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CARNEVALE DI ACIREALEPoste Italiane comunica che sono stati emessi dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy 6 francobolli ordinari appartenenti alla serie tematica “il Patrimonio artistico e culturale italiano” dedicat ai Carnevali più antichi d’Italia: il Carnevale di Venezia, il Carnevale di Fano, il Carnevale di Putignano, il Carnevale di Acireale, il Carnevale di Cento, il Carnevale di Viareggio, relativi al valore della tariffa B pari a 1,20€ per ciascun francobollo.

      

Tiratura duecentomilaquattro esemplari per ciascun francobollo in fogli da ventotto, pari a un milione e duecentomilaventiquattro francobolli; cinquantamila esemplari per ciascun francobollo in minifogli da dieci, pari a trecentomila francobolli; quarantacinquemila foglietti composti da sei francobolli diversi, pari a duecentosettantamila francobolli; tiratura complessiva un milione e settecentosettantamilaventiquattro francobolli.

      

I francobolli sono stampati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., in rotocalcografia, su carta bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente.

Bozzetto a cura di Gaetano Ieluzzo per l’impostazione grafica di tutti i francobolli; Claudia Giusto per il francobollo dedicato al Carnevale di Acireale; Maria Carmela Perrini per il francobollo dedicato al Carnevale di Putignano.

Le vignette accomunate dalla medesima impostazione grafica che prevede una banda in basso delimitata nella parte superiore dalla scritta “CARNEVALE”, ciascuna raffigura il Carnevale della città rappresentata e precisamente:

  • Carnevale di Venezia: riproduce il dipinto del pittore veneziano Gabriel Bella, realizzato tra il 1779 e il 1792, dal titolo “Festa del giovedì grasso in Piazzetta”, conservato presso la Pinacoteca Querini Stampalia di Venezia.
  • Carnevale di Fano: riproduce un disegno di Melchiorre Fucci del 1951 raffigurante la maschera allegorica del Vulón, una sorta di menestrello spavaldo, rutilante e buffone, maschera ufficiale del Carnevale di Fano.
  • Carnevale di Putignano: riproduce la caratteristica maschera del Carnevale di Putignano Farinella, allegro e scanzonato, che prende il suo nome dal piatto simbolo della cucina putignanese, affiancato al suo alter ego, entrambi in primo piano su uno scorcio di Piazza del Plebiscito della cittadina pugliese.
  • Carnevale di Acireale: riproduce Lavica, opera dell’artista Adolfo Mastriani del 1953, diventata dal 2010 maschera ufficiale del Carnevale di Acireale. Sullo sfondo un particolare del Palazzo del Municipio della cittadina siciliana, classico esempio di architettura barocca.
  • Carnevale di Cento: raffigura un carro allegorico denominato “I sette vizi capitali”, realizzato dall’Associazione Carnevalesca “Mazzalora”, nel momento del secolare “Gettito” mentre sfila a Piazza Guercino nel centro storico di Cento.
  • Carnevale di Viareggio: riproduce un’opera di Uberto Bonetti realizzata negli anni ’30 raffigurante, su campo bianco, tra lanci di coriandoli, stelle filanti e squilli di tromba, due Burlamacchi, la maschera rappresentativa del Carnevale di Viareggio e mascotte della città. A sinistra, incastonato nella composizione, è riportato il numero “150th” a indicare gli anni trascorsi dalla prima sfilata del Carnevale.

Completano i francobolli le legende “CARNEVALE”, “VENEZIA”, “FANO”, “PUTIGNANO”, “ACIREALE”, “CENTO”, “VIAREGGIO”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”.

Caratteristiche del foglietto: i sei francobolli sono racchiusi in un foglietto e disposti su due righe.

Completa il foglietto la legenda “CARNEVALI PIÙ ANTICHI D’ITALIA”.

I francobolli e i prodotti filatelici correlati, cartoline, tessere e bollettini illustrativi saranno disponibili presso gli Uffici Postali con sportello filatelico, gli “Spazio Filatelia” di Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Roma 1, Torino, Trieste, Venezia, Verona e sul sito filatelia..

Per l’occasione sono state realizzate sei cartelle filateliche, una per ogni francobollo, in formato A4 a tre ante, contenente una quartina di francobolli, un francobollo singolo, una cartolina annullata ed affrancata, una busta primo giorno di emissione e il bollettino illustrativo, al prezzo di 20€ ciascuna.

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bbbbHo sempre diffidato degli unti dal Signore, dei salvatori della patria, dei santoni e dei taumaturghi. Mi rimane ancora un po’ di fiducia nei collettivi raziocinanti e nel frutto del loro pensiero. Purtroppo, invece, la politica italiana e in particolare quella meridionale, da parecchi anni si basa su pochi singoli leader “portatori” di tutto e su platee di yes-men e yes-women, pronti a cliccare like (online e offline). Mentre quei, collettivi in grado di mettere in movimento i neuroni, sono quasi estinti.

Voglio restare nel mio giro – quello della cultura di sinistra, che frequento da 60 anni – per farmi capire. Ammettiamolo: una volta – almeno fino agli anni Ottanta – la sinistra era logorroica. Si discuteva continuamente: in riunioni immerse nel fumo, sezioni, direttivi, riviste, circoli, assemblee, volantini, tazebao, feste e collettivi (a colpi di “Nella misura in cui” e “Nell’ottica”).

I lunghissimi e densissimi resoconti sull’Unità dei dibattiti nel comitato centrale del Pci erano in grado di far perdere i sensi, ma almeno si capiva decentemente quali erano le opinioni di ciascuno. La pubblicazione e la diffusione delle tesi precongressuali del partito offrivano a chiunque l’occasione per capire quale fosse la posta in gioco.

La lettura di periodici come Rinascita, Mondoperaio, Critica marxista, Critica sociale e altri era un po’ pallosa ma apriva orizzonti. C’erano decine di pubblicazioni leggibili e, soprattutto, lette: dall’Avanti all’Unità (500mila copie vendute in media ancora all’inizio degli anni Ottanta), dal Manifesto (che ha mantenuto una sua coerenza) fino a mensili come Linus, per citarne alcuni.

Oggi il web offre spazi infiniti, però sono pieni di fuffa e frasi fatte, super banali (magari con insulto e incitamento alla rissa o all’odio inclusi) o comprensibili da pochi eletti (in questo caso, non è un modo di dire). L’Unità, dopo tante disavventure, qualche anno fa è stata trasformata da tal Matteo Renzi in uno zerbino, cosicché non la leggeva neppure lui; infatti non c’è più.

E ora la maggior parte dei dirigenti politici si stressa se deve esprimere un concetto più lungo delle 140 stitiche battute offerte da Twitter.

Sminuire e tentare di denigrare qualcuno è il punto forte del “politico meridionale” contaminato. Il tono di voce è soltanto uno degli strumenti in suo possesso. Il sarcasmo può essere una via comunicativa divertente quando entrambe le parti sono d’accordo, ma i narcisisti agresti lo usano costantemente come metodo per manipolare la realtà e denigrare chiunque si dovesse azzardare a criticare il loro operato.

Se si prova a reagire in qualsivoglia modo, infatti, è evidentemente perché “si è troppo sensibile”. Venendo costantemente trattato come un ingenuo e preso di mira quando osa esprimere se stesso. In una situazione del genere, il semplice cittadino dovrà stare particolarmente attento rispetto all’esprimere i propri pensieri e opinioni al fine di non venir rimproverato e punito. Questa autocensura permette all’abusatore di zittire le persone con sempre meno sforzo, perché purtroppo il cittadino comincerà a farlo, in autonomia.

I “political narcisi” tendono a ingigantire precauzionalmente qualsiasi cosa percepiscano come una minaccia alla propria superiorità e al proprio ruolo ricattatorio (un esempio su tutti: l’utilizzo delle cooperative). Nel loro piccolo mondo, i politici calabresi sono gli unici a poter avere sempre ragione e chiunque osi dire il contrario crea una ferita narcisistica che spesso sfocia in rabbia.

Nei casi peggiori queste persone scelgono di esprimere la propria rabbia narcisistica attraverso gli insulti quando non riescono a trovare un modo migliore di manipolare l’opinione altrui o gestire le altrui emozioni. Gli insulti sono il loro metodo più semplice per buttare giù, umiliare e offendere l’altrui intelligenza, l’altrui aspetto e comportamento, invalidando allo stesso tempo l’altrui diritto ad essere un individuo con un proprio punto di vista e con una propria dignità.

Narcisisti, sociopatici ed altre personalità tossiche tentano continuamente di testare i limiti delle persone per capire quali possono oltrepassare. Più violazioni riescono a commettere senza conseguenze, più porteranno le cose agli estremi.

Il politico narcisista patologico si sente attaccato quando la sua percezione di avere diritto a tutto, il senso di superiorità e la sua autostima vengono messi in discussione in qualche modo, e piuttosto di affrontare i disaccordi attuando dei compromessi, preferisce negare il diritto di avere un punto di vista, tentando di instillare paura negli altri rispetto alle conseguenze dell’essere in disaccordo con lui e del non rispettare le sue richieste. Per lui, la risposta a qualsiasi sfida è un ultimatum, e la formula “devi fare questo o io farò quest’altro” diventa un tormentone quotidiano.

Un segno chiaro di miseria è l’incapacità del piccolo politico calabrese di rendersi conto delle proprie mancanze, e l’atteggiamento di usare ogni potere in suo possesso per evitare di esserne ritenuto responsabile. Questo comportamento è come una proiezione che è un meccanismo di difesa utilizzato per deviare la responsabilità di un comportamento o un tratto negativo, attribuendolo a qualcun altro. Agisce come una digressione che porta a evitare le proprie responsabilità.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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mareNel 1967, nell’attraversare l’oceano Atlantico, insieme a una giovane bella e ricca Sudafricana, Pamela Rogers, ho scoperto alcuni scritti del giornalista e scrittore George Orwell. Lui ribadiva che la libertà economica, andava a braccetto con quella intellettuale, ragion per cui il comunismo russo era fallito: si credeva che se lo Stato si fosse fatto carico di tutti i problemi economici (reddito, disoccupazione, eccetera), l’arte e la letteratura avrebbero potuto fiorire indisturbati, ma non è stato così. 

Mi sono trovato, non sempre, d’accordo su cosa pensava Luigi Pirandello quando definiva la Democrazia la causa vera di tutti i nostri mali, della tristezza dell’umanità, cioè il governo della maggioranza. Quando i molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la Democrazia che altro non è che “latirannia  mascherata da libertà.”

[Dal greco démos= popolo, cràtos = potere] Dottrina e sistema politico per cui la sovranità dello stato, indipendentemente da nascita o ricchezza, appartiene al popolo, che la esercita per mezzo di rappresentanze liberamente elette a maggioranza dalla totalità dei cittadini (democrazia rappresentativa, parlamentare, indiretta) o senza intermediari (democrazia diretta).

Lo scrittore italiano Leonardo Sciascia, una volta ebbe a dire:“Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza   è che il  fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l’appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna.”

Il regista da me amato, Mario Monicelli, spesso diceva: “La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena”. Sono certo che Monicelli era a conoscenza del “Discorso sulla dignità dell'uomo” di Pico della Mirandola, considerato il «Manifesto del Rinascimento». Scritto nel 1486, contiene infatti l'esaltazione della creatura umana, come creatura libera e capace di conoscere e dominare la realtà intera; esprime la convinzione che ogni individuo è artefice della sua propria esistenza. Recentemente il concetto espresso da Pico della Mirandola è stato ripreso dalla giurista Mireille Delmas-Marty, che ha proposto di inserirlo fra i diritti fondamentali e inalienabili dell’uomo, in quanto caratteristica specifica della sua identità.

Le democrazie occidentali sono diventate, per la generazione di chi scrive, il “trono” dei poteri forti. Alla fine degli anni sessanta, subito si correva a leggere personaggi come Amedeo Bordiga, uno dei primi fondatori e primo segretario del Partito Comunista d’Italia (sezione dell’Internazionale Comunista), oppositore intransigente dello stalinismo.

A leggerlo oggi fa una certa impressione: “Se è vero che il potenziale industriale ed economico del mondo capitalistico è in aumento e non in deflessione, è altrettanto vero che maggiore è la sua virulenza, peggiori sono le condizioni di vita della massa umana di fronte ai cataclismi materiali e storici.”

Da questo il passo è stato breve nel pensare che lacapacità di lottare dell’uomo per la propria realizzazione è ciò che i Greci chiamavano ‘areté. Parlare di virtù voleva dire parlare di ciò che rende la vita umana degna di essere vissuta, ricca di significato ed esempio per gli altri. Significava anche individuare alcune peculiari abilità, come quella di sapersi decidere e di saper governare se stessi.

“E da allora io mi sono bagnato nel Poema

del Mare, infuso d’astri e lattescente,

divorando gli azzurri-verdi: dove, ondeggiamento pallido

e rapito, un perduto pensiero talvolta discende.” Arthur Rimbaud

 

Gigino A Pellegrini & G elTarik

 

 

 

 

 

 

 

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