“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero.
Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss.”
Sono queste le parole che Enrico Berlinguer, quasi 40 anni fa, consegnò ad Eugenio Scalfari che lo intervistò per il giornale “La Repubblica”.
Prendo spunto da queste parole (tra l’altro proferite da un esponente politico di un’area diversa da quella a cui mi sono sempre riferito) – ma potrei citare anche i numerosissimi interventi di un altro Statista come Aldo Moro che ha fondato il suo impegno politico ricercando sempre la stretta correlazione tra esercizio del potere e il perseguimento di finalità ideali – per esprimere qualche sommessa considerazione sullo stato attuale della nostra politica.
Gli eventi giudiziari di questi mesi (ma a dire il vero, è un continuo che dura oramai dal 1992) che hanno investito finanche alcuni Presidenti di Regione (compreso quello della nostra Calabria) devono necessariamente porre una serie di interrogativi e riflessioni. Lungi da me esprimere sentenze e condanne verso i politici coinvolti nelle varie inchieste, queste spettano solo al potere giudiziario (la cui autonomia è garantita, per fortuna, dalla nostra Carta Costituzionale) e non al “potere del popolo” (quarto potere inventato dal populismo e dalla demagogia imperante di questi tempi che enormi danni sta arrecando all’Italia).
Una prima considerazione che mi sovviene è relativa alla seguente domanda: come possono convivere garantismo (il giustizialismo non è mai appartenuto al mio vocabolario) e opportunità politica delle decisioni rispetto ad alcune vicende giudiziarie (ma non solo) che coinvolgono le figure pubbliche, opportunità ricollegabile a quel senso di responsabilità istituzionale sempre e ovunque richiamato dai politici eletti nelle Istituzioni ai vari livelli, dal Comune al Governo nazionale? In tal senso aiuta la comparazione (al netto delle specificità delle diverse inchieste giudiziarie) tra la vicenda dell’Umbria e quella calabrese. In Umbria la Presidente del PD Catiuscia Marini si è dimessa dichiarando: "sono perbene, ho sempre rispettato le regole e la trasparenza, lascio per essere libera e per dimostrare la mia correttezza". Sicuramente un gesto di responsabilità istituzionale che le fa onore. In Calabria, invece, il Presidente Oliverio (per quanto mi riguarda innocente sino al terzo grado di giudizio) non si dimette seppur giunto oramai alla fase conclusiva del suo mandato. Due atteggiamenti diametralmente opposti, entrambi legittimi per carità, ma che possono avere ripercussioni politiche, e tra non molto anche elettorali, ben diverse. Personalmente, come è facile intuire, penso che il comportamento più rispondente a quell’alto senso di responsabilità istituzionale sia stato quello tenuto dal Presidente dell’Umbria che così facendo ha: a) offerto un messaggio ai cittadini/elettori umbri chiaro e cioè che il PD ha a cuore le sorti della Regione Umbria prima di ogni ambizione politica personale; b) sottratto la propria persona e il suo partito a strumentalizzazioni di sorta da parte di partiti avversi e di opposizione alla Regione Umbria (come sempre avviene in questi casi); c) dato l’idea che una carica pubblica così importante non può portare con se dubbi sull’integrità morale del proprio agire. Scusate per la mia impertinenza, forse Enrico Berlinguer direbbe della Marini oggi: “ha messo prima le sorti della propria Regione e non quelle proprie, dimostrando vera passione politica.”
Ritornando alla “convivenza” tra garantismo e opportunità politica, credo che il caso della Presidente Marini e la sua evoluzione cada a pennello, infatti entrambe le cose si integrano alla perfezione perché frutto dello spessore istituzionale e politico della persona che, credo, abbia posto, tra l’altro, una solida base su cui fondare il positivo superamento della vicenda giudiziaria che l’ha coinvolta e il conseguente e più forte suo ritorno sulla scena politica.
Esulando ora dalle vicende giudiziarie che hanno interessato i Presidenti di Umbria e Calabria, non vi è dubbio che le numerosissime inchieste giudiziarie che riguardano Amministratori pubblici locali e nazionali (inchieste che meritano massimo rispetto, senza distinzione del colore politico dei soggetti coinvolti, in virtù, ripeto, del dettato costituzionale che garantisce l’autonomia tra i diversi poteri dello Stato) gettano forti ombre sull’integrità morale di larghe fette della politica italiana, praticata a nord e a sud del paese. Diceva Berlinguer: “tutte le operazioni che le diversi Istituzioni politiche e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica.” E da qui un'altra considerazione riguardante il “partito moderno”, indubbiamente costruito sul “leaderismo”, sia esso rappresentato da Salvini, Di Maio, Berlusconi, Zingaretti o Meloni. Può il “partito moderno” (frutto soprattutto dell’abolizione della preferenza e dell’introduzione delle liste bloccate alle elezioni) contenere in se quegli anticorpi capaci di rendere la propria azione, trasparente, irreprensibilmente ispirata all’etica e finalizzata all’esclusivo interesse della collettività? No, non può per questa semplice ragione: in qualsiasi organismo dove non esiste effettivo pluralismo nella fase di formazione delle decisioni e dove mancano anche i meccanismi di controllo è alto il rischio di distorsione degli obiettivi dichiarati a vantaggio di operazioni finalizzate ad ottenere solo vantaggi personali o di bottega.
Insomma, non basta avere sparse, sulle pareti delle varie sezioni del PD, le foto di Enrico Berlinguer e poi far finta che la questione morale da lui sollevata oggi non esiste. Forse è solo un modo per farlo rivoltare nella tomba.
Qualcuno potrebbe domandarsi perché questo cenno diretto al PD? Perché ho in tasca la tessera di questo partito, solo per questo.
Amantea, 8 maggio 2019 Gianfranco Suriano