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Le foibe: 10 febbraio "Giorno del ricordo" Per capire, ma soprattutto per non dimenticare

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maxresdefaultStrano paese è l'Italia. Per più di sessanta anni i libri di storia delle nostre scuole e i politici romani, per il quieto vivere, hanno taciuto sulle foibe e del dramma vissuto da centinaia di migliaia di italiani che dopo il Trattato di Pace di Parigi del 1947 sono stati costretti a lasciare le loro case e i loro affetti e a rifugiarsi in Italia. L'Italia, per codardia o per paura, per cecità politica, non ha saputo difendere i suoi figli che per lunghissimi anni hanno abitato oltre i confini della Patria. Hanno dovuto abbandonare le terre dove erano nati per sfuggire agli abusi ed ai soprusi, alle rappresaglie, ai processi sommari, alle uccisioni da parte dei partigiani comunisti di Tito. E mi riferisco ai profughi della Dalmazia, di Istria, di Pola, di Fiume, di Zara.

Solo il Presidente della Repubblica On. Francesco Cossiga, verso la fine del suo settennato, osò sfidare la viltà, le bugie, l'ignoranza, la paura, il quieto vivere, e si recò nella foiba di Basovizza (Trieste), oggi monumento nazionale, a deporre una corona di fiori per onorare la memoria dei tanti italiani innocenti fatti sparire nel nulla dall'odio e dalla vendetta comunista. Poi il Presidente Ciampi istituì "Il giorno della memoria" che si celebra ogni 10 febbraio, per ricordare tutti gli italiani infoibati, ma soprattutto per capire e ricordare le foibe.

E l'Italia è stata ancora l'unica nazione al mondo in cui l'intellighenzia e la cultura dominante hanno prima violentemente negato l'esistenza stessa delle foibe, dei tribunali popolari jugoslavi, dei processi sommari , delle condanne a morte e poi minimizzato gli orrori perpetrati contro gli italiani dai partigiani di Tito.

In nome della realpolitik agli infoibati non solo è stata negata giustizia ma addirittura la pietas. Per anni nessuno si è potuto recare nei luoghi degli orrori per poter depositare un fiore e recitare un Eterno Riposo. Tutte le cerimonie in Italia furono sempre boicottate e disertate dalle autorità locali per esplicita richiesta del Partito Comunista Italiano.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo scorso anno così disse: << Non solo va ricordata la congiura del silenzio, ma anche l'imperdonabile orrore contro l'umanità costituito dalle foibe. Dobbiamo assumerci la responsabilità dell'aver negato, o teso ad ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali >>.

<<…..Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di Pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica" >>.

Prima di Cossiga, Ciampi e Napoletano, tutti i politici nostrani tacquero. Alcuni politici dell'estrema sinistra non solo tacquero, ma diedero una visione alterata degli avvenimenti e di questo atteggiamento ne fecero le spese i profughi ai quali fu ingiustamente cucita addosso l'odiosa nomea di "fascisti in fuga". Basta leggere "L'Unità", organo del Partito Comunista Italiano, del 30 novembre del 1946. Così scrive: - Coloro i quali si sono riversati in massa nelle nostre grandi città non hanno nessun diritto di asilo. Sono fascisti, gerarchi, briganti, profittatori che sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune e non meritano la nostra solidarietà, né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi -.

Con questo non voglio dire che il PCI ebbe responsabilità dirette sui massacri, tuttavia, come si evince dalle dichiarazioni, moltissimi pur sapendo tacquero o collaborarono con i fratelli comunisti di Tito, almeno fino alla rottura con Mosca del 1948 e all'inizio della guerra fredda.

Ma nelle foibe, come oggi sappiamo, non finirono soltanto i fascisti e i gerarchi, gli ufficiali e i funzionari pubblici che durante l'occupazione fascista si macchiarono di crimini orrendi, ma migliaia di persone innocenti, donne, bambini, sacerdoti, antifascisti cattolici, autonomisti e finanche persone che si opponevano al regime comunista di Tito tra cui numerosi capi di organizzazioni partigiane antifasciste, sloveni e croati comunisti.

I partigiani di Tito improvvisavano tribunali popolari, emettevano centinaia di condanne a morte. La maggioranza dei condannati venivano subito fucilati, moltissimi venivano legati a due a due con fil di ferro e poi scaraventati nelle foibe, alcuni addirittura mentre erano ancora in vita.

Quante furono le vittime della pulizia etnica comunista? Non furono mai quantificate, perché sono mancati i documenti ufficiali e anche perché il Governo Jugoslavo non ha mai accettato di partecipare a inchieste per determinare il numero dei decessi.

Il tema delle foibe uscì dall'oblio dopo la caduta del muro di Berlino e dopo il crollo del comunismo nell'Unione Sovietica e incominciò ad essere discusso nei giornali, nelle scuole, in televisione, tra la gente che fino ad allora ignorava perfino il significato della parola foiba.

Anche la RAI finalmente si occupò delle foibe e della tragedia immane che colpi centinaia di migliaia di persone dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Avevano una sola colpa, quella di essere italiani. La RAI trasmesse una fiction liberamente ispirata alla stragi delle foibe "Il cuore nel pozzo". Fu un successo. Suscitò non solo una forte impressione, ma anche numerose polemiche. Finalmente il popolo italiano apprese il vero significato delle foibe e cosa fecero i partigiani di Tito dal settembre 1943 fino al Trattato di Pace di Parigi nel 1947, anno in cui i vincitori della seconda guerra mondiale assegnarono alla Jugoslavia il territorio occupato fino ad allora dall'Italia.

Una domanda oggi è d'obbligo. Perché il Governo Italiano tacque per così lungo tempo? Perché non protestò nelle sedi internazionali? Perché i nuovi amici e alleati dell'Italia nella NATO per decenni tacquero e non fecero luce sui massacri?

Era evidentemente pericoloso e dannoso indagare, come è ora politicamente non corretto dire le cose come realmente stanno. Ancora oggi qualcuno cerca di sviare le indagini, in nome di che cosa? Della pace, del buon vicinato, della convivenza pacifica, dei buoni rapporti, della stessa appartenenza alla NATO, degli equilibri politici raggiunti?

Gli infoibati furono vittime dell'odio e della violenza comunista e chi cerca oggi di minimizzare quei tragici avvenimenti è solamente un povero omuncolo sconfitto dalla storia.

Dal libro di Francesco Gagliardi “San Pietro in Amantea” tra Storia, Storie, Leggende e Attualità.

 

Francesco Gagliardi

Ultima modifica il Venerdì, 10 Febbraio 2017 15:03
Francesco Gagliardi

Nato in San Pietro in Amantea.
Insegnante elementare in pensione. Ex coordinatore provinciale per l'insegnamento delle lingue straniere nelle scuole elementari.
Ha frequentato l'Università Statale dell'Alabama U.S.A. Ha combattuto in Korea con U.S. Army.
Corrispondente del giornale "Il Popolo", "Giornale d'Italia", "Il Quotidiano di Roma" ora "Avvenire".
Suoi articoli sono stati pubblicati da "Oggi Famiglia", "Calabria Ora", "il Quotidiano", "Mezzoeuro", "La Provincia", "Idee per la sinistra", "Iniziativa". Consigliere comunale dal 1964 al 1970. Assessore e Vice Sindaco dal 1975 al 1985.
Ha pubblicato: Storia di San Pietro in Amantea; La Santona; Nell'Inferno di Korea; Viaggio nella memoria; Dolci e antichi ricordi; La valigia dei sogni; Paese di Maria e della Comunicazione; S.Pietro tra Storia, storie, leggende e attualità; Paese in lenta agonia.

1 commento

  • Francesco

    Etichettato sotto Francesco Gagliardi

    Errato scrivere: scritto da Clemente Riccardo

    Prego rettificare. L'articolo è stato scritto dal sottoscritto e non da questo signore che neppure conosco. E non è la prima volta.
    Francesco Gagliardi da San Pietro in Amantea

    Rapporto Francesco Mercoledì, 08 Febbraio 2017 18:45 Link al commento

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