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Con un drone alcuni malavitosi hanno tentato ieri sera di consegnare a detenuti nel carcere di Taranto due microtelefoni cellulari completi di cavetto di ricarica usb e un quantitativo di droga.

L'apparecchio è però caduto ed ha attirato l'attenzione di un agente della Polizia penitenziaria, che ha dato l'allarme.

Lo denunciano i sindacati Osapp e Sappe.

Secondo il segretario generale dell'Osapp, Leo Beneduci, «come sempre, in fatto di tecnologia, la criminalità organizzata è al passo con i tempi a differenza dell'Amministrazione Penitenziaria» che e ai «livelli del secolo scorso sia le proprie dotazioni in ausilio del servizio sia il proprio bagaglio di aggiornamento professionale».

Federico Pilagatti, segretario generale Sappe, spiega che «l'ingegnoso piano prevedeva anche il diversivo di fuochi artificiali fatti esplodere all'esterno del carcere, mentre il piccolo drone veniva guidato nel posto giusto, attraverso la fiammella di un accendino che il detenuto aveva acceso dalla finestra della cella».

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Sembra dire un tunisino che per non essere espulso dà fuoco alla cella

Il decreto di espulsione prevedeva che al momento della c o n c l u s i o n e della pena detentiva, che stava scontando nel c a r c e r e V i l l a Andreino di La Spezia, venisse espulso.

Il rogo sarebbe stato alimentato grazie a dell’olio e si sarebbe diffuso in maniera abbastanza rapida nel piccolo ambiente, costringendo i compagni di cella del responsabile a cercare scampo all’interno del bagno.

Solo l’intervento del personale del carcere di La Spezia ha evitato il peggio, domando le fiamme e mettendo in sicurezza i detenuti, molti dei quali portati al pronto soccorso.

Il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria denuncia come non si tratti di un caso isolato.

“Anche la sera precedente c’è stato un altro evento critico, che ha richiesto un intervento d’urgenza del personale di turno, quando 3 detenuti stranieri hanno dato vita a una rissa, malmenando un altro detenuto ricoverato in ospedale”.

Il carcere di La S p e z i a s i t r o v a i n u n a e v i d e n t e condizione di carenza di organico, più

volte segnalato dal sindacato: mancano all’appello almeno “40 poliziotti, mentre la popolazione detenuta risulta essere di 230 su 151 posti disponibili e il 65% è di nazionalità straniera.

È ormai chiaro che è indispensabile che il nuovo governo inizi a occuparsi anche delle carceri

liguri”. Insomma, un’emergenza.

“È ormai chiaro che è indispensabile che il nuovo Governo – continua la nota- inizi ad occuparsi della situazione esplosiva all’interno delle carceri».

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Con Porcino in cella sono finiti ai domiciliari Ricciardelli e Alborghetti, comandante e commissario della Polizia Penitenziaria di Bergamo, Bertè, dirigente sanitario del Carcere, e due imprenditori di Urgnano.

Una gestione del penitenziario sconsiderata e spregiudicata.

Gli inquirenti descrivono così l’operato di Antonino Porcino, l’ex direttore della casa circondariale di Bergamo, arrestato nella mattinata di lunedì 11 giugno insieme ad altre cinque persone su ordinanza del Gip Lucia Graziosi per accuse che vanno dalla corruzione, alla turbata libertà degli incanti, al peculato, al falso ideologico, alla tentata truffa ai danni dello Stato. Con Porcino, in cella, sono finiti ai domiciliari Antonio Ricciardelli e Daniele Alborghetti, rispettivamente comandante e commissario della Polizia Penitenziaria di Bergamo (quest’ultimo distaccato al carcere di Monza), Franco Bertè, dirigente sanitario del Carcere e due imprenditori di Urgnano, Mario e Veronica Metalli.

L’inchiesta, coordinata dai Sostituti Procuratori della Repubblica di Bergamo Maria Cristina Rota ed Emanuele Marchisio, era partita nell’aprile 2017 da una segnalazione della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, nell’ambito di indagini collegate alla realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. L’imprenditore di Dalmine Gregorio Cavalleri, arrestato dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, aveva evitato la detenzione in carcere a Bergamo ed era rimasto a lungo ricoverato all’ospedale Papa Giovanni. Come? Con una serie di certificati medici che attestavano un presunto disturbo mentale. Che, però, non risultava nel corso degli interrogatori, in cui mostrava piena lucidità.

I carabinieri del comando provinciale di Bergamo e di Clusone, insospettiti, hanno messo sotto controllo il suo telefono cellulare. E hanno scoperto un accordo con il comandante della polizia penitenziaria. Ma non solo, perchè sono emersi una serie di altri illeciti, con coinvolti altri soggetti.

Uno su tutti, il direttore della casa circondariale. Grazie alla collaborazione dei militari della Guardia di Finanza, si è scoperto che Porcino, originario di Reggio Calabria, che dopo 33 anni in carica lo scorso 26 maggio è andato in pensione, nel suo ultimo anno di lavoro ha collezionato circa duecento giorni di malattia per presunto stress. Un’assenza resa possibile dai certificati compilati dal medico Bertè, secondo gli inquirenti in cambio di favori. L’intento di Porcino era quello di non fruire delle ferie che ancora aveva, in modo da farsele pagare, per una somma totale di circa diecimila euro.

Ma non solo. L’ex direttore, con l’appoggio dell’amico commissario di polizia penitenziaria Alborghetti, si sarebbe fatto corrompere da una società di Urgnano, gestita da Mario Metalli e dalla figlia Veronica, che installa distributori automatici di alimenti, bevande e tabacchi, per all’interno della casa circondariale di Monza, dove Alborghetti operava.

Porcino avrebbe poi sottratto materiale di vario genere in disponibilità alla casa circondariale. Come i due water per il suo appartamento di Lallio in fase di ristrutturazione. O ancora diverse risme di carta e alcune bombole a gas. Il tutto trasportato a casa da guardia del carcere, negli orari di lavoro e con auto di servizio.

C’è poi un particolare che coinvolge indirettamente il procuratore capo di Brescia Tommaso Buonanno e il figlio Gianmarco (non indagati), quest’ultimo detenuto in via Gleno per una rapina al Conad di Zogno a febbraio. Quando il padre qualche settimana fa chiese un colloquio più lungo con il  figlio, il personale del carcere glielo concesse senza però compilare regolarmente il registro. Compiendo, quindi, un illecito.

Sono 27 in totale le persone coinvolte nelle indagini. Lunedì sono scattate anche le perquisizioni nelle abitazioni degli indagati e in carcere, con la collaborazione di personale della Sezione di Polizia Giudiziaria della Guardia di Finanza di Bergamo. Non sono esclusi ulteriori sviluppi.

Dabergamonews

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Un detenuto di straniero, da poco tempo nel carcere di Rossano, aveva aggredito un assistente capo della polizia penitenziaria provocandogli la frattura del setto nasale.

Il detenuto era stato trasferito a Rossano da Catanzaro, dove aveva anche tentato di aggredire un agente della polizia penitenziaria.

A Catanzaro era detenuto per lesioni personali ed oltraggio a pubblico ufficiale.

Ci riferiscono- dicono il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, ed il segretario nazionale Damiano Bellucci del Sappe- che sono frequenti i suoi atteggiamenti di sfida nei confronti della polizia penitenziaria».

I dati nelle carceri italiane fotografano una situazione particolare: nel 2016 ci sono stati 8.586 gesti di autolesionismo, 39 suicidi, 1.011 tentativi di suicidio, 6.552 colluttazioni e 949 ferimenti.

Nel 2017 i gesti di autolesionismo sono diventati 9.510, i suicidi 48, i tentativi di suicidio 1.135, 1.175 i ferimenti e 7.446 le colluttazioni

Sempre il Sappe fa sapere che : “Il detenuto, era stato convocato nell’ufficio della sorveglianza generale, dopo il ritrovamento, nella camera di pernottamento, di bastoni atti a offendere”.

Lì il detenuto ha aggredito l’assistente capo con calci e pugni, ma non contento di ciò gli ha anche lanciato addosso una stufa.

Il detenuto era stato trasferito a Rossano da Catanzaro, dove aveva anche tentato di aggredire un agente della polizia penitenziaria.

Parliamo di un detenuto di origine nigeriana.

Sempre Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale hanno evidenziato che nel carcere di Rossano ci sono 215 detenuti, dei quali circa 80 sono nel reparto media sicurezza e il restante nell'alta sicurezza; di questi 22 sono gli AS2, ristretti per reati di terrorismo internazionale.

Pubblicato in Cosenza

Erano in servizio in quel momento in carcere quando sono stati assaliti da un detenuto.

A salvarli è intervenuto un altro detenuto rimasto ferito

Due assistenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Castrovillari sono stati aggrediti a colpi di spranga da un detenuto straniero.

Lo rende noto il sindacato Sappe in una nota a firma del segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, e del segretario nazionale, Damiano Bellucci.

“Ovviamente – affermano Durante e Bellucci – saranno i magistrati ad accertare i fatti ed a definire l’ipotesi di reato, ma di certo si è trattato di un episodio di inaudita violenza.

Ai due assistenti sono stati praticati, rispettivamente, 10 e 15 punti di sutura alla testa.

Gli agenti sarebbero stati salvati, da quanto ci è stato detto, da un detenuto lavorante, intervenuto per fermare l’aggressore.

Anche il detenuto ha riportato ferite al volto, con frattura del setto nasale.

Riteniamo che a questo punto, vista la gravitá dei fatti, sia necessario procedere all’immediato trasferimento dell’aggressore, per ragioni di opportunità, in altra struttura”

Nella casa circondariale di Castrovillari al 31 marzo scorso erano ristretti 154 detenuti su una capienza di 122 posti, le detenute erano 22 , mentre gli stranieri presenti 44.

Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto e Damiano Bellucci, segretario nazionale Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) hanno affermato :"Il collega è stato trasportato in ospedale per le ferite subite, che sono in corso di accertamento.

Alle cure dei sanitari hanno dovuto ricorrere anche un altro assistente capo e lo stesso detenuto.

E' davvero intollerabile che quotidianamente il personale di polizia penitenziaria debba subire aggressioni e violenze varie, a causa di un sistema penitenziario inadeguato ed inefficiente, derivante da scelte organizzative e politiche sbagliate che hanno determinato,negli ultimi anni, un notevole aumento degli eventi critici: aggressioni, tentativi di suicidio, colluttazioni e ferimenti".

Pubblicato in Cosenza

Una protesta che poteva provocare una tragedia si è verificata nel carcere di Paola dove un detenuto ha appiccato un incendio nella sua cella.

 

 

A renderlo noto è il sindacato di categoria Sappe.

Ne ha parlato Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria.

Immediato l’intervento degli agenti penitenziari che sono riusciti a salvare il detenuto dalle fiamme e ad evitare che l’incendio si propagasse.

 

“Sono stati momenti di grande tensione e pericolo, gestiti però –ha afferma Donato Capece, – con grande coraggio e professionalità dai poliziotti penitenziari.

 

Nonostante un fumo denso, immediatamente propagatosi nella Sezione, i bravi poliziotti hanno salvato la vita al detenuto che aveva dato fuoco alla cella, poi hanno provveduto a mettere in salvo i detenuti dalle altre celle del Reparto detentivo che erano invase dal fumo.

Poteva essere una tragedia, sventata dal tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari di servizio nel Reparto e dal successivo impiego degli altri poliziotti penitenziari in servizio nel carcere.

Sono stati bravi i poliziotti penitenziari in servizio nel carcere di Paola a intervenire tempestivamente, con professionalità, capacità e competenza”.

Poi continua affermando che l’incendio sventato a Paola “è sintomatico del fatto che le tensioni e le criticità nel sistema dell’esecuzione della pena in Italia sono costanti.

 

Anche Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Damiano Bellucci, segretario regionale della Calabria, esprimono«solidarietà e vicinanza al personale di Polizia penitenziaria di Paola, che ha risolto in maniera professionale ed impeccabile il grave evento critico» e giudicano la condotta del detenuto che ha provocato l’incendio «irresponsabile e gravissima».

Pubblicato in Paola

Un agente di Polizia penitenziaria è stato sospeso per un anno dal servizio per aver fatto recapitare a un detenuto nel carcere di Parma un telefono cellulare e un registratore audio.

 

Un cellulare è consegnato tra le sbarre di Via Burla, senza stratagemmi, libri usati come nascondiglio o ingegnosi nascondigli: semplicemente recapitato a un detenuto.

Non un superboss, ma un criminale comune, seppur con una fedina penale di un certo rilievo: a lui, carabinieri e Polizia Penitenziaria, che su ordine della procura nei giorni scorsi hanno passato sotto la lente di ingrandimento stanze e alloggi del personale del carcere, sono convinti il telefonino sia stato recapitato con semplicità.

 

Per denaro, forse. O altre piccole promesse che ora per l’agente, lasciato comunque a piede libero, è scattata l’accusa di corruzione. 

E il caso, su cui le indagini si stanno concentrando anche se per ora si parla di mere ipotesi, vuole che nel febbraio 2013, quando dal carcere, dopo, probabilmente, mesi di macchinosa organizzazione, fuggirono Valentin Frrokaj e Taulant Toma, di turno nel loro settore fosse proprio lo stesso agente, che la sera prima dell’evasione era rimasto in turno fino a tardi, proprio assegnato a quelle celle.

All’epoca, a differenza di altre undici persone rinviate a giudizio, otto delle quali (l’ex direttore, l’ex comandante e altri sei poliziotti) per procurata evasione, sotto indagine per quella fuga, non fu indagato.

 

Poi gli approfondimenti.

Ed ora i risultati.

A corromperlo, "con la promessa di benefici economici e di altre utilità" come hanno fatto sapere i carabinieri del Nucleo Investigativo, che hanno condotto le indagini, sono stati in concorso tra loro il destinatario delle 'attenzioni', un pregiudicato 58enne di origine calabrese detenuto per altri reati.

 

Il pregiudicato, tra novembre e dicembre 2014, aveva aggirato in questo modo le limitazioni imposte dalla detenzione e aveva potuto avere contatti con persone esterne alla casa circondariale. Per lui l'autorità giudiziaria ha disposto la misura cautelare in carcere.

L'agente era già stato sospeso dal servizio dall'Amministrazione penitenziaria

Ora ci si chiede chi abbia chiamato il detenuto con quel telefono: familiari e amici, parenti.

L’atto alla guardia potrebbe costare carriera e distintivo.

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