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Scrive Gigino:”Un giorno Alice si ritrovò ad un bivio e vide un gatto del Cheshire su di un albero. Quale strada devo prendere?”, Alice chiese al gatto. La risposta fu: “ Dove vuoi andare”?  “Non lo so”, disse Alice.  Il gatto , con saggia tranquillità le disse: “Allora non ha importanza”.  Il consiglio del gatto è indubbiamente da apprezzare, in maniera particolare a chi aspira a fare ciò che desidera della sua vita. Capire cosa si vuole fare e dove andare per farlo è certamente condicio sine qua non ed è anche metà della battaglia.  Se si chiedono dettagli, a varie persone, si otterranno tante risposte quante saranno le persone alle quali si è rivolta la domanda. Proprio perché il loro essere è legato fortemente all’ambiente in cui vivono e operano. Forse, per scoprire ciò che si è, bisogna abbandonare ciò che non si è. L’acume sarà d’aiuto a lasciar andare ciò che non si è. Sarà anche l’energia che aiuterà  a stabilire i propri confini ed a trovare la propria strada. Non si superano le paure e illusioni della propria realtà solo con amore e compassione. Serve la chiarezza e il discernimento. Occorre sia l'energia dell’ auto-consapevolezza e discernimento sia l'energia dell’amore  e della  comprensione per liberarsi  dalla coscienza basata sul proprio ego. Rispetto ai propri genitori, il discernimento significherà  distanziarsi  dalle energie circoscritte e dominate dalla paura con la quale si è stati cresciuti. L’importanza  di lasciar andare la propria famiglia d'origine, dipenderà molto dalla capacità di capire ed  essere in grado di distinguere fra la loro resistenza e la propria forza per essere in grado di "tagliare i cordoni" che limitano e rischiano di soffocare la propria persona e il suo divenire. Non si tratta di esprimere la propria rabbia e frustrazione ai genitori o dire loro dove hanno “sbagliato”. Può essere utile,  a volte, cercare di chiarire la  propria  posizione riguardo alle cose oppure i propri sentimenti riguardo a loro. In molti casi, i genitori, non hanno gli strumenti per capire ciò che viene detto loro. Potrebbero non essere in armonia con la parte del figlio/a  che è "diversa" e in disaccordo col loro modo di vedere la vita. Si tratta di guardarsi dentro e scoprire fino a che punto implicitamente si è vissuti  secondo le illusioni dei propri genitori, secondo la loro idea di giusto e sbagliato, che gran parte delle volte si basano sulla paura e sul pregiudizio. Quando si cresce e si ottiene una  maggiore auto-consapevolezza, si inizia a fare delle domande sul modo di vedere le cose dei propri genitori, mentre si sta cercando di dare un  senso alla propria d'identità. Questo processo di crescita, non solo psicologica, è molto simile alla transizione dalla coscienza basata sul proprio “io” a quella basata sul “cuore”.   L’importante è essere disposto a camminare, camminare abbastanza a lungo…… Gigino A Pellegrini & G el Tarik.

Gigino sembra rifarsi alla famosa frase di Totò, quando ebbe a dire : “ per andare dove dobbiamo andare per dove dobbiamo andare?”  di cui un vecchio professore di letteratura italiana ebbe a dire che quella di Totò non era una semplice battuta inserita con spontaneità in un film di “cassetta” ma un vero e proprio manifesto politico.

Ma soprattutto sembra richiamare la battuta del film Queimada di Gillo Pontecorvo che squarciò l’orizzonte di una cultura sempre più ideologica: “ è sempre meglio sapere dove andare e non sapere come che sapere come andare e non sapere dove”.

Pubblicato in Politica

La concussione, dal latino medievaleconcussioscossa, eccitamento, ”dunque “pressione indebita,estorsione”è ilreatodel pubblico amministratore che, abusando della sua qualità e delle sue funzioni, costringe(concussione violenta) o induce (concussione implicitaofraudolenta) qualcuno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità anche di natura non patrimoniale.

Questo termine è entrato prepotentemente nel nostro linguaggio quotidiano a partire da Tangentopoli agli inizi degli anni 90.

E’ un reato tipico dell'ordinamento giuridico penale dellaRepubblica Italiana, la fattispecie concussiva non è presente nella maggior parte degli ordinamenti europei e pubblica amministrazione.

Oggi, la normativa italiana di contrasto al fenomeno concussivo è contenuta nel codice penale e precisamente nel Libro II, Titolo II "Dei delitti contro la pubblica amministrazione" (art. 314-360). Il reato “potrebbe essere punito con la detenzione da 3 a 11 anni.

Da non confondere con la truffa aggravata che è configurabile quando la qualità o funzione del pubblico amministratore concorrono in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo, che viene convinto con artifici o raggiri ad una prestazione che egli crede dovuta.

Invece deve ravvisarsi concussione tutte le volte che l'abuso delle qualità o della funzione del pubblico amministratore si atteggia come causa esclusivamente determinante, così da indurre il soggetto passivo all'ingiusto pagamento che egli sa di non dovere.

Il fenomeno rientra pienamente nel rispetto della tradizione dell’antica Roma, quando la maggior parte dei componenti della nobiltà consideravano le province terra da bottino e il loro rappresentante il Pubblicano, cavaliere romano svolgeva determinati incarichi per conto dello Stato: costruzioni di edifici pubblici e riscossione delle tasse nelle province.

Il Pubblicano, chiaramente faceva di tutto per ottenere la costruzione al minor costo possibile con l’abbassare i salari ovvero con l’estorcere, senza alcuno scrupolo, più tasse di quelle che si era convenuto di pagare allo Stato da parte del popolo.

In aggiunta non indietreggiava di fronte a nessuna oppressione, estorsione o ad alcuna sopraffazione del diritto, pur di arricchirsi.

I Pubblicani erano, chiaramente, protetti dal ceto dominante.

Solo nel 194 a.C. veniva varata una legge (la Lex Calpurnia che prese il nome del suo ideatore Lucio Calpurnio Pisone Frugi) che rendeva possibile l’incriminazione di un Governatore o Pubblicano, che per i loro metodi oppressivi ed estorsivi si erano fatti odiare dalla popolazione.

Di conseguenza “potevano” essere accusati di “repetundis pecuniis” (concussione).

Questa legge, come è facile dedurre, non ebbe mai grande effetto.

Le denunce non venivano prese in considerazione, oppure, chi si macchiava di tale reato, veniva condannato ad una semplice e banale multa, tanto per salvare le apparenze. Nel tempo intercorso da allora ai nostri tempi, poco è cambiato e se proprio si dovesse decidere di analizzare questo fenomeno tipicamente italico, bisognerebbe tenere in seria considerazione l’importanza delle nostre tradizioni e il rispetto delle stesse nel perpetuarle il più possibile senza stravolgerle. L’ex ministro dell’industria

Franco Nicolazzi, per esempio, duranteTangentopoli è stato condannato per concussione nell'ambito del processo per le cosiddette "carceri d'oro"; ciò “causò”, “udite! udite!, il suo ritiro dalla vita politica attiva.

Altro esempio lo abbiamoavuto dal tribunale di Termini Imerese che ha condannato l'ex dirigente del settore Lavori Pubblici e del settore Finanziario del Comune di Bagheria, Giovanni Mercadante, a 2 anni e 8 mesi di reclusione per concussione.

Avrebbe costretto la cooperativa sociale Serenità, minacciandola di ritardare i pagamenti delle fatture per crediti vantati nei confronti del Comune di Bagheria, a dargli 3 mila euro.

Ovviamente, essendo la condanna a meno di 3 anni, il dirigente pubblico non fece carcere.

Tutto nel pieno rispetto di almeno 2000 anni della nostra storia passata e nel rispetto della tradizione, perché solo così si distingue dalla semplice moda.

Non è dunque un caso che una società nella quale le tradizioni sono svigorite diventa preda delle mode. Non sia mai!

Gigino A. Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Politica

Da ragazzino ho sempre assistito alla processione del venerdì prima di Pasqua.

I ricordi riaffiorano e anche alcune domande che mi ponevo.

Non ho mai capito, per esempio, l’assenza di Giuseppe al funerale del figlio Gesù.

Eppure un figlio rappresentava e rappresenta la carne dei genitori, il prolungamento della loro carne e in qualche modo rappresentava e rappresenta il prolungamento della loro vita.

La loro vita e loro carne allora come adesso è lì, incarnata al di fuori di loro, in quel figlio che però è senza vita.

La madre, Maria, affranta, sono certo, sarà sempre lì.

Dietro alla salma del proprio figlio.

Col passare degli anni mi sono reso conto che per una madre perdere il proprio figlio deve essere la tragedia più grande che possa colpire la vita di una donna che lo ha partorito.

Un dolore dal quale non ci si riprende mai, una ferita sempre aperta.

Ho visto la statua di quella madre piangere per quel figlio e per ciò che avrebbe potuto vivere e per il suo futuro che non ci sarà.

Domattina, a distanza di anni, mi ritroverò sullo stesso muretto delle Scuole Elementari del mio paese natio mentre da lontano arriveranno quelle voci che annunceranno l’arrivo delle immutate statue portate a spalla e che rappresentano i protagonisti del sacrificio di un giovane di 33 anni, dei suoi aguzzini e dell’ inconsolabile madre dal volto coperto dal velo accompagnata dalle voci e pianti di tantissime donne.

Lei apparirà, come sempre,in quel suo vestito nero dietro al corpo senza vita di quel figlio.

E, come allora, la percezione del cordoglio della collettività non sarà la stessa per il padre “assente” e per la madre.

L’attenzione tenderà a concentrarsi sullo straziante dolore della madre e sul corpo di quel figlio.

Gigino A. Pellegrini & G el Tarik

Pubblicato in Politica

L’Italia non è più un Paese solo per ricchi ; non lo è più neanche per gli architetti. Il Cnappc (Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) denuncia redditi medi da ‘in capienti’, senza peraltro avere alcuna garanzia ‘sindacale’ né cassa integrazione né bonus statali; debiti con le banche per quasi la metà dei progettisti italiani che nessuno paga, considerato che i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della Pubblica Amministrazione sono oltre 218, quelli da parte delle imprese 172 e, dei privati, 98. Se per i giovani far architettura in Italia è un sogno, paragonabile a quello degli aspiranti musicisti o attori, nel Meridione è sicuramente molto più complicato. In Calabria, terra dei “ferri della speranza”, le armature dei pilastri che sbucano dai solai e si stagliano al cielo come se volessero aggrapparvisi, sono diventati l’emblema del “non-finito” che caratterizza un po’ tutto il Meridione. Un costume ampiamente diffuso che dagli anni ‘70 ha trovato cittadinanza ovunque, salvo rare, rarissime eccezioni. Riuscire a vivere o sopravvivere di architettura in Calabria, è quasi impossibile. I problemi sono tanti e noti da molto tempo, ed il futuro appare incerto e nero. Chi vuole far l’architetto deve avere ben chiaro in mente che ad attenderlo c'è un cammino arduo e che bisogna gioire di ogni piccolo e insignificante traguardo. L'economia stagnante della Calabria rende difficile trovare clienti, ed a questo s’aggiunge il sovrannumero dell'offerta di professionisti del settore edilizio e la saturazione del mercato, con l'abnorme realizzazione di piani di lottizzazioni, dalle casette tutte uguali con spioventi in calcestruzzo. Ricordo come Leon Battista Alberti definiva il mestiere di architetto : “ Architettore chiamerò io colui, il quale saprà con certa, e maravigliosa ragione, e regola, sì con la mente, e con lo animo divisare; sì con la opera recare a fine tutte quelle cose, le quali mediante movimenti dei pesi, congiungimenti, e ammassamenti di corpi, si possono con gran dignità accomodare benissimo all'uso de gli homini”. Non si possono perseguire in un progetto i consensi di tutti indiscriminatamente. Fare l’architetto è condurre una continua battaglia. I “cattivi” sono tanti quanti i fattori che hanno reso il mestiere di architetto un’arte contaminata: i quattrini, il potere, l’urgenza, le complicazioni, ma anche le radici, l’innovazione, la natura, i bisogni della gente, che sono invece il lato più bello, sano e autentico della vita. Questi sono i limiti di questo mestiere. Il racconto del tempo, della memoria, della natura e del corpo fuso con il desiderio di trasformare la faccia del mondo. La costruzione degli oggetti mescola il tempo nello spazio. Lo spazio che ci ospita ci fa dimenticare il tempo, ogni spazio è memoria e futuro. Il tempo quotidiano, della natura e degli anni che verranno sono dentro lo spazio così come "l'oblio - scrisse Jorge Luis Borges - è una delle forme della memoria, il suo remoto sottosuolo, rovescio segreto della medaglia". L'architettura moderna è prevalentemente luogo pubblico, costruzione di città, luogo di civiltà e di incontri, quindi dovrebbe rappresentare un avamposto contro la barbarie. La curiosità e la radice umanistica della bellezza sostengono e reggono il tutto, le città ma anche gli edifici. Quella stessa bellezza che rischia continuamente di divenire un'idea inarrivabile. L’architettura ha una doppia natura, una autonoma e l’altra eteronoma. Nel primo caso essa è “poesia” perché il progettista, come il poeta, asseconda le sue emozioni, le sensazioni, le passioni; nel secondo caso essa ricorre alle altre scienze per essere compresa.
È un'idea che sbarcò sulle coste del Mar Ionio dove: “ Arrivarono i Greci e non distrussero…la vacca di Vitella. Immediatamente la posero sotto la protezione di Hera, che così divenne Hera Lacinia. Cambiò il nome della Patrona, cambiò lo stile architettonico del tempio, ma allo stesso suggestivo posto rimase lo stesso simbolo”.   Tutto questo gran parte degli archi & tetti calabresi lo ignorano ed ecco perché, a distanza di millenni nonostante il “titolo” di cui si fregiano, nonostante la loro abilità artistica, sono nella realtà solo dei disegnatori per l’edilizia e passa-carte. Lo fanno per un misero stipendio mensile, meno di quello di un impiegato di commercio non particolarmente capace, si mettono al servizio di imprenditori, di costruttori e di altri architetti, ritenendolo l’unico sistema per poi mettersi in proprio. Anche l’orario di lavoro è quello dei lavoratori del commercio. È indifferente a questi “archi & tetti” che le loro opinioni artistiche concordino o meno con quelle dei loro datori di lavoro. Anzi, la maggior parte di loro non ne ha affatto. Dicono sempre di si. Ma quando si ritrovano coi loro colleghi di fede prendono bellamente in giro il loro capo – ecco come ci si comporta in termini mercantili già fra archi & tetti – e credono di fare chissà che cosa quando si scagliano contro le vecchie usanze. E il giorno dopo, alle 9 precise, sono già di nuovo freschi al lavoro per le prossime 10 ore. Questi appena descritti sono i cosiddetti “fortunati” rimasti a lavorare nella Terra degli speranzosi ferri . In questo luogo riusciranno forse a realizzare un solo progetto e sarà quello della propria “villetta” in collina dove crescere la prole che chiederanno di firmarlo a qualche amico “collega” che ha sostenuto gli esami per l’iscrizione all’Ordine e paga le tasse annuali per l’iscrizione all’Albo. Sembrano non avere più la consapevolezza che la sola proporzione di un muro può dare all’animo umano la stessa emozione di gioia artistica, lo stesso turbamento segreto e profondo di un capolavoro di Caravaggio, Rembrandt o di Picasso. Poi ci sono, e sono la maggioranza, quelli che si sono laureati in Architettura o in qualsiasi altra facoltà universitaria. Questi sognano l’insegnamento, un posto negli Uffici della Regione o altri enti pubblici, negli uffici tecnici dei Comuni, negli uffici catastali e quant’altro. E infine la residua minoranza che vuole a tutti i costi fare il mestiere di architetto. Questo sparuto gruppetto una mattina si sveglierà, dal sogno di esser nato in un mondo in cui “ gli Dei non si vergognavano di essere uomini ed i filosofi, gli artisti,…di essere Dei”, metterà insieme della roba nel proprio trolley, prenderà il proprio portatile e si avvierà all’aeroporto. Destinazione: Cina, Malesia, Australia, Nuova Zelanda, USA, Canada. A questi pochi ma “diversi” non mancherà il coraggio. Non si lasceranno spaventare dalle barriere che si troveranno davanti e che aumenteranno man mano che si allontaneranno da “casa”. Non si arrenderanno. Non perderanno lo stimolo per crescere, per andare avanti e dimenticare la terra degli speranzosi ferri e ricominciare a pensare alla bellezza dell’ architettura che non sarà altro che, ricordando una analoga definizione di Stendhal della bellezza, “una promessa di felicità”. In questo nostro Medio Evo il neo architetto si porrà la questione del nuovo come necessità ineliminabile dell’ Architettura. In questo millennio avrà ancora il gusto delle arti che tuttavia sembra aver perduto il dono di produrre “bellezza attraverso le pietre, il misterioso segreto della seduzione attraverso le linee il senso della grazia nei monumenti”. Per lui/lei, la funzionalità, la stabilità e l’economicità degli edifici non saranno considerati dei fini ma dei semplici mezzi per arrivare alla bellezza intesa come il più alto dei contributi che l’Architettore potrà dare alla questione sociale dei Paesi che contribuirà a formare.

Gigino Adriano Pellegrini & G el Tarik

cheSempre “LUI”. Anche se non soltanto “LUI”.( Altri lo hanno fatto e lo faranno finchè le cose non andranno-non dico bene- almeno meglio). Osserva, contesta, scrive. Su tutti i temi quotidiani del nostro( e del suo) paese.

Oggi parla dello scarico di Via Garibaldi, la mitica invenzione degli anni sessanta, di quando cioè, grazie alla Casmez( la cassa per il mezzogiorno) riuscimmo ad avere il primo impianto di depurazione, ahimè, localizzato a nord del paese( cioè, sopravento con effetti mefitici per la popolazione che stava a sud) e la prima rete delle acque bianche il cui scarico, ahimè, localizzato a nord del paese con la certezza quanto da esso portato a mare sarebbe poi stato distribuito sulle spiagge a sud.

Si tratta di quelle scelte approssimate ( od indotte dalla politica), fatte da tecnici approssimati, approvate da politici approssimati ( difficile che Amantea abbia la fortuna di averne di buoni) e che restano sulle spalle della città che ove mai riuscisse a capire di che cosa stiamo parlando dice che “ tanto così fan tutti”

Ma ecco cosa scrive Gigi El Tarik, il “provocatore” per eccellenza, o, meglio, una delle poche vici libere in un paese di omertà anche intellettuale:

“La Calabria ha circa 730 km di costa.

Su questa costa Legambiente monitora 24 punti e ne trova 17 “inquinati” con una carica batterica più alta di quella consentita dalla legge.

Anzi 14 su 24 sono “fortemente inquinati”perché hanno evidentemente cariche batteriche “fortemente “ più alte.

Contrariamente a quanto fatto nel 1982, quando l'Italia scelse la strada della severità e del rigore, costruendo una delle reti di monitoraggio migliori in Europa, stavolta il nostro Paese ha approfittato dell'opportunità concessa dalla direttiva comunitaria per allargare le maglie.

Un passo indietro normativo che ha fatto classificare come 'eccellenti' alcuni tratti di costa che lo scorso anno venivano dichiarati non balneabili, rimanendo tuttora inquinati.

Per citare qualche caso, solo in Calabria a fine giugno scorso, ossia con i nuovi limiti, sono stati classificati come balneabili 18 dei 22chilometri interdetti alla balneazione fino allo scorso maggio, quando la normativa di rifermento era ancora la ben più severa legge del 1982. Riaperte per decreto, queste spiagge sono state distribuite più o meno equamente in tutte le province.

Mi trovo, davanti al “colon- retto ” della città, alla fine di una delle strade che portano al mare, la famigerata Via Garibaldi.

Lì da quell’enorme buco che attraversa la ferrovia, fuoriesce un vero e proprio fiume-fogna .

Basta farsi una passeggiata sul lungomare nord e un tantino oltre per scoprire il meraviglioso spettacolo di merda che gioiosa si lascia trasportare dalle dense urine per poi tuffarsi nel mare di Ulisse.

Il denso fiume è proprio lì, alla luce del sole. Amantea e la Giunta comunale sembrano quindi aver dimenticato le origini del paese come “città d'acqua”, prima ricoprendo i suoi torrenti, ora riversando gli scarichi fognari nel proprio mare. Questo mitico Mare si ritrova invaso da una immensa "chiazza", marrone, putrescente, che interessa larga parte della spiaggia. Oggi è il giorno di San Valentino 14 febbraio 2015 l'Omerico mare, che bagna Amantea, oltre che una risorsa per i residenti, per i quali sarebbe assurdo andarsene in vacanza in altre località marine, lo è anche per una città, come la nostra, che vuol fare del turismo il settore trainante delle propria economia La cittadinanza e gli addetti al settore commerciale, artigianale, alberghiero e balneare dovrebbero indignarsi e ribellarsi. Un’azione che dovrebbe essere finalizzata a scuotere questa “Amministrazione” e gli organi deputati al controllo del territorio. In modo duro e risoluto, i cittadini dovrebbero ribellarsi a questa “classe dirigente” che continua a mandare in giro “Sparaballe” a divulgare il verbo del tutto OK! : “ Si tratta di stupide leggende metropolitane. Non si può parlare per sentito dire. Non possiamo più tollerare interventi di un folle che parla di cose che non sa. Abbiamo tanti di quei problemi reali in questo nostro amato paese che non dobbiamo inventarcene di falsi”. Intanto, sia la Giunta capeggiata dal Sindaco che il loro portavoce Sparaballe, non daranno nessuna rilevanza a questo video e si guarderanno bene dall’ annusare e respirare profondamente, senza mascherina protettiva, ciò che succede alla fine di Via Garibaldi e ai cittadini che vivono in questa maledetta strada. Gigino Adriano Pellegrini 6 G el Tarik”.

Pubblicato in Cronaca

Gigi con la sua poetica riesce a rendere leggeri argomenti di grave importanza e, perfino, a colorare panorami di un grigiore mortale.

Usa la fantasia del regista per adattare ad ogni contesto l’evento storico più confacente

Ha avuto la ventura di percorrere ( forse il verbo non è adattissimo tanto più se lo leggiamo nel suo etimo per …correre ) una strada periferica di Amantea e vi ha trovato una buca ogni 2,5 metri.

E così la sua fantasia lo ha portato nel passato a quando tutte le strade erano piene di buche e la gente non aveva nemmeno le auto e tantomeno le macchine fotografiche

Anzi le strade erano poche e per arrivare alle cas si utilizzavano i tratturi e le mulattiere.

Ma oggi è diverso; oggi le strade sono tante, anche se tante, se non tutte, nelle condizioni descritte e fotografate dal buon Gigi.

Ma non solo in campagna. Anche in tante parti del centro abitato.

E pur tuttavia –su questo avrei voluto che Gigi scrivesse- invece di spendere le poche risorse che il comune ancora ha( seppur sottratte al lungomare) per manutenzionarle si inventano passerelle, ponti e nuove strade per amici, sodali e compari. Ma di questo ne riparleremo a breve. Intanto eccovi iìun nuovo , pregevole e romantico documento di El tarik:

“BUCA… BUCA… BUCA CON ACQUA!

Oltre 480 buche e crateri in meno di 1200 metri. Questa è via Marano, una strada comunale di Campora San Giovanni (Amantea). Qui il vento mormora e va/ Non è una selva oscura/ Neanche una strada incantata!/Oh, viandante stai attento alla caviglia!

Lasciata la statale SS 18 ho imboccato la provinciale che porta, dopo aver attraversato Campora San Giovanni, a Serra d’Ajello. Ho parcheggiato la macchina sulla strada maestra all’incrocio con Via Marano. Il mio itinerario del giorno era cambiato. Non più foto da scattare a Serra.

Con la macchina fotografica mi sono avviato a piedi per percorrere i 1200 metri che mi separavano dalla casa di due anziani contadini a me molto cari: la signora Ortensia e il marito Mario Guido. Fatti saltellando i primi 200 metri, decido di tornare indietro e ricominciare da capo la corsa a ostacoli. Non per una strana mania, ma per contare buche e crateri disseminati su questa strada nel Comune di Amantea. Sono bastati pochi passi, all’improvviso mi sono trovato proiettato nel passato. Al tempo della Seconda Guerra Mondiale. A contribuire a questo viaggio indietro nel tempo sono state le fosse e una canzone: “La strada nel bosco” di Cesare Bixio. La cantava Renato Salvatori nei panni di un camionista nel film “La Ciociara” di Vittorio De Sica. Dopo aver dato un passaggio a una madre (Sophia Loren) e a sua figlia, violentate poco prima da militari marocchini nel Frosinate, l’ignaro autista si rivolge alla giovane. Mentre le canta “vieni c'è una strada nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu?”, cerca di farsi strada tra le buche e i crateri prodotti da bombe e cannonate.

Le fosse di via Marano non sono state causate da una guerra, ma dalla negligenza delle Amministrazioni che si sono susseguite negli ultimi 35 anni. Dopo essere stata costruita e asfaltata, questa strada è stata abbandonata a se stessa. Era il 1980, l’anno della strage alla stazione di Bologna, dell’omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia e fratello dell’attuale Presidente della Repubblica.

Ortensia e Mario vivevano già in via Marano, ma oggi, a differenza di allora, non possono concedersi il lusso di farsi una passeggiata. Camminando tra le buche corrono il rischio di rompersi il femore. Se dovesse succedere, di chi sarebbe la responsabilità? Dell’amministrazione comunale, stando al codice civile. Il Comune è obbligato a custodire le strade, con la conseguenza che è responsabile dei danni cagionati a persone e cose. A meno che non vi sia l’impossibilità di governo del territorio, come in caso di guerra.

Al giocatore di golf Otto Hennie sono bastati 185 colpi per “coprire” 72 buche e vincere l’Open d’Italia 2014. Al Comune di Amantea suggeriamo di indire un open di Golf su Via Marano per porre fine all’annoso problema e smuovere il turismo fermo da decenni.

Gigino A. Pellegrini & G el Tarik”

La politica c’entra ben poco in un paese come Amantea, dove non ha nessun senso parlare di altro che di amministrare insieme le necessità spicce di circa 15 mila persone.

 

Senza schieramenti politici ma solo per la voglia di stare insieme, per vivere insieme un paese a misura d’uomo, rispondendo alle esigenze delle persone. Che sono diverse dalle esigenze della grande metropoli, a partire dalla necessità di un anziano di essere accompagnato in ospedale o a fare la spesa. Anche se non ci vogliamo fermare agli anziani, parlando di categorie deboli, perché in questo tempo è necessaria l’attenzione a tutte le fasce della popolazione e pensiamo molto alle famiglie che si ritrovano in difficoltà anche economiche, oggettive, e hanno dei figli. Sarebbe possibile aiutarle in molti modi. Amministrare un Comune è non più che la gestione di un buon padre di famiglia,o di una buona madre, concretamente, insieme alla salvaguardia del territorio.

Dovrebbero redigere un programma e strutturarlo in pochi punti snelli, e il primo dovrebbe essere i servizi alla persona. I servizi alla persona dovrebbero essere la priorità, voler tutelare tutte le fasce, perché a volte si fraintende parlando di fasce deboli, dando attenzione anche alle necessità dei ragazzi che crescono e alle esigenze della famiglia. Subito dopo viene la salvaguardia del territorio. Da parte di una buona Amministrazione non ci dovrebbe essere nessuna intenzione di stravolgere il ,anche se poco, lavoro svolto dalle precedenti amministrazioni, e per precedenti si deve intendere negli ultimi vent’anni. Bisognerebbe però calarsi anche nella realtà attuale e proporre qualche innovazione per l’intera collettività.

 

Questa Amministrazione non ha intenzione di attuare neanche il poco promesso un anno fa per farsi eleggere.

L’istruzione e la cultura è un discorso inutile. Invece di puntare ad un alto grado di efficienza di tutte le strutture scolastiche e a dare attenzione al diritto allo studio; si preferisce continuare a pagare l’affitto a strutture private per ospitare gli studenti senza il minimo di adeguati spazi e misure di sicurezza. Bisognerebbe migliorare il servizio di vigilanza del territorio, nei limiti di quanto può fare un’amministrazione comunale. Non si fa nulla per potenziare la vigilanza cercando di migliorare ancor più la collaborazione con i comuni limitrofi. Bisognerebbe essere in grado di amministrare un territorio ed una collettività con grandi passioni e senso civico. E’ ovvio che solcare la porta del Comune per molti anni anche per più volte al giorno “segna” profondamente.

 

Questa esperienza dovrebbe servire come crescita personale e professionale che sicuramente inciderebbe nella vita di chiunque.

Chi amministra un Comune dovrebbe pensare costantemente non a risolvere i propri “problemi” ma a quelli dei cittadini . Questo, a parere di tanti cittadini ai quali mi aggiungo, non è certamente un punto a favore, né per l’immagine della città, né per loro stessi. Dopo quasi un anno dalle elezioni, questa Giunta ne ha combinate tante che trovo difficoltà a ricordarle tutte. Stornare la somma che doveva servire alla ristrutturazione del lungomare. Somma che andrà a finanziare un ponte quello sopra il fiume Colongi che probabilmente non verrà mai costruito; assumere come consulente amministrativo il padre del sindaco a “costo zero”; il mancato impegno di trovare una soluzione al “porto”, si fa per dire, che rimane chiuso; una raccolta differenziata che fa ridere i polli e i gabbiani, la drammatica situazione stradale nei pressi della 24 ore di Campora, la vergognosa situazione del ponte sul fiume Savuto e non quello fantomatico del Colongi ecc., ecc.

 

Detto questo non ritengo sia oggettivamente normale che i membri della giunta o del consiglio comunale disertino un elevato numero di riunioni dei rispettivi organi, comportamento poco rispettoso nei confronti dei cittadini che li hanno eletti.

Spesso noi cittadini elogiamo e quasi invidiamo la presenza in comune e il coraggio di sindaci di città vicine, perché questo è ciò che si richiede a un buon amministratore e se i nostri rappresentanti non risultano essere, dati alla mano, sufficientemente presenti, è giusto che tutti siano liberi di criticare questa situazione per spronarli ad andarsene.

Amministrare è una cosa seria: oggi i cittadini, cui peraltro vengono richiesti consistenti sacrifici economici in termini di tassazione locale, vivono una realtà quotidiana piena di problemi, vedi acqua “potabile” nelle case, crateri e solchi per le strade, luci pubbliche non funzionanti da moltissimi giorni, questioni che richiedono risposte e interventi giorno per giorno da parte dell’amministrazione. La città non può essere amministrabile a part - time. Rendere dinamico, operativo e funzionale l’Ufficio del Sindaco, che dovrebbe comprendere, alle sue dirette dipendenze la “cabina di regia” per i fondi comunitari (il Sindaco deve essere considerato il primo responsabile se il Comune non accede ai finanziamenti europei, né a quelli statali e regionali).

 

Tenere sotto controllo: l’inventario immobiliare, lo stato di consistenza delle strutture, gli affidamenti, l’eventuale contenzioso, le locazioni attive e passive, le scadenze dei contratti, l’elenco dei debiti fuori bilancio riconosciuti e l’attivazione dell’azione di rivalsa; l’elenco dei debiti fuori bilancio non riconosciuti, né riconoscibili, per i quali avviare immediatamente eventuale azione di responsabilità; l’elenco degli espropri non definiti e non pagati; le posizioni assicurative dell’Ente e del Parco macchine delle Aziende e Società partecipate; le revisioni degli automezzi. Istituire i Vigili di quartiere e tante squadre di operai, addetti alle manutenzioni delle strade, rete idrica e fognante. Creare un “Ombudsman Comunale”,che accolga i reclami dei cittadini in difficoltà con la Pubblica Amministrazione e cerchi rapide soluzioni.

Disporre un monitoraggio dello stato delle strutture pubbliche e delle abitazioni obsolete e della precarietà del territorio comunale ed avviare o ordinare azioni immediate di prevenzione, messa in sicurezza e ripristino dei luoghi.

 

Ordinare interventi di sostegno, messa in sicurezza delle scarpate laterali alle strade comunali, vicinali e rurali, dei siti dove frequentemente si manifestano fenomeni di dilavamento ed erosione del terreno. Ordinare la pulizia dei torrenti e la regimentazione delle acque.

Rendere efficienti e funzionali i servizi sociali e di sussidio dei ceti più deboli (anziani, disabili, bambini, i senza fissa dimora, immigrati, ecc…), tenere in debita considerazione ed incentivare il volontariato.


Intercettare finanziamenti per lenire la disoccupazione, a cominciare dai cantieri di lavoro, dalle borse lavoro, dalla partecipazione al progetto regionale di un Piano del Colore per i centri storici e i borghi calabresi, lanciato dall’Unione Europea.

 

Ridurre al minimo le tasse comunali e se del caso, studiare la possibilità, per chi non può pagarle, di tramutarle in “prestazioni d’opera”.

 

Pagare i fornitori ed i lavori entro 30 giorni dalla messa al protocollo di entrata delle fatture; del resto le somme risultano impegnate e quindi la mancata liquidazione è addebitabile al dirigente e non al Sindaco.

 

Stabilizzare i lavoratori precari, senza problemi, sfruttando leggi esistenti, prevedendo nel Regolamento sull’Ordinamento degli Uffici e dei Servizi, la trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato ai sensi di legge rideterminando la dotazione organica; deliberando il programma triennale del fabbisogno ed il piano annuale delle assunzioni, unitamente alla modalità di accesso (dall’interno) ai posti disponibili in Pianta Organica.

 

Impegnarsi, attivarsi, dare l’anima perché i giovani possano trovare, nel proprio Comune o nella propria Provincia, il lavoro e possano veramente scegliere di rimanere o ritornare.

 

Gigino Adriano Pellegrini & G el Tarik

Quante volte abbiamo sentito dire che chi gode di un clima fantastico, di un mare e di un sole sempre a portata di mano, ha già tutto o quasi tutto e rilassandosi, lavora meno.

Lavorando meno, guadagna meno e pretende di più, sempre di più.

I meridionali vengono accusati da sempre del “dolce far niente”, dunque, si creano i presupposti per far nascere dal nulla i litigi, e le unioni dei litiganti, con associazioni o partiti o gruppi virtuali o reali, atti proprio a questo: a litigare e contestare, senza concludere nulla, perché l’obiettivo non è quello di ottenere risultati per il Paese, bensì ottenere credito, nonché un potere sottile sempre più forte, che alla fine suggella la governabilità del Paese.

La moderna democrazia consiste in elezioni che sono sempre fittizie e gestite dalle potenze economiche e dai politici di professione.

Un’altra ragione, questa volta sicuramente vera, è che in Italia la liberal democrazia ha partorito sempre più potenti mediocri.

I mediocri sono dappertutto.

Spesso hanno delle caratteristiche in comune, sono viscidi, ipocriti e perfidi come Uriah Heep, il personaggio letterario creato da Charles Dickens nel suo romanzo David Copperfield.

La loro mediocrità deriva dall’ignoranza e dal quasi analfabetismo.

Per celare la loro impreparazione, sono anche arroganti e si armano del potere ricevuto dall’alto, non quindi per merito raggiunto in campo lavorativo, per carità, ma per “grazia ricevuta”.

Sono infatti dei veri e propri irresponsabili miracolati.

Questi individui si trovano un po’ ovunque, nei Ministeri, negli Organismi di controllo, nelle Camere di Commercio, cattedre universitarie, nelle grandi organizzazioni sindacali, nei partiti politici, ma anche nelle imprese pubbliche e private ed in altri enti ancora.

Accettando le regole del gioco liberal-democratico, il popolo viene chiamato ad esprimersi pur non essendo mai del tutto libero di scegliere, e non è mai del tutto consapevole di cosa ogni scelta comporta. Vi invito a riflettere, ad esempio, al fenomeno della ‘campagna elettorale’ figlia legittima della cosiddetta Democrazia.

Politici di ogni sorta e genere si mettono in marcia su e giù per la penisola a raccontare fregnacce con il solo fine di essere “eletti”.

Per riuscire nell’intento viene loro naturale fare ‘promesse da marinaio’ durante la campagna elettorale che altro non è che una gara a chi le spara più grosse.

Sempre più spesso, ultimamente, è diventata una vera e propria competizione, durante la quale tutto diviene lecito, anche diffamarsi a vicenda andando a rivangare avvenimenti passati senza risparmiarsi il fango da buttarsi addosso reciprocamente.

Chiaramente in tutto questo un ruolo importantissimo viene ricoperto dal mondo mediatico che in mano ai potenti, come succede in Italia, diventano strumento di convincimento straordinario.

Anche i social network contribuiscono all’appiattimento verso la mediocrità, senza riconoscimento di una maggiore preparazione, o di una maggiore conoscenza, di uno rispetto ad un altro.

Su questo palcoscenico recitano anche quei cittadini che vanno a votare perché piace loro la faccia del candidato, oppure votano sempre il solito perché convinti che non cambierà mai niente.

Soffermandoci qualche attimo, non possiamo non capire che tutto questo non ha senso.

Che tutto questo è semplicemente una farsa di pessima fattura.

Anche la giustizia non è da meno, una sentenza in campo tributario, o civile, o penale, può essere diversa, radicalmente diversa, anche in caso di assoluta equivalenza di fattispecie, anche nell’ambito dello stesso Tribunale o Commissione Tributaria.

Le situazioni Kafkiane dilagano.

Ma chi paga le conseguenze di tutto questo?

Modificare il sistema, togliendo di mezzo in qualche modo i mediocri distribuiti in ogni ambito, in modo infestante come la gramigna rossa,   appare una vera utopia.

Restando tale il modo di cambiare le cose, cioè attraverso un sistema democratico ridicolo che non può contemplare cambiamenti radicali.

Non è così che il popolo può governarsi.

Questo è il modo di governare di una fetta di popolazione, con il voto (ironia della sorte) delle fasce più povere e meno istruite della popolazione.

Un oceano di persone mediocri investite di un potere donato per scambi di favori o per conoscenze ”strette” o anche per semplice nepotismo, che trasversalmente ha invaso l’Italia.

Sergenti o marescialli; mentre nelle imprese, da figli o parenti di imprenditori, anch’essi spesso impreparati e ritenuti idonei solo per “ius sanguinis”.

Democrazia demagogica che garantisce, in grande autonomia, il potere a tali soggetti mediocri, uomini senza qualità che agiscono come schegge impazzite.

Ognuna di esse agisce in maniera differente, c’è chi interpreta una legge in un modo e chi la interpreta in un altro, creando sofferenze e costi ai più sfortunati, incappati nell’ignoranza che si trasforma in arroganza, di questi soggetti.

“Cercare di creare una nuova soggettività politica assemblando quel che c’è nel mondo propriamente politico è una via perdente.”

Mettere insieme le forze maggiormente vivaci ed attive nel sociale, questo potrebbe essere un buon inizio.

Da queste basi si può progettare lo smembramento dell’esistente, con l’arbitrarietà necessaria a creare i presupposti per le generazioni future di una vita diversa.

Voler a tutti i costi ricostruire una forza politica di sinistra in un contesto liberal-democratico, è un errore. Con questo bagaglio non si riesce più ad interpretare le nuove esigenze sociali.

Non rappresenta più nessun propulsore innovativo.

Beaumont sur Mer 2015                                Gigino Adriano Pellegrini & G el Tarik

L’ultimo sforzo di Gigino Adriano Pellegrini ha per titolo “ Promemoria dei i distratti” . Eccolo:

“Ogni qual volta che pensiamo, sarebbe bene cominciare riflettendo sulle parole che stiamo per pronunciare.

Sarebbe un primo grande atto di responsabilità verso le parole, il loro significato, il fatto che veicolano la nostra storia.

Un tale atto di responsabilità dovrebbe tener conto del parlare prima di pronunciare qualsiasi parola, quindi interrogarsi sui pensieri che vengono espressi tramite le parole.

Per esempio, cosa si intende per amministrare la cosa pubblica ? A tale proposito, credo sia utile partire, dalla “res publica”, proposta da uno dei più grandi pensatori dell'età repubblicana Romana, Marco Tullio Cicerone, nel suo trattato politico “de re publica” .

L’espressione res publica in questo caso, significa letteralmente ‘cosa del popolo’, e designa l'insieme dei possedimenti, dei diritti e degli interessi del popolo e dello Stato. "…la repubblica la cosa del popolo. Non é popolo una qualsiasi riunione d'uomini comunque messa insieme, ma quella riunione d'uomini che diventa società per il riconoscimento di un diritto comune e di un comune pratico scopo.

E la causa prima di questa riunione é non tanto la debolezza dei singoli quanto una naturale inclinazione degli uomini a vivere insieme ».

Quando un amministratore pubblico sostiene di non sapere ammette la propria inadeguatezza ad amministrare la cosa pubblica.

Scajola non sapeva dell’appartamento al Colosseo. Bossi dei lavori di ristrutturazione.

Rutelli dei soldi che Lusi spendeva per conto della Margherita e infine Renata Polverini non era a conoscenza delle spese della propria amministrazione.

Solo in quei giorni ha “scoperto” che un consigliere aveva entrate superiori al proprio Presidente.

Un atto di responsabilità da parte di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica sarebbe quello di interrogarsi circa i pensieri che potrebbero nascere nel cittadino-ascoltatore.

Dovrebbe, dunque, procedere nella scelta di ciascuna parola, particolarmente se si tratta di una riflessione pubblica.

Una tale premessa implica già qualcosa circa l’etica che vuol dire costume, abitudine e le usanze che regolano la vita sociale, il nostro stare con gli altri che comprende la vita lavorativa, affettiva, familiare, riguarda cioè i rapporti interpersonali.

La parola “gestione” che vuol dire amministrare, controllo e perciò tutela. “Cosa pubblica” rinvia, invece, a tutto ciò che non appartiene al singolo individuo, come se fosse stata lui a crearlo o acquistarlo, o perché è solo lui a usarlo, bensì qualcosa che è condiviso, che non potrà mai dirsi proprio.

L’etica della cosa pubblica, quindi, comprende gli usi che ciascuno può fare di ciò che appartiene a tutti, in quanto di ciascuno, e che, anche quando rimesso alla volontà del singolo, deve rispondere inevitabilmente dell’altro a cui pure appartiene quello spazio in cui e su cui egli agisce.

A tale proposito abbozziamo una breve versione di ciò che rappresenta un Servizio Pubblico in un Paese liberal-democratico come viene considerata l’Italia, prima che la soglia di tolleranza dei cittadini, rispetto a quanto detto, verrà superata.

La complessa relazione tra soggetto pubblico, che organizza un’offerta di prestazioni, e utenti . Il servizio è pubblico in quanto reso al pubblico e per la soddisfazione dei bisogni della collettività.

Pertanto, le persone, chiamate a servire in qualsiasi struttura pubblica, dovrebbero avvertire l’esigenza di portare al massimo dell’espressione il principio della legalità nello svolgimento della quotidiana attività, fornendo ai cittadini utenti, in forma singola o associata, servizi che per qualità e quantità siano corrispondenti alla domanda.

Il tutto nel quadro di rapporti che debbono essere caratterizzati da disponibilità e correttezza, nel rispetto dell’esercizio dei diritti di ciascuno.

Il posto dove si lavora non è una proprietà privata.

E’ un luogo pubblico dove ci si comporta in maniera adeguata nel servire i cittadini utenti.

Io ho una antipatia per gli stupidi. Soprattutto se sono pseudo intellettuali di sinistra.

 

Al di là di questo , però, mi sembra effettivamente che i fenomeni di corruzione della figura del Padrone, del Sovrano, la corruzione che la figura di questo Figuro porta con sé siano terribili!

Io non sono un “ex” comunista, ho studiato un po’, a suo tempo... e c'è una pagina di Spinoza nel quarto capitolo del Trattato Politico in cui si dice che c'è diritto di insubordinazione, di disobbedienza al potere....

Io vedo, leggo e traggo delle conseguenze.

Non mi sembrano nemmeno particolarmente acute, nel caso...

Come, per inciso, anche la protesta che i padroni locali manifestano contro chi parla di regime è risibile, perché sono loro stessi che affermano il regime, che danno una definizione di loro stessi come uomini di regime, nel modo in cui affermano che non vogliono discutere con chi passa il tempo a criticarli con “fiumi di parole inutili”, ad esempio, si svelano come uomini di regime...

Si tratta di un fenomeno abbastanza comune nel Paese e nel paese che mi ha visto nascere...

Non discutono,minacciano, ridicolizzano oppure querelano! La cosa dipende fondamentalmente dall'operazione politica che è stata condotta attorno alla "caduta dello spirito pubblico"...

Il popolo italiano è stato con Mussolini per molti anni...

Penso che ci siano dei grossi difetti nel funzionamento della “politica”,intesa come amministrare la cosa pubblica in maniera privata e clientelare.

Ma penso, soprattutto, che non ci siano veri avversari vogliosi di contrastare questo tipo di gestione arrogante e addirittura famigliare del potere.

Sono convinto che oggi la tragedia dei piccoli e medi paesi del Meridione è che con l'esaurimento della grande spinta socialista e comunista, vissuta per oltre un secolo di Storia è venuto meno quel radicamento estremamente profondo e originale (perché effettivamente il socialismo si è accompagnato alla libertà, alla resistenza, all'antifascismo, a una serie di grandi valori di costruzione democratica del Paese) che dava un senso, specifico e forte, all'essere “sinistra”.

Tutto questo è finito... I veri padroni devono trovare, evidentemente, un palcoscenico sul quale fare agire la loro propaganda.

Obiettivi di potere, ovvio. Sono gruppi di potere impegnati in lotte di potere, affamati di potere. Niente di più. La sinistra che ricordo in questo Paese, non esiste più.

La sinistra è stata spazzata via da un innocuo e refrigerante venticello estivo.

Dico una cosa che nessuno osa dire: quando si parla di sinistra si parla di una cosa che non ha nulla a che fare con il Parlamento marcio di un regime liberal-democratico.

Quando si parla di sinistra, si parla della divisione della ricchezza! Della ridistribuzione della proprietà!

Si parla dei livelli delle tasse.

Penso quello che pensavo della vecchia Democrazia Cristiana calabrese.

Fatta da forze interclassiste, profondamente radicate sul territorio, profondamente reazionarie che - in quanto reazionarie - non difendono gli interessi dei lavoratori.

Vengono “votati” sulla base di una demagogia... Di una demagogia specifica contro i lavoratori di altri paesi, di un'altra demagogia contro la riforma dei costumi nelle famiglie, di un'altra contro i mutamenti nella società...

Gli atteggiamenti reazionari dei lavoratori non sono mica nuovi, i lavoratori hanno votato anche e largamente per i fascisti, hanno votato sicuramente per il nazismo. La classe operaia non è per nulla un fenomeno naturale, non è per nulla un fenomeno statistico...

La classe operaia, cari amici, è la costruzione di una coscienza, di una coscienza di libertà, di eguaglianza. Evidentemente nessuno più lavora per la costruzione di una coscienza di eguaglianza, ma lavora per una coscienza dell'identità, che è una coscienza razzista, profondamente, esclusiva, patriarcale, legata a quelli che sono dei privilegi che sono stati conquistati dal lavoro di tutti gli italiani e che si sono rovesciati solo su alcune regioni particolarmente fortunate.

E' un mondo difficile, come direbbe un mio amico Beaumontese. Non c'è un dibattito pubblico che sia un dibattito pubblico in termini di contraddittorio, non c'è una capacità di cogliere le emergenze, l'affacciarsi di nuovi temi importanti, di nuove questioni, nuovi segni rivelatori di ciò che veramente accade. Quello che interessa sono le mode, passeggere.

Manca una ispirazione machiavellica. Machiavellica in senso costruttivo, nel senso del Machiavelli gramsciano... !!! Qualcosa di nuovo che nasce….per ora proprio non la vedo...

Mi rimangono i ricordi di Peppino u Campanaru, del giovane Alfonso Politano, della squadra dei “Facchini”, di Pasquino padre, della famiglia Burdo. Ricordi che riaffiorano in questo primo giorno del 2015.

Gigino Adriano Pellegrini & G el Tarik

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