Riceviamo e pubblichiamo un acuta ed amara analisi di Robertino Giardina.
Ma siamo in grado di riflettere su quanto scrive Giardina noi che viviamo di selfie?
Comunque sia eccola:
“Da nord a sud, da Amantea a Vercelli, leggiamo notizie di una festività tutta popolare ridotta nei contenuti per motivazioni diverse.
Quale carnevale, quale priorità, quale amministrazione?
Mi riferisco ad Amantea leggendo di ‘’incompatibilità, conflitto, boicottaggio’’, se ne dovrebbero desumere presunte contrapposizioni tra il Comitato carnevale e l’amministrazione comunale.
Ma confrontando e pensando ad altro luogo viene fuori la prima riflessione e cioè che laddove un evento che nei secoli è stato organizzato dalla gente e per divertimento pre quaresimale è diventato a pieno titolo e a furor di popolo questione amministrativa e politica.
Come se dalla riuscita, ovvero dal ‘grado di divertimento’ del popolo (il popolo!) dipendessero le sorti o la qualità di una Giunta, di un Sindaco, di un Consiglio elettivo.
Potrei giungere a conclusione che siamo uniti nell’unico ideale neoborbonico resistente nei secoli, da nord a sud: pane, festa e forca!!!
Ma non lo voglio credere, lo penso ma non lo voglio credere!!!
Ci può stare la commistione tra funzione sociale del carnevale e qualità di un’amministrazione comunale?
Premetto che a certe latitudini non si ha la giusta percezione o conoscenza delle reali dinamiche, ma basta leggere le cronache locali amanteane per comprendere il senso di antiche e irrisolte questioni tutte ‘nostrane’, ma forse, non solo locali.
La prima perplessità è derivata dalla riflessione circa la questione finanziaria attuale data dalla dichiarazione di dissesto, ovvero ci si chiede se l’evento ‘carnevale’ o altri eventi di importanza ‘ludica o di intrattenimento pubblico’ possano diventare di primaria importanza visto che l’incidenza sulle casse comunali potrebbe assumere i caratteri dell’ordinarietà che non c’è.
Leggendo le cronache locali, i comunicati degli esponenti della politica amministrativa locale degli ultimi tempi, la gravità della situazione finanziaria appare evidente, eppure nel libero dibattito cittadino si continua a proseguire come se nulla fosse, come se ‘dissesto’ fosse sinonimo di ordinarietà, come se dalla riuscita dell’evento dipendessero le sorti delle casse comunali.
Nessuna priorità quindi?
Ad aggravare la situazione sociale intervengono dinamiche che assumono caratteri incredibili descritti nei termini sopra citati come se Amantea non avesse bisogno di coesione, unità, consapevolezza della partecipazione civica dal pagamento delle imposte alla richiesta della qualità nei servizi pubblici, visione di un futuro che ad oggi, seppur quaresimale nostro malgrado, potrà trovare uscite verso la luce solo attraverso un sentire comune e un agire condiviso.
Semplice strumentalizzazione partitica nel quadro di una campagna elettorale a tratti surreale, a tratti ‘fuori schema’ laddove la miscellanea di candidature e programmi rende difficile il discernimento basato su valori politici e partitici appartenenti al passato?
Magari fosse così, sarebbe persino giustificata una così forte contrapposizione, ricordando che da una sana tensione partitica, quella da prima repubblica per intenderci, emergevano molte cose positive per il territorio. I ‘vecchi’ politici avevano ben in mente che il profitto del politico si chiama consenso e che questo è generato da soddisfazione popolare.
Oggi sembrerebbe (scrivo sembrerebbe) che si lavori per bloccare, fermare, regredire.
In ‘modus est rebus’ ha ancora un significato nei rapporti politici e sociali.
Quindi una dinamica, quella attuale e territoriale che non produrrà nulla di buono se non si converge unitariamente e con la giusta coesione. Ebbene sì, perché amministrare un paese dissestato non è facile e fare di ogni occasione, anche quella più ludica, un motivo di ‘quaresima sociale prima che politica’ non è la via più breve.
Solo a titolo esemplificativo, dal carnevale alla chiusura della Scuola Media, al mare non sempre cristallino, alla vergogna decennale di un manto stradale specchio di una situazione finanziaria degradata è una gara a individuare colpe e demeriti, tra dibattiti surreali su FB, annunciate ‘illegalità’ ma poi irrisolte, come se la ‘caccia alle streghe’, lo ‘sgambetto mediatico partitico o fazioso’ fossero metodi per risollevare le sorti di una comunità, come se il profitto del politico ‘moderno’ fosse la notorietà personale sganciata dal merito di aver incanalato il consenso attraverso azioni attive di risanamento delle finanze e di pianificazione delle risorse territoriali verso obiettivi di prosperità e crescita. Contributo politico, profitto come capacità di additare il presunto nemico che non è, come dovrebbe essere, un avversario politico: un delirio!
Se questo è il ‘modus’ quale ‘rebus’, quale speranza per il futuro?
Spero possa essere utile da questa latitudine invocare l’uscita dallo schema dialettico partitico e fazioso in favore di un metodo costruttivo e sistematico che possa coinvolgere l’animo politico edificante di tutti perché non è in gioco il ‘carnevale’ ma le sorti della nostra polis, l’uscita dalla ‘quaresima’ di dissesto finanziario nella quale siamo immersi tutti fino al collo.
Così per Amantea, così per la Calabria affinchè non si abbia a pronunciare a sproposito o per vezzo personale la parola ‘orgoglio’ associandola all’attributo ‘calabrese’ laddove nella nostra terra l’unica soluzione possibile per le future generazioni sia l’emigrazione come sfogo per mancanze sociali e politiche attuali quanto antiche.
Affinchè non si possa celebrare l’emigrazione come ‘orgoglio’ non riuscendo a trovare l’ordinarietà, la normalità proprio nell’inversione della prospettiva socio politica attuale e futura.
Emigrazione come conseguenza diretta della scellerata mancanza di unità e coesione socio politica, come diretta soluzione per una conflittualità inutile e degradante quanto generatrice di ulteriore povertà per coloro che non godono di posizioni di forte rendita economica e finanziaria.
In verità, credo che in questo gioco perverso ci stiano tutti, anche le famiglie facoltose e ricche (in un passato recente erano anche le famiglie nobili) perché alla fine se il nostro motto è ‘Nobilis fidelissima regibus’ da questo ne discende un limite culturale potenzialmente distruttivo se non si diventa, ognuno di noi e per tutti, ‘’regibus della polis’’ che diciamo di amare.
Prof. Robertino GIARDINA