La simpatia di Francesco Gagliardi ha una ultima riprova in questo simpaticissimo articolo.
“Cari lettori di Tirreno News, sapete quale giorno della settimana è oggi?
E’ venerdì.
E quanto ne abbiamo? 17.
E in quale anno siamo?
2017.
Ahi,ahi!
Secondo la tradizione popolare calabrese il venerdì 17 dovrebbe portare sfortuna, disgrazia, jella. Allora preparatevi a difendervi, toccate ferro, fate le corna, mettete “nu cutu e sale” nella tasca dei pantaloni, appendete un ferro da cavallo alla finestra, comprate un bel cornetto rosso.
Fate attenzione però, che sia “biellu, tuostu, stuortu e ccu la punta”.
Solo così potrà adempiere alle sue funzioni scaramantiche.
Questo mese di febbraio ”corto e amaro” ci porta un venerdì 17 che secondo la tradizione dovrebbe portarci sfortuna.
Perché?
Perché il Venerdì Santo è morto nostro Signore Gesù Cristo..
Il 17, secondo i pitagorici greci era portatore di disgrazia perché si trovava tra il 16 e il 18 numeri perfetti.
E poi anche perché il diluvio universale secondo la Bibbia ebbe inizio il 17.
Anche nella smorfia napoletana il numero 17 è sinonimo di disgrazia.
Ma davvero oggi è un brutto giorno?
E’ una bellissima giornata di sole, l’aria è tiepida e vi invita ad uscire e fare una bella passeggiata sul lungo mare, a voi che abitate nella cara Amantea.
A me che vivo d’inverno a Cosenza mi invita a camminare lungo Corso Mazzini o su Viale Parco. Vinciamo questi pregiudizi, non facciamoci influenzare da queste credenze popolari che considerano il venerdì 17 giorno sfortunato, giorno infausto, giorno in cui sarebbe meglio stare un po’ più attenti del solito.
Va bene.
Starò più attento quando attraverso le strisce pedonali.
Starò più attento quando guido in città. Starò più attento quando vado a fare la spesa.
Starò più attento a non fare cadere il sale sul tavolo o per terra, a non far cadere l’olio per terra, a non aprire l’ombrello in casa (oggi non piove, quindi l’ombrello non mi è servito), a non passare sotto una scala, a non fare brutti incontri per strada attraversata da un gatto nero, a non poggiare un cappello sul letto ( il cappello non lo uso, quindi sono a posto ).
Facendo tutto questo non mi dovrebbe accadere nulla di brutto.
E fino alle ore 15,30 non è successo nulla di straordinario o brutto.
Comunque faccio le corna e “cittu, cittu” recito l’antico ritornello napoletano antimalocchio che Peppino De Filippo era solito canterellare quando impersonava il famoso Pappagone ( quelli della mia età dovrebbero ricordare):- Aglio, fravaglio, fattura can un quaglia; corna e bicorna, capa r’alice e capa r’aglio-.
Speriamo che servirà a qualcosa.
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Primo Piano
C’ è un passo del Vangelo di Matteo che dice:- Mentre fai l’elemosina non sappia la tua sinistra quel che fa la tua destra-. Fra pochi giorni sarà tempo di Quaresima e noi cristiani dovremmo prestare più attenzione alle tante famiglie che soffrono, agli ammalati, ai bisognosi, ai marginati, ai terremotati, a chi è nel bisogno. Dovremmo fare il bene, sissignore, però in silenzio, senza sbandierarlo ai sette venti, a farlo sapere a tutti in modo che dicano:- Ma che bravo! Come è buono lei! Anche gli altri dovrebbero fare così!-. No, non così si fa il bene. Il Vangelo ci dice che se cerchiamo approvazione, roviniamo tutto..Dobbiamo fare il bene e basta, senza vantarci. La notizia non deve circolare, nessuno deve sapere che abbiamo offerto una certa somma di denaro anche se in fin di bene. Dice il Vangelo:- Il Padre mio che sa ti ricompenserà-. Ci basta la ricompensa del Padre Celeste, quella degli uomini è frivola, è passeggera, non ha nessuna importanza. Se facciamo sapere che abbiamo fatto del bene ai nostri fratelli in difficoltà nel nostro gesto c’è solamente vanità. Quando fai l’elemosina, dice il Vangelo, non suonare la tromba davanti a te per essere lodato. L’elemosina o la donazione è un fatto segreto e quindi deve restare segreto e il nostro Padre che è nei cieli e che sa tutto e che vede tutto,ci ricompenserà. Perché mi sono soffermato sul Vangelo di Matteo e sull’opera di pietà:-L’elemosina?- Perché non mi è piaciuto Carlo Conti, l’indiscusso vincitore dell’ultimo Festival della Canzone Italiana, che nella serata finale del Festival di Sanremo ha fatto sapere al pubblico televisivo di aver donato alla Protezione Civile 100 mila euro da destinare ai terremotati dell’Abruzzo. Non mi è piaciuto e lo critico perché il bene che si fa deve essere una cosa segreta, non deve essere visto dagli altri. Questo atteggiamento è criticato anche da Gesù. Gesù non vuole che le opere di pietà siano usate come mezzo di autopromozione dinanzi alla comunità. Davanti al pubblico televisivo di RAI 1, circa 10 milioni di spettatori, Carlo Conti ha voluto fare una grande pubblicità del bene che ha fatto ai terremotati. Non c’era alcun bisogno di suonare questa grancassa. Il bene deve essere fatto in silenzio, con discrezione. Ogni opera buona, e quella di Conti è stata certamente un’opera buona e meritevole, dovrebbe essere fatta per pura generosità e non per apparire di animo nobile agli occhi degli altri. Ha donato parte del suo cachet ai terremotati? Ha fatto bene. Perché vantarsi? Si è comportato come gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodato dagli spettatori televisivi. Aver donato parte del suo cachet di Sanremo è stato senza dubbio un bel gesto, altri conduttori dovrebbero imitarlo, averlo divulgato è stato un gesto di pessimo gusto. Si è comportato così per essere lodato e applaudito dagli uomini e dalle donne sedute in poltrona e dalla platea dell’Hotel Ariston di Sanremo. Lo ha fatto per compiacere se stesso davanti agli uomini, ma non davanti a Dio dal quale non riceverà certamente alcuna ricompensa. La carità, il bene, l’elemosina devono restare segreti e il Padre Nostro che vede nel segreto, ci ricompenserà. Mi dispiace per Carlo Conti che stimo e ammiro, ma questa volta ha sbagliato. Il bene fatto lo doveva tenerlo per sé, non doveva renderlo al pubblico, anche se sul suo cachet ci sono state assurde polemiche
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Vittorio Bachelet, ultimo di nove figli, era nato a Roma il 20 febbraio 1926 e morì a Roma il 12 febbraio 1980, assassinato dalle Brigate Rosse nell'atrio della Facoltà di Scienze Politiche de "La Sapienza" dove lui insegnava mentre conversava con la sua assistente, l'odierna Presidente della Commissione antimafia On. Rosy Bindi.
Si iscrisse ancora bambino all'Azione Cattolica e ne divenne Presidente nel 1964. Negli anni universitari si impegna nella FUCI. Si laureò giovanissimo alla Facoltà di Giurisprudenza nel 1947 all'età di appena 21 anni con 110/110 discutendo una tesi sul diritto del lavoro "I rapporti fra lo Stato e le organizzazioni sindacali". Nel 1951 si sposa con Maria Teresa De Januario. Dal matrimonio nacquero due figli: Maria e Giovanni.
Iniziò prestissimo la sua carriera universitaria come docente presso la Scuola di Applicazione della Guardia di Finanza e presso l'Università di Pavia, poi presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Trieste e dal 1974 fu Professore Ordinario di Diritto Pubblico dell'Economia presso la Facoltà di Scienze dell'Università "La Sapienza" di Roma.
Fu condirettore del periodico della federazione universitaria "Ricerca", redattore capo e poi Vice Direttore della rivista di studi politici "Civitas". Ottenne diversi incarichi presso l'attuale CIPE e la Cassa per il Mezzogiorno. Fu Vice Presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia e Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Malgrado i suoi impegni politici, giuridici, economici e universitari non abbandonò mai la militanza nell'Azione Cattolica. Esponente di spicco della Democrazia Cristiana, grande amico di Aldo Moro, e come lui fu barbaramente ucciso da un commando brigatista con sette colpi di pistola sparati a bruciapelo al termine di una lezione universitaria.
Vittorio Bachelet è stato assassinato nell'adempimento del dovere di docente e di Vice Presidente del CSM, nella sua Facoltà, nella città in cui era nato e vissuto.
I funerali di Stato furono imponenti e partecipati. Si celebrarono a Roma nella chiesa di San Roberto Ballarmino. Furono funerali diversi dagli altri ai quali in quegli anni di piombo fummo costretti ad assistere attraverso la televisione. Non ci furono grida, pianti e imprecazioni. Ricordo come se fosse ieri il figlio Giovanni cantare insieme agli amici e compagni e poi recitare la Preghiera del fedeli nella quale invitava a pregare per i governanti, per il Presidente Pertini, per il Ministro Cossiga, per i giudici, per Le forze dell'Ordine. E poi infine disse:- Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri-. Queste bellissime ed esemplari parole di perdono del figlio Giovanni allora non furono completamente capite. Ma il figlio Giovanni che amava tanto il suo papà aveva accettato la morte come inizio della vita, della vita nuova. Cristo gli aveva insegnato che si deve accettare la morte, che bisognava far sacrificio della vita per dare testimonianza alla verità e all'amore. E il Santo Padre Giovanni Paolo II nella celebrazione in suffragio di Vittorio Bachelet il 23 febbraio 1980 così disse nella sua omelia:- Cristo ha insegnato che bisogna vincere con la verità e con l'amore. Egli ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli-
Quali insegnamenti ci ha lasciato Vittorio Bachelet:
1. L'impegno del cristiano nel mondo non è altro che una specificazione delle tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità
2. Avere maggiore attenzione a ciò che emerge di nuovo dalla storia. "Non c'è democrazia, non c'è vitalità politica, se le forze politiche non sanno farsi interpreti delle attese, delle speranze e delle angosce dei cittadini -.
3. La politica deve realizzare il bene reale e possibile.
4. In politica bisogna coinvolgere anche se non soprattutto la gente più umile, facendo sentire a tutti i diritti e i doveri dell'essere cittadini, e la corresponsabilità per quella cosa comune che era finalmente la democrazia.
5. Coniugare insieme la fermezza di carattere e la capacità di dialogo, il sano realismo e l'invincibile speranza.
Diceva: - Sono inguaribilmente ottimista e credo che, nonostante tutte le difficoltà, ci sia la possibilità di un futuro migliore per la vita del nostro paese e per la vita delle nostre istituzioni -.
Nonostante ricoprisse incarichi importantissimi e fosse conosciuto ed apprezzato da tutti come un grande uomo di cultura non aveva la scorta, abitava in un modesto appartamento fuori Roma e guidava una modesta Fiat 127.
Era amato da tutti, dagli studenti e dai colleghi professori, perché era un uomo buono, intelligente, preparato, onesto, pio, dolce. Noto per la sua semplicità, per l'amorevolezza nelle relazioni, per la tenacia nel vivere la fede e nel difenderne i valori, per la nobiltà d'animo, per essere un buon padre di famiglia, un ottimo studioso, un grande servitore dello Stato, un custode della cultura, un promotore del bene comune.
Sono trascorsi 37 anni dalla sua barbara uccisione e il ricordo e il sacrificio di Vittorio Bachelet sono ancora incisi non solo nella carne della Facoltà di Giurisprudenza, ma nei cuori di tutti coloro che l'amavano e lo stimavano e soprattutto nei cuori di noi tutti che facevamo parte dell'Azione Cattolica e quel tragico evento ancora oggi ci appartiene e ci coinvolge.
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Cos’ è pazz direbbero a Napoli ed invece è vero.
Ce lo riferisce Francesco Gagliardi sempre attento a quello che succede nella nostra pazza “Itaglia”.
L’ultima trovata italiana, multato un imprenditore edile perché a proprie spese fa pulire la piazza principale della sua città dalla neve caduta copiosa in queste ultime settimane.
Quello che sto per raccontarvi è una storia vera e non il frutto della mia fantasia.
Anche queste cose assurde, purtroppo, accadono ancora nella nostra Italia.
Nella città abruzzese, la caratteristica e famosissima Sulmona, nelle scorse settimane è caduta tanta neve da coprire ogni cosa rendendo vie e piazze inagibili.
Un imprenditore che ama molto la sua città, stufo di vedere la bella piazza principale di Sulmona invasa dalla neve e dalla spazzatura, ha deciso da solo, senza informare le autorità, il Sindaco, i Vigili Urbani, di pulirla a proprie spese.
La neve da bianca e bella soffice che era ben presto, per la temperatura calata al di sotto dello zero gradi, era diventata grigia e ghiacciata, che avrebbe potuto causare gravi danni alla popolazione. Che fare?
Lasciare le cose così come stanno o fare qualcosa per la sua città?
Informare il Sindaco?
Avrebbe detto certamente di no.
Alla pulitura delle strade e delle piazze ci sono i netturbini, pardon gli operatori ecologici.
Non ha detto niente a nessuno.
Non ha preso pale, badili, picconi, scope e ramazze, ma ha fatto confluire alcuni mezzi pesanti sulla Piazza XX Settembre chiusa la traffico e interdetta.
Alcuni operai, da lui pagati, hanno poi incominciato a ripulire la piazza e in un’ora l’hanno riportata al suo antico splendore.
Non lo avesse mai fatto.
I Vigili Urbani prontamente accorsi lo hanno subito multato di 100 euro, ma non lo hanno fermato.
Il Sindaco, invece di ringraziarlo, lo ha severamente redarguito e punito.
Bisogna rispettare le leggi.
Il Sindaco sono io.
Qui comando io.
Io devo dare l’ordine di fare sgomberare la neve dalla piazza e non un cittadino qualsiasi anche se dotato di buone intenzioni.
L’Imprenditore si è giustificato dicendo che non è stata una forma di protesta, il Sindaco è il Sindaco e bisogna rispettarlo, ma una forma di rispetto verso la sua città, la bella Piazza XX Settembre, ma soprattutto verso la Statua del grande poeta latino Publio Ovidio Nasone che si trova al centro della Piazza completamente ricoperta di neve nauseabonda.
Ovidio è conosciuto in tutto il mondo, quest’anno si festeggia il bimillenario della sua morte, e l’imprenditore ha voluto così fare un’opera buona e meritevole: togliere la neve che lo ricopriva completamente.
Se ciò fosse capitato in un’altra città normale, in un’altra nazione normale e civile certamente quell’imprenditore sarebbe stato elogiato e premiato, da noi, invece, non solo è stato severamente redarguito ma anche multato, perché non ha rispettato le procedure burocratiche e il divieto che c’è nella piazza interdetta ai mezzi pesanti.
Ci sono delle regole, quindi vanno rispettate.
E la neve?
Quella può restare in Piazza, si scioglierà da sola all’arrivo delle belle giornate.
Francesco Gagliardi
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Italia
Anche Cosenza è finita nelle prime pagine dei giornali per colpa dei furbetti del cartellino i quali invece di andare a lavorare o essere sul posto di lavoro, trascorrevano le ore a giocare alle slot machine,
accompagnavano i figli a scuola e poi si recavano a casa a sbrigare le loro faccende personali, a fare la spesa al supermercato, invece di curare gli ammalati.
Finanche il TG nazionale delle ore 13,30 ne ha dato notizia definendo il fatto gravissimo.
I blitz dei Carabinieri, gli arresti, le condanne di decine e decine di dipendenti pubblici infedeli in diverse città italiane non hanno scoraggiato questi dipendenti assenteisti nella Azienda Sanitaria provinciale di Rogliano, in provincia di Cosenza.
Ricordate i furbetti di Sanremo?
Centinaia di dipendenti furono sospesi dopo l’inchiesta della Guardia di Finanza e accusati a vario titolo di truffa aggravata e falso.
Tra di loro c’era il Vigile Urbano che timbrava in mutande la cui immagine fece il giro del mondo ed è diventato il simbolo degli scansafatiche sbeffeggiato su tutte le reti televisive italiane.
Purtroppo la timbratura del cartellino è tornata di moda anche da noi e precisamente nella città di Rogliano.
Assenteisti a Rogliano, così ha avuto inizio il TG regionale della Calabria delle ore 14,00.
Medici e dipendenti indagati e sospesi timbravano col trucco per lavorare meno.
Il blitz dei Carabinieri è scattato questa mattina dopo giorni e mesi di indagini.
Sono state eseguite 18 misure cautelari, 4 sospensioni e 14 obblighi di presentazioni alla polizia giudiziaria emesse dal Gip del Tribunale di Cosenza.
L’operazione è stata chiamata “All walking” (Tutti in cammino).
Tutti i dettagli dell’operazione sono stati resi noti nella conferenza stampa delle ore 10,30 presso la Procura della Repubblica di Cosenza alla presenza del Procuratore Capo, dottor Mario Spagnuolo.
Sulla triste e squallida vicenda è intervenuto il Sindaco di Rogliano Sig. Altomare Giovanni il quale vuole difendere a tutti i costi l’immagine della sua città e della comunità.
Nessuno, però, fino ad oggi, ha voluto criminalizzare e minimamente intaccare la gente onesta e operosa di Rogliano che, fino a prova contraria, fa il proprio dovere giorno e notte.
La stampa ha fatto nome e cognome soltanto di quei furbetti che invece di andare a lavorare se ne stavano nelle proprie abitazioni, andavano in giro a giocare o divertirsi causando gravi danni e disagi a tutta la comunità onesta e operosa di Rogliano.
Sig. Sindaco, come potevano funzionare alla perfezione le strutture pubbliche se gli operatori erano assenti?
Nell’inchiesta della Magistratura c’è chi si faceva timbrare il cartellino da un amico compiacente mentre lui se ne stava tranquillamente a casa.
C’è chi figurava regolarmente in servizio invece se ne stava in auto a leggere il giornale o al supermarket a fare la spesa.
E c’è pure chi era nel proprio studio privato e svolgeva l’attività di libero professionista.
Grazie alle proteste e alle segnalazioni dei cittadini onesti, che sono la maggioranza anche nella città di Rogliano, che le Forze dell’Ordine e la Magistratura hanno scritto la parola fine ai continui disservizi e alle disfunzioni.
Le lamentele che ci sono state sono del tutto fisiologiche?
Ma mi faccia il piacere, signor Sindaco, direbbe il grande Totò!
Francesco Gagliardi
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Cosenza
Strano paese è l'Italia. Per più di sessanta anni i libri di storia delle nostre scuole e i politici romani, per il quieto vivere, hanno taciuto sulle foibe e del dramma vissuto da centinaia di migliaia di italiani che dopo il Trattato di Pace di Parigi del 1947 sono stati costretti a lasciare le loro case e i loro affetti e a rifugiarsi in Italia. L'Italia, per codardia o per paura, per cecità politica, non ha saputo difendere i suoi figli che per lunghissimi anni hanno abitato oltre i confini della Patria. Hanno dovuto abbandonare le terre dove erano nati per sfuggire agli abusi ed ai soprusi, alle rappresaglie, ai processi sommari, alle uccisioni da parte dei partigiani comunisti di Tito. E mi riferisco ai profughi della Dalmazia, di Istria, di Pola, di Fiume, di Zara.
Solo il Presidente della Repubblica On. Francesco Cossiga, verso la fine del suo settennato, osò sfidare la viltà, le bugie, l'ignoranza, la paura, il quieto vivere, e si recò nella foiba di Basovizza (Trieste), oggi monumento nazionale, a deporre una corona di fiori per onorare la memoria dei tanti italiani innocenti fatti sparire nel nulla dall'odio e dalla vendetta comunista. Poi il Presidente Ciampi istituì "Il giorno della memoria" che si celebra ogni 10 febbraio, per ricordare tutti gli italiani infoibati, ma soprattutto per capire e ricordare le foibe.
E l'Italia è stata ancora l'unica nazione al mondo in cui l'intellighenzia e la cultura dominante hanno prima violentemente negato l'esistenza stessa delle foibe, dei tribunali popolari jugoslavi, dei processi sommari , delle condanne a morte e poi minimizzato gli orrori perpetrati contro gli italiani dai partigiani di Tito.
In nome della realpolitik agli infoibati non solo è stata negata giustizia ma addirittura la pietas. Per anni nessuno si è potuto recare nei luoghi degli orrori per poter depositare un fiore e recitare un Eterno Riposo. Tutte le cerimonie in Italia furono sempre boicottate e disertate dalle autorità locali per esplicita richiesta del Partito Comunista Italiano.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo scorso anno così disse: << Non solo va ricordata la congiura del silenzio, ma anche l'imperdonabile orrore contro l'umanità costituito dalle foibe. Dobbiamo assumerci la responsabilità dell'aver negato, o teso ad ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali >>.
<<…..Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di Pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica" >>.
Prima di Cossiga, Ciampi e Napoletano, tutti i politici nostrani tacquero. Alcuni politici dell'estrema sinistra non solo tacquero, ma diedero una visione alterata degli avvenimenti e di questo atteggiamento ne fecero le spese i profughi ai quali fu ingiustamente cucita addosso l'odiosa nomea di "fascisti in fuga". Basta leggere "L'Unità", organo del Partito Comunista Italiano, del 30 novembre del 1946. Così scrive: - Coloro i quali si sono riversati in massa nelle nostre grandi città non hanno nessun diritto di asilo. Sono fascisti, gerarchi, briganti, profittatori che sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune e non meritano la nostra solidarietà, né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi -.
Con questo non voglio dire che il PCI ebbe responsabilità dirette sui massacri, tuttavia, come si evince dalle dichiarazioni, moltissimi pur sapendo tacquero o collaborarono con i fratelli comunisti di Tito, almeno fino alla rottura con Mosca del 1948 e all'inizio della guerra fredda.
Ma nelle foibe, come oggi sappiamo, non finirono soltanto i fascisti e i gerarchi, gli ufficiali e i funzionari pubblici che durante l'occupazione fascista si macchiarono di crimini orrendi, ma migliaia di persone innocenti, donne, bambini, sacerdoti, antifascisti cattolici, autonomisti e finanche persone che si opponevano al regime comunista di Tito tra cui numerosi capi di organizzazioni partigiane antifasciste, sloveni e croati comunisti.
I partigiani di Tito improvvisavano tribunali popolari, emettevano centinaia di condanne a morte. La maggioranza dei condannati venivano subito fucilati, moltissimi venivano legati a due a due con fil di ferro e poi scaraventati nelle foibe, alcuni addirittura mentre erano ancora in vita.
Quante furono le vittime della pulizia etnica comunista? Non furono mai quantificate, perché sono mancati i documenti ufficiali e anche perché il Governo Jugoslavo non ha mai accettato di partecipare a inchieste per determinare il numero dei decessi.
Il tema delle foibe uscì dall'oblio dopo la caduta del muro di Berlino e dopo il crollo del comunismo nell'Unione Sovietica e incominciò ad essere discusso nei giornali, nelle scuole, in televisione, tra la gente che fino ad allora ignorava perfino il significato della parola foiba.
Anche la RAI finalmente si occupò delle foibe e della tragedia immane che colpi centinaia di migliaia di persone dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Avevano una sola colpa, quella di essere italiani. La RAI trasmesse una fiction liberamente ispirata alla stragi delle foibe "Il cuore nel pozzo". Fu un successo. Suscitò non solo una forte impressione, ma anche numerose polemiche. Finalmente il popolo italiano apprese il vero significato delle foibe e cosa fecero i partigiani di Tito dal settembre 1943 fino al Trattato di Pace di Parigi nel 1947, anno in cui i vincitori della seconda guerra mondiale assegnarono alla Jugoslavia il territorio occupato fino ad allora dall'Italia.
Una domanda oggi è d'obbligo. Perché il Governo Italiano tacque per così lungo tempo? Perché non protestò nelle sedi internazionali? Perché i nuovi amici e alleati dell'Italia nella NATO per decenni tacquero e non fecero luce sui massacri?
Era evidentemente pericoloso e dannoso indagare, come è ora politicamente non corretto dire le cose come realmente stanno. Ancora oggi qualcuno cerca di sviare le indagini, in nome di che cosa? Della pace, del buon vicinato, della convivenza pacifica, dei buoni rapporti, della stessa appartenenza alla NATO, degli equilibri politici raggiunti?
Gli infoibati furono vittime dell'odio e della violenza comunista e chi cerca oggi di minimizzare quei tragici avvenimenti è solamente un povero omuncolo sconfitto dalla storia.
Dal libro di Francesco Gagliardi “San Pietro in Amantea” tra Storia, Storie, Leggende e Attualità.
Francesco Gagliardi
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Manifesti irriverenti affissi sui muri delle case contro i politici ci sono sempre stati.
Ultimamente sono comparsi a Roma dopo che l’On. Fedele ha assunto la carica di Ministro della Pubblica Istruzione.
La valanga di polemiche furono scatenate contro il Ministro il quale sul suo curriculum aveva scritto “Laureata in Scienze Sociali”, mentre in realtà ha conseguito il diploma di assistente sociale.
Chi non ricorda quelli del vecchio Partito Comunista Italiano nelle elezioni politiche del 1948 e 1953 contro il Presidente del Consiglio e leader indiscusso della Democrazia Cristiana?
Ma contro un Pontefice mai. Uno sfregio senza precedenti.
Fino ad oggi però. Infatti Roma si è svegliata tappezzata di manifesti di contestazione a Papa Francesco.
Il manifesto riporta l'immagine del Santo Padre molto corrucciata e rabbuiata e in basso la scritta con venature romanesche:
- A Francè, n’do sta la tua misericordia?
- Nessuno sa chi ha affisso nottetempo i manifesti, la Digos romana sta indagando.
Sui manifesti non ci sono simboli né sigle di partiti politici. Sono al vaglio le registrazioni delle varie telecamere che inquadrano le strade e le vie di Roma, dal quartiere Prati, a Trastevere, al Vaticano,dove sono comparsi i manifesti, immediatamente fatti ricoprire dai Vigili con l’applicazione della scritta “Affissione abusiva”. Chi ha potuto affiggere i manifesti? Certamente chi non vuole bene a Papa Francesco e chi è contro la sua politica e il suo operato.
Il Papa è stato immediatamente informato dai suoi più stretti collaboratori della comparsa dei manifesti ed ha reagito con serenità e distacco.
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La storia che sto per raccontarvi è davvero strana e faccio tanta fatica a credere che possa essere vera. Fino ad ieri sapevo che la gente potesse finire in galera e mangiare il rancio dello Stato se avesse compiuto alcuni reati come uccidere, rubare, causare disastri e reati per mafia, ‘ndrangheta, camorra, spaccio di droga.
No, niente di tutto questo. Si può oggi finire in gattabuia senza commettere reati. Anche chi non vuole lasciare la sua terra, chi non vuole abbandonare i luoghi in cui è nato e cresciuto, può finire in galera con le manette ai polsi come un delinquente incallito.
Ad Arquata del Tronto, luogo colpito e devastato dal terribile terremoto, vive un uomo di 58 anni il quale non vuole abbandonare il paesello natio.
Soffre di una fobia, causa il terremoto, verso i luoghi chiusi.
Infatti, fino ad ieri, è vissuto in una tenda della Protezione Civile. Non vuole lasciarla e per questo è stato arrestato e subito processato. E il Giudice ha pure convalidato il suo arresto. Ma andiamo in ordine.
L’uomo si chiama Enzo Rendina che ha cercato di rimanere nel suo paese natale completamente distrutto dal sisma, accanto alla sua casa diroccata, dormendo prima all’aperto sotto le stelle, poi in una tenda in un luogo indicato dalla Protezione Civile. Non ne vuole sapere di abbandonare la sua casetta anche se è ridotta ad un cumulo di macerie, perché sotto quelle macerie ci sono ancora tutte le cose belle che lui ha sempre amato e sognato.
Molti hanno cercato di convincerlo ad abbandonare il paesello distrutto.
Niente da fare. Ci ha provato il Sindaco, ci ha provato finanche Vasco Errani il Commissario per la ricostruzione. Gli hanno offerto un alloggio in un comodo albergo della costa adriatica,niente.
Enzo ha paura del terremoto, ha paura di dormire in un luogo chiuso e ostinatamente si rifiuta di lasciare la sua tanto amata terra di Arquata. Quando è arrivata la seconda scossa di terremoto è costretto a spostarsi a Borgo Arquata, paese vicino.
E’ arrivato il crudo inverno, è arrivato il freddo e il gelo, è arrivata finanche la neve in grande quantità e il nostro amico è ancora là sotto una tenda al freddo e al gelo, neppure riscaldato la notte da un bue e da un asinello come Gesù Bambino. Viene minacciato dalla Procura di Ascoli Piceno e viene accusato di intralcio ai lavori dei soccorritori e minaccia a pubblici ufficiali.
Ma se dormiva la notte in una tenda che la Protezione Civile aveva sistemato in luogo sicuro quali difficoltà ha potuto creare ai Vigili del Fuoco?
Gli avvocati lo hanno tirato fuori dal carcere ed ora, forse, passerà gli arresti domiciliari in un camper messo a disposizione da una associazione francese “Io non crollo”, perché in una stanza in muratura, per adesso e solo per adesso, non vuole più starci.
L’arresto?
E’ semplicemente un arresto assurdo di un uomo, amante del suo paese anche se distrutto dal sisma che non vuole abbandonare. Ma la cosa che lo ha infastidito e turbato di più non sono state le manette ai polsi, è stato vedere che qualcuno aveva preso il suo zainetto con i pochi effetti personali che era riuscito a recuperare dopo il crollo della sua casetta.
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Ancora, sempre Francesco Gagliardi.
Un uomo che ama la sua terra e che la difende ricordandola nelle sue vicende, nei suoi tratti, nelle persone che la vivono e che la definiscono.
Ecco il suo ultimo contributo alla sua terra ed alle sue storie.
Leggetelo e ricordatelo:
“Con riferimento all’articolo apparso su Tirreno News il 30 gennaio u.s. “Oliva, il 6 marzo l’epilogo di una stranissima vicenda ambientale”, mi preme precisare alcune cose.
Il fiume Oliva non solo lo ha fatto conoscere e lo ha fatto diventare famoso Focus il 25 novembre 2010, ma ha contribuito pure l’articolo apparso in prima pagina de “il Manifesto” il 27 ottobre dello stesso anno.
A me non interessa come il processo che si sta svolgendo presso la Corte d’Assise di Cosenza andrà a finire, mi interessa sapere come le cose sono veramente andate.
Davvero sono stati interrati materiali altamente pericolosi che avrebbero contaminato l’area causando il dissesto ambientale e la morte e il ricovero per malattie cardiovascolari e soprattutto tumori maligni alle persone che hanno vissuto nella valle dell’Oliva?
Se è così allora perché il PM ha chiesto l’assoluzione per i proprietari terrieri incriminati?
Ha chiesto la condanna a 16 anni e mezzo di carcere soltanto per Coccimiglio accusandolo di disastro ambientale e morte a seguito di avvelenamento delle acque.
A quell’articolo apparso su “il Manifesto” pieno di menzogne e di luoghi comuni nessuno ebbe il coraggio di rispondere, lo feci solo io, ma io sono un semplice pennivendolo che grida nel deserto.
Ancora una volta un paese a noi molto caro ed una contrada ridente e rigogliosa sono finite sulla prima pagina di un importante giornale nazionale catalizzando l’attenzione pubblica, perché in quel luogo e propriamente sulle pendici del fiume Oliva, la Procura di Paola aveva trovato almeno centomila metri cubi di idrocarburi, arsenico, cromo, cobalto, antimonio, nikel.
“I fantasmi di Amantea”, così l’inviato del giornale aveva intitolato il suo lungo e dettagliato articolo.
Ancora una volta la gente del luogo veniva descritta come la scimmietta che non vede, non sente, non parla, vittime del silenzio. “che sanno e muoiono con quello sguardo quasi atavico della sottomissione”.
Le donne del luogo tutte vestite di nero sono state descritte con gli occhi neri e intensi che non osano guardare in faccia il giornalista e che abbassano pudicamente leggermente lo sguardo.
Le donne vestite di nero?
Che c’è di strano?
Perché meravigliarsi poi tanto?
Le nostre donne anziane vestono di nero se c’è un lutto in famiglia.
Alle domande del giornalista hanno risposto:- Non abbiamo visto nulla, non abbiamo visto un camion in queste strade-.
Un signore anziano si è avvicinato e lo ha invitato ad entrare nella sua cantina e a bere un bel bicchiere di vino rosato, frutto di quella terra che tutti dicono inquinata e del suo duro lavoro.
Perché il dottor Palladino si era meravigliato?
La nostra gente è stata sempre ospitale, molto affabile.
Ha sempre condiviso con gli altri le ansie e le gioie della vita.
Il vino era davvero buono e mentre lo sorseggiava disse al giornalista che in quel posto nessuno è morto a causa dei presunti veleni.
In questa contrada, secondo i racconti dei giornali, una persona su dieci era stata colpita da un tumore.
E la gente taceva.
Ma era tutto vero?
Al tempo dello spiaggiamento della nave Jolly Rosso esistevano soltanto alcune stradine di campagna.
I camion avrebbero dovuto trasportare le tonnellate dei rifiuti tossici attraverso quelle stradine vicine alle abitazioni e quindi la gente del posto avrebbe dovuto vedere quei camion e sentire il rombo dei motori.
Hanno detto, dunque, il vero quando hanno affermato che non avevano visto nulla.
Allora perché in questi lunghi anni è stata allarmata la gente del posto?
Nella valle del fiume Oliva la gente nasce, cresce e muore come la gente che vive in altre parti d’Italia.
Può anche darsi che nella valle siano state davvero interrate sostanze tossiche, ma dare la colpa del non ritrovamento alla gente del posto perché sta zitta ce ne occorre.
L’ostinato silenzio, quasi atavico ha scritto il giornalista, non dipende però dalla ignoranza e dalla sottomissione della gente contadina, dipende dal fatto che davvero non sanno nulla, non hanno visto nulla di anomalo lungo il corso degli ultimi anni e che con il loro silenzio non vogliono coprire nessuno.
Se ho scritto queste note è perché conosco e amo quella ridente contrada Gallo e la gente che vi abita.
Sono nato nel paese, San Pietro in Amantea, al quale la contrada appartiene e per lunghissimi anni sono stato insegnante e Vice Sindaco.
Sono stufo, quindi, di sentire le solite storielle.
La gente del comprensorio vuole sapere tutta la verità.
Mettere in circolazione notizie a volte superficiali e confuse è molto dannoso.
E la psicosi che ne segue è figlia senz’altro di questa superficialità.
Ndr. All’amico Francesco vogliamo ricordare le migliaia di mc di”monnezza indifferenzata” scaricati nel letto dell’Oliva, sotto gli occhi di tutti. Un fatto di cui pochi hanno avuto l’onestà ed il coraggio di parlare ( noi tra i pochi) mostrando anche le foto. Provate ad immaginare quanto percolato è arrivato a mare!
Sempre Tirrenonews ha, poi, pubblicato una lettera aperta ad Andrea Palladino, con il quale avemmo una lunghissima telefonata alla fine della quale lo invitammo a venire di nuovo ad Amantea, nostro ospite, per cercare insieme a noi “le altre verità”, quelle che Francesco ci ha raccontate, e per essere accompagnato la dove sono stati veramente seppelliti i rifiuti della Jolly Rosso, e tutto con le autorizzazioni sanitarie e politiche, anche esse scomparse come la verità che vorremmo conoscere.
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Un giorno Gesù in un memorabile discorso sul monte di Cafarnao che noi ricordiamo come il discorso della montagna o delle beatitudini disse ai suoi discepoli e alla immensa folla che lo stava ad ascoltare;- Beati quelli che sono nel pianto perché saranno consolati-. Gesù ha chiamato beati i poveri, i perseguitati, gli afflitti, gli infelici, i derelitti, gli emarginati, quelli che soffrono, che hanno perso il padre o la madre, i figli e i nipoti, quelli che piangono, che hanno perso la vita. Sono beati quelli che hanno perso la vita sotto l’immane valanga che ha distrutto l’albergo a Rigopiano; sono beati quelli che hanno perso la vita nell’elicottero caduto a causa della fitta nebbia; sono beati quei coniugi che vengono barbaramente uccisi dai propri figli; sono beati quelli che muoiono sotto le bombe in Iraq, in Iran, in Afganistan e altrove in Asia ed in Africa; sono beati quei disgraziati che muoiono affogati in mare per sfuggire alle grinfie di dittatori spietati; sono beati tutti quelli che muoiono sotto le macerie dopo il terremoto. Ma come, ancora oggi ci chiediamo dopo duemila anni:-Come si possono spiegare tutte queste affermazioni-? E’ passato tanto tempo dal giorno in cui il profeta Isaia annunciava l’ora in cui avrebbero avuto consolazione coloro che erano nel dolore. Chi soffre, chi è afflitto, chi piange, chi è nel dolore, è beato, è felice, è fortunato perché è più pronto ad accogliere la parola di Dio e metterla in pratica e quindi sa di poter essere accolto nel suo Regno Beato. Sono sicuro che molti miei lettori di Tirreno News che in questo momento mi stanno leggendo si metteranno a ridere e forse qualcuno dirà:- Ma vai a quel paese-. In effetti dire oggi dopo l’immane tragedia che ha colpito il nostro paese, dopo il terremoto, dopo le forti nevicate, il freddo, il gelo e poi la valanga, e poi il crollo dell’elicottero, dire beati gli afflitti e quelli che piangono significa averla sparata davvero grossa. Eppure è proprio così. Non solo perché Gesù ce lo ha detto, ma perché lo ha sperimentato sulla sua pelle. Anche lui ha pianto e si è commosso quando ha visto quella mamma, per giunta vedova, che accompagnava piangendo l’unico suo figlio al cimitero. Ha avuto compassione e lo ha resuscitato. Ha pianto quando è arrivato a casa di Maria e Marta che pochi giorni prima avevano perso il fratello Lazaro, suo intimo amico. Ha pianto quando era in croce e si è lamentato col Padre suo perché lo aveva abbandonato.
Ma dov’era Dio quando centinaia di persone sono rimaste sepolte sotto le macerie a causa del terremoto di Amatrice? Dov’era Dio quando quel ragazzo fece uccidere i propri genitori da un suo compagno? Dov’era Dio quando quel ragazzo ha buttato dell’acido in faccia alla propria fidanzatina sfigurandola? Dov’era Dio quando quel fidanzatino ha buttato una bottiglia di benzina contro una fanciulla dandole poi fuoco? Dov’era Dio quando la neve si è staccata dalla montagna e ha travolto tutto quello che ha incontrato lungo il pendio? Dov’era Dio quando un autobus ungherese va a sbattere contro un muro dell’autostrada presso Verona e che incendiandosi ha bruciato vivi 16 corpi di ragazzi che erano andati in gita e facevano ritorno nel proprio paese? Dov’era Dio quando Caino uccise suo fratello Abele? Dov’era Dio si chiedevano i prigionieri dei campi di concentramento hitleriani mentre venivano portati nei forni crematori? Dov’era Dio quando ad Auschwitz alcuni internati venivano impiccati ai pali della recensione e della luce? Dov’era, dunque, quel Dio che affanna e che consola, che atterra e suscita, che chiama beati chi piange? Era lì, in mezzo a loro, appeso al palo, a quella forca, nei forni crematori. Ed oggi è anche lì, sotto le macerie di Amatrice, sotto la neve che ha ricoperto l’albergo di Rigopiano, nell’elicottero precipitato nella nebbia di Campo Felice. E’ lì dentro quell’autobus che sta bruciando. E’ sempre lì dalla parte dei più deboli, dalla parte di chi soffre, dalla parte di chi piange, dalla parte di chi muore. E Papa Francesco alla Via Crucis del 29 luglio 2016 al Parco Blania così disse.- Dio è in loro, soffre in loro, profondamente identificato con ciascuno. Egli è così unito ad essi, quasi a formare un solo corpo. Gesù stesso ha scelto di identificarsi in questi nostri fratelli e sorelle provati dal dolore e dalle angosce, accettando di percorrere la via dolorosa verso il calvario. Con quell’abbraccio al legno della Croce Cristo abbraccia la nudità e la fame, la sete e la solitudine, il dolore e la morte degli uomini e delle donne di tutti i tempi-.
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