L’Emilia Romagna con la pioggia caduta in abbondanza è stata colpita da una immane tragedia. Campi coltivati completamenti allegati e distrutti, frane e smottamenti di terreni, ponti crollati, alberi sradicati, strade a autostrade distrutte, case e capannoni invasi dalle acque ora putride e fatiscenti, attrezzi agricoli e industriali da buttare, animali morti, uomini e donne costrette ad abbandonare le proprie case, pericolo di epidemie. Ma di fronte a questa tragedia ancora una volta gli uomini e le donne, i vecchi, specialmente i giovani considerati da molti scansafatiche, si sono mobilitati lasciando tutti a bocca aperta. Hanno abbandonato il proprio lavoro, molti giovani se ne sono fregati del reddito di cittadinanza e si sono precipitati nei luoghi danneggiati dall’alluvione per dare una mano a chi ne aveva maggiormente bisogno. Tutti insieme, con stivali di gomma, con badili, con pale, vanghe, zappe, rastrelli, secchi, carriole, a spalare e trasportare fango prima che solidificasse e a salvare ciò che si poteva salvare. A liberare strade, case, cantine. A portare cibo e bevande a gente che non poteva uscire di casa. Poche cose son riusciti a salvare. La maggior parte degli utensili da cucina e dei mobili sono inservibili e vengono accatastati ai cigli delle strade per essere poi smaltiti. Le vite dei Romagnoli sono in mezzo alle strade: vestiti, scarpe, libri, elettrodomestici, quadri, foto, divani, poltrone, sedie, televisori, automobili una sopra l’altra. Tutti gli italiani, i giovani in particolare, ma anche gli immigrati, oggi, dopo il disastro, come del resto hanno fatto i medici e gli infermieri durante il Covid, si sono prodigati per aiutare i più deboli, i più colpiti dalla alluvione, e chi ne aveva maggiormente bisogno. Lo hanno fatto dopo l’alluvione del Polesine e di Firenze, dopo il terremoto dell’Aquila e del Belice. Dopo l’alluvione di Firenze del 4 novembre del 1966 tutti si misero all’opera per aiutare la popolazione colpita e per recuperare, salvandole dal fango, statue, quadri, dipinti, libri che altrimenti sarebbero andati perduti. La televisione ci ha fatto vedere a noi che siamo comodamente seduti nelle poltrone delle nostre case completamente all’asciutto migliaia di giovani tutti coperti di fango intenti a spalare, intenti ad aiutare persone sconosciute, a portare cibo e bevande, e anche conforto alle persone anziane ed inabili. Molti si sono stupiti, io no. Invece i media si sono meravigliati, non volevano credere che quei ragazzi erano italiani, i bamboccioni, pronti ad aiutare chi soffre e chi aveva perso ogni cosa. Giorno e notte, ci hanno riempito le teste, sorpresi da questa generosità dei nostri ragazzi, raccontandoci le loro storie, non senza cadere a qualche tono retorico. E’ stato un fuoco di paglia? Un fuoco effimero? Sappiamo che quando c’è un nobile fine da raggiungere, quando c’è una emergenza, quando la gente è in gravi difficoltà, i nostri ragazzi sono sempre in prima fila, non si sono mai ritirati indietro. Uno di loro si è assentato per alcuni giorni dal posto di lavoro ed è andato a spalare fango. Non l’avesse mai fatto. Ha perso il posto di lavoro. Il proprietario della pizzeria lo ha licenziato in tronco. Di fronte al dolore degli altri, di fronte alla disperazione, di fronte ai disastri, i nostri giovani sono stati i primi a rispondere all’appello. Di fronte a una tragedia come quella di questi giorni abbiamo scoperto cosa sono capaci di fare i nostri giovani. Invece di chiudersi nelle loro stanze o impiegare il loro tempo nei pub a bere e divertirsi, hanno lasciato le loro case e sono corsi a dare una mano a chi ne aveva maggiormente bisogno. Per molti è stata una sorpresa, per me è stata una riscoperta. Mauro Magatti su Avvenire così ha scritto: - Se vogliamo davvero onorare coloro che sono morti e creare una cultura necessaria per evitare nuovi futuri disastri, sforziamoci di imparare davvero da quello che, ancora in questi giorni dolorosi, sta accadendo davanti ai nostri occhi-. Sono questi i giovani che spesso sui giornali e nei vari talk show televisivi vengono accusati di non aver voglia di lavorare? Davvero preferiscono il reddito di cittadinanza? Davvero vogliono godersi il sabato e la domenica standosene a casa al calduccio e all’asciutto, davanti alla Tv, sdraiati su un divano? No, sono venuti anche da molto lontano, anche dalla nostra Cosenza. Hanno abbandonato le loro case, i loro divani all’asciutto e hanno deciso di andare ad aiutare gente sconosciuta che un divano non ce l’ha più. Questi ragazzi hanno lanciato un grande messaggio, speriamo che arrivi anche ai politici nostrani.