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‘’Coru ca vatti’’, ma non per tutti.

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Riceviamo e pubblichiamo:

“La seconda edizione del premio letterario cittadino ci riporta indietro nel tempo, in una dimensione certamente qualificata dal punto di vista non solo letterario ma anche politico e relazionale. Enzo Giacco, con un comunicato su FB, ci propone di manifestare qualche riflessione su questo spaccato di cultura cittadina.

 

Orbene, personalmente non entrerei mai nel merito della qualità o della gestione del Premio Letterario, ovviamente per manifesta incompetenza da parte mia.

Tuttavia se, come ammissibile che sia in una democrazia come la nostra, l’evento viene raggiunto da note critiche che sembrerebbero inspiegabili, almeno alle orecchie del turista o del cittadino comune, allora le possibili riflessioni devono andare oltre la soglia della considerazione contestuale per ‘’suonare’’ corde politiche e relazionali che comunque non possono essere tralasciate o ignorate. Ovvero dobbiamo interrogarci sul clima relazionale probabilmente non allineato alle esigenze territoriali che imporrebbero maggiore distensione e collaborazione tra le forze organizzative locali. Senza riferirci necessariamente alle polemiche specifiche possiamo fare alcune riflessioni di carattere generale perché la ‘’strategia della tensione comunicativa’’ investe ogni aspetto della nostra vita e non possiamo cadere in questa imboscata culturale che segna anche una deriva politica dalla quale uscire nel più breve tempo possibile.

A tal proposito parlero’ di ciò che conosco bene e cioè della Giuria del Premio, ovvero delle persone di Alfonso Lorelli e di Franco Besaldo, professori, amministratori della cosa pubblica, militanti politici passionali, animatori della comunità, evergreen che da sempre e ancora oggi contribuiscono alla crescita culturale di Amantea.

Metterò una foto a corredo di questo articolo. Sono trascorsi molti anni da quando il prof. Besaldo mi consegnò un attestato per un premio dedicato ai giovanissimi (avevo l’età di Giulio, mio figlio piccolo).

Cosa potesse significare quel pezzo di carta lo capii più tardi ovviamente.

Il Premio Letterario non è solo un evento, una ‘serata’ ma è innanzitutto un dono, che vale quanto un legame spirituale che si forma tra il territorio e la sua gente, tra chi vuole rafforzare l’identità culturale locale e chi vuole far battere i cuori oltre il presente. Un simbolo di quella meritocrazia che sta alla base di ogni democrazia matura. Parliamo di Francesco, il professore e in seguito DS, organizzatore a più riprese del Premio letterario, uno che di eventi e di gestione complessa se ne intende, sul campo. Una vita spesa a diffondere l’ideale del legame necessario tra le gente e un territorio penalizzato da vicende storiche schiaccianti e più grandi del valore del popolo stesso.

Besaldo, politico della DC, ed Alfonso, comunista e militante ‘inquieto’ in senso passionale, all’epoca della prima repubblica risultavano su schieramenti opposti, aspramente contrapposti da ideologie inconciliabili foriere di epici scontri sul piano culturale e politico. Dai comizi all’aula del Consiglio Comunale, alle contestazioni di piazza era una continua affermazione della propria identità politica opposta all’esistenza dell’altra parte.

Alfonso, che ha interpretato la coscienza critica della nostra città, comunicatore efficace proto FB, si è sempre speso oltre misura per evidenziare le criticità di un sistema che oggi spiega i suoi effetti anche con il dissesto finanziario. Al tempo ‘’voce che grida nel deserto’’, comunque utile e in quel contesto profetica.

Per inciso ci sta una considerazione a latere, per la fortuna che abbiamo avuto noi giovani, che andavamo a messa la domenica, sentivamo le prediche di Don Giulio e dopo, attraversando la ‘vasca’ consuetudinaria, incrociavamo Alfonso che distribuiva volantini informativi della situazione politica e amministrativa. Ogni volantino finiva con la scritta ‘ciclostilato in proprio’. Insomma oggi diremo un post di FB, con la differenza che si accendevano dibattiti sensati nell’agorà cittadina. Nessun leone da tastiera, solo dibattiti e polemiche ideologiche. Tra comizi e manifestazioni si cresceva e si imparava a conoscere e rispettare la diversità altrui.

Il contesto era quello di Don Camillo e Peppone, contrapposizione e rispetto, studio delle posizioni altrui e attacchi mirati alle ideologie che ognuno rappresentava con fermezza, con un credo responsabile perché basato sullo studio e sull’argomentazione di ogni affermazione.

La cornice era quindi il rispetto e la consapevolezza che nessuno sedeva dalla parte della ‘ragione’, o del ‘vinciamo noi’, o del ‘prima noi’, e che comunque ognuno era indispensabile nel ‘gioco delle parti’ che la politica del tempo richiedeva.

Comportamenti che segnavano punti cardinali giusti in un clima, come quello della ‘Notte della Repubblica’, che non era certo tranquillo.

A maggior ragione, quindi, posizioni valoriali, comportamenti pubblici e politici da inquadrare come vere e proprie bussole culturali.

Due figure politiche che resteranno nella storia sociale del paese non per la naturale contrapposizione, che al tempo era giustificata e vitale per la nostra democrazia, ma per il rispetto e la sobrietà delle relazioni contrapposte politicamente ma composte sul piano sociale e relazionale.

Cattolici e comunisti, comunque democratici e rispettosi della Costituzione. Buoni maestri che all’epoca segnavano il confine emarginando coloro che incitavano all’odio e alla violenza politica. Oggi come allora argini culturali verso quei ‘’cattivi maestri’’, pochi ma abbastanza distruttivi, che spesso popolano il web seminando odio e divisione.

Valori preziosi per persone buone che hanno attraversato i marosi della politica distruttiva delle relazioni sociali, quella che ci vuole distratti, ignoranti, falsamente critici ma in verità divisivi, liquidi e soprattutto sufficientemente odiatori.

Valori e principi positivi che hanno portato gli stessi, Alfonso e Francesco, ad essere seduti oggi allo stesso tavolo e dalla stessa parte, non solo quella di una giuria, ma soprattutto quella della ragione comune, della pacifica convivenza, del rispetto, dell’altruismo, della cultura edificante, dell’amore per la polis amanteana. Ingredienti che possono trovare sintesi in questo Premio Letterario e negli altri che ci apprestiamo a partecipare come quello del Rotary Club amanteano. Fari di coesione sociale che non possiamo ignorare.

Non una semplice Giuria quindi, ma, insieme al prof. Politano che non conosco, uno scorcio complicato e fondamentalmente costruttivo della nostra storia sociale e politica.

Un premio che vale quanto la valorizzazione di un tessuto sociale spesso lacerato da false questioni che riflettono come uno specchio opaco, duraturo quanto il tempo di un lampo, e di cui non troveremo traccia nei libri della nostra storia sociale. Polemiche inconsistenti, come le parole che possono avere un certo peso o valere quanto una piuma se ingiuste e non congrue. Piume al vento o pietre dure? Toccherà a noi discernere, ma nel far questo, per cortesia, un minimo di conoscenza della storia politica e sociale del paese e di chi ha incarnato questa linea del tempo è doverosa.

Meritocrazia, premialità e coesione sociale sono valori vitali anche per l’economia e la finanza cittadina. Banale? Evidentemente no!!!

Ottima la scelta della composizione della giuria eterogenea e rappresentativa di valori culturali plurali da recuperare al più presto affinché i cuori continuino a battere orientati dalla volontà comune di generare benessere culturale e spirituale.

Per tutto il resto abbiamo l’anti politica e i discorsi emozionali, la contrapposizione a ogni costo e la brillantezza della sterilità che potrebbero dissolvere la positività dell’evento.

E’ un rischio vicino allo zero sia per lo spessore culturale dei promotori del Premio, sia per una volontà determinata dall’amore incondizionato per la polis.

Amore? E’ una parola complicata, non ne voglio abusare, non potrei, allora trascrivo alcune citazioni che porto con me da quella serata.

Francesco Besaldo la sera del 02 agosto esordisce dicendo: ‘’… Non sto bene in salute, è evidente che il mio stato di salute non è buono, ma nonostante ciò ho accettato di lavorare per la buona riuscita del Premio Letterario… è stato un lavoro molto duro, ma ne è valsa la pena…’’. Parole che richiamano alcuni principi, forse affievoliti nella società: la dedizione, la costanza, il richiamo al quale devi rispondere oltre la possibilità che la natura fisica ci impone nostro malgrado. Orizzonti perduti, da ritrovare, oltre il ‘’mi piace’’ che in realtà ci educa al disprezzo del ‘’non mi piace’’.

Alfonso, che non smette i panni del ‘visionario passionario’, auspica un potenziamento dell’evento ed un maggior coinvolgimento anche su scala nazionale, immaginando un ‘think’ culturale evolutivo per tutti. Un evento che possa rappresentare una rinascita culturale ed economica della nostra polis. Alfonso è fatto così, va sempre oltre, non si accontenta e ci sprona a guardare oltre l’orizzonte. Le sua ‘’ragion pratica’’ è sempre differita nel tempo, ma in verità rimane tale anche al momento, ma purtroppo non sul posto.

Ora, detto tutto ciò, mi chiedo come si possa tentare di sminuire il complesso valoriale dell’evento incarnato anche da questi ‘’proff. pensionati impenitenti,’’ (detto in senso ironico) che con poche e semplici parole, ma soprattutto con l’esempio, cercano di colmare incredibili vuoti culturali generati da una società nella quale molti di noi non hanno più molto da spartire, o condividere.

Quale proposta?

Basterebbe fare battere i cuori verso l’unica direzione possibile, la valorizzazione del territorio, delle persone, della ricca storia cittadina.

Una parola chiave su tutto: RETE.

Un principio sovrastante: COESIONE SOCIALE.

Rete che richiama comunità, senso di appartenenza, coesione sociale, identità locale, amore per la polis.

Quale senso dare allora al Premio Letterario?

Alfonso e Francesco , con tutta la decennale esperienza organizzativa a corredo del Premio, ci insegnano che fare rete è possibile al di là delle plurali posizioni ideologiche. Fare rete positivamente è una questione culturale e vitale per l’economia oltre che per la finanza cittadina, non una mera questione cultural-radical-chic ma una consistente problematica da sciogliere. Rete, relazione e rispetto, pluralismo e contrapposizione composta e regolare, ingredienti irrinunciabili per la coesione cittadina e la prosperità comunitaria.

Di contro possiamo scegliere di usare la parola RETE nella sua accezione negativa come trappola, faglia nella quale scivolare per un mondo più ingiusto e diviso, malpancista, liquido e sufficientemente odiatore e mistificatore al punto da non permettere un congruo discernimento: il male dei mali.

Proposte operative ne abbiamo?

Partirei da un ‘’Caffè letterario’’, un punto d’incontro e aggregazione nella forma associativa, dove far emergere le cose che uniscono e mettere al bando le questioni figlie della pancia e del mal di pancia (in senso metaforico).

Programmare, coordinare gli eventi, promuovere e gestire, fissare le priorità di sviluppo culturale ed economico, condividere obiettivi e metodi. Poche parole che però sembrerebbero aliene o estranee al modus operandi evidente e quindi criticabile.

In tutto ciò, un ruolo centrale dovrebbe essere interpretato dalla politica, dalla gestione amministrativa cui la stessa è chiamata.

Ma qui mi fermo perché, a questo punto, diventa davvero arduo continuare. Qui dove la nave dei valori dei singoli e delle buone idee non trova un approdo solido e lungimirante.

Con Stima e Affetto abbraccio tutti

Robertino Giardina

Redazione TirrenoNews

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