A Livorno ci sono alcune palazzine occupate abusivamente dagli stranieri e in una di queste una famiglia ha macellato un maiale. Apriti cielo. Ha suscitato un grande scalpore e le proteste sono fioccate a iosa. L’uccisione, la depilazione, la squartatura del maiale appeso al “manghiellu” sono stati postati su Facebook e hanno sollevato, come era prevedibile, una vera e propria polemica. Ma come si sono permessi! Chi ha dato loro l’autorizzazione di uccidere un maiale in casa e poi in quel modo tribale? E poi fare assistere al rito cruente finanche una bambina? Voglio ricordare ai miei amici lettori che anche dalle nostri parti, nei nostri paesi e specialmente nelle nostre campagne fino agli anni ottanta ogni famiglia allevava un maiale in casa con gli avanzi della cucina, delle castagne, delle ghiande. Spesse volte era costretto ad allevarne due perché uno era destinato al padrone del terreno che coltivava, e che poi veniva regolarmente ucciso proprio in questo periodo dell’anno nelle giornate fredde ed asciutte e quando il maiale aveva raggiunto il peso ragguardevole di un quintale, un quintale e trenta. Famose erano le “vrodate” che mia madre faceva con i fichi mischiati con la farina di crusca che poi versava nello “scifo du puorcu”. L’uccisione del maiale, checché ne dicano e ne pensano i vegetariani, era una grande festa per tutta la famiglia, specialmente per la donna che per tutto l’anno aveva allevato con cura ed amore il maiale che per la famiglia contadina rappresentava la principale fonte di sostentamento. Per uccidere il maiale il norcino (u chianchiere) usava un lungo coltello acuminato, allora non c’erano altri rimedi per non far soffrire il maiale. L’uccisione in questo modo non era da nessuno considerata una barbaria. Vi ricordate, amici, il film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi? Anche in quel film si assiste ad una uccisione del maiale come si faceva una volta e nessuno ha mai protestato. Dalle nostri parti era un lusso potersi permettere di allevare un maiale e poter mangiare poi la carne saporita. Ci sono alcuni oggi che protestano, che criticano i modi in cui vengono uccisi gli animali, ma poi si recano puntualmente alle macellerie dei supermercati tutti i giorni e non solo a Natale e a Pasqua a comprare la carne, le salsicce, le soppressate, i capicolli. Vedere uccidere un animale in quel modo come è stato postato su Facebook con quel lungo coltello e poi raschiato e depilato fa un po’ ribrezzo, è vero, però a noi che siamo vissuti in un’altra epoca non ci ha impressionato. Anche perché sin da bambino “il Chianchiere” mi chiamava a tenere la coda del maiale che quattro robuste braccia mantenevano fermo su una lunga cassapanca. Il maiale, il capretto, l’agnello, il coniglio, il gallo erano una risorsa per tutta la famiglia contadina di una volta. Venivano allevati per essere uccisi e mangiati. Amara chilla casa ca nun allevava nu maiale! Le braciole, le polpette, il sanguinaccio, le risimoglie, la gelatina, lo strutto, le frittule, andavi a comprarle ai supermercati? Ma dove erano i supermercati! E i soldi che ti li dava? E allora l’uccisone del maiale è stata sempre una gran festa. La sua morte serviva per dare la vita, la gioia, la felicità, la sopravvivenza alle persone che durante tutto l’anno si cibavano della sua carne. Avere ed uccidere un maiale voleva dire non morire di fame. Ma questo, quelli che oggi percepiscono lauti guadagni e pensione d’oro, non lo vogliono capire o fanno finta di non capire.