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Sono fogli d’accusa che documentano il denaro pubblico saccheggiato. Lettere non firmate, in cui si coglie la rabbia e lo sdegno di chi accusa. Succede a San Luca dove denunciano ma sempre in anonimato. Come fare diversamente? Sono forestali con il dente avvelenato che, dopo anni e anni di ingiustizie e soprusi, scrivono e svelano l’assenteismo dilagante all’Afor. Ed ora 26 dipendenti dell’Azienda forestale della Regione Calabria sono stati catapultati in un’indagine della Procura della Repubblica di Locri E devono fare i conti con una miriade di missive anonime in mano ai carabinieri di San Luca. Sono anni di soprusi ed ora le reazioni. Ora - raccontano gli inquirenti - gli operai Afor più che delle inchieste che rispolverano vecchi legami e un’antica nobiltà mafiosa, più che dei blitz dei magistrati sembrano angosciati dalle continue soffiate di anonimi scribi. Come cambia la società . Ora resta il «a megghiu parola è chilla chi un si dici», ma manine ignote recapitano denunce per informare gli “sbirri”.
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Il violento terremoto che all’alba del 28 Dicembre del 1908 distrusse le città di Messina e Reggio Calabria fu originato da un’improvvisa rottura della faglia dello stretto, nota anche come la faglia di “Messina-Giardini“, visto la sua estensione dal comprensorio ionico messinese fino alla punta di Capo Peloro. Tutta l’energia potenziale accumulata nel corso dei secoli dal movimento delle placche continentali si è rapidamente scaricata tutta in un colpo, producendo una violentissima scossa tellurica, con una magnitudo stimabile attorno i 7.1 – 7.2 Richter, che ha avuto un ampio risentimento in tutto il sud Italia. Lo scuotimento, stando alle cronache del tempo, raggiunse persino la costa albanese e l’isola di Malta, segno di un sisma ad altissimo potenziale energetico. Pochi istanti prima della scossa micidiale, lungo il tetto della faglia della faglia “Messina-Giardini”, si è verificato una sorta di grande “strappo” che in meno di 3 secondi attraversò la costa ionica messinese risalendo fino allo stretto e alle città di Reggio Calabria e Messina, dove si registrarono i massimi danneggiamenti, mentre sul reggino e sul messinese ionico i danni furono alquanto limitati. Durante il violento terremoto le coste della Sicilia e della Calabria, improvvisamente libere di muoversi, si allontanarono di colpo di circa 70 centimetri. Contemporaneamente , grazie a una ricerca condotta dall’istituto geografico militare italiano nel 1909, qualche mese dopo il disastro, si scopri che la costa calabrese sprofondò di 55 centimetri rispetto al livello del mare, mentre quella siciliana arrivò a meno 75 centimetri. Studi successivi evidenziarono come la notevole “Subsidenza”, ossia lo sprofondamento del suolo, sia interpretabile per mezzo di una faglia normale o (meno probabile) un sistema a doppia faglia che scorre parallelo all’asse dello stretto. Alcuni importanti sismologi ipotizzano per l’evento del 1908 un meccanismo di rottura secondo un sistema sismogenetico costituito da due faglie disposte in una struttura a “Graben” al di sotto dello stretto. In realtà fino ad oggi la questione che ritiene il sisma del 1908 come caratteristico dell’area dello stretto rimane ancora aperta. Molti studiosi rimangono ancora titubanti nell’applicare la teoria del terremoto caratteristico, con tempi medi di ritorno dell’ordine dei 1000 anni, visto la complessa struttura geologica e i numerosi segmenti di faglie presenti sia dentro che nelle aree adiacenti al sito. Nonostante queste incertezze numerosi studi confermerebbero con un certo margine di affidabilità l‘evento del 1908 come tipico per l‘area dello stretto, indicando per questi terremoti di alta magnitudo un periodo medio di ritorno che per nostra fortuna (secondo delle stime non definitive) è compreso tra i 600 e i 1000 anni. Per risalire ad un evento sismico paragonabile, per forza e per l’estensione della zona vulnerata, a quello del 1908, lungo l’area dello stretto di Messina, bisogna andare indietro di parecchi secoli. Stando ai dati raccolti sul campo e in letteratura l’ultimo evento tellurico catastrofico che ha colpito l’area dello stretto risalirebbe al IV secolo D.C., intorno all’anno 374. In quell’anno un violentissimo terremoto, seguito da uno sciame di grandi scosse piuttosto lungo, devastò le coste dello stretto, da Reggio a Messina, causando degli improvvisi spopolamenti in entrambi le rive, spesso indotti dai gravi danni di un fenomeno catastrofico che ha ridotto, in modo anche drastico, la popolazione. Inoltre recenti ricerche archeologiche avrebbero portato alla luce numerose lapidi ed epitaffi risalenti proprio a quel periodo. Tali reperti archeologici vanno a supportare la tesi del terremoto caratteristico dello stretto, visto che solo in quella data, negli ultimi 2000 anni, si sono verificati eventi sismici di elevata magnitudo che hanno provocato degli spopolamenti massicci fra Scilla e Cariddi. Diverso è il discorso per i terremoti di moderata o forte intensità, 5.0-5.5 Richter (oltre la soglia del danno), che hanno un periodo medio di ritorno molto più breve, che può variare dai 75 ai 120 anni circa. Molto più frequenti sono i sismi di moderata energia, ossia con una magnitudo inferiore ai 4.0-4.5 Richter, che solitamente possono verificarsi ogni 28-30 anni lungo l’area dello stretto. Anche se è vero che un sisma cosi catastrofico come quello del 1908 si potrà ripetere fra circa 500-1000 anni non si può escludere che al contempo, un terremoto meno forte di quello del 28 Dicembre 1908, ma al tempo stesso ben oltre la soglia del danno, tipo un 5.6-5.8 Richter, potrà investire lo stretto di Messina entro i prossimi 50 o 100 anni, causando non pochi danni a cose e persone. Proprio per questo ci auguriamo che l’attenzione (anche mediatica) in merito al rischio sismico rimanga molto alta. Per favorire ciò servirebbero ulteriori passi in avanti nella prevenzione e un coinvolgendo deciso di gran parte della popolazione esposta che per il momento sembra ignorare il rischio (il cosiddetto fatalismo all‘italiana). Solo con la prevenzione (basta dare un’occhiata al Giappone, in California o anche a Taiwan) si potrà evitare un domani di dover nuovamente assistere a scenari disastrosi che hanno caratterizzato la storia del nostro passato.
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“Showdown 2”: i particolari dell’operazione . Erano le prime ore dell'alba quando il Nucleo Operativo della Compagnia dei Carabinieri di Soverato, in sinergia col Nucleo investigativo di Catanzaro e i Cacciatori del Goc di Vibo Valentia, ha notificato 15 ordinanze di custodia cautelare (di cui una ad una persona che è ancora irreperibile) nell'ambito dell'operazione "Showdown 2" continuando così il percorso iniziato lo scorso dicembre che già aveva portato all'arresto di elementi di spicco della locale di 'ndrangheta "Sia-Tripodi-Procopio" operante nel comprensorio soveratese. I dettagli dell'operazione, sono stati illustrati stamane nella conferenza-stampa (foto 1) tenutasi presso il Comando Provinciale Carabinieri di Catanzaro, che ha visto la presenza del Procuratore aggiunto della Dda, dott. Giuseppe Borrelli, del Procuratore capo, dott. Vincenzo Lombardo, del Comandante provinciale dei Carabinieri, Salvatore Sgroj, del Comandante del Reparto Operativo, Tenente-Colonnello Giorgio Naselli e del capitano della Compagnia Carabinieri Soverato, Emanuele Leuzzi. Tra i destinatari del provvedimento (tra cui diversi ragazzi ed alcuni soggetti già destinatari di provvedimenti restrittivi), presunti affiliati alla stessa cosca, figura anche un carabiniere, Vincenzo Alcaro di Soverato, classe '65, ancora in servizio. L'accusa per lui è di concorso esterno in associazione mafiosa perché, si legge nell'ordinanza, "non facendone organicamente parte, concorreva nella partecipazione all'associazione mafiosa in quanto quale brigadiere dell'arma, acquisiva senza nessun titolo, ad assumere informazioni relative ad un'area geografica non rientrante nella sua competenza". Il provvedimento di custodia cautelare è scattato per: Tripodi Maurizio (classe '59) di Soverato, Lentini Michele (cl. '71) di San Sostene, Bertucci Vincenzo (cl. '83) di Serra San Bruno, Sia Alberto (cl. '84) di Soverato, Vitale Patrik (cl. '84) di Satriano, Sia Vittorio (cl. '91) di Soverato, Alcaro Vincenzo (cl. '65) di Soverato, Mirarchi Salvo Gregorio (cl. '91) di Montepaone, Borello Simone (cl. '85) di Soverato, Cristofaro Pietro (cl. '83) di Satriano, Ranieri Vincenzo (cl. '83) di Davoli, Vono Andrea (cl. '90) di Davoli, Iiritano Luca (cl. '82) di Catanzaro, Sestito Davide (34 anni e irreperibile) di Pero (Mi). Nel corso dell'operazione, è stata fatta luce su un caso di "lupara bianca" avvenuto nel 2009, di cui è stato vittima Giuseppe Todaro, presunto affiliato ad una cosca rivale, che avrebbe dato in pratica il via, alla cosiddetta "faida dei boschi" che ha prodotto diversi morti negli ultimi tre anni nel comprensorio di Soverato. Uno scontro che vede contrapposte famiglie di 'ndrangheta che operano nella zona al confine tra le province di Catanzaro, Reggio Calabria e Vibo Valentia e che, negli ultimi tre anni, ha provocato una ventina di morti. La faida, nata per gli interessi sui lavori boschivi, si è trasformata col passare degli anni, in una vera e propria guerra di mafia per il predominio sul territorio, sugli appalti pubblici, degli insediamenti turistici e della realizzazione di impianti di energia alternativa. Gli arrestati sono accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, sequestro di persona, occultamento di cadavere, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Le indagini, che si sono avvalse anche della collaborazione del Ros, cominciarono il 22 dicembre 2009 dopo la scomparsa di Giuseppe Todaro, presunto affiliato alla cosca Gallace, rivale di quella dei Sia-Procopio-Tripodi. Le indagini, oltre a ricostruire le fasi della scomparsa e della successiva soppressione di Todaro (avvalendosi anche delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Bruno Procopio, figlio del presunto boss Fiorito Procopio, entrambi arrestati nel dicembre scorso), hanno consentito agli investigatori di riuscire a delineare compiti e ruoli degli indagati nell'ambito della locale di 'ndrangheta operativa nel territorio soveratese sin dal 2002, ed esattamente nei comuni di Soverato, Davoli, San Sostene, Montepaone e Montauro. Durante la conferenza-stampa, è stata fatta luce anche su alcuni indagati della stessa operazione, primo fra tutti, l'ex vice-sindaco di Soverato, Teodoro Sinopoli, il quale è indagato in stato di libertà per concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta della Dda di Catanzaro. La Dda aveva anche chiesto l'arresto di Sinopoli ma il gip l'ha rigettato. L'ex vice-sindaco è accusato di avere affidato a una ditta riconducibile, secondo gli inquirenti, a uno dei boss del soveratese lavori per opere pubbliche e fornitura di materiale edile. Nell'ambito della stessa operazione, risultano esserci anche altri indagati: Giuseppe Agresta, 30 anni di Serra San Bruno; Pietro Catanzariti, 44, di Soverato; Giovanni Catrambone, 24, di Montepaone; Daniela Iozzo, 30, di Soverato; Vincenzo Liotta, 21, di Montepaone; Giovanni Nativo, 29, di Cenadi; Francesco Paparo, 21, di Montepaone; Emanuel Procopio, 23, di Davoli; Fiorito Procopio, 49, di Davoli; Francesco Procopio, 23, di Davoli; Teodoro Sinopoli, 48, di Soverato. Com'è stato ribadito sul finire della conferenza-stampa di stamane dagli organi inquirenti, l'attività investigativa continua con l'intento di fare ulteriormente luce sui traffici e le attività illecite della cosca operante nel comprensorio soveratese by Soveratiamo
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