Il 6 gennaio, in occasione della festa dell’Epifania, anche nel mio paese San Pietro in Amantea arrivava la Befana, quella favolosa vecchietta così cara ai bambini di tutto il mondo perché portava e porta ancora oggi tantissimi regali.
Questo mitico personaggio, secondo l’invenzione popolare e secondo i racconti degli adulti, era una brava vecchietta, anche se molto brutta, che scendeva nelle nostre case attraverso i comignoli o si infilava attraverso i buchi della porta principale portando sulle spalle un sacco stracolmo di doni e di giocattoli. Si spostava rapidamente andando a cavallo di una scopa magica.
Gli elicotteri non erano stati ancora inventati.
Si trattava di una figura ambivalente, perché metteva paura solo a guardarla a come veniva raffigurata, molto temibile per i suoi poteri magici:
Volava, penetrava nelle case, sapeva in anticipo chi era stato buono o cattivo.
Tutti questi poteri, tuttavia, erano esercitati in fin di bene: essa recava i doni.
E questa era per noi la cosa principale.
Noi l’aspettavamo con ansia e preoccupazione e la notte del 5 gennaio immancabilmente appendevamo una lunga calza vicino il caminetto.
Quello era il posto ideale.
-Nonna, nonna- domandavamo con tanta insistenza – verrà anche quest’anno la Befana?-
-Ma certo che verrà. Se siete stati buoni e bravi vi riempirà anche quest’anno la calza di bei regali-.
-Siamo stati bravi, nonna, dunque verrà anche per noi?-
-Ma certo, miei cari nipotini! Verrà anche per voi e per tutti i bravi bambini italiani. Questa notte a fianco a lei ci sarà un grande uomo che le suggerirà dove andare. Le dirà a chi portare i doni e quali giocattoli e regali infilare nella calza-.
E quali erano i regali che noi aspettavamo? Qualche castagna, qualche fico, due arance, due mandarini, tre o quattro caramelle al miele “Ambrosoli”, qualche cioccolatino, alcuni spiccioli, un soldatino di stagno.
Per i più fortunati una bambolina di pezza, un cavalluccio di carta pesta con le rotelline, una macchinina di latta.
Chi era quell’uomo che secondo il racconto della nonna volava al suo fianco e le suggeriva dove andare e cosa infilare nella calza?
Quell’uomo era Mussolini, il nostro Duce, che voleva tanto bene ai bambini, ai Figli della Lupa, ai Balilla, alle Piccole Italiane.
Quella notte io sognai la Befana e mi svegliai piangendo perché mi sembrava che si fosse dimenticata di me.
Fui tranquillizzato dalla nonna e mi addormentai.
Nel sogno vidi il Duce il quale con mano ferma strattonava la vecchietta e le diceva:- Ti sei dimenticata di questo bambino, come mai?
Perché non gli dai qualche giocattolo?
E’ forse stato cattivo?
No, i Figli della Lupa non sono mai cattivi.
Fai la brava, riempi la sua calza e voliamo via perché si sta facendo giorno ed io ho molto da fare-.
Era un ordine del Duce e la vecchietta, anche se a malincuore, dovette obbedire.
E così, anche nella mia calza, appesa vicino al caminetto della nonna, infilò qualcosa.
La Mattina mi alzai di buonora e corsi verso il caminetto e trovai la calza piena.
Ero felicissimo.
Gli altri bambini, quelli meno abbienti, che non avevano ricevuto la visita della Befana, si recarono frettolosamente alla Casa del Fascio e lì trovarono i regali che la Befana e il Duce avevano lasciato
Per loro c’era la Befana fascista.
Ogni bambino riceveva il suo dono e se lo stringeva felice al seno.
Alcuni, poi, quelli più poveri, ricevevano dei pacchi dono con dentro giocattoli, bambole di pezza, vestitini, scarpe, libri, quaderni, farina, zucchero, marmellata.
Erano tutti felicissimi.
Il nostro Duce e la Befana avevano pensato anche a loro.
Non avevano dimenticato nessuno.
Aveva ragione la mia cara nonna.
Anche quell’anno era arrivata puntualmente la Befana.