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Da due giorni il sito di Iacchitè è in manutenzione.

Per noi che siamo ( non vorremmo essere costretti a scrivere eravamo) abituati a leggerlo ogni santo giorno, è una sorpresa.

 

 

Avvertiamo, anzi, una sorta di timore, dubbiosi, come siamo, che possa succedere qualcosa alla stampa libera calabrese.

Poi abbiamo letto che il Tribunale di Cosenza ha condannato Gabriele Carchidi per aver scritto che il sindaco Mario Occhiuto è il “più squallido e viscido della storia” ed il timore è diventato paura.

Non che fossimo d’accordo sul fatto che Iacchitè abbia scritto che il sindaco Mario Occhiuto è il “più squallido e viscido della storia” ( peraltro nemmeno lo conosciamo), ma ci sembra che una condanna a sette mesi di reclusione sia alquanto rigorosa ancor più perché senza sospensione condizionale.

Carchidi, poi, è stato condannato anche al risarcimento del danno, da liquidare in separato giudizio civile, nonché al pagamento delle spese di costituzione, e ad una provvisionale, in favore del sindaco Occhiuto, costituitosi parte civile, liquidata in 3.000 euro.

“Con la stessa sentenza, il giudice Di Dedda ha assolto Carchidi e Michele Santagata da altre imputazioni di diffamazione con la formula ‘per non aver commesso il fatto’, sol perché non si è raggiunta la piena prova dell’attribuibilità, ai predetti, degli scritti diffamatori, ed in un caso per mancanza dell’elemento psicologico.

 

Il sindaco Occhiuto è stato assistito nel processo dall’avvocato Nicola Carratelli.

Si è chiuso così il procedimento di primo grado conseguente ad una delle tante querele presentate da Occhiuto nei confronti di Carchidi, autore di una martellante attività di pura denigrazione nei confronti del Sindaco, mentre diversi altri procedimenti, sia per il reato di diffamazione, che per quello di stalking, sempre a carico di Gabriele Carchidi e Michele Santagata, saranno celebrati nei prossimi mesi.

 

Anche in tali procedimenti Mario Occhiuto si è costituito parte civile.” ( da quicosenza.it/)

Comunque ci auguriamo che Iacchitè non manchi ai Calabresi.

Pubblicato in Cosenza

Scrive Thomas Mackinson su “Il fatto quotidiano” : “Cosenza, la farsa della caccia al tesoro d’Alarico. Il Comunenon ha chiesto autorizza zioni. Stop della Soprintendenza.

 

L'amministrazione del sindaco Occhiuto aveva annunciato la campagna di ricerche in Parlamento e sui Tg nazionali. Sei mesi per individuare la tomba del re dei Goti e trovare qualche reperto per il nascente "Museo di Alarico", che costerà 7 milioni ai contribuenti. Due giorni dopo le ricerche si fermano: mai autorizzate

La “caccia al tesoro” era appena partita tra aspettative, incredulità e polemiche. La notizia è che dopo due giorni si è già fermata, la Soprintendenza archeologica della Calabria ha bloccato tutto.

Il motivo?

La campagna di scavi lungo il fiume Busento non era mai stata autorizzata. Annunciata in pompa magna, doveva servire a individuare il leggendario “tesoro di Alarico” che le antiche scritture indicano in 25 tonnellate d’oro e 150 d’argento, il bottino favoloso dei Goti dopo il Sacco di Roma. Se non tutto, almeno a rinvenire qualche pezzo utile al fantomatico museo che l’amministrazione cosentina ha deciso di dedicare al Re massacratore, senza che si sia mai rinvenuto uno straccio di reperto, un sesterzio o anche solo un coccio di vaso rotto riferibile ai Goti. A volte si scava per non toccare il fondo. Parecchio da fare si è data l’amministrazione guidata da Mario Occhiuto che ha scommesso molto su un’iniziativa di marketing territoriale che accalora e divide studiosi e appassionati di storia. E forse non a torto, perché ai contribuenti costerà svariati milioni di euro.

 

Partiamo dalla fine. Tra meno di un mese a palazzo dei Bruzi si apriranno le buste con le offerte per abbattere l’orrido Hotel Jolly che dagli anni Cinquanta offende la vista del centro storico.

L’amministrazione ha cercato a lungo un pretesto per tirarlo giù e risistemare le sponde fluviali su cui affaccia. In ultimo, su impulso del sindaco-architetto di centrodestra Occhiuto, ha trovato quello di realizzare un polo espositivo dedicato al Re barbaro che antiche scritture e leggende vorrebbero sepolto da qualche parte laggiù, lungo il greto del Busento insieme a un immenso tesoro di sesterzi, ori e pietre preziose frutto del saccheggio di Roma del 410 dC. Problema: la tomba di Alarico non c’è, è solo un mito, tanto che in 1600 anni di ricerche nessuno l’ha trovata. Ci hanno provato fior di storici, archeologi, comuni tombaroli, perfino i tedeschi con apposite spedizioni comandate da Himmler.

Niente di niente.

Così, ed è il primo aspetto grottesco della vicenda, il catalogo del nascente museo al momento ha le pagine bianche e probabilmente tali resteranno.

 

Ad oggi il suo primo e unico tassello è una collezione di otto fibule visigote del V secolo donate alla città dalla famiglia Bilotti che dovrebbe trovare dimora nelle future sale. Altro, davvero, non c’è. E tuttavia per racchiudere ed esporre questo nulla si spenderanno sette milioni di euro. Tante sono le risorse autorizzate dal Cipe nel 2012, a valere sui Fondi Sviluppo e Coesione destinati alla Calabria: 3,3 serviranno per realizzare la nuova struttura, 2,2 per acquistare l’hotel Jolly da abbattere.

Il Comune partecipa anche con 500mila euro di fondi propri, nonostante abbia i conti in rosso per 140 milioni di euro.

Nel frattempo il sindaco ha deciso di scavare oltre, rilanciando le ricerche del “tesoro” lungo il fiume. E qui la vicenda è diventata farsa. Le premesse: in giro, per quanto li si cerchi, non si trovano tanti studiosi disposti a giocarsi la reputazione rincorrendo la leggenda tramandata da Cassiodoro e dallo storico Jordanes. Nei testi antichi raccontano che Alarico fu inumato con i suoi tesori secondo la tradizione funeraria dei Goti e che per rendere la tomba inaccessibile fu scelto il letto del fiume che fu deviato temporaneamente usando i prigionieri che poi furono uccisi uno a uno. Qualcuno però ci crede davvero. A farsi avanti è uno sparuto gruppo di novelli Indiana Jones che, armati di droni e georadar, tenteranno di riscontrare con tecnologie moderne quel che ricerche archeologiche e predoni non hanno rinvenuto in cinque secoli di tentativi. L’impresa è ardita e viene anche presentata in Parlamento, con tanto di conferenza stampa. I lavori di perlustrazione partono il 16 novembre per durare sei mesi. E poi? Sono durati due giorni soltanto. La soprintendenza ha appena notificato lo stop al Comune. Nessuno, in tutto questo, ha pensato di chiedere le autorizzazioni necessarie. Non ci ha pensato il Comune, non ci hanno pensato i finanziatori (privati) dell’impresa. Per poche decine di migliaia di euro a farsi avanti era stata la Fondazione Cassa di Risparmio della Calabria e della Lucania. Perché di sicuro non c’è, ma se mai ci fosse un tesoro meglio metterlo subito in banca.

Come nei migliori copioni esiste quello alternativo, il piano B. Il sindaco ha anche messo insieme un comitato tecnico-scientifico che annovera figure di spicco, come l’ex rettore dell’Università di Reggio Calabria ed ex ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi. Alla testa il professor Pietro De Leo, ordinario di storia medioevale. Nessuno di loro andrà con pala e pile a cercare il tesoro. L’accordo tra Comune e “Consorzio Cultura e Innovazione” prevede lo sviluppo di “modelli virtuali” che raccontino la leggenda di Alarico. Attaverso l’uso di touch screen. Ebbene sì, se i Predatori dell’arca perduta non trovassero alcunché per dare un contenuto (purché sia) al museo sarà la multimedialità a colmare il vuoto: il museo di Alarico sarà uno spazio virtuale sostanzialmente privo di reperti. Questo nulla sarà però racchiuso in un manufatto basso e dalle linee modernissime, quasi un cubo, che nei rendering fa già a pugni con gli edifici alle sue spalle, segnati dal tempo e traforati dai colpi sparati in guerra. Non mancherà, a quanto è dato sapere, una statua equestre del Gran Barbaro che emerge dalle acque.

Studiosi, residenti, intellettuali, appassionati di storia seguono increduli questa strana commedia senz’arte né parte.  A molti non piace neppure l’introduzione e si chiedono perché mai rimestare e incensare il fantasma del re dei Goti, il cui nome resta indissolubilmente legato a uno degli eventi più traumatici del mondo antico, l’11 settembre della civiltà romana. Ci va giù durissimo, tra gli altri, l’archeologo Battista Sangineto, rilevando l’autolesionismo che accompagna l’operazione: “Si spendono soldi per una leggenda quando il centro storico va a pezzi. Alarico, poi? Sterminò centinaia di cosentini, non può costituire la spinta propulsiva, il riferimento culturale e identitario di un progetto museale che attragga turismo culturale. Onorarlo in maniera ossessivo-compulsiva, titolando piazze e pizzerie al re dei Goti è come scolpire nella pietra il marchio della città iettatrice. Farne un brand è anche umiliante per Cosenza che nel Medioevo fu una piccola culla di democrazia. Alarico ci morì per caso, è una cosa appiccicata lì”. Come gli adesivi “vota” durante le elezioni.

Perché non si può capire fino in fondo questa storia senza un dettaglio essenziale: a primavera in città si vota e sulle memorie di Alarico il sindaco di centrodestra si gioca la rielezione. Il museo vorrebbe essere il fiore all’occhiello del suo mandato, simbolo e prova della strenua volontà di modernizzare la Cosenza decaduta, spenta, funerea di certe cartoline ingiallite. Quella che già secoli fa i viaggiatori descrivevano come “terra di morti” o tomba dei re e degli eroi. Non a caso alla spedizione dei geologi lungo il letto del Busento, fermata dalla Soprintendenza, erano stati concessi sei mesi di tempo. E cioè di andare oltre l’appuntamento elettorale. Così, se un domani si scoprisse mai che la tomba col tesoro non c’è, l’urna sarà già chiusa”.

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Cosenza. Un centinaio di lavoratori delle 13 cooperative di tipo B che avevano un contratto di collaborazione con il Comune di Cosenza e che ora sono disoccupati per il mancato rinnovo contrattuale hanno occupato piazza XI settembre e presidiano la prefettura.

Dal mese di maggio sono senza lavoro sembra solo per la mancanza di rilascio del certificato antimafia .

Avevano già manifestato il 27 giugno scorso mobilitandosi sin dalle prime ore del mattino ed aspettando il Prefetto Cannizzaro il quale aveva evidenziato che il rilascio del certificato dipendeva dal fatto che. nonostante fossero cambiati sia presidenti sia consigli d’amministrazione delle cooperative sui quali vertevano gli scetticismi dell’antimafia, il Comune di Cosenza non aveva ancora provveduto a recapitare la documentazione necessaria. Purtuttavia il Prefetto Cannizzaro aveva assicurato un pronta soluzione al problema.

Ed allora stamattina 10 luglio i100 disoccupati ed arrabbiati si sono riuniti sotto la Prefettura per far sentire tutto il loro disagio. “Siamo qui per chiedere che ci venga ridato il nostro posto di lavoro, – afferma l’ex presidente della coop. Centro Città – vogliamo avere l’opportunità di poter ritornare alla nostra occupazione. La situazione per le nostre famiglie è estremamente critica, non abbiamo il TFR, ma solo l’indennità di disoccupazione che non stanno erogando. E’ una vera e propria emergenza sociale, andremo avanti con le proteste finchè non ci daranno risposte”.

E’ intervenuto il sindaco Mario Occhiuto il quale ha spiegato che il certificato antimafia è assolutamente necessario e che il suo rilascio “ non dipende né dall’amministrazione né dal prefetto, ma dalle indagini di carabinieri e polizia. Noi come Comune siamo obbligati dalla legge a richiedere il certificato antimafia in Prefettura. Ovviamente come è successo con le altre coop. quando saranno in ordine con la documentazione e non vi sarà l’interdizione potranno tornare a lavorare”.

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Potremmo ricordare il vecchio adagio “ Doppu arrubbata Santa Chiara, anu fattu i port’ i fierru”.

Dopo l’arresto dei presidenti delle cooperative B di Cosenza( e chissà cos’altro) ecco che arriva nientemeno che l’accordo tra il Ministero dell’Interno ed il comune di Cosenza per “guidare” un percorso di legalità e di legittimità finora non attuato( datanti possiamo ritenere).

Ne da annuncio il comune di Cosenza dando evidenza alla firma dell’accordo” Prefettura-Comune di Cosenza” per la redazione del bando per l'affidamento dei servizi .

Per la prima volta nella storia di questi servizi, infatti, in seguito alla scadenza dei contratti che regolamentano i rapporti lavorativi delle Coop sociali con il Municipio, non si procederà più all’affidamento diretto dei servizi bensì alla pubblicazione di un bando pubblico, dietro specifica indicazione del primo cittadino di voler garantire sia la piena ottemperanza delle norme vigenti in materia sia di voler tutelare i posti occupazionali esistenti.

Come ha ricordato alla stampa Raffaele Cannizzaro, partì proprio dal sindaco Occhiuto, lo scorso mese di novembre, la proposta di richiedere alla Prefettura un supporto in tal senso.

L’accordo siglato oggi prevede la comunicazione da parte della Prefettura, al massimo entro i prossimi cinque giorni dalla firma, di un gruppo di supporto per il personale dirigenziale del Comune al fine di stilare il bando per l’affidamento dei servizi delle Cooperative.

“Tutto ciò va nella direttrice della reale collaborazione e delle intese istituzionali”, ha dichiarato il prefetto Cannizzaro introducendo la sigla sul Protocollo.

Dal canto suo, il sindaco Mario Occhiuto ha rimarcato con profonda gratitudine la vicinanza del Prefetto in una vicenda molto delicata: “Spesso – ha affermato il primo cittadino – nella difficile fase di riorganizzazione di questi servizi, mi sono anche sentito solo. In realtà, però, non sono mai rimasto solo perché avevo al mio fianco lo Stato, soprattutto nella persona del Prefetto Cannizzaro”.

L’obiettivo da raggiungere riguardo alle Cooperative B, ha proseguito il sindaco Occhiuto, “è quello di ottenere una migliore qualità ed efficienza nel servizio che riguarda tutte le attività di manutenzione ordinaria della città, attraverso un migliore impiego delle persone già occupate in questi settori con un sistema più puntuale dei controlli. La salvaguardia e la tutela dei posti di lavoro esistenti, infatti, rientra anche in un’ottica di salvaguardia della coesione sociale che miri alla rigenerazione sociale attraverso il lavoro efficientemente svolto. Per questi motivi – ha concluso Occhiuto - occorre superare le problematiche evidenziate nel passato con la gara

Ndr: Ci permetteranno di restare perplessi di fronte ad un uso scriteriato dell’affidamento diretto( a Cosenza ed altrove) al quale ora si tenta di sostituire una gara di appalto( ?) che sarà garantita nella sua legittimità da una task force prefettizia. Ma allora finora come hanno fatto?

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