Per un algerino residente a Fontaviva quella donna sposata appena arrivati in Italia, che gli aveva dato due figli maschi, non era una brava moglie.
Motivo?
Lei non voleva firmare il contratto che la costringeva ad accettare in casa la seconda moglie di lui.
Nella cultura algerina questo è possibile, ma la vittima di quelle violenze, una 38enne, voleva vivere lontana dalle imposizioni religiose dell’Islam.
E allora erano botte, tanto che per due volte la donna è finita in ospedale e per cinque volte ha chiamato i carabinieri per calmare l’ira del marito, che in più di un’occasione le ha anche urinato addosso.
L’incubo è finito: Mohamed Abla, 54 anni di Fontaniva, è stato condannato a due anni e tre mesi di reclusione dal giudice Valentina Verduci, che gli ha anche imposto un risarcimento di 10mila euro e il pagamento delle spese legali.
Non saranno i soldi a rendere la moglie una donna libera: lei ha scelto di liberarsi dalla schiavitù quando ha deciso di denunciarlo ai carabinieri e di affidarsi al suo legale, Maria Forestelli, che con tenacia ha difeso la sua dignità.
Le violenze sulla pelle, quelle raccontate nel capo di imputazione, cominciano nel 2013, ma quelle dell’anima iniziano molto prima.
Nel 2012 la 38enne, già sposata con Mohamed e mamma di due bambini, viene spedita in Algeria: «Vai lì, che i bambini crescono meglio», le dice il marito.
Lei accetta. Come racconterà l’avvocato Forestelli in aula, ad Algeri la donna va a vivere dentro un garage dei parenti di lui: le passano 150 euro al mese.
Lei, che ha vissuto in Italia libera da costrizioni, vuole per sé e per i bimbi un futuro migliore. E poi mentre è in Algeria scopre che il marito, approfittando della sua assenza, aveva pagato una fideiussione di migliaia di euro a un’altra famiglia algerina per far spedire in Italia la loro figlia, che lui voleva sposare.
La favola che i figli crescono meglio in Algeria è quindi solo una scusa per portare a termine il suo piano. A quel punto, disubbidendo al marito, la moglie torna a Fontaniva.
Lui se la ritrova davanti e non è per niente contento: in casa c’è la giovane nuova moglie, sposata con un rito algerino e la prima consorte viene costretta a firmare un documento in cui deve accettare quel legame, perché questa è la regola nel suo Paese.
Ma lei non lo firma. E iniziano le umiliazioni, gli insulti, le botte, le corse all’ospedale di Cittadella con i lividi.
«Mohamed Abla era molto bravo a picchiarla in posti nascosti dagli abiti, in modo che la gente non vedesse», ha detto ieri il pm durante l’arringa, che ha chiesto due anni e tre mesi, poi concessi dal giudice.
L’accusa è maltrattamenti e lesioni aggravate dal legame familiare, ma in aula per mesi si è dibattuto di un uomo che ha usato la sua cultura per umiliare e annientare la madre dei suoi figli. Nulla di tutto questo prevede l’Islam.
A spiegare altri dettagli di questo inferno è ancora l’avvocato Forestelli: «Mohamed Abla faceva la spesa lasciando il cibo in macchina e chiudendo a chiave, in modo che lei non lo potesse prendere. Dava qualcosa ai bambini ma a lei niente, era costretta ad andare a elemosinare cibo da amici e vicini di casa».
Oggi la donna vive lontana da lui, sempre a Padova. Mohamed provvede ai bambini, che stanno con l’ormai ex moglie: gli è stato pignorato lo stipendio (lui ha un lavoro stabile) e quei pochi soldi servono alla 38enne per far crescere i figli.
Lui sta ancora con la nuova moglie, che era in aula a testimoniare in suo favore.
Fra tre mesi si conosceranno le motivazioni della sentenza. Ora la ex moglie sta cercando di ricostruirsi una vita.
DaIlcorrieredelVeneto