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Dalla procura di Cosenza una mano alla pulizia delle acque del Tirreno.

“Questa mattina il Corpo Forestale dello Stato ha posto sotto sequestro nove impianti di depurazione e deferito all’autorità giudiziaria 14 persone.

 

Tale attività si inserisce nell’ambito di un iniziativa voluta dal Procuratore Capo Mario Spagnuolo volta a indagare e reprimere fenomeni di inquinamento al fine di tutelare la salute dei cittadini e la salubrità dell’ambiente, ed in particolare ha riguardato lo stato di inquinamento del fiume Savuto (da cui prende il nome Isabel, Isabella d’Aragona deceduta nel 1271 nell’attraversare il fiume).

 

L’operazione, condotta dal NIPAF, Nucleo Investigativo del CFS con il supporto della Sezione di PG del Corpo Forestale e diversi Comandi Stazione, è stata coordinata dal Procuratore Capo Mario Spagnuolo e dal Procuratore Aggiunto Marisa Manzini.

I provvedimenti di sequestro sono stati trasmessi al P.M. di turno dr. Francesco Giuseppe Cozzolino e riguardano i depuratori che scaricano nel fiume e che ricadono nei Comuni di Carpanzano, Scigliano, S.Stefano di Rogliano e Parenti, in quest’ultimo Comune sono sei gli impianti oggetto di sequestro.

Le indagini condotte in questi mesi e gli accertamenti preliminari su tutti gli impianti hanno portato a contestare agli indagati, Sindaci e tecnici comunali, i reati di gestione illecita di rifiuti, scarico di acque reflue sul suolo, danneggiamento e molestie.

 

Oltre al mancato funzionamento, le indagini ed i controlli hanno accertato diverse irregolarità come la presenza in alcuni impianti di bypass che consentivano lo scarico nel fiume dei reflui non sottoposti al dovuto ciclo depurativo.

L’operazione di oggi ha visto impiegati 40 uomini e 9 pattuglie del Comando Provinciale di Cosenza.

Nei prossimi giorni con l’ausilio dei tecnici dell’Arpacal continueranno le verifiche e le indagini sullo stato del fiume Savuto al fine di verificare lo stato di inquinamento dello stesso e dei suoi affluenti.

COSENZA 27 ottobre 2016”

isabel2

 

Pubblicato in Cosenza

C’è una Calabria sconosciuta anche ai calabresi.

Soprattutto a quelli come diceva il Giusti nel Sant’Ambrogio che hanno il “ cervel, Dio lo riposi, in tutt'altre faccende affaccendato, a questa roba è morto e sotterrato”

Ma ogni tanto su questo meraviglioso web qualcuno stimola la nostra attenzione e così abbiamo occasione di ricordare e di farci qualche domanda.

Ricordare il mistero dei due ponti sul Savuto.

Quello Romano ( II secolo a.C.) in Scigliano detto anche “approfittevolmente “ di S. Angelo o di Annibale , che ancora resiste dopo più di due millenni.

Quello moderno di Nocera Terinese realizzato meno di un secolo fa e che è crollato rovinosamente senza essere mai ricostruito quando ebbe a compiere solo 80 anni!.

La domanda è d’obbligo.

Perché mai uno resiste 22 secoli e uno crolla prima ancora di diventare centenario?

Il secondo realizzato negli anni 20 al tempo della costruzione della SS18 è riverso sul letto del fiume e di esso restano solo macerie.

Il primo ancora sufficientemente conservato, monumento storico nazionale che è il più antico d’Italia.

Ma eccovi le necessarie notizie sul Ponte Romano tratto da http://www.scigliano.altervista.org

“Uno dei più antichi d'Italia

Lungo il tragitto verso il mare del fiume Savuto, troviamo, nel territorio di Scigliano, un ponte romano ( II secolo a: C.) detto di S. Angelo o di Annibale, monumento storico nazionale che insieme al ponte Fabbrico dell’ isola tiberina (69 a. C.) sono i più antichi d’Italia.

Il prof. Emilio Barillaro scriveva:”…Il ponte fu gittato dai romani a servizio della via Popilia nel 203 A.C.; distrutto dagli stessi costruttori all’epoca della sconfitta di Annibale per arrestare la fuga di costui ed impedirgli di raggiungere il mare e poi ricostruito con lo stesso materiale edilizio e con lo stesso modulo architettonico dei genieri del generale cartaginese per il transito della sua armata.”

Il Padula in “Calabria prima e dopo l’unità” scriveva:” Quel ponte può dirsi l’unico monumento architettonico della provincia. E’un solo arco colossale della luce di cento palmi che comincia dal suolo e non s’appoggia ai pilastri. Vi si ascende per una scaglionata che lascia tra sé e l’arco del ponte un vuoto dove si ricoverano i pastori. Mentre tu sali spesso ti viene all’orecchio uno scoppio di riso; e sono foresi e forosette che ridono sotto i tuoi piedi. Il ponte è di piperno ( roccia eruttiva effusiva, n.d.r.) e se ne ignora l’autore. Il volgo lo crede opera del diavolo e crede di vedere sopra alcune pietre l’impronta di sua mano e va a cercarvi tesori.”.

L’archeologo Edoardo Galli disse: “….guardando, poi, le fiancate appare evidente l’intenzione dei costruttori di restringere artificialmente, ridurre quanto più possibile la valle, per soverchiarla con un solo, arditissimo, arco. Questo è all’incirca, alto 13 metri e largo il doppio,ma nell’antichità doveva librarsi ad una altezza vertiginosa, poiché è risaputo che tra i fiumi della Calabria il Savuto è uno dei più noti e temuti per piene e devastazioni. Quindi non v’è dubbio che in più di duemila anni il fiume abbia colmato una buona metà dell’ altezza primitiva. Infatti non si vedono i pilastri su cui poggia la volta perché sono sotterrati nella ghiaia e come si può notare oggi, il fiume scorre a livello della corda dell’arco”.

Il ponte faceva parte dell’antica via romana, la Popilia, che venne costruita a partire da Reggio Calabria per poi congiungersi con le altre arterie che portavano a Roma. Il tracciato antico della strada da Reggio Calabria costeggiava il Tirreno, toccava Vibo Valentia, la Piana di S Eufemia, risaliva la Valle del Savuto, attraversava il ponte sul fiume e saliva ai Campi di Malito. Proseguiva poi per lo stretto corridoio del torrente Iassa, sboccava nel Busento all’ altezza del vecchio quartiere di Portapiana. In seguito, seguendo la sponda del Crati sino a Tarsia, quindi Morano, il Vallo di Diano e tagliando Salerno, Nocera e Capua, si congiungeva alla via Appia che portava a Roma.

Il Ponte romano, la cui data di costruzione risale a II secolo a.C., fu costruito con archi in tufo calcareo rosso prelevati da una cava sulla parete di una collina vicinissima al ponte. Ancora oggi si vedono i profondi tagli sulla parete, operati dagli schiavi al servizio dell’ esercito romano. Questi blocchi venivano precipitati a valle e cadevano proprio dove oggi sorge il ponte. Questi massi venivano, poi, lavorati e messi in opera o adoperati per fare la calce nella fornace adiacente, anch’essa ritrovata in passato. Le fondazioni del ponte si trovano ad profondità di circa 1,50 m dal piano attuale del greto del fiume. Sono costituite da una platea di due ordini di blocchi squadrati e sovrapposti per una larghezza di 5 m e una lunghezza pari a quella del ponte compresa la rampa di salita dell’estremo più basso. L’altezza di questa platea e circa di 1,50 m. La volta è costituita da due archi concentrici a tutto sesto di blocchi squadrati di tufo secco sfalsati. Il secondo arco è in tufo per le parti prospettiche e in pietrame e pozzolana all’interno, a copertura del primo arco portante. Da rilevare che a Roma il primo esempio di costruzione a doppio arco concentrico si ebbe nello sbocco della Cloaca Massima costruita nel 580 a.C.

L’arco portante è impostato direttamente sulla platea di fondazione, senza pile di appoggio, e il secondo arco ha solo funzione di rinforzo e di contrappeso al primo. La lunghezza dell’ arco è di 21,50 m mentre la larghezza è di 3,55 m. L’altezza massima è di 11 m rispetto all’attuale piano del fiume.

I romani in virtù dell’ importanza del ponte, lo costruirono in modo da sfidare il tempo e le intemperie, comprese le piene del Savuto (“Il Savuto è gonfio di verno e porta alberi all’impiedi “ scriveva il Padula ) .

Lo costruirono a secco, sapevano già allora che diversi materiali non davano la certezza di durare, proprio per la diversa dilatazione dei singoli materiali. I blocchi di tufo al contrario dopo oltre duemila anni si sono suturati con il calcare scioltosi dalle stesse pietre, tanto da formare un unico blocco.

Il piano di calpestio, la cui lunghezza totale è di 48 m, è stata costruito in muratura con pietrame di fiume e pietra pozzolana. Da un lato troviamo una tipica rampa romana che poggia sulla roccia della collina. Sull’ altro lato poggia invece su un arco trasversale chiuso da muri dallo spessore di 50 cm. Accanto al ponte, nei suoi estremi, esistono i resti di due garitte, utilizzate per riparare le truppe a protezione del ponte, resti ormai irrimediabilmente compromessi. Vicino al ponte, invece, sulle fondamenta di caseggiati romani è stata costruita una vecchia casa colonica , rudere anch’ esso e in parte sede della chiesetta di S. Angelo.

L’antica tradizione popolare diede a questo ponte il nome di Annibale il Cartaginese, ma gli studi, condotti dallo storico meridionale Eduardo Galli nel 1806, pare neghino queste convinzioni. Lo studioso, infatti, afferma che: “I ritrovamenti, nelle vicinanze, di embrici, di vasi, di monete imperiali, hanno generato nelle anime semplici dei paesani la falsa credenza che Annibale, prima di partire dall’Italia, ci abbia dimorato lungamente costruendo perfino il ponte e che perciò porta il suo nome”.

A smentire questa tesi è, anche, lo stile prettamente romano, l’analisi di cippi miliari sulla via Popilia, e la data di costruzione della detta via Popilia, tra il 131 ed il 121 a.C., cioè ottanta anni dopo il passaggio del generale.

Secondo un’altra leggenda, codesto ponte è conosciuto anche con il nome di ponte S. Angelo, proprio per la presenza di una chiesa dedicata a questo Santo: si racconta che questi abbia sconfitto il diavolo proprio sul ponte e quest’ultimo per rabbia tirando un calcio alla spalla destra del ponte provocò una lesione. Tale lesione non è oggi visibile, poiché fu ricucita durante il restauro avvenuto nel 1961.

Attualmente il ponte è uno tra monumenti recensiti e sotto protezione dell’ Unesco ma, inspiegabilmente, pur essendo tra i ponti più antichi d’Italia, è fuori da ogni circuito turistico sia regionale che nazionale.

Vicino al ponte, un tempo luogo di una caratteristica fiera di animali andata perduta per via della attuale legislazione in materia di vendita di animali, esiste un punto attrezzato per scampagnate, dotato di tavoli, panche e fornelli per la cottura alla brace; la legna intorno non manca. Segnaliamo anche la presenza di una fonte di acqua, all'interno del punto attrezzato, di eccellente qualità .

Il 29 di settembre è una tradizione Sciglianese il cotto di capra proprio in questa area attrezzata, che, tempo permettendo, raccoglie molti buongustai locali”

Pubblicato in Lamezia Terme

Scrive il sindaco Rocca del comune di Nocera terinese.

“Cari cittadini,

avrete letto che nei giorni scorsi la Guardia di Finanza e la Guardia Forestale della Provincia di Cosenza hanno posto sotto sequestro 3 depuratori del Comune di Scigliano (Cs) che sversavano, senza che le acque venissero depurate, direttamente in alcuni torrenti a loro volta affluenti del fiume Savuto.

Fiume che, dopo pochi chilometri, sfocia nel territorio di Nocera Terinese.

Da qui la presenza, per fortuna saltuaria, di liquami nel nostro tratto di mare.

Lo avevamo affermato anche nei post precedenti e continuiamo a dirlo: purtroppo la sporcizia del mare non dipende dal depuratore di Nocera, attualmente funzionante.

La nostra Amministrazione è nelle condizioni di gestire nel migliore dei modi l’impianto, e col finanziamento ottenuto di recente andrà ancora meglio, ma finché tutti gli altri depuratori, soprattutto quelli collocati nei paesi “interni”, non saranno messi a norma, ci sarà ben poco da fare.

La speranza è che le cose migliorino sia grazie all’assunzione di responsabilità delle altre amministrazioni comunali che hanno il dovere di mettere a norma i loro impianti, sia per merito dell’opera degli inquirenti che spesso silenziosamente riescono a scoperchiare il marcio dei depuratori là dove si annida.

Siamo consapevoli del pessimo momento economico che stanno attraversando gli Enti Locali, ma così come il Comune di Nocera Terinese fa fronte ai suoi doveri pur con enormi sacrifici, così tocca fare anche agli altri.

Non siamo più disponibili a subire le conseguenze della mancata assunzione di responsabilità delle altre Amministrazioni comunali”.

Il sindaco di Nocera Terinese ricorda, giustamente, che l’ambiente deve essere tutelato da tutti , che è inutile gridare se si trova un mare sporco se ancora oggi si scoprono vasche di depurazione che non assolvono ad alcuna funzione.

Pubblicato in Lamezia Terme

Scigliano (cs) – 22 giugno 2015 – Una operazione congiunta di Guardia Di Finanza e Corpo Forestale dello Stato ha portato nei giorni scorsi al sequestro nel Comune di Scigliano (cs) di tre manufatti adibiti a vasche di depurazione. In particolare il controllo degli uomini delle Forze dell’Ordine ha interessato le località “Pellara”, “Lupia” e “Piano d’Orlando”.

Nella prima, dove confluiscono le acque reflue dell’abitato della frazione “Diano”, l’accertamento ha evidenziato la presenza di alcune vasche non funzionanti e prive di autorizzazione.

Tali rifiuti allo stato liquido non subendo alcun processo di trattamento depurativo, venivano sversati in un fosso adiacente per poi finire in alcuni torrenti naturali.

Nel secondo manufatto, o pseudo depuratore confluiscono le acque reflue delle abitazioni della frazione Calvisi, le quali anche in questo caso che senza subire alcun processo di depurazione sversano nel torrente Vallone del Monaco che successivamente si immette nel Fiume Savuto con conseguente danneggiamento ed alterazione dell’equilibrio chimico-fisico e biologico del corso d’acqua.

Infine il terzo controllo è stato effettuato a “Piano d’Orlando” ad un manufatto che raccoglie le acque della linea fognaria delle abitazioni della frazione “Travers”.

Acque che poi venivano sversate a cielo aperto nei terreni circostanti rappresentati da comprensori boscati di specie varie con limitrofi terreni agricoli.

A seguito dell’accertamento si è quindi provveduto al sequestro dei manufatti e al deferimento degli amministratori comunali per attività di gestione non autorizzata di rifiuti speciali, essendo il tutto effettuato senza le dovute autorizzazioni e nulla osta previsti ai sensi del decreto legislativo 152/2006 che regola tale attività.

Pubblicato in Cosenza
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