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IL BENE COMUNE

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girotondo-bambiniDopo aver passato il tempo ad andare, viaggiare, pianificare, a cercare posti con più possibilità, più lavoro, più locali, più persone, più rumore. Salvo poi accorgermi che, quando davvero abbiamo bisogno di sentirci a casa, è il ritorno l’unico gesto che siamo in grado di compiere. Una riflessione che mette assieme la voce di Cesare Pavese e di noi mortali. 

Mentre riflettevo sul senso della mia nuova esistenza in Calabria, mi è capitato in mano il testo “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar che ho riletto con vero piacere.

“Le memorie di Adriano” è una profonda meditazione in prima persona sul tempo, sulla morte, sul potere, sul divino; ma nel contempo è anche un libro di memorie, e un romanzo storico: in questo sta il suo carattere innovativo. La scrittura mescola narrazione e riflessione filosofica, ed esclude discorsi diretti e impressioni immediate.

“Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo”, è la confessione dalla quale traspare un potente desiderio di ricercare un accordo tra la felicità e il metodo, tra l’intelligenza e la volontà, facendosi ad un tempo carico dei problemi di tutti gli uomini.

Penso sinceramente che chi amministra la Cosa pubblica si debba a suo modo sentire responsabile, come l’imperatore Adriano, della bellezza, la felicità dei concittadini e la giustizia sociale.

Ma questo pensiero si è addirittura tramutato in una spina dolorosa, continua, nella ricerca di un nesso tra quanto stava capitando, in particolar modo nel nostro territorio sull'impossibilità di definire la qualità e tutto quanto sapete benissimo perché l’avrete letto sui giornali, un nesso dicevo tra l’attuale situazione di chi amministra il Bene Pubblico e alcuni concetti di fondo come il bello, il vero, il giusto.

Concetti che mi sono venuti ripetutamente alla mente perché nelle mie diatribe quotidiane di questi ultimi tempi con i cittadini di questo paese che mi ha visto nascere mi è sempre stato rinfacciato di inseguire concetti indefinibili che mi avrebbero impedito una corretta pratica e moderna gestione della nostra terra e così – poiché non mi arrendo tanto facilmente – ho pensato che fosse venuto il momento di socializzare questo mio pensiero, vista l’impossibilità di farlo dove invece si dovrebbe fare, e dove invece si preferisce usare sempre più spesso il potere contro la verità.

Così come dovrebbe far riflettere che ci siano alcuni “maitre a penser” in questa nostra cittadina che hanno grandi responsabilità nell’operare per il Bene Pubblico, con grande serenità e lucidità fanno addirittura delle separazione, della scissione del vero dal giusto e dal bello la loro bandiera cultural/professionale. Si arriva così a sostenere che ogni forma di programmazione è pura fiction, pura sostituzione della realtà con una sua protesi artificiale allo scopo di procurare emozioni a chi non è più in grado di provarne nella vita di ogni giorno.

Per la verità non si tratterebbe di una sostituzione grave se il concetto di "bello" ed in generale le categorie dell'estetica avessero conservato ancora una loro intima relazione con il concetto di verità e di giustizia. In questo caso ci troveremmo dinnanzi ad una accentuazione diversa, ad una graduazione mutata di elementi all'interno della stessa scala di valori. In realtà è venuta meno, sembrerebbe irrimediabilmente, la stessa solidarietà che in tutto il pensiero classico e in molta parte del pensiero moderno ha caratterizzato il rapporto tra il vero, il bello, il giusto.

L'allargamento del ruolo della comunicazione e della informazione a principale fattore di ordinamento della convivenza umana ha fatto sì che, con il declino delle grandi agenzie di senso ( siano esse religiose o ideologiche) le preoccupazioni della società occidentale venissero espresse non più in termini etici ( il giusto ) ma in termini estetici ( il bello).

Trasferito in campo amministrativo, potremmo dire che al concetto di utilità si sostituisce quello di gradimento; al concetto di bene, quello di partecipazione. L'utilizzo massiccio delle procedure di consenso (ovvero tutta la comunicazione più tutta l'informazione all'interno di sistemi chiusi e tendenzialmente monopolisti di controllo dei mass media), l'utilizzo massiccio dell'estetica e degli obiettivi sociali implica che gli uomini conoscano che cosa è l'uomo, a cosa serve, a cosa

tende.

Ogni essere umano sa che il bello che produce non è solo un prodotto delle sua mani. Usando un esempio che atteneva al mio lavoro ,con i suoi meccanismi così simili a quelli del procedimento artistico (sintesi, taglio, montaggio, compresenza di più livelli cronologici e semantici, pluralità dei punti di vista) potrebbe essere un grande fattore di educazione al bello…ma il fatto che invece si avvicini sempre più spesso alla parola TV l’aggettivo spazzatura dovrebbe farci riflettere.

La vera etica ( il giusto) nasce dalla ontologia (dalla verità e dalla sua conoscenza). Una estetica che non sia lo splendore del vero e del giusto è condannata ad una mortale contraddizione che tanto più stridente quanto più estremo è l'impiego che se ne fa: non bastano dirigere i violini per coprire gli orrori di Auschwitz, come non basta un bel manifesto elettorale per nascondere la falsità.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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