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Gianmarco Cima
Da ieri sera è disponibile ad Amantea, presso La Cartoscuola di via Margherita, e presso l’edicola di Campaiola e presso la cartolibreria Il Papiro a Campora San Giovanni, un nuovo libro del giovanissimo scrittore Amanteano Gianmarco Cima, “Amantea nel Medioevo Dai Bizantini agli Aragonesi”, Editore Mannarino Franco http://www.editoremannarinonew.it.

 

 

Questo libro si prefissa l'obiettivo di esplorare le varie vicende della storia della nostra città con un approccio il più possibile interdisciplinare che tenga conto non solo della storia della cittadina nepetina.

 

Inoltre questo libro è scritto per essere alla portata di tutti, poiché, ogni cittadino deve conoscere il proprio passato che sia esso umile o glorioso, affinché acquisti coscienza di sé.

Le illustrazioni sul testo fanno riferimento a opere storico-artistiche di età medievale e a foto inerenti i beni monumentali di Amantea. Anche l’immagine di copertina, qui riportata è tratta da una miniatura del XII sec. che troverete spiegata nel testo.

 

Leggere è importante quanto scrivere, il talento nella scrittura è indispensabile e non esiste scuola di scrittura che possa farlo nascere, vediamo nel giovane Cima quella curiosità, capacità di mantenere occhi e intelletto aperti sulla storia della nostra città, indubbiamente lo studio della nostra storia fatto dall’artista è stato fondamentale, bisognerà comunque continuare a disciplinarlo, coltivarlo con la fatica e con il duro lavoro.

 

La dedica del libro ai nonni fa capire l’animo nobile dello scrittore, poiché i nonni sono coloro che vengono da lontano e vanno per primi ad indagare oltre la vita, rimanendo nel cuore di ognuno di noi.

Pubblicato in Calabria

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Di Sergio Ruggiero in collaborazione con Giuseppe Sconza Testa – Agosto 2020

 

Carta aragonese (estratto).

Si leggono Amantea, Aiello, Petramala (Cleto).

Motta di Lago e Laghitello sono in posizione discutibile.

 

Il fiume di Amantea lo chiama Oliva, il fiume Oliva lo chiama Torbido e il Torbido lo chiama Fiumara di Cleta.

Alcuni errori sono ricorrenti nella cartografia antica. Idrisi sbagliando disse: “Amantea, città fiorente sul golfo dell’Oliva”.

 

La premessa La carta che mostriamo è un estratto delle “Carte aragonesi” (fedele riproduzione settecentesca del Galiani), la cui produzione fu avviata da Alfonso d’Aragona e conclusa dal figlio Ferrante nella seconda metà del 1400.

Le originali sono oggi conservate a Parigi, sottratte alla città partenopea nel corso della discesa di Carlo VIII verso la fine di quel secolo. Semplificando, diciamo che le “Carte aragonesi”, realizzate con metodi assolutamente innovativi per i Tempi, rappresentano il territorio del regno di Napoli con dettagli corografici e abbondanza di toponimi, riportando monti, vallate, pianure, torrenti, fiumi, laghetti, coste, scogli, paesi, castelli, santuari, città murate, rovine e molto altro ancora, delineando un paesaggio ricchissimo di elementi sia medievali sia risalenti all’antichità classica… sulla scorta di antiche carte di tradizione romana (Fernando La Greca – Dipartimento Scienze dell’Antichità Università Salerno).

 

La domanda Non intendiamo in questa sede approfondire il ruolo assunto dalle “Carte aragonesi” nella tradizione cartografica occidentale, ma la premessa era necessaria per tentare di capire cosa possa rappresentare quel poligono ocra che segnaliamo con il cerchio rosso.

Era ancora tra noi Peppe Marchese quando Giuseppe Sconza Testa, che si sta occupando delle Carte aragonesi, nell’ambito de’ Lo Scaffale pose la domanda: Cos’è quell’articolato poligono di colore ocra tra l’abitato di Petramala e la foce del Torbido?

 

La risposta Il colore ocra indica che si tratta di una costruzione, lunga circa un miglio e larga mezzo miglio, insistente sul territorio dell’attuale Cleto. La risposta è stata univoca e istantanea: “Per dimensione e articolazione potrebbe trattarsi dei resti di un’antica fortificazione.

Riteniamo dunque che possa trattarsi delle mura di cinta di Tempsa, la colonia romana dedotta nel 194 a.C., citata da Polibio e Tito Livio e rappresentata sulla Tabula Peutingeriana.

 

Per rammentare gli accadimenti originari facciamo ricorso a uno studio dell’Università di Pisa, Dipartimento di Scienze Archeologiche Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici: Dopo il discusso stanziamento di 300 armati ai Castra Hannibalis (Catanzaro Lido?) del 199 a.C. due coloniae civium romanorum vengono poste, nel 194 a.C., a presidio delle coste, ionica e tirrenica, in prossimità di due tra i principali e maggiormente strategici siti costieri della regione: Tempsa247, in un luogo non ancora ben determinato tra le foci dell’Oliva e del Savuto248, a controllo degli approdi connessi con le foci dei due fiumi suddetti, e Kroton… 246 COSTABILE 1994, p. 442. 247 Liv. 34, 45, 4-5. 248

 

Della Tempsa romana sappiamo pochissimo: nulla la documentazione epigrafica, scarsissima quella archeologica riferibile alla prima metà del II sec. a.C., tanto che non esiste tuttora un’ubicazione condivisa della colonia. Sulla questione cfr. LA TORRE 1999, pp. 116-117. 249 Liv. 34, 45, 4-5. Si osservi come, nelle note, Costabile (richiamando La Torre) riferisce che si sa pochissimo della Tempsa romana (nota 248), collocandola in un luogo imprecisato tra le foci dell’Oliva e del Savuto. A questo punto ci chiediamo: Costabile e La Torre hanno mai osservato la Carta aragonese?

La conoscevano? Si sono posti la domanda di cosa potesse rappresentare il poligono ocra lungo un miglio e largo mezzo miglio che noi indichiamo con il cerchio rosso? Forse sì. O forse no.

 

Tabula Peutingeriana (Riproduzione medievale di una carta romana di epoca imperiale). Temsa (Tempsa) è a 10 miglia da Clampeta (Amantea). Considerando saliscendi, curve e tornanti, la distanza è attendibile. Nel 2008 Fernando la Greca e Vladimiro Valerio (Università di Venezia), in un saggio sulle Carte aragonesi riflettevano sulla disattenzione del mondo scientifico rispetto alla ricchezza di informazioni che esse contengono, per rigidità disciplinare e per paura di sconvolgere ricostruzioni storiche che sembravano consolidate, disattenzione, difficoltà di aggiornamento, disinteresse verso aree minori e subalterne… Da semplici appassionati delle nostre antichità, senza mettere in discussione i professori dell’archeologia e senza paura di sconvolgere alcunché, noi de’ Lo Scaffale pensiamo che il poligono rosso possa corrispondere ai resti delle mura della Tempsa romana e poi altomedievale, per come apparivano agli estensori delle Carte aragonesi del XV sec. Ortofoto con indicazione orientativa dell’area interessata dal poligono riportato sulla Carta aragonese. 

 

La posizione di Tempsa da noi ipotizzata è compatibile con le necessità di una colonia militare, disponendo nelle vicinanze di un’ansa alla foce del Torbido in cui approdare agevolmente, data la convenienza di spostarsi via mare, e di un approvvigionamento idrico garantito dalle fonti perenni che alimentano il torrente Torbido (Cece, San Giovanni, Santa Barbara…). Le colonie di fondazione romana, realizzate a seguito delle conquiste, avevano un preminente ruolo di presidio militare del territorio, e si connotavano per il loro impianto derivato dagli accampamenti legionari (castra). L’insediamento normalmente era caratterizzato da vie dritte che si intersecano in modo ortogonale, attorno all'intersezione cruciforme del cardo e del decumano." Il nostro poligono è articolato perché risente dell’accidentalità dell’orografia, e perché, probabilmente, nel corso dei secoli ha subito ampliamenti e riduzioni a causa di sconvolgimenti sia bellici che naturali.

Dovendo condurre campagne militari lontano da Roma, a partire dalla fine del IV sec. a.C., l’esercito romano fu costretto a trovare delle soluzioni difensive adatte al pernottamento delle truppe in territori spesso ostili. Ciò indusse i Romani a creare accampamenti militari da marcia fortificati, per proteggere le armate. Nascono così le colonie militari romane.

 

Le colonie romane militari erano poste ai confini o sulle coste, le colonie latine, più dedite alla valorizzazione del territorio, stavano all'interno. Nelle colonie latine venivano stanziati 2500 coloni, nelle colonie romane 300, come nel caso di Tempsa. Pag 4 La villa romana rinvenuta in zona Principessa Nel 2010, nella zona Principessa, a sud di Campora san Giovanni, sono iniziati gli scavi archeologici che hanno riportato alla luce una villa romana del secondo secolo d.C..

D’altra parte, è noto come tutta l’area costiera compresa tra il Torbido e l’Olivo sia ricca di giacimenti che di tanto in tanto affiorano in occasione di qualsiasi scavo, e come a Serra d’Aiello sia stato rinvenuto, in località Cozzo Piano Grande, un vasto complesso residenziale della seconda metà del IV sec. a.C. che si imposta sui resti di un abitato di capanne del VII e VI sec. a.C., coevo all'ampia e ricca necropoli di località Chiane, non molto distante dal tempio di Imbelli risalente a un’epoca arcaica.

 

Omero nell’Odissea la cita nei versi 182-184 del I libro: ... con la nave e i compagni, navigando sul mare scuro come vino verso genti straniere, verso Temesa, in cerca di rame, e porto ferro fiammante… rivelando come Temesa fosse famosa per le sue miniere di rame ubicate vicino alla citta' (Strabone) … ed era, nella Calabria protostorica, tra il IX e l’VIII sec a. C., centro attivo di scambio con il mondo greco e con l’Oriente fenicio, miceneo e siroanatolico (Licia Landi, 1996). La villa della Principessa fa pensare alla continuità insediativa della Temesa magnogreca poi romanizzata a partire proprio dalla istituzione della colonia romana di Tempsa (di cui ci stiamo occupando) avvenuta nel 194 a.C. L’insediamento di Temesa (Tempsa o Temsa) sopravvisse fino al VII sec. d.C. divenendo anche sede vescovile. Il suo abbandono definitivo è da ascrivere probabilmente alle difficoltà difensive di fronte alle scorrerie dei Saraceni e ai conflitti con i Longobardi. A tal proposito, è ipotizzabile che gli abitanti dispersi di Tempsa trovarono riparo nei più difendibili centri viciniori di Amantea, Aiello, Petramala (Cleto). Da secoli ormai sugli antichi luoghi è sceso il silenzio, ma a noi "resta quel nulla d’inesauribile segreto" (Ungaretti, Il porto sepolto). La citazione l’abbiamo rubata a Licia Landi, ma era troppo bella per non farlo.

Pubblicato in Amantea Futura

Ferruccio Policicchio socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e dell'Accademia Cosentina vive ed opera tra San Pietro in Amantea (CS) e Sapri (SA). Tra le sue pubblicazioni:

 

San Pietro in Amantea e dintorni nell'800.

Il Decennio francese nel golfo di Policastro, Gutemberg , Lancusi (Sa) 2001, vol. I e II, pp. 736.

Vibonati nel secolo Decimonono, Gutemberg, Penta di Fisciano (Sa) 2003, vol. I e II, pp. 736.

Amantea e dintorni nel Decennio 1806-1815.

Riceviamo e pubblichiamo la seguente nota dell’amico Ferruccio Policicchio

Egr. sig. Direttore,

prendo spunto dal Suo articolo pubblicato il 21 febbraio u. s. dal titolo: “Conoscere la storia significa riuscire ad amare la terra nella quale ci si trova”.

Aggiungo: è mia ferma convinzione che recuperare memoria è uguale a recuperare cultura, fondamento dell’amor proprio e patrio.

Perché mi presento a distanza di oltre due mesi?

Per lasciare spazio agli storici Amanteoti e per non essere considerato un intruso.

Fatta questa breve premessa, mi piace interloquire per segnalare che ad Amantea la toponomastica orale tramanda una località denominata «a Mina» (la Mina).

Potrebbe sembrare un termine a caso, invece l’appellativo è appropriato ed ha un suo importante significato.

Quanti Amanteoti conoscono questo posto?

Esso era noto tra le generazioni precedenti, i ragazzi di oggi lo ignorano e certamente lo sapranno gli anziani che da ragazzi vissero nel centro storico.

Posizionandosi sul marciapiedi di fronte alla ex Pretura, ai piedi si avrà il luogo detto «a Mina».

È il punto dove, durante il noto assedio, dopo aver costruito un cunicolo che andava dalla casa Sacchi (oggi del compianto Enzo Fera) fin sotto il muro di cinta della città, il 6 febbraio 1807, i francesi, creando una breccia, fecero brillare «a Mina», complessivamente 1.300 libre di polvere, e presero la città.

Qualora dovesse ritenere utile e opportuno pubblicare questo scritto, son convinto che verrà detto di non aver recuperato memoria, ma che ho scoperto l’uovo di Colombo.

S. Pietro in Amantea maggio.2017

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Pubblicato in Cronaca

In qualunque parte del mondo ci si trovi si incontrano tracce del passato.

 

Osservarle senza conoscerle, senza sapere perché siano li, da dove abbiano avuto origine, o chi le abbia costruite e perché, significa non capirle, non viverle. 

E’ come essere sul molo di un porto e vedere tante navi partire ed arrivare senza capire da dove vengono o dove vanno, chi e cosa trasportino. O, se volete, è come essere dinanzi ad un fiume senza sapere da dove viene e dove vada!

Spesso le tracce sono una chiesa, un castello, una torre o di un manufatto od i loro ruderi.

Vederle senza sapere quando siano state realizzate, da chi e perché significa non apprezzarle.

A questo serve la storia. A capire le cose e gli uomini che ne sono stati testimoni, siano essi individui o comunità.

 

Le tracce, poi, sono una parte importante della memoria storica di un territorio o di una comunità.

E la memoria storica di una comunità è indispensabile per evitare il rischio di “perdere e smarrire il significato e il senso profondo della propria identità culturale e civile”.

Piccola o grande che sia, la storia è vitale anche per affrontare il futuro.

Ogni società “è frutto di una continua evoluzione avvenuta nel tempo, di una successione di avvenimenti che l’hanno portata ad acquisire determinate caratteristiche e peculiarità; è impossibile credere che l’attualità, la nostra realtà, non derivi da un progressivo mutamento radicato nel tempo”.

La storia acquista di fatto un ruolo fondamentale nella comprensione degli avvenimenti odierni, un’importanza assolutamente fondamentale che troppo spesso tende ad essere trascurata.

Eric Hobsbawm. nella sua opera più famosa “Il secolo breve”, ha affermato che “la maggior parte dei giovani è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono”.

Questa totale assenza d’interesse nei confronti del passato, o, comunque, questa distanza è un grave fattore che dovrebbe far riflettere: com’è possibile pensare di costruire un futuro o semplicemente di comprendere il presente se mancano completamente le basi radicate nel passato?

 

La nostra ignoranza è tale che per lo più non conosciamo nemmeno la storia della nostra comunità.

Spesso, però, più che di ignoranza si tratta di mancata conoscenza.

Vogliamo, allora, cominciare a provare a raccontare episodi delle nostra storia locale e regionale.

E saremo grati a chiunque voglia aiutarci in questa intrapresa fornendoci propri contributi da pubblicare.

Non abbiamo nessuna pretesa ma solo il desiderio di offrire liberi contributi alla conoscenza della nostra terra e della nostra gente.

Usiamo il web perché le memorie che vi offriamo appartengano a tutti, oggi e domani

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