltre a contenere gli impegni assunti dal gestore del servizio nei confronti dell’ente locale, così come previsto nel contratto di servizio, esplicita anche i diritti degli utenti e gli impegni che il gestore assume nei confronti dell’utenza. è per questo che la Carta della qualità dei servizi, quando è stata introdotta nel 1994, fu presentata come uno strumento di garanzia per il cittadino. In essa, infatti, si prevedevano i meccanismi di tutela e di rimborso da corrispondere all’utenza qualora il servizio erogato risultasse inferiore, per qualità e quantità, ai livelli prefissati.

Uno dei modi per esercitare i nostri diritti di cittadini, utenti dei servizi pubblici della nostra città, sarebbe quello di conoscere, informarsi sulle condizioni contrattuali generali, sugli standard previsti per l’erogazione di un servizio, sulle procedure per inoltrare un reclamo ed ottenere eventualmente un rimborso o risarcimento. .

In genere, l’amministrazione dovrebbe aggiudicare gli appalti sulla base di due criteri: o unicamente quello del prezzo più basso oppure il criterio del rapporto fra l’offerta più vantaggiosa sotto il profilo economico ed altri aspetti, come la qualità, il merito tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali, il termine di consegna o di esecuzione, il grado di coinvolgimento degli utenti.

Ovviamente a noi cittadini interesserebbe che la pubblica amministrazione adottasse sempre, nell’aggiudicare gli appalti dei servizi pubblici, il secondo criterio che lascia spazio anche al nostro intervento.

Lamentarci del bus scolastico che arriva in ritardo o della mensa scolastica che serve pasta scotta e fredda, l’assenza di illuminazione in alcune strade, non è sufficiente.

Sempre più spesso notiamo che con la semplice lamentela si ottiene ben poco.

Certo lamentarsi è un primo passo, alla nostra voce spesso si unisce quella di altri, vittime come noi della scarsa qualità dei servizi della propria città.

E i cittadini diventano un coro: ma poi?

Cosa si può fare per andare avanti, far sentire a chi di dovere queste voci e contribuire a migliorare i servizi di cui usufruiamo?

Forse bisognerebbe impegnarsi in prima persona per la tutela di beni universali, come la salute, l’ambiente, e i servizi di cui dovremmo usufruire quotidianamente.

Tutto questo dovrebbe far riflettere ognuno di noi prima di andare alle prossime elezioni comunali.

In tal modo si riuscirebbe in parte a tutelare i diritti della collettività e contribuire ad evitare il ripetersi di situazioni di disagio e di soprusi.

"Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno". (Jacques Lacan)

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Primo Piano
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