In generale, si potrebbe pensare ad una esperienza come un insieme di sensibilità e possibilità che producono un soggetto cosciente, sulla scia della globalizzazione e identità politica.
Questo tipo di esperienza sembrava essere riservata agli oppressi ed emarginati, proponendo una responsabilità di coloro che non appartenevano a tale esperienza per riconoscere e convalidarla, con un atto di “benevolenza”.
Un atteggiamento, questo da protettore di animali domestici, che ha condotto gli uomini verso certi aspetti più semplici e tuttavia profondi dell'umanità, verso quei fili comuni che collegano ogni soggettività nel mondo in generale, in breve, della quotidianità. Una praticatafilosofica che riduce la pluralità degli esseri a una sostanza unica
Questa forma di paternalismo mutuato dalla religione, in politica sembra rappresentare lo stile di governo di questa Terza Repubblica e il reddito di cittadinanza la sua cifra esemplare. Eppure non è dalla benevolenza dei governanti, che nella nostra vita istituzionale potremmo ottenere più democrazia ed ampliare i margini della libertà.
La tentazione di surrogare la responsabilità individuale con forme di orientamento dall'alto dei nostri stili di vita risponde, almeno retoricamente, alla pretesa conoscenza di un supposto bene comune superiore: del popolo, della comunità, della società da parte della congrega al potere.
Nel passato più prossimo si è arrivati a teorizzare persino una forma di paternalismo liberal-democratico che oggi vediamo essersi rovesciato, nonostante le supposte “buone” intenzioni, in prevaricazione sulle ragioni dell'altro, in nome di roboanti “soluzioni politiche” da contrapporre a chiunque avanzi critiche in nome della competenza.
Questa stucchevole “benevolenza” di politiche sociali ispirate ad un “principio autoritario”, sono nel contempo promotrici di “attività assistenziali” pensate nell'interesse della popolazione, la cui finalità, tuttavia, sarebbe quella di “neutralizzare le istanze democratiche e rivoluzionarie delle masse popolari”.
Una sorta di anestetico sociale in grado di disinnescare, da un lato, possibili rivendicazioni da parte della popolazione e, dall'altro, l'avvio di qualunque processo di inclusione sociale che inevitabilmente metterebbe in discussione gli assetti di potere consolidati.
La concentrazione del potere, mediante la riduzione monistica del pluralismo delle forme sociali, è alla base dell'idea neo-monarchica, in forza della quale corriamo il rischio di perdere il sano timore che il potere possa tradursi in dispotismo e i potenti in tiranni, avendoli ormai riconosciuti e accettati come nostri “tutori” naturali.
Gigino A Pellegrini & G elTarik