Domani 2 giugno si festeggerà in Italia la festa della Repubblica Italiana, ma la strada per la democrazia fu lunga e difficile.
Le donne e i poveri non avevano diritto al voto, perché secondo un’opinione consolidata solo gli uomini ricchi potevano dedicarsi alla politica. .
Ecco cosa scrive Gianpaolo Pansa a pag.200 del libro Poco o niente: All’inizio del novecento il potere politico stava per intero in mano ai ricchi.
Per essere precisi, agli avvocati, ai professori, ai notai, ai medici, ai proprietari di tenute agricole, ai primi cementieri, ai padroni delle cave, ai costruttori edili,, ai grandi redditieri che godevano il frutto di patrimoni spesso cospicui.
Spettava soltanto a loro decidere per tutti, anche nel caso di elezioni comunali o per la Camera dei deputati.
Ci riuscivano perché erano pochi e legati dagli stessi interessi.
In tempi più recenti, questo blocco sociale sarebbe stato definito una oligarchia. Molto dura da scalfire.
Con il tempo, però, venne esteso anche agli altri cittadini maschi il diritto di voto.
In Francia nel 1848 venne introdotto il suffragio universale maschile per quelli che avevano superato il 21° anno di età.
In Germania entrò in vigore nel 1871.
In Italia il diritto di voto e l’eleggibilità, dopo l’unità d’Italia, erano riservati ai maschi di età superiore a 25 anni e di elevata condizione sociale.
Dovevano saper leggere e scrivere e pagare un’imposta di 40 lire.
Nel 1881 il diritto di voto venne esteso anche alla media borghesia e il limite di età fu abbassato a 21 anni.
Votavano chi aveva superato i primi due anni della scuola elementare.
Nel 1912 il Parlamento Italiano approvò l’estensione del diritto di voto a tutti i cittadini italiani di genere maschile dal 21° anno di età.
Il 31 gennaio 1945 anche le donne italiane furono ammesse al voto e così il 2 giugno 1946 andarono per la prima volta a votare in occasione del voto referendario Monarchia – Repubblica. Nel 1975 il Parlamento abbassò il limite di età per il diritto di voto a 18 anni.
Vediamo ora chi erano gli elettori del nostro comune nell’anno 1894. San Pietro in Amantea contava solamente 165 elettori su una popolazione intorno alle 1200 unità.
Avevano diritto di voto soltanto 13,75% della popolazione effettivamente residente.
Perché così pochi elettori?
Perché come abbiamo visto soltanto chi sapeva leggere e scrivere e chi pagava una imposta annua di almeno 19 lire aveva diritto di voto.
I cittadini, per essere elettori, dovevano necessariamente essere iscritti nei ruoli delle imposte e delle tasse comunali. I poveri e le masse lavoratrici delle campagne che non erano iscritti nei ruoli delle tasse non potevano votare.
I contadini non avevano alcun diritto di partecipare alla vita amministrativa del Comune e di scegliere democraticamente i loro rappresentanti.
Si dovette attendere come abbiamo visto il 1912.
Gli elettori aumentarono di numero e la scelta del Sindaco nelle elezioni successive al 1912 diventò più seria e più oculata.
Infatti, prima della entrata in vigore della legge del 1912, i Sindaci del Comune appartenevano sempre alle stesse famiglie più ricche e più influenti.
Troviamo Francesco Saverio Sesti, Michele Ianne, Giovanni Lupi, Domenico Simari, Roberto Ianne, Gregorio Lupi, Domenico Lupi.
Erano fra di loro cugini,nipoti, zii, padri e figli.
L’elettorato si divide in attivo e passivo.
L’elettorato attivo è disciplinato dall’Art.48 della nostra Costituzione Italiana:- Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge-.
L’elettorato passivo consiste nella capacità di essere eletti.
Di regola chiunque è elettore è anche eleggibile.
Per essere eletto Deputato l’elettore deve aver compiuto 25 anni.
Per il Senato il compimento è il 40°. Da notare che se si perde l’elettorato attivo, viene meno quello passivo.
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Basso Tirreno