Pur dopo tanto viaggiare per così lunghi anni in terre lontane, una sola cosa mi resta di trovare, che invano ho cercato: un essere umano completamente felice. Pur sapendo che per legge naturale “muoiono le città e muoiono i regni”, davanti a queste rovine mi parve cosa ignobile che una città così famosa fosse ricoperta d'erbacce, e non riuscii a impedire a me stesso di andare in bestia e strappare con rabbia non so quanti di quei cespugli che avevano avuto l'ardire di opprimere le rovine di quelle mura per le quali tanti uomini valorosi avevano perduto la vita e bagnato tutti quei campi di sangue così nobile. “La desolazione che oggi si stende su una città sepolta dapprima da una pioggia di piccoli frammenti di lava e di ferro, e poi saccheggiata dagli scavatori, pure attesta ancora il gusto artistico a la gioia di vivere E d’un intero popolo”.
L’effetto di questa composizione, buona o cattiva che sia, è di lasciarmi in uno stato di dolce melanconia. Porto lo sguardo sui frammenti di un arco di trionfo, di un portico, di una torre, di un tempio, di un palazzo e ritorno comunque sempre a lei:
“Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch’ella mira;
ov’ella passa, ogn’om ver eli si gira,
e cui saluta fa tremar lo core…,”. (Dante)
Alla ricerca di anticipare il flusso del tempo, e la mia immaginazione si disperde sulla terra e su quei ruderi una volta pieni di vita. Di colpo, la solitudine e il silenzio regnano intorno a me. Sono solo, orfano di tutta una generazione che non c’è più.
Come locomotiva sbuffo alla prima luce
simile al primo caffè del giorno.
Lungo la battigia dell’Ulisse corro
inseguendo la gabbianella.
Prima che sfumi l’incontro
dispiego la scimitarra all’ affermazione di un’utopia.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik