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Un gip milanese aveva rigettato e bollato come ingiustificato il fermo di cingalese – arrestato a gennaio dopo che aveva provato a superare i controlli dello scalo aeroportuale milanese di Linate grazie a documenti falsi, sostenendo che «l’arresto non era giustificato dalla gravità del fatto e dalla personalità dell’imputato, non essendovi alcuna motivazione a tal proposito nel verbale di arresto, e dovendosi inoltre tenere conto del fatto che l’indagato era incensurato».

La procura di Milano aveva presentato ricorso e chiesto la revisione del giudizio.

La Cassazione ha accolto il ricorso con una sentenza destinata – come sempre accade per le delibere degli ermellini – a fare giurisprudenza.

Secondo i togati di piazza Cavour, infatti, l’arresto dell’immigrato cingalese in questione era giustificato soprattutto in considerazione dell’esistenza delle norme antiterrorismo introdotte nel 2015 dopo gli attentati a Parigi, quando è stata sancita d’urgenza l’obbligatorietà dell’arresto per chi produca o venga trovato comunque in possesso di documenti falsi.

Dunque, la semplice denuncia o segnalazione a piede libero non è più sufficiente: per chi sbarca, deambula o viene comunque intercettato con falsi documenti d’identità è previsto l’arresto.

E al di là di ogni ragionevole dubbio la suprema Corte ha stabilito che gli immigrati sorpresi in possesso di documenti falsi andranno arrestati: sempre e comunque, anche qualora successivi controlli dovessero dimostrare che si tratta di migranti economici non legati ad ambienti terroristici o segnalati in particolari liste nere.

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