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Vi presentiamo la magistrale recensione al nuovo libro di Vincenzo Segreti “Michelangelo Buonarroti e Galeazzo di Tarsia nel Rinascimento “, edito dalla Casa editrice The Writer, MI, 2013 presentato presso l’Hotel Mediterraneo di Amantea.

“ Presentare stasera il libro di Vincenzo Segreti, Michelangelo Buonarroti e Galeazzo di Tarsia, ultima sua fatica letteraria, è per me motivo di orgoglio e di compiacimento verso una persona colla quale, quasi quotidianamente, si è andata consolidando, per comuni interessi culturali, un’antica amicizia sorta sui banchi di scuola, quando lui maestro ed io allievo iniziammo, coadiuvati in questo da altri carissimi amici di eguale sensibilità, un percorso fatto di letture e di riflessioni condivise, sui più svariati temi affrontati. Posso dire che di grandissimo significato è stato l’aiuto che ne ho tratto da questa frequentazione non solo per la mia formazione quanto per la mia sicurezza nel gestire per esempio, testi storico-letterari che presentavano una certa difficoltà nel decrittarli dal punto di vista filogico-linguistico, soprattutto sul versante delle lingue classiche di cui Vincenzo è da considerarsi insuperato esegeta. Ha fatto poi da sponsor al mio primo timido debutto di storico “in erba” fino ad accompagnarmi in lavori più strutturati ed organici. Ed è anche per questo, motivo d’orgoglio, come dicevo, sottolineare quanta partecipazione intendo attestargli davanti a questa sua nuova opera che vede come protagonisti due figure assai complesse nel panorama letterario del Rinascimento italiano pur con le molte differenze che i due si portano dietro.

Ma a spiegare tutto questo ci penseranno, dopo di me, gli amici Vincenzo Napolillo e Gaetano Marchese, i quali, con le loro affilate analisi, ci diranno dei due e dell’autore. Io in verità ho visto crescere il libro, ne ho seguito in qualche modo la gestazione e qualche volta sono stato anche interlocutore dell’autore che, piegato, per così dire, sui testi da interpretare, veniva poi preparando le tessere del suo mosaico, sempre più pieno di chiose e di interpolazioni.

A me non resta che fare una breve sintesi delle origini del libro in esame e della sua stesura, materialmente affidata alla valentìa, nel campo della scrittura informatica e digitale, di Franco Veltri che alla fine ha fatto il prodotto.

La cosa nella mente di Segreti era nata dalla preparazione di un breve saggio su Michelangelo, sollecitato in questo da alcuni amici cosentini quando nell’ottobre del 2012 furono indette giornate michelangiolesche a Cosenza. In una nota di cronaca giornalistica locale l’evento veniva così salutato: “Un grande successo, quello di oggi, di eloquenza e bellezza. Michelangelo, dunque, è servito da meravigliosa liaison per raccontare la storia e l’identità di un popolo, di una città, di un sentire. Cosenza come teatro di un Rinascimento che è spesso sconosciuto ai più, con la sua storica Accademia, con uomini che sono ricordati in un epitaffio eterno tra i grandi di ogni tempo, da Aulo Parrasio a Bernardino Telesio, dal vescovo Martirano che partecipò al Concilio di Trento all’astronomo Giovan Battista Amici, da Lucrezia della Valle a Sertorio Quattromani in un abbraccio incommensurabile tra le arti, letteratura, scienza, poesia e naturalmente bellezza. Michelangelo avvalora quindi l’importanza di Cosenza come la piccola Atene che può annoverare un patrimonio intellettuale, artistico e architettonico di strepitosa forza concettuale.” [Redazione - 30 ottobre 2012 (www.cittametropolitana.it)]. Poi era seguita la lectio magistralis del critico d’arte e scrittore Gianfranco Labrosciano.

Poiché come si dice, da cosa nasce cosa, la ricerca fu ampliata e quando Segreti cominciò ad appassionarsi sempre più alla questione, scoprì che alcune poesie d’amore di Michelangelo per la poetessa Vittoria Colonna facevano il paio per la stessa poetessa con quelle scritte da Galeazzo di Tarsia, barone belmontese del Regno di Napoli. A quel punto la ricerca prese la direzione di qualcosa che avesse un maggiore respiro e una più vasta prospettiva di ricerca e di indagine.

Ecco, il libro è tutto qui, con due sezioni: la prima contenente la storia della personalità, dell’arte e della poesia di Michelangelo nel contesto del Rinascimento italiano, la seconda quella del belmontese nel contesto della Calabria del cinquecento.

I due personaggi sono analizzati fin nelle loro più intime fibre; dalle loro opere di pittore, scultore ma soprattutto di poeta, per Michelangelo, di poeta per il di Tarsia, prorompe una realtà umana di grande forza. Non per stabilire un facile schematismo ma, giusto per fissare due destini, ci troviamo di fronte come ad un diorama che li abbraccia in un unico sguardo: da una parte l’umore mercuriale dell’uomo, per dirla con un noto critico letterario, e la poesia intesa come via verso una salvezza ultraterrena del toscano, dall’altra il “furor eroticus” del calabrese, con la sua doppia personalità di delicato poeta d’amore, ma feudatario tirannico e banditesco.

Si tratta di un lavoro di grande impegno critico-filologico, fitto di note e di acute notazioni critiche che spaziano anche nel campo della storia dell’arte e della filosofia, sorretto poi da una scrittura di linearità e scorrevolezza, oserei dire, classiche. Anche un apparato iconografico che inframmezza il testo, risulta puntuale e attentamente adeguato.

Questo libro, che si colloca nella ricca bibliografia dell’autore, tra i più penetranti per correttezza formale ed esegesi critica per quanto riguarda opere di poesia come quelle prese in esame, giunge buon ultimo ad arricchire una già folta messe di studi su autori che, solitamente vengono trascurati, cioè poco studiati, specie nei programmi scolastici dei licei e fors’anche delle università.

Gennaio 2014 Roberto Musì

Pubblicato in Primo Piano

Ecco l’ultima fatica di Vincenzo Segreti , il prolifico autore amanteano.

La presentazione avverrà in Amantea nella sala conferenze del Mediterraneo Palace Hotel

Giorno 1 febbraio ore 17.00

Si inizia con i saluti del sindaco di Amantea Michele Vadacchino

La introduzione è affidata a Sergio Ruggiero Presidente de “Lo Scaffale”

Partecipano:

Roberto Musì

Vincenzo Napolillo

Francesco Veltri

Gaetano Marchese

Conclude l’autore Vincenzo Segreti

Le letture poetiche e musica a cura del maestro Aldo Pietramala

Pubblicato in Politica

IL CODICE MINIATO DELLA “SYNOPSIS HISTORIARUM” DI JOANNES SCYLITZES, RISCOPERTO SUL WEB

di Vincenzo Segreti

La Synopsis Historiarumdello storico bizantino Joannes Scylitzes (o Skylitzes o Scylitze), “Küropalàtёs” e “Drüngàrios” (maestro di palazzo e gran capo della guardia alla corte di Bisanzio), recentemente rinvenuta sul Web (www.bne.es) dall’amanteano Giuseppe Sconza Testa, cultore di memorie patrie ed esperto internauta, con le sue 574 splendide miniature che illustrano il testo, riapre, per alcuni aspetti, il discorso sulle dominazioni bizantina e saracena della Sicilia, della Calabria e particolarmente sulla città di Amantea.

Sin dall’epoca dei normanni, subentrati ai bizantini dopo la resa di Bari (1071), il codice, redatto in Sicilia nel difficile greco medioevale, era fra i manoscritti del convento basiliano di S. Salvatore di Messina, dove nella seconda metà del 1400 fu visionato e apprezzato dall’umanista e grecista Costantino Lascaris di Bisanzio. Il pregevole compendio miniato fu trasferito dal vicerè spagnolo Francesco Paceco della famiglia degli Uzeda, durante il decennio del suo governo (1687 – 1697), probabilmente da Palermo a Madrid, dove è custodito presso la “Biblioteca Nacional de España”. Altri manoscritti della Synopsis sono : la versione latina del gesuita Giovan Battista Gabio (Venezia 1570), finora non rintracciata, e il Codice greco 86, catalogato nel fondo “ Cristina di Svevia” presso la Biblioteca Vaticana.

Molti secoli sono trascorsi da quando il “Curopalate” scrisse, rivelandosi attendibile cronista, l’istoriata epitome ( per alcuni studiosi esisterebbe anche una seconda edizione aggiornata, finora introvabile), prima che venisse recentemente decodificata e tradotta da esperti filologi in spagnolo, francese, tedesco e inglese con articolate introduzioni. Per converso, stranamente non esistono la versione e l’esegesi in italiano. Considerata l’unica cronaca greca superstite, essa con le sue illustrazioni è una preziosa fonte perché descrive ogni aspetto della vita bizantina, compresi la letteratura, la nautica, le cerimonie, gli assedi, gli usi e i costumi.

In verità la Synopsis Historiarum non aggiunge novità dal punto di vista esclusivamente storico sull’impero bizantino, né sulla dominazione calabrese, che si alternò con una serie di conquiste e riconquiste con quella musulmana, presente nella regione con gli emirati di Amantea e Tropea sul Tirreno, di Santa Severina sullo Ionio.

Una vasta storiografia dal Chronicon Anonimi Salernitani alla Chronaca di Andrea Prete, dalla Storia di Erchemperto alla Storia dei Musulmani in Sicilia di Michele Amari fino alle moderne opere di illustri storici italiani ed esteri ha ampiamente svolto e documentato l’argomento, pur nella approssimazione delle date degli eventi.

Fra le città, citate dalla Synopsis, giova soffermarsi su Amantea (“Amantìa”) come esempio eloquente di quella sanguinosa temperie, che vide l’avvicendarsi delle dominazioni bizantina ed araba, e lasciò un’indelebile traccia nel dialetto, nella cultura, nell’arte, nell’economia e nel costume delle popolazioni del Mezzogiorno.

Studiosi antichi e moderni sostengono che Amantea ebbe tale denominazione, dopo che Narsete, scacciati i goti, aveva instaurato la dominazione bizantina nel Meridione. Così furono eliminati i precedenti toponimi di Clampetia e di Nepetia, attinenti alle civiltà magnogreca e romana.

I bizantini trasformarono la città tirrenica in una potente roccaforte (“Kàstron”) che, secondo il memorialista amanteano Giuseppe D’Amato (Amantea, 1830 – Ivi, 1725 ) , sarebbe stata sede di esarcato e di condottieri come lo “Stratìgos” Eustachio.

D’allora iniziarono i conflitti fra i greci d’Oriente e gli arabi nel Sud Italia. Nell’846, pur essendo difesa da un presidio militare bizantino, Amantea fu espugnata dai saraceni, condotti da Al’ Abbas Ibn Al Fadl, che la devastarono con stragi efferate, costringendo gli abitanti a rifugiarsi sulle colline circostanti, dove sorsero le borgate (S. Procopio, S. Elia, S. Sospirato, S. Basilio, S. Pietro, S. Barbara, S. Maria, S. Angelo, S. Giorgio), che ancora oggi portano i nomi di quei santi bizantini. Questa pagina di storia è cantata nel poemetto Gli Amanteoti dal poeta romantico Pasquale Furgiuele (Amantea, 1630 – Ivi,1856). Al di là di ogni reale riferimento storico, la leggendaria figura del vescovo Irnerio, che, nel tentativo di convincere Tamiri, l’altrettanto fantomatico condottiero dei saraceni, a liberare la martoriata città, viene catturato e condannato a morte. Il coraggioso esempio del presule incita alla riscossa gli abitanti, che mettono in fuga il nemico, salvando il generoso pastore di anime. Nell’esaltare con alata fantasia la fede cristiana, l’amor di patria e le vittoriose gesta degli amanteani contro il feroce invasore, il poeta indirettamente incita i concittadini del suo tempo a partecipare ai moti risorgimentali contro i Borbone con lo stesso ardimento degli antenati. L’autore si era ispirato all’azione scenica in 5 atti I Saraceni in Calabria ( Napoli, 1835) del giureconsulto e letterato Francesco Antonio Meliarca (Amantea, 1781-Campana, 1847). Questo dramma di scarso valore artistico con la sua trama complicata evidenzia l’eroismo dei calabresi e degli amanteani, ma soprattutto la barbarie dei musulmani non in nome della libertà,bensì dell’ordine costituito (Impero e Chiesa), adombrando, a differenza del Furgiuele, le simpatie del drammaturgo per la causa borbonica.

Gli arabi denominarono Amantea “Al Manthiah” che divenne emirato e sede delle loro scorrerie, contemporaneamente a Tropea e a Santa Severina. L’emiro Cincimo o Concicimo nell’868 tentò di ampliare il suo possedimento con l’occupazione di Cosenza, ma venne sconfitto e costretto a riparare con i suoi uomini nelle mura di Amantea dalle milizie cristiane di Ludovico II, al comando di Ottone di Bergamo.

Nell’885-86, falliti gli assalti dello stratega Stefano Messenzio, avvenne la riconquista della città tirrenica ad opera del generale Niceforo Foca, inviato da Basilio II in sostituzione del precedente condottiero. Sul valente comandante Scylitzes, a proposito di quelle vicende militari, così si esprime: “Dapprima costrinse il nemico alla battaglia, poi conquistò le città di Amantea, Tropea e Santa Severina. Inoltre sconfisse i suoi peggiori nemici in tanti altri combattimenti e duelli (traduzione dal greco di Vincenzo Segreti)”. Così si svolgevano le operazioni militari di quell’epoca . È il periodo in cui i bizantini elevarono la città a diocesi di rito greco, riordinarono l’amministrazione e l’assetto difensivo del ”Kàstron”.

Nel 970 seguì un’ulteriore occupazione musulmana che ancora una volta seminò morte e distruzione in tutta la Calabria. Nel 1025 Oreste l’Eunuco liberò temporaneamente Amantea, ma solo nel 1032 il protospatario Michele scacciò definitivamente i saraceni dalla città.

La dominazione bizantina è nota per avere innovato l’amministrazione, trasmesso la lingua greca e nuovi canoni nell’arte e nell’architettura, fatto conoscere il diritto giustinianeo, consolidata la religione cristiana, ma anche per avere indotto il fenomeno del “bizantinismo”, quelle sottigliezze capziose ed ipocrite nell’argomentare e nel discutere, che a volte complicano inutilmente i problemi, riscontrabili nel carattere dei calabresi. In Amantea, a parte alcune supposte emergenze architettoniche di laure e di qualche edificio sacro, il suo influsso si avverte nella toponomastica (Catocastro, Catalimiti, Paraporto, Coreca, Cannavina, Camoli, Isca, etc…) e nel vernacolo (“petrusinu”, il prezzemolo; “curina”, la parte più alta della pianta; “tuma”, un formaggio tipico; “culluri”, l’impasto di farina fritta con zucchero; “catuoio”, il sotterraneo; “càntaru”, il vaso da notte, etc…).

In Amantea per mezzo secolo circa, durante la permanenza degli arabi, fu diffusa la religione di Maometto, la lingua e la cultura arabe e, specialmente, nuove tecniche nell’agricoltura e nella pesca. Questi vocaboli ancora si ritrovano con i nomi d’origine nei citati settori produttivi (“cafisu”, contenitore di terracotta; “tumminu”, il tomolo; zibibbo, uva bianca; “minaita, sciabica, tartana” , tipi di barca e di reti, etc…) e nel dialetto (“taliari”, spiare; “assammarari”, immergere i panni sporchi nell’acqua; “tamarru”, villano; “sciruppu”, sciroppo; etc…).

***

Il codice miniato della Synopsis Historiarum di Joannes Scylitzes, di cui non si conosce il nome dell’alluminatore ( gli studiosi escludono che sia l’autore del manoscritto), sotto l’aspetto figurativo per la vivace policromia, il fresco realismo delle raffigurazioni appartiene alla scuola tardo-bizantina delle miniature , che rinasce e riprende vigore, dopo l’iconoclastia dei secoli VIII e IX. Era una scelta culturale in controtendenza dal momento che Roberto il Guiscardo ed i suoi successori istituirono una monarchia oscurantista e liberticida , che sosteneva la supremazia della Chiesa di Roma, affamava il popolo, incentivava il feudalesimo in danno dell’autonomia delle città demaniali e a vantaggio della nobiltà normanna.

Come dimostra l’iconografia del vittorioso assedio di Niceforo Foca all’emirato arabo di Amantea, l’episodio acquista una rilevanza notevole per le immagini militaresche fino allora quasi assenti dai codici. Le miniature a colori testimoniano la perizia compositiva degli alluminatori del tempo, che i normanni, i nuovi conquistatori del Mezzogiorno, molto opportunamente accolsero e favorirono, trasferendo ai posteri questa pregevole eredità storico-artistica.

Prendendo come esempio la miniatura della riconquista bizantina di Amantea, essa per la potente sintesi descrittiva è utile allo studioso di storia militare perché vi appare la debole struttura difensiva degli assediati (i saraceni sono del tutto inermi), l’efficiente strategia e l’impetuoso assalto dei bene armati bizantini, sostenuti da una guarnita retroguardia, pronta ad intervenire. Il miniaturista coglie anche impietosamente la rassegnazione dei musulmani che in un angolo del presidio si arrendono in una caotica ammucchiata di corpi, esponendosi al massacro dei vincitori, i quali successivamente rispediscono i superstiti alle terre d’origine.

         Le decorazioni di altre tematiche, presenti nel manoscritto, rispecchiano con altrettanta originalità l’impronta stilistica dell’autore che illustra con suggestiva e sintetica efficacia la cultura e le molteplici attività della sua gente.

Lo storico dell’arte non tanto si rende conto dell’architettura militare dell’epoca, appena accennata, quanto dell’estrema essenzialità dello stile, della realistica immediatezza espressiva della battaglia, dei brillanti colori; tutti elementi fondamentali per l’evoluzione della miniatura nell’area mediterranea in direzione dei soggetti profani, che il nostro alluminatore pone in anticipo all’attenzione dello studioso.

D'altronde è noto che in Calabria come in altre regioni del Meridione, prima della Synopsis esistevano soprattutto codici miniati a carattere sacro. Fra essi spicca lo stupendo “Codex Purpureus Rossanensis” (VI- VII sec.), oggi nella Cattedrale di Rossano. È uno dei più antichi evangelari greci, che con stile semplice ed attenuato cromatismo ( il colore prevalente è il viola), rappresenta nelle scene cristologiche “l’asciuttezza trascendente delle figure sacre” in perfetta antitesi con il codice della Synopsis .

Tutte le altre raffigurazioni del manoscritto miniato in oggetto confermano queste nostre annotazioni.

Concludendo, è utile soffermarsi brevemente anche sulla miniatura, riguardante l’assalto degli arabi alla roccaforte bizantina di Siracusa (878 ), che è simile a quella di Amantea per la tecnica compositiva, ma diversa nel contenuto per l’inversione dei ruoli. Questa volta a difendersi sono i greci d’Oriente che, inferiori di numero, furono travolti dagli assalitori (i saraceni), riconoscibili per lo scudo circolare e il capo privo di elmo. Rispetto all’eccidio amanteano dei musulmani in questo quadro è ancora più evidenziata la carneficina crudele dei bizantini, i cui corpi mutilati precipitano giù da una torre. Pertanto si legittima l’ipotesi che l’autore parteggiasse per le milizie di Costantinopoli. L’episodio, raccontato da un testimone oculare, il monaco basiliano Teodosio, è stato ripreso da Scylitzes nella sua opera senza quella dovizia di particolari, che invece sono presenti nella iconografia.

***

Recentemente in una seduta de “Lo Scaffale” (il cenacolo amanteano, composto di un ristretto gruppo di intellettuali che si propone di diffondere la cultura locale) gli studiosi Sergio Ruggiero, Roberto Musì, Gregorio Carratelli, Giuseppe Marchese, Enrico Giardina e l’autore di questo articolo hanno analizzato alcuni aspetti della Synopsis Historiarum sulla base di copie in alta definizione di frammenti, forniti dal solerte ricercatore Giuseppe Sconza Testa.

Al termine di un interessante dibattito si è deciso all’unanimità di venire in possesso dell’intero codice miniato, affiancato da una delle traduzioni esistenti. È un acquisto indispensabile per eseguire la versione italiana del manoscritto, nell’attesa che esperti filologi la realizzino direttamente dal greco.

Inoltre si è avvertita la necessità di promuovere con il concorso di storici e critici d’arte affermati, evitando deleterie improvvisazioni, di allestire una mostra convegno sulla Synopsis. In tal modo “Lo Scaffale” realizzerebbe l’idea di far conoscere agli studenti delle scuole calabresi e ad un vasto pubblico una pagina di storia e di arte, nota solo agli storici specialisti del settore arabo-bizantino.


BIBLIOGRAFIA

  1. P. Furgiuele, Poesie Postume, Napoli, 1881.
  2. M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia,Firenze 1854 – 72, voll. 3.
  3. G.B. Moscati, Cronaca dei Musulmani in Calabria, San Lucido, 1902.
  4. G. Gay, L’Italia Meridionale e l’Impero Bizantino in Calabria dall’avvento di Basilio I alla resa di Bari ai normanni (867 – 1071) Firenze, 1917.
  5. F. Brunello, De Arte alluminandi e altri trattati sulla tecnica della miniatura medioevale, Vicenza, 1975.
  6. R. Mele, I Musulmani della Calabria , Cosenza, 1979.
  7. A. Guillon, F.Burgarella, V. von Falkenhausen, U. Rizzitano, V. Fiorani Piacentini, S. Tramontana, Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino, 1983.
  8. G, C, Argan, Storia dell’arte italiana, Firenze, 1983, vol. I.
  9. J.J. Norwich, I Normanni nel Sud, Milano, 1988, voll. I-II.
  10. V. Segreti, Pagine di storia amanteana. Dall’origine della città alla dominazione normanna in “Calabria Letteraria”, a. XXXVII, aprile, maggio, giugno 1989, pp. 62-64.

C’era un tempo in cui Amantea era sicuramente se non la culla, una delle culle, della cultura sull’irraggiungibile tirreno cosentino. Era il tempo dei premi letterari “ Città di Amantea”, delle prime estemporanee di pittura, dei circoli culturali che proponevano perfino il teatro, dell’Arena Sicoli e della sua intensa rassegna del cinema estiva che mostrava il senso ed il valore nella nostra mediterraneità , il tempo dei salotti buoni nei quali la cultura veniva almeno conservata.

Era il tempo in cui la biblioteca di Amantea non solo esisteva ma veniva perfino frequentata a differenza di oggi che è sbrindellata, dilaniata e scomparsa.

Poi il declino. E’ questa l’ immagine della cultura che emerge da una prima lettura attuale.

Ma si avvertono i prodromi di una rinascita

Ci prova “Lo Scaffale” che è partito da poco e che sta provando semplicemente a riscoprire e riaggregare chi ama la cultura.

E lo fa aprendosi a nuovi amici che possono integrane le visioni interne agli obiettivi che man mano stanno emergendo al suo interno.

Auspice una serata di agosto ed il giardino di Gregorio Carratelli ecco la giornalista Adele Sammarro, felice new entry del laboratorio culturale voluto da Sergio Ruggiero in memoria del fratello Massimo.

Ma chi è Adele Sammarro?.

Ci sono almeno tre risposte.

La prima vera ma fredda fatta di tratti biografici:

“Docente di lettere in servizio presso scuole superiori di Paola ma residente a Castrolibero, laureata presso l'università della Calabria in lettere classiche.

Vincitrice di varie borse di studio , di cui una conferita per la migliore tesi di laurea. Attualmente ricopre la carica di dirigente sindacale Anief e dirigente regionale Confedir per l'Università, la Ricerca e l'Istruzione.

Esperta nella formazione professionale. Con esperienze consolidate nel campo della normativa e della legislazione scolastica. Lavora, altresì, come corrispondente presso L'Ora della Calabria, ha scritto varie recensioni letterarie. Autrice di un saggio storico dal titolo "Storia di Macchia albanese". Carattere estroverso e sensibile con ottime capacità comunicative, nutre particolare attenzione per i fatti che riguardano la cultura in generale”

La seconda fatta di percezione: Adele è una “donna” colta dalla intelligenza pronta e comunicativa . A tanto aggiunge una forte ed indomabile sensibilità pienamente femminile al cui interno ella muove sia nel lavoro, che nelle passioni, che nelle relazioni umane . Caratteristiche arricchite da una personalità ricca, aperta e sincera, gioiosa.

La terza esprimibile da due aggettivi “ affascinante e solare”.

Tre risposte tutte vere. Poi occorre conoscerla. Solo allora, ognuno, a seconda della personale sensibilità, può accettarne una o più di quelle espresse o farsene un’altra.

Certo è che Adele Sammarro non passa inosservata. Non lo è stata certamente nell’incontro di conoscenza di ieri l’altro!

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