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L’omicidio è quello della dottoressa Anna Giordanelli, il medico di base di Cetraro, uccisa ieri con un violento colpo sferrato alla testa.

 

La Giordanelli è stata trovata ieri pomeriggio riversa sul ciglio della strada da un passante che pensando ad un malore, ha avvertito i soccorsi.

Quando investigatori e medici del 118 sono arrivati per lei non c’era più nulla da fare.

La donna aveva il cranio fracassato.

Inizialmente la donna era stata considerata vittima di un pirata della strada.

A svelare che la Giordanelli era stata vittima di una brutale aggressione è stato il medico legale che ha esaminato il corpo.

La conferma dal ritrovamento dell’arma del delitto, un piede di porco trovato, completamente insanguinato e con tracce di capelli della vittima, abbandonato nelle vicinanze del luogo dell’omicidio.

 

Il procuratore capo Bruno Giordano che assieme a Sonia Nuzzo e Maria Camodeca detengono il fascicolo d'indagine sull'omicidio ha dichiarato:«Stiamo ascoltando alcune persone e c'è qualche sospetto da valutare . Stiamo anche in attesa dell'esito dell'autopsia, ma non c'è alcun dubbio sulla causa della morte: la donna è stata trovata con il cranio fracassato».

E’ stata esclusa da subito la pista di un’aggressione di natura sessuale o predatoria visto he alla dottoressa non è stato sottratto nulla.

E così già alla serata di ieri le indagini dei carabinieri della stazione di Cetraro e del comando di Paola si sono concentrate sull’ambiente familiare della donna..

Sotto torchio dei Carabinieri e dei magistrati il cognato di Anna Giordanelli.

Parliamo di Paolo Di Profio, infermiere all’ospedale di Cetraro.

Il possibile movente dell’omicidio potrebbe essere individuato nei suoi rancori con la dottoressa per aver accolto in casa sua la sorella (ed ex moglie di Di Profio) dopo la separazione, avvenuta un paio di mesi fa.

Intanto continuano le indagini.

Non si esclude a breve un soluzione del caso.

Pubblicato in Cetraro

I pm della Procura di Paola Lidia Gambassi e Maria Camodeca  presenteranno presso la Corte d'appello di Catanzaro il ricorso contro la sentenza che ha assolto dirigenti e vertici dell'ex stabilimento tessile praiese Marlane.

E’ noto che la precedente fase processuale si è chiusa con una sentenza che ha assolto con formula piena i 12 imputati del processo per il presunto disastro ambientale dell'area e che avrebbe comportato anche la morte di decine di operai della Marlane.

Non ci stanno i PM!

Impossibile non tenere conto che nella stessa area aziendale ci sono circa 40mila metri quadrati fortemente inquinati dove sono state ritrovate interrate sostanze come vanadio, cromo, cobalto, nikel, rame, zinco, arsenico, mercurio, piombo, policlorobifenili, amianto, coloranti azoici, lana di vetro, idrocarburi policiclici aromatici e soprattutto cromo esavalente.

Il cromo esavalente è un metallo pesante conosciuto per gli effetti devastanti sull'organismo.

Pubblicato in Alto Tirreno

La giustizia ha deciso per quella verità che nessuno si aspettava.


La storia è sempre la stessa quella di una industria di cui nessuno controlla come necessario e come dovuto il rispetto delle più semplici ed elementari regole sanitarie.

Poi si constata la presenza di centinaia di ammalati e centinaia di morti.

Malattie e morti solo statisticamente eccessive.

E così la Marlane di Praia a Mare, come altre fabbriche italiane diventa la "fabbrica della morte".

Un fabbrica che nelle ipotesi della accusa avrebbe indotto 159 ammalati (tra dipendenti e familiari dei lavoratori) di cui novantaquattro dei quali sarebbero poi deceduti nel corso degli anni

La causa ipotizzata le esalazioni tossiche respirate nella fabbrica tessile.

Le prime vittime alla Mariane risalgono ai primi anni Settanta, precisamente al 1973 quando morirono due operai trentenni che lavoravano con gli acidi.

Poi secondo le ipotesi della Procura di Paola sessanta operai che hanno lavorato nella fabbrica tessile si sono ammalati di cancro e presenterebbero tumori alla vescica, ai polmoni, all'utero e al seno che andrebbero fatti risalire - così come i morti già accertati, più di quaranta - all'uso di alcune sostanze per la produzione, in particolare coloranti azoici che contengono ammine aromatiche, presunte responsabili delle patologie tumorali ed all’uso di amianto, presente sui freni dei telai utilizzati nello stabilimento di Praia.

Poi la prima iscrizione a ruolo nel 1999

Cinque anni dopo, nel 2004, la fabbrica venne chiusa.

Nel 2006 il secondo filone di indagine, con sette indagati, e nel 2007 il terzo ,con quattro indagati. I tre procedimenti confluirono in un unico fascicolo.

Dopo un lungo iter la richiesta dei pm Linda Gambassi e Maria Camodeca che hanno sollecitato pene detentive per i dirigenti dell'Eni e della Marzotto dai 3 ai 10 anni di reclusione.


Ora la pronuncia dei giudici dopo 10 ore di Camera di Consiglio.

Nessun colpevole.

I giudici del tribunale di Paola hanno assolto tutti i 12 imputati del processo Marlane con formula piena.

Il fatto contestato non sussiste e comunque non sarebbe provata la connessione tra morti e la fabbrica

Le morti ? Per caso!

Ed ora?

Ora la parola passa al procuratore Bruno Giordano il quale ha dichiarato “Prendiamo atto della decisione dei giudici e della circostanza che gran parte delle parti civili sono state risarcite”

Ed a chi si chiede se la Procura ricorrerà in appello sempre il PM risponde “Leggeremo con molta attenzione le motivazioni della sentenza. Solo dopo decideremo il da farsi”. 

 

Pubblicato in Alto Tirreno

7 mesi fa, il 14 marzo 2014, Paolo Orofino accompagnava Sandro Ruotolo che doveva fare una intervista all'avvocato Gaetano.

Qualcuno decise di trasformare un rapporto privatistico tra un giornalista ed un avvocato in una vicenda pubblica schiaffeggiando Paolo Orofino che venne colpito da un violento schiaffo mentre, gli veniva anche impedito di scattare una fotografia all'avvocato Gaetano. 

Ora il PM Maria Camodeca, a conclusione delle indagini, ha formulato la citazione diretta dei due responsabili Francesco Loizzo, di Paola, 58 anni, e di Pietro Calvano, anch'egli paolano, 31 anni.

Ambedue sono assistiti dall'avvocato Giuseppe Bruno.

Si troveranno il prossimo febbraio 2015 davanti al giudice monocratico Mesiti, del competente tribunale di Paola.

Paolo Orofino aveva raccontato che “Mentre ero ancora nei pressi a guardare a poca distanza l'intervista in corso, un soggetto mi ha violentemente colpito con uno schiaffo al volto provocandomi un forte dolore”.

Perché? Che rapporto c’era tra il giornalista locale e l’aggressore? Ed ancora, l’aggressore aveva agito autonomamente o piuttosto era emissario di qualcuno?

Forse sapremo qualcosa di più dal processo a carico dell’imputato, Pietro Calvano, che dovrà rispondere di percosse, avendo colpito al volto, con uno schiaffo violento, Paolo Orofino.

Il giornalista aveva anche raccontato che la sua presenza “ mentre era in atto l'intervista, era finalizzata esclusivamente a poter effettuare una foto dell'avvocato Gaetano con il giornalista Ruotolo”. 

A giudizio anche Francesco Loizzo al quale viene contestato il reato di tentata violenza e minaccia.

Secondo l'accusa, formulata dal Pubblico ministero, Loizzo, si sarebbe posto più volte davanti al giornalista del Quotidiano impedendogli di scattare una foto e minacciandolo.

Loizzo dovrà anche fornire spiegazioni in merito ad alcune frasi riportate nell'accusa: “Lui è una persona per bene, tu no – avrebbe detto ad Orofino Francesco Loizzo – Tu foto non ne fai. Vai, vai che anche io sono ammanigliato in Procura ...vieni , vieni, fatti una camminata con me, allontaniamoci, spegni il registratore”. 

Al tempo si scriveva che “secondo le varie testimonianze, tra cui quelle della troupe televisiva di Ruotolo, ci sarebbe stato qualcuno che non avrebbe gradito il lavoro nella cronaca giudiziaria di Orofino, forse perché non digerisce qualche verità.

E si lavora anche sulla ipotesi della premeditazione del gesto”.

Pubblicato in Paola

La storia ha fatto scalpore quando avvenne la mattina del 4 gennaio 2013 .

Iolanda Nocito madre del parroco don Marcello Riente, mentre il figlio celebrava i funerali di un carabiniere morto per un incidente, aprì la porta della sua casa in via G. Fortunato a persone che in un certo senso conosceva.

Bastarono pochi attimi e si trovò, minacciata con un'arma da taglio, con le mani legate dietro la schiena, i piedi bloccati con il nastro adesivo utilizzato per gli imballaggi e soprattutto il naso e la bocca completamente occlusi.

Sopravvenne la morte per asfissia.

Tutta questa violenza fino alla morte solo per conoscere il nascondiglio delle chiavi della cassaforte.

Arrivarono i RIS di Messina che trovarono una traccia di natura ematica nelle scale della casa.

Ed il 9 luglio 2013 l’arresto di Filippo D'Aprile ( nella foto) benzinaio di belvedere Marittimo in esecuzione di un fermo ordinato dalla Procura di Paola in seguito alle indagini svolte dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza e della Compagnia di Scalea.

Filippo D'Aprile si è avvalso del rito abbreviato, condizionato.

Ora il processo è giunto al termine ed il Gup del Tribunale di Paola, Pierpaolo Bortone ha condannato Filippo D’Aprile, di 51 anni, a 30 anni per omicidio volontario.

Il pm Maria Camodeca, anzi, aveva sollecitato il carcere a vita

Ricordiamo che si tratta del verdetto di primo grado al quale seguiranno gli altri previsti dal nostro ordinamento giudiziario, ma sembra difficile una efficace difesa del D’Aprile.

Pubblicato in Alto Tirreno

Relativamente alla frana che ha interessato la collina dell’ospedale si è giunti ad un primo risultato

I CTU della Procura avrebbero accertato che la villa sarebbe stata realizzata in maniera difforme rispetto al permesso rilasciato dal comune.

Da qui la disposizione della demolizione

Ovvio il ricorso al TAR da parte dei proprietari .

Proseguono invece le indagini sul secondo fronte della inchiesta.

Il sostituto PM della Procura della Repubblica di Paola, Maria Camodeca, indaga sulle ragioni dell’avvenuto smottamento che ha comportato la chiusura di Via Bernardino Telesio, la strada sottostante l’ospedale

Si ipotizzano il disastro colposo e l’abuso d’ufficio.

Risultano indagati i due proprietari della casa, il direttore dei lavori, l’ex responsabile dell’Utc, il geometra Salvatore Romito e l’architetto Silvestro Mannarino tecnico esterno del Comune.

Pubblicato in Paola
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