
A processo ex dg dell’asp, dirigenti dell’asp, funzionari regionali, sindacalisti e falsi precari
Un processo unico.
Secondo la Procura una parte del management dell’Asp bruzia, con il supporto di un pezzo del sindacato, avrebbe “creato” 133 falsi precari procurando loro un ingiusto vantaggio patrimoniale e un corrispondente danno alla Regione Calabria.
L’inchiesta, oltre agli ex componenti della direzione generale dell’Azienda, a sindacalisti e funzionari della Regione Calabria, ha coinvolto anche tutti i precari che, sfruttando l’opportunità offerta da quella legge, avevano avuto un rapporto di lavoro determinato con l’Asp di Cosenza.
La assunzione dei precari all’Asp cosentina è avvenuta in concomitanza con le scorse elezioni regionali del 2014.
Il rinvio a giudizio è stato chiesto anche per gli ex direttori generali dell’Azienda sanitaria, Raffaele Mauro e Gianfranco Scarpelli; l’ex direttore sanitario, Luigi Palumbo; i funzionari regionali Giuseppe Pasquale Capicotto e Vincenzo Caserta, il dirigente dell’Asp cosentina Antonio Perri e il sindacalista di Cetraro Franco Mazza.
Speriamo che durante il processo emergano le responsabilità di coloro che hanno offerto eventuali coperture politiche.
COSENZA 5 novembre 2019 – Un impianto di calcestruzzo e lavaggio inerti è stato posto sotto sequestro dai militari della Stazione Carabinieri Forestale a Scala Coeli in località “Iaretto” nell’alveo del Torrente Nicà. Il sequestro è avvenuto a seguito di un controllo, unitamente alla Stazione Carabinieri di Scala Coeli, di vecchi impianti di lavaggio inerti oramai non più a norma lungo i fiumi e torrenti fluviali ma ugualmente utilizzati. L’impianto abusivo, non dotato di sistema per la raccolta delle acque industriali di lavorazione e di prima pioggia e delle relative vasche a tenuta del rifiuto da smaltire successivamente, è realizzato su una area demaniale. Oltre all’impianto funzionante da tempo, è stata occupata una area demaniale per la coltivazione di un impianto di uliveto con piante di varie età e dimensioni per una superfice complessiva di oltre 13mila metri quadri. All’interno del cantiere vi è anche un impianto di lavaggio inerti realizzato su una area comunale. Le attività, sono state estese anche all’esterno del cantiere recintato, su di una superfice di un ettaro dove si è accertato la presenza di reiterati prelievi di materiale. Si è pertanto proceduto al sequestro di una superfice complessiva di 28880 metri quadri tra demanio fluviale, impianto di ulivi, superfice demaniale del Comune di Scala Coeli e area sfruttata all’interno del greto del fiume Nicà. Il proprietario dell’impianto, un imprenditore di Cariati non era in possesso di nessuna autorizzazione e nessuna concessione per ciò che attiene a quanto accertato e dovrà rispondere dei reati di occupazione abusiva di area demaniale, violazione urbanistica e paesaggistica, e distruzione e deturpamento bellezze naturali in area vincolata.
Il Tribunale deposita le motivazioni della sentenza con la quale il 6 giugno ha assolto 14 imputati per non aver commesso il fatto.
Nessun abusivismo edilizio, cadono le contestazioni della polizia municipale
Sono state depositate dal Tribunale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Rosa Maria Luppino, le motivazioni della sentenza con la quale il 6 giugno scorso sono stati assolti “perché il fatto non sussiste” 14 imputati, quasi tutti vibonesi, titolari, amministratori e rappresentanti di società attive nel settore pubblicitario. “Dall’esame della documentazione prodotta dalla difesa – scrive il giudice in sentenza – è emersa l’insussistenza del fatto reato contestato”. Il Tribunale ha quindi ribadito che per l’installazione degli impianti pubblicitari non è necessario il permesso a costruire e nel caso di specie ci si trova dinanzi a manufatti che, “anche se installati lungo la carreggiata”, per carattere costruttivo “non sono da considerarsi manufatti edilizi” e quindi assentibili con il solo permesso a costruire. Per tale motivo, ad avviso del giudice, “non può ritenersi integrata la fattispecie criminosa contestata”, anche perché sul punto si è pronunciato pure il Consiglio di Stato. Come ricorda il Tribunale di Vibo in sentenza, i giudici amministrativi di secondo grado sulla materia hanno stabilito che: “l’attività pubblicitaria è regolamentata dall’articolo 23 del Codice della Strada il quale prevede che la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade sia soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario della strada. All’interno del perimetro dei centri urbani – spiegano ancora i giudici amministrativi – la competenza al rilascio dell’autorizzazione è in tutti i casi dei Comuni, fatto salvo il preventivo nulla-osta dell’ente proprietario nei soli casi in cui la strada appartenga al demanio statale regionale o provinciale”. In altre parole, in tutti i casi in cui i terreni lungo le strade appartengono ai privati, non vi è neppure bisogno di alcun preventivo nulla-osta né da parte della Regione, né della Provincia nei casi di installazione degli impianti pubblicitari.
Il Tribunale di Vibo, richiamando il Consiglio di Stato, specifica poi che “l’autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari rilasciata dai Comuni in base alla disciplina speciale, segnatamente in base all’articolo 23 del Codice della Strada, nel rispetto dei vincoli e criteri fissati nell’apposito regolamento comunale e nel Piano generale degli impianti pubblicitari, ha anche una valenza edilizia urbanistica ed assolve alle esigenze di tutela sottese al rilascio di un ulteriore titolo abilitativo”. Di conseguenza, il giudice sostiene in sentenza che “prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore anche il rilascio del permesso a costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio e sanzionatorio che risulterebbe sproporzionata poiché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale, di tutelare l’interesse al corretto assetto del territorio”.
I cartelloni pubblicitari – come quelli installati a Vibo e dintorni – per il Tribunale sono così sottratti alla disciplina prevista per le costruzioni di opere in genere e quindi mai avrebbe potuto il Comune abbatterli (come pure ha fatto in piazza Spogliatore a Vibo) contestando l’assenza di un permesso a costruire che per il giudice non è previsto dalla legge, bastando la semplice autorizzazione all’installazione. In tale direzione, il Tribunale di Vibo ricorda anche la pronuncia della Cassazione a Sezione Unite (quindi il massimo organo della giurisdizione italiana) la quale ha stabilito che “il provvedimento con il quale un Comune intima la rimozione coattiva di un impianto pubblicitario non rientra nella categoria degli atti in materia urbanistica ed edilizia” e quindi sono da ritenersi illegittime tutte le rimozioni degli impianti pubblicitari fatte dal Comune di Vibo negli scorsi anni contestando la mancanza del permesso a costruire. Le condotte contestate agli imputati dalla Procura, secondo il giudice “non hanno integrato le violazioni contestate” e da qui l’assoluzione con formula ampia “perché il fatto non sussiste”.
La documentazione prodotta dalla difesa è stata portata all’attenzione del giudice dall’avvocato Vincenzo Cantafio, difensore di: Maduli Domenico, Muscari Pietro, Maduli Francesco, Garofano Egidio Salvatore e Manfrida Domenico. Gli altri imputati assolti da ogni accusa sono: Saeli Teresa Lucia (assistita dall’avvocato Antonella Natale), Alessi Gaspare (difeso dall’avvocato Giuseppe Gerbino), Lico Loredana (difesa dagli avvocati Mauro e Sesto), Francioso Marcello (difeso dall’avvocato Giusi Fanelli), Scuticchio Aldo (difeso dall’avvocato Luca Scaramuzzino), Galati Michele, Russo Orazio, Musumeci Francesco e Facciolà Salvatore (difesi d’ufficio dall’avvocato Giacinto Inzillo).
Da ricordare che la vicenda ha avuto inizio nel 2011, quando la polizia municipale di Vibo Valentia ha inviato alla Procura della Repubblica un elenco e delle fotografie degli impianti pubblicitari esistenti sul territorio comunale, denunciando che – a suo avviso – erano tutti sprovvisti del permesso a costruire. A seguito delle indagini, la Procura aveva emesso un decreto di citazione diretta a giudizio nei confronti di quattordici persone, alle quali ha contestato non solo la violazione di svariate norme del testo unico sull’edilizia, ma anche la normativa paesaggistica. Nonostante l’intervenuta prescrizione dei reati, il giudice monocratico del Tribunale di Vibo Valentia, Maria Rosa Luppino, entrando nel merito della vicenda ha assolto tutti con formula ampia “perché il fatto non sussiste”, ripristinando la verità su una vicenda processuale durata anni. Spetterà ora all’amministrazione comunale di Vibo Valentia regolamentare l’intero settore pubblicitario che ha permesso negli anni al Comune di incassare introiti per cifre considerevoli.
DaIlvibonese