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Vibo Valentia. Svolta nelle indagini sull’autobomba che il 9 aprile scorso ha ucciso il 42enne Matteo Vinci e ferito gravemente il padre a Limbadi, nel Vibonese.

 

 

 

 

Dalle prime luci dell’alba è scattata un’operazione antimafia dei carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo e del Ros che stanno eseguendo 6 provvedimenti di fermo a carico di altrettanti esponenti della famiglia Mancuso.

I fermi sono scaturiti dalle indagini condotte dai carabinieri e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e riguardano i Di Grillo-Mancuso, vicini dei Vinci – che con la famiglia della vittima hanno da tempo un contenzioso per dei terreni confinanti – e imparentati con alcuni dei boss del noto clan di ‘ndrangheta di Limbadi.

I FERMATI Ecco i nomi delle persone fermate nell’ambito dell’inchiesta sull’autobomba che il 9 aprile scorso ha ucciso il 42enne Matteo Vinci e ferito gravemente il padre a Limbadi: Vito Barbara, 28 anni (marito di Lucia Di Grilllo), Domenico Di Grillo, 70 anni, Lucia Di Grillo, 28 anni (figlia delle coppia Grillo-Mancuso), Rosina Di Grillo, 36 anni (figlia delle coppia Grillo-Mancuso), Rosaria Mancuso, 63 anni (moglie di Domenico Grillo), Salvatore Mancuso, 46 anni (fratello di Rosaria).

Ed ecco cosa dice Gratteri

   In seguito agli arresti dei Mancuso-Di Grillo, il procuratore capo di Catanzaro esorta i vibonesi a ribellarsi: «Non devono più sottostare al dominio mafioso, oggi siamo nelle condizioni di dare risposte sul piano giudiziario»

Le indagini che hanno portato all’esecuzione di un fermo di indiziato di delitto a carico di sei persone, componenti della famiglia Di Grillo-Mancuso di Limbadi, per l’omicidio di Matteo Vinci e il ferimento del padre Francesco, avvenuto attraverso un’autobomba piazzata sulla loro auto il 9 aprile scorso, svelano gli interessi criminali dei fermati.

In particolare, gli inquirenti coordinati dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, diretta dal procuratore capo Nicola Gratteri, hanno appurato che i tutti i violenti fatti criminali perpetrati rientravano in un feroce piano estorsivo dei Mancuso ai danni dei Vinci, in atto fin dal 2014 e finalizzato all’acquisizione della vasta proprietà terriera dei Vinci, confinante con quella dei Mancuso, determinati all’acquisizione ad ogni costo della proprietà tanto da ricorrere a qualsiasi mezzo, tra cui l’eliminazione fisica di tutti coloro che avessero intralciato il loro disegno criminale.

Nel complesso, le attività svolte hanno consentito, durante la fase investigativa, di procedere all’arresto per detenzione di armi e munizioni di due degli odierni fermati, Domenico Di Grillo nell’immediatezza dell’attentato perché trovato in possesso di un fucile da caccia con 40 proiettili, e Rosaria Mancuso con una pistola ed un fucile automatico con oltre 200 proiettili di vario calibro, armi nell’effettiva disponibilità degli arrestati.

All’esito dell’attività di questa notte, sono stati raggiunti dal provvedimento di fermo anche le due figlie della coppia, Lucia, 29 anni, e Rosina, 37 anni, nonché il genero Vito Barbara, 28 anni, e Salvatore Mancuso, 46 anni, fratello di Rosaria, a vario titolo interessati oltre all’azione del 9 aprile, anche al tentativo di omicidio perpetrato ai danni di Francesco Vinci il 30 ottobre 2017 quando lo stesso era stato vittima, sotto la minaccia di una pistola, di una feroce aggressione con un forcone e un’ascia.

A fare il punto in conferenza stampa anche il procuratore Nicola Gratteri.

«Ci troviamo dinanzi all’esternazione di un potere mafioso sul territorio, non è una semplice lite fra vicini - ha detto il procuratore di Catanzaro -.

Quel terreno doveva essere dei Mancuso, con le buone o con le cattive. Per noi era importante risolvere questo caso e ciò è stato possibile grazie ad una Polizia giudiziaria di qualità ed i risultati si vedono.

In questa indagine ha lavorato il colonnello Mucci del Ros insieme agli uomini del Comando provinciale di Vibo».

Da Gratteri un’esortazione ad una reazione collettiva alla pervasività mafiosa. «I vibonesi - ha detto - non devono sottostare al dominio di queste famiglie mafiose, ci sono le condizioni affinché la comunità si ribelli e denunci.

Noi siamo nelle condizioni di dare risposte sul piano giudiziario.

A Vibo - ha concluso - c`è la più alta percentuale di massoneria deviata e insieme mafiosa d’Italia, ma anche qui, in questo territorio, qualcosa sta cambiando in positivo. La gente deve convincersi che l’aria sta cambiando»

Pubblicato in Vibo Valentia

«Se non intenda avviare le procedure per accertare eventuali infiltrazioni mafiose all’interno del Comune di Limbadi (Vibo Valentia) e avviare lo scioglimento del consiglio comunale».

Questo è quanto chiesto dal deputato Riccardo Nuti, membro della commissione antimafia, in un’interrogazione rivolta al ministro dell’Interno, Marco Minniti, in merito alle presunte collusioni della giunta comunale con esponenti di spicco della cosca ‘ndanghetista dei Mancuso, «la più importante famiglia mafiosa della provincia di Vibo Valentia e una delle principali in Europa».

«Il sindaco Giuseppe Morello – continua Nuti – ha nominato assessore della sua giunta una persona legata da rapporti parentali all’organizzazione criminale.

Addirittura il vicesindaco del Comune sarebbe legato a uomini di primo piano della cosca che facevano poi da tramite tra i Mancuso e il “Mondo di Mezzo” capitolino, facente capo a Massimo Carminati e Salvatore Buzzi».

«Lo Stato – chiosa il deputato siciliano – deve intervenire immediatamente per estirpare il dubbio, concreto, di una presenza criminale a Limbadi».

«Il ministro Minniti – conclude Nuti – da calabrese non può non comprendere l’esigenza che una terra martoriata dalla ‘ndrangheta, com’è la Calabria, ha bisogno di una maggiore vicinanza dello Stato e delle sue autorità. Urge combattere le mafie, a cominciare proprio da quelle terre che per troppo tempo sono state abbandonate a loro stesse, da una politica sorda e spesso complice».

 

Pubblicato in Vibo Valentia

Da un controllo effettuato dalla Polizia Giudiziaria operante, unitamente a personale dell’Arpacal di Vibo Valentia, è emerso, infatti, che i titolari dell’opificio realizzavano un illecito smaltimento di rifiuti, disperdendo nell’ambiente il percolato di sansa prodotto dal processo di molitura delle olive e sversando le acque di lavaggio in un fossato limitrofo, in assenza della necessaria autorizzazione.

 

Per tali infrazioni, il personale operante ha deferito i titolari del frantoio per il reato di illecito smaltimento di rifiuti e contestato la violazione amministrativa relativa allo scarico non autorizzato, per la quale, ultima, è prevista una sanzione amministrativa oscillante da 6.000 a 60.000 euro.

 

 

Ai titolari del frantoio sono state infine imposte le prescrizioni volte a allo smaltimento corretto dei rifiuti prodotti.

 

 

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