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F2 Elena Sodano“Gentile presidente, intanto mi complimento con lei per il ruolo che da qui a breve andrà ad occupare nella Cittadella Regionale. Lei ha il privilegio di essere la prima donna alla quale viene affidata la nostra terra di Calabria, una terra per nulla avvilita, vinta, senza spirito di discernimento o peggio priva di spina dorsale per come si vorrebbe far credere. E sono sicura che queste voci lei le sappia ascoltare e ben rappresentare con la sua capacità e sensibilità da politica e da donna.

Sono presidente della Ra.Gi. di Catanzaro, un’associazione con personalità giuridica regionale che si spende a individuare i bisogni concreti delle persone con demenze e delle loro famiglie, cercando di offrire servizi concreti partendo dal convertire una cultura crudele che si era innalzata intorno alla loro “non più vita”.

Gli ultimi dati di fonti giornalistiche scientifiche, ci raccontano di un popolo di 68mila persone che nella nostra regione soffrirebbero della malattia di Alzheimer. Un dato elevatissimo se solo si pensa che l’Alzheimer non è la sola forma di demenza anche se di certo la più frequente. In Italia sono 1,2 milioni le persone malate solo di Alzheimer. In futuro, tra 10 anni circa, si potrebbe avere un nuovo malato di Alzheimer ogni 3 secondi. E nel mondo attualmente gli ammalati sono in 49 milioni.

Per questa malattia ad oggi non esiste una cura. E non parliamo solo di persone anziane. In crescente aumento sono infatti i giovani con demenze, con figli giovanissimi che a loro volta si trasformano in genitori dei loro genitori, abbandonando la loro stessa vita per farsi carico di un nuovo ruolo. E questo, nonostante la ricerca vada avanti da anni nei laboratori di colossi farmaceutici e scienziati di tutto il mondo, anche in rete tra di loro, finanziati anche dall’Europa con progetti appositi.

Alcune uscite sensazionali di scoperte o risoluzioni, seppur troppo spesso propagandistiche, non fanno altro che deviare l’opinione pubblica su un argomento molto serio ma a loro spesso sconosciuto, e condannano le famiglie a false speranze e umiliano la malattia delle persone con demenze che ad oggi sono ridotte a vivere in un nulla al centro di un vuoto. Un vuoto che, almeno qui in Calabria, continuava (e il passato mi permetta è d’obbligo) a rifarsi ad una vecchia ideologia politica e tecnico-scientifica che, in tutti questi anni, avrebbe dovuto avere il compito quantomeno di gestirlo, senza delegare il tutto alla sola responsabilità della famiglia, etichettando le persone con demenze come psicologicamente e biologicamente “incomprensibili” e mortificando e annullando la loro individualità.

Noi, presidente Santelli, con coraggio e con un pizzico di sfida emotiva, ci siamo posizionati in questo vuoto, sfrondando le sovrastrutture e spogliando il “mito” che si era forse voluto appositamente costruire intorno a queste persone, consapevoli che quando non esiste una cura è il “prendersi cura” che deve riempire il nulla, allargando gli orizzonti e andando oltre i singoli orticelli. C’è una grossa differenza tra la “cura”, che appartiene più all’aspetto medico-scientifico, e il “prendersi cura”, che invece appartiene ad una dimensione sociale. La nostra esperienza costruita sul territorio attraverso innumerevoli servizi, ci insegna che il “prendersi cura” per queste persone sta primariamente nel trovare risposte concrete alle domande concrete che provengono dalla realtà in cui queste persone vivono.

Siamo nati senza finanziamenti, con la serietà professionale di chi voleva richiamare l’attenzione delle istituzioni pubbliche su uno stallo di pensiero che spendeva tutte le sue energie anche finanziarie verso l’aspetto medico-assistenziale, mettendo da parte la natura “esistenziale” intrinseca in ogni essere umano. Nel nostro piccolo e con i mezzi a disposizione abbiamo cercato di trascendere questa realtà per trasformarla e mettere, per quanto possibile, un freno alla frammentazione che vivono le persone con le demenze e la frantumazione delle famiglie.

Siamo stati utopistici forse, ma questo è stato possibile perché siamo riusciti a guardare con gli occhi del bisogno e a liberarci dalla schiavitù di una vecchia ideologia che era stata costruita ad hoc intorno all’universo di queste persone. Abbiamo operato per il superamento di ogni chiusura, di ogni emarginazione e segregazione.

Guardando alla legge regionale 23 del 2003 in maniera più costruttiva, abbiamo proposto un’evoluzione al classico pensiero scientifico, economico e politico, mettendo a fianco a tutto questo anche la logica del bisogno concreto che parte dal territorio. La ricerca l’abbiamo fatta sul territorio, ascoltando il bisogno di centinaia di persone che volevano sostegno dopo una diagnosi di demenza. Con l’aiuto di chi ha creduto e crede nel nostro percorso, stiamo cercando di costruire proprio su quel dopo, trasformando il territorio, primo dispositivo terapeutico in risposta ai bisogni primari delle persone con demenze e delle loro famiglie.

Per fortuna in tanti stanno seguendo le nostre tracce. E questo non significa, come spesso è stato frainteso, che la malattia delle persone con demenze non esiste e che con essa non esista tutto un apparato scientifico, medico, farmacologico e di assistenza, ma significa che le persone con le demenze possono sorridere alla vita con un’altra faccia e che non sono delle schegge impazzite da spegnere e silenziare. Significa che non sono persone per le quali non c’è più nulla da fare. Si tratta invece di un’umanità che può essere ancora protagonista della realizzazione del suo possibile. Un obiettivo a cui occorre arrivare tutti insieme, sotterrando l’ascia delle autoreferenzialità e abbattendo ruoli divenuti cristallizzati nel tempo.

Nel nostro cammino abbiamo incontrato in tutta la Calabria una marea di professionisti della cura, medici, psicologi, geriatri, infermieri, oss, che pur tra le mille difficoltà quotidiane si spendono in favore di queste persone con bontà d’animo, umiltà e con quella generosità che deve far riflettere. Il sociale e il sanitario sono due anime politiche che non possono percorrere strade differenti. Ci dev’essere una coincidenza tra il mandato della medicina, il mandato della scienza e il mandato della società. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che occorre fare il più grosso lavoro di cambiamento culturale ridisegnando le politiche e i criteri di finanziamento secondo una logica di rete e in base ai risultati concreti di ognuno.

Ecco presidente, noi vorremmo proporre insieme a lei una nuova cultura rivolta verso l’umanizzazione della cura delle persone con demenze partendo dal loro reale bisogno. Questa cultura è possibile concretizzarla, ed è ciò che un popolo numeroso di persone con le demenze presente in Calabria le chiede insieme alle rispettive famiglie. Forte delle proprie e serie competenze, un buon privato sociale può colmare i troppi vuoti della sanità, alleggerendola anche da pesi burocratici, organizzativi ed economici.

Sperando di poterle far conoscere più da vicino il nostro operato, la ringrazio dell’attenzione e dell’ascolto, presidente Santelli, e porgo a Lei e alla sua futura giunta gli auguri di proficuo lavoro”.

Catanzaro, 3 febbraio 2020                                                                                           dott.ssa Elena Sodano

Pubblicato in Calabria

Se lo chiede Elena Sodano, presidente dell’associazione Ra.Gi. Onlus di Catanzaro,che interviene con una dichiarazione in merito all’istituzione, nella città di Catanzaro, del Pronto Soccorso Pediatrico.

La Sodano, ideatrice del metodo Teci, unico in Italia, per la cura ed il contenimento naturale delle demenze, accuratamente descritto nel manuale “Il Corpo nella Demenza” (Maggioli Sanità, 2017), da lei scritto ed applicato nel Centro Diurno Spazio Al.Pa.De. di Catanzaro, attivo dal 2008 e nel Centro Diurno “Antonio Doria” di Cicala, coglie lo spunto offerto da questo provvedimento per sollevare una proposta che riguarda la possibilità di istituire anche un Pronto Soccorso specifico per le persone affette da demenze.

“E’ stato detto che le società vengono giudicate dal modo in cui trattano i loro “grandi” vecchi e i loro giovanissimi.

Ho molto apprezzato la notizia dell’istituzione del Pronto Soccorso Pediatrico all’interno dell’Ospedale “Pugliese Ciaccio” di Catanzaro, una concretezza di buona sanità che allevia i timori dei bimbi quando arrivano all’interno di un ospedale, che li prepara ad accettare un ambiente che li aiuti a guarire e non li spaventi e che crea un sistema di appoggio familiare importante in questi momenti”.

Riconoscendo l’importante valore umano di questa conquista, vorrei sollevare alcune proposte: sancire anche l’istituzione di un Pronto soccorso specifico per le persone con le demenze o comunque una corsia preferenziale a loro dedicata e provvedere alla cessione di alcuni posti letto riservati alle demenze, creando un ambiente adeguato, confortevole e rassicurante con strategie di cure e sistemi di supporto che vadano incontro in modo vero e umano ai bisogni di queste persone”.

“Si tratterebbe di una rivoluzione umana e valoriale molto importante, rispetto alla desolante situazione che c’è attualmente. Spazi di cura dedicati anche a quelle persone che hanno demenze con esordio precoce, quindi persone giovani, che avrebbero a loro disposizione personale adeguatamente formato a entrare in relazione con questo tipo di patologie.

Proprio perché le demenze, nelle loro diverse età d’esordio, rappresentano una condizione umana che è caratterizzata da linee che non sono facilmente interpretabili e richiedono quindi operatori preparati e sensibili nelle dinamiche relazionali, in grado di cogliere con finezza il livello vitale nel quale la persona si colloca, per poter intervenire nel pieno rispetto dell’essere nel mondo di una persona, anche se profondamente segnata dalla malattia”.

“Per quanto riguarda l’accoglienza nel pronto soccorso, l’ideale sarebbe ridurre al massimo i tempi d’attesa di queste persone.

Per loro non ci vorrebbero codici di alcun genere, i colori giallo, verde e rosso non riescono ad identificare il loro livello di sofferenza, per questo, potrebbero essere utilizzati per rendere più colorati e accoglienti gli ambienti”.

“Anche se l’urgenza è causa della fretta di agire, una persona con demenza non può essere inserita in un ambiente comune, circondata da un gran numero di persone che non conosce e da una gran confusione.

Così non si fa altro che aumentare la sua agitazione e chiedere al coniuge o agli altri familiari, di allontanarsi dal malato, lo rende ancora più isolato, senza un viso vicino da riconoscere.

Questa persona non ha la minima idea di ciò che gli sta succedendo, spesso non riesce ad esprimere il dolore che accusa e tanto meno riesce a comprendere come mai i suoi familiari lo hanno lasciato da solo in balia di sconosciuti”.

E, anche se il paziente si sente rassicurato a questo riguardo, la malattia lo porta a dimenticare le informazioni appena ascoltate.

Paura, ansia, dolore, agitazione, sono il risultato naturale di questa assurda situazione e per calmarlo spesso gli vengono somministrati dei farmaci, mentre confusione, disorientamento, paura aumentano sempre di più.

Le persone con le demenze, inoltre, non possono essere ricoverate all’interno di reparti comuni come la geriatria o essere ospitati in altri reparti, se in geriatria non ci sono posti letto disponibili. Il loro bisogno di cura richiede ambienti e strategie assistenziali diversificate. Proprio come accade per i bambini.

A tal proposito si potrebbe anche pensare alla realizzazione di un reparto di osservazione breve intensiva, per limitare per quanto possibile i tempi di ricovero di queste persone”.

“Trovo curioso il fatto che il sistema sanitario cittadino possa rispondere diversamente a persone appartenenti a due generazioni con necessità molto ma molto simili.

Non voglio paragonare le nostre persone con demenze a dei bambini, è importante però avere consapevolezza dello sviluppo a ritroso di questa malattia, specie dell’Alzheimer, per capire la loro vulnerabilità e il loro bisogno di un supporto “gentile”.

Aiuto che non deve mancare soprattutto in situazioni in cui il malato si trova ad affrontare un ambiente triste, freddo e sterile come quello dell’ospedale. Occorre rivedere l’interpretazione sociale del concetto d’invecchiamento che non può essere visto solo in termini di disfunzione e di malattia”.

Ufficio Stampa Ra.Gi.

Pubblicato in Catanzaro
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