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Abbiamo scritto l’articolo dal titolo “L’Italia , la TARI e le due giustizie” evidenziando che in Calabria i TAR si sono orientati a sostenere la illegittimità delle delibere assunte oltre la data, stabilita dall’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), per la deliberazione del bilancio di previsione per fissare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di competenza degli stessi , prevedendo, nel contempo, che in caso di mancata approvazione entro il termine indicato, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno, mentre il TAR Friuli ex adverso ha sostenuto che il MEF per impugnare una delibera deve risultare portatore nello specifico di un’utilità ricavabile dall’annullamento degli atti impugnati e che nel caso della TARI non lo sarebbe. (Vedasi in merito in basso le due decisioni).

Concludevamo chiedendoci se fosse “possibile adire il Consiglio di Stato in presenza di un siffatto orientamento del tribunale amministrativo friulano” e se il comune di Amantea desse incarico o meno”

Ed ecco che la giunta comunale, che nella udienza presso il TAR Calabria non si è nemmeno costituita, con delibera n 152 del 21 luglio( pubblicata solo il 9 agosto), prende atto della sentenza relativa a Mariano del Friuli da noi pubblicata e nella quale si legge “ non si vede quale utilità potrebbe ottenere il Ministero ricorrente dall’annullamento delle citate delibere, se non un mero ripristino della legalità, questione questa che non può di per sé fondare l’interesse al ricorso amministrativo sulla base dei principi del codice” e decide di ricorrere affidando l’incarico al famoso studio legale “Manzi e Reggio d’Aci”.

Ora non resta che aspettare la pronuncia del Consiglio di Stato.

Ed eccovi le due sentenze:

Catanzaro. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria(Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1839 del 2015, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del suo Sindaco in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro, domiciliato presso gliUffici di questa, in Catanzaro, alla via G. Da Fiore, n. 34; contro

Comune di Amantea, in persona del suo Sindaco in carica; per l'annullamento della delibera n. 37 del 12 agosto 2015, con la quale il Consiglio comunale di Amantea ha determinato le tariffe TARI per l’anno 2015.

Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2016 il dott. Francesco Tallaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. - Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha impugnato la deliberazione n. 37 del 12 agosto 2015, pubblicata in data 14 agosto 2015, con la quale il Consiglio comunale di Amantea ha determinato, per l’anno 2015, le tariffe TARI.

Il Ministero ricorrente ha dedotto due motivi di ricorso, con i quali ha rilevato:

1) la violazione del termine perentorio di cui al combinato disposto dell’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dell’art. 151 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, dell’art. 1, comma 683 l. 27 dicembre 2013, n. 147;

2) l’incompetenza, la carenza di potere, la violazione dell’art. 23 Cost., la violazione dell’art. 53, comma 16 l. 23 dicembre 2000, n. 388.

2. - Il Comune di Amantea non si è costituito.

3. - Il ricorso è stato trattato all’udienza pubblica del 15 giugno 2016.

4. - Va premesso che, per come già affermato dalla giurisprudenza di questa Sezione (T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 21 marzo 2014, n.n. 570, 571, 572, 573, confermata da Cons. Stato, Sez. V, 17 luglio 2014, n. 3817), risulta applicabile alla fattispecie la norma di cui al comma 4 del richiamato art. 52, secondo la quale “Il Ministero delle finanze può impugnare i regolamenti sulle entrate tributarie per vizi di legittimità avanti gli organi di giustizia amministrativa”. Si tratta un’ipotesi di legittimazione straordinaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sicché la possibilità di impugnare gli atti degli enti locali in materia di tributi, conferita al Ministero dalla norma richiamata, prescinde necessariamente dall’esistenza di una lesione di una situazione giuridica tutelabile in capo ad esso, che determini l’insorgere di un interesse personale, concreto e attuale all’impugnazione, giacché l’attribuzione della legittimazione straordinaria è prevista dal legislatore esclusivamente in funzione e a tutela degli interessi pubblici la cui cura è affidata al Ministero stesso.

5. - Nel merito, la delibera impugnata, che ha determinato le tariffe TARI per l’anno 2015, è stata adottata dal Consiglio comunale di Amantea in data 12 agosto 2015.

L’art. 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) impone agli enti locali di fissare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di competenza degli stessi entro la data fissata dalla norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione, prevedendo, nel contempo, che in caso di mancata approvazione entro il termine indicato, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.

Nello stesso senso dispone l’art. 53, comma 16 l. 23 dicembre 2000, n. 388, e, con specifico riferimento alla TARI, l’art. 1, comma 683 l. 27 dicembre 2013, n. 147, il quale ultimo – tra l’altro – espressamente attribuisce la competenza al Consiglio comunale.

Per l’anno 2015, il termine per la deliberazione del bilancio di previsione è stato fissato al 30 luglio 2015 dal decreto del Ministero dell’Interno del 13 maggio 2015.

Il termine fissato per la deliberazione delle modificazioni di tariffe e tributi ha carattere perentorio, come si desume dalla previsione di cui al menzionato art. 1, comma 169, per la quale, in caso di mancata approvazione entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.

Ne consegue che la deliberazione consiliare impugnata è stata adottata successivamente alla data del 30 luglio 2015 e, quindi, oltre il termine perentorio di cui sopra ed è, quindi, illegittima.

Pertanto, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento della deliberazione impugnata, restando assorbiti i motivi non esaminati.

6. - Trattandosi di controversia tra pubbliche amministrazioni, sussistono i presupposti per compensare integralmente le spese e le competenze di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la delibera n. 37 del 12 agosto 2015, con la quale il Consiglio comunale di Amantea ha determinato le tariffe TARI per l’anno 2015.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Salamone, Presidente Francesco Tallaro, Referendario, Estensore Germana Lo Sapio, Referendario

Il 17/06/2016

Friuli Venezia Giulia

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia(Sezione Prima) ha pronunciato la presenteSENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4 del 2016, proposto da: Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;

contro

Comune di Mariano del Friuli, rappresentato e difeso dall'avv. Luca De Pauli, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del T.A.R. in Trieste, piazza Unita' D'Italia 7;
Regione Friuli Venezia Giulia;

per l'annullamento

omissis

della deliberazione del Consiglio Comunale di Mariano del Friuli n. 18, del 16.10.2015, recante determinazione delle tariffe della tassa sui rifiuti (TARI) per l'anno 2015;

omissis

di tutti gli atti presupposti e consequenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Mariano del Friuli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2016 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Agisce in giudizio il ministero dell’economia e finanze per l’annullamento di tre delibere del consiglio comunale di Mariano del Friuli:

1. La deliberazione n. 16 del 16 ottobre 2015 recante la modifica del regolamento dell’imposta unica comunale;

2. La deliberazione n. 18 della stessa data recante la determinazione delle tariffe della tassa sui rifiuti TARI;

3. La deliberazione n. 19 recante l’approvazione del tributo per i servizi indivisibili TASI.

Osserva il ministero ricorrente di aver ricevuto dal Comune le delibere impugnate e di averne rilevato alcuni vizi di legittimità, invitando il comune in via di autotutela ad annullare detti atti. Il Comune ha replicato osservando come la legge di stabilità per il 2016 prevedeva una sanatoria.

In via di diritto il ministero deduce i seguenti vizi:

A. Violazione dell’articolo 1 comma 169 della legge 296 del 2006 e dell’articolo 1 comma 683 della legge 147 del 2013, in quanto le delibere gravate sarebbero state adottate oltre il termine fissato per l’anno 2015 per l’approvazione del bilancio di previsione.

Osserva il ministero come per la determinazione della aliquote e tariffe dei tributi locali l’articolo 1 comma 169 della legge 296 del 2006 prevede che i comuni deliberano le tariffe le aliquote entro la data fissata per il bilancio di previsione; se approvate entro detta data hanno effetto dal 1 gennaio dell’anno di riferimento invece in caso di mancata approvazione nel predetto termine le tariffe si intendono prorogate di anno in anno. Tale principio è anche stabilito con riferimento alla TASI e alla TARI.

Per la regione Friuli Venezia Giulia gli enti locali deliberano il bilancio di previsione entro il 31 dicembre; per l’anno 2015 il termine è stato prorogato al 30 settembre 2015.

Nel caso in esame gli atti impugnati sono state approvati il 16 ottobre 2015 e quindi oltre il termine di legge. Tale termine ha natura perentoria come stabilito dal Consiglio di Stato, da alcuni Tribunali amministrativi regionali oltre che dalla Corte dei conti in varie pronunce. Quanto alla sanatoria essa non si applicherebbe alle delibere approvate dopo il 30 settembre 2015.

B. Come secondo motivo deduce l’illegittimità delle delibere per violazione dell’articolo 3 dello statuto del contribuente - legge 212 del 2000. Il comune ha aumentato l’imposta ai contribuenti residenti per un periodo di imposta già trascorso; ciò sarebbe illegittimo anche perché l’articolo tre dello statuto di contribuenti assume il valore di una norma di principio.

C. Le delibere sono viziate altresì per incompetenza, carenza di potere e violazione dell’articolo 23 della costituzione e dell’articolo uno comma 169 della legge 296 del 2006. Il comune ha adottato la delibera in data successiva rispetto al termine perentorio prorogato per la regione al 30 settembre 2015. Ha esercitato quindi un potere che la legge non gli attribuiva, violando inoltre il principio di cui all’articolo 23 della carta costituzionale.

Resiste in giudizio il comune che eccepisce la carenza di interesse al ricorso, in quanto le modifiche sono tutte favorevoli al contribuente, introducendo esenzioni e diminuzioni del carico fiscale rispetto all’anno contributivo precedente. L’unico interesse del ministero è un generico ripristino della legalità violata e quindi si tratta di un ricorso inammissibile.

Quanto al merito osserva come il termine non può essere considerato perentorio; contesta anche le restanti censure concludendo in conformità.

Con memoria depositata il 19 marzo 2016 il ministero riafferma il proprio interesse sulla base delle prerogative di coordinamento di cui all’articolo 52 comma quattro del decreto legislativo n. 446 del 1997. Ribadisce poi le proprie tesi nel merito.

Con memoria di replica depositata il 30 marzo 2016 il comune insiste sull’eccezione di carenza di interesse al ricorso. Nel merito ribadisce la natura non perentoria del termine per l’approvazione delle delibere.

Infine nella pubblica udienza del 20 aprile 2016 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. Viene all’esame il ricorso del Ministero dell’economia e finanze avverso il comune per l’annullamento delle tre delibere adottate in materia di tributi locali in data 16 ottobre 2015, oltre il termine previsto nella regione per il 30 settembre 2015.

2. La prima questione all’esame del collegio riguarda l’interesse del Ministero a tale impugnazione.

Ritiene questo collegio che l’interesse al ricorso non venga sufficientemente esplicitato dal ministero ricorrente.

Questo si limita invero a richiamare i suoi poteri di coordinamento in materia di finanza pubblica e in particolare l’articolo 52 comma quattro del decreto legislativo 446 del 1997, il quale peraltro non sostanzia un interesse specifico all’impugnazione delle tre delibere comunali.

Conviene riprodurre l’art 52 del d lgs 446 del 1997

Potestà regolamentare generale delle province e dei comuni.

• 1. Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti.

2. I regolamenti sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell'anno successivo. I regolamenti sulle entrate tributarie sono comunicati, unitamente alla relativa delibera comunale o provinciale al Ministero delle finanze, entro trenta giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi e sono resi pubblici mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale. Con decreto dei Ministri delle finanze e della giustizia è definito il modello al quale i comuni devono attenersi per la trasmissione, anche in via telematica, dei dati occorrenti alla pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale dei regolamenti sulle entrate tributarie, nonché di ogni altra deliberazione concernente le variazioni delle aliquote e delle tariffe dei tributi.

3. Nelle province autonome di Trento e Bolzano, i regolamenti sono adottati in conformità alle disposizioni dello statuto e delle relative norme di attuazione.

4. Il Ministero delle finanze può impugnare i regolamenti sulle entrate tributarie per vizi di legittimità avanti gli organi di giustizia amministrativa.

omissis

3. Invero, non risulta sufficiente l’astratta possibilità di impugnare una delibera per sostanziare in concreto l’interesse del ministero ricorrente, che deve risultare portatore nello specifico di un’utilità ricavabile dall’annullamento degli atti impugnati.

Infatti, in mancanza di ogni indicazione in ordine alla legittimazione e all'interesse ad agire, la domanda giudiziaria proposta innanzi al giudice amministrativo si traduce in una mera e inammissibile richiesta di ripristino della legalità violata (T.A.R. Napoli, sez. V, 06/07/2011, n. 3563).

4. In particolare, il Ministero non spiega i motivi per i quali le delibere gravate si presenterebbero lesive della sua sfera giuridica ovvero degli interessi pubblici di cui è portatore, omettendo di illustrare i meccanismi in forza dei quali, operando una rigorosa applicazione del rapporto causa-effetti, dall'annullamento di dette delibere potrebbero derivare effetti favorevoli per la propria sfera giuridica, limitandosi genericamente a denunciare una presunta loro difformità dalla legge, per quanto concerne la tempistica della loro approvazione.

5. Invero, secondo una nota e costante giurisprudenza: “Perché l'azione giurisdizionale possa dirsi ammissibile, l'interesse processuale deve presupporre, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed attuale dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio, nonché l'idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo interesse sostanziale, tale che in mancanza dell'uno o dell'altro requisito l'azione è inammissibile. Nell'ambito del processo amministrativo l'interesse a ricorrere deve, pertanto, intendersi caratterizzato dalla presenza dei medesimi requisiti sostanziali che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c. ovvero dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato. In tal senso, invero, sarebbe del tutto inutile eliminare un provvedimento o modificarlo nel senso richiesto dal ricorrente, se questi non possa trarne alcun beneficio concreto in relazione alla sua posizione legittimante (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3.9.2009, n. 5191).

6. In altri termini, non si vede quale utilità potrebbe ottenere il Ministero ricorrente dall’annullamento delle citate delibere, se non un mero ripristino della legalità, questione questa che non può di per sé fondare l’interesse al ricorso amministrativo sulla base dei principi del codice.

7. L’esame delle censure di merito conforta tale tesi, perché in esse si contesta il mancato rispetto del termine per l’approvazione delle delibere nonché la violazione dello statuto del contribuente, tutte questioni che non incidono sulle prerogative del Ministero né sugli interessi istituzionali di cui risulta portatore.

8. Per le su indicate ragioni il presente ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna il Ministero ricorrente al pagamento a favore del Comune delle spese e onorari di giudizio che liquida in euro 3.000, oltre alle spese accessorie.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2016

Pubblicato in Cronaca

Il comune di Joppolo non andava sciolto per ‘ndrangheta. Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar Lazio.

A febbraio 2014 il ministro Angelino Alfano disponeva lo scioglimento del comune di Joppolo.

La commissione di accesso inviata ad aprile 2013 era guidata da Anna Aurora Colosimo, capo di gabinetto della Prefettura di Vibo Valentia, da Francesco Di Pinto, capitano dei carabinieri comandante della Compagnia di Tropea, e da Angelo Daraio, vice questore aggiunto e ufficiale del Corpo Forestale dello stato in servizio presso il comando provinciale di Vibo Valentia.

Il sindaco Giuseppe Dato ed altri tre consiglieri di maggioranza avevano proposto ricorso al Tar del Lazio che con sentenza depositata mercoledì 3 giugno 2015 lo hanno accolto annullando il decreto di scioglimento del consiglio comunale di Joppolo ed ordinando il ripristino degli organi elettivi.

La sentenza, in sostanza, si pone in linea con una precedente decisione del Tribunale di Vibo Valentia che aveva respinto la proposta di incandidabilità dell’ex sindaco e di due ex assessori.

Il ministero propose ricorso al Consiglio di Stato che si è ora si è pronunciato confermando la legittimità degli atti consiliari, di giunta e dei singoli responsabili delle aree.

Ovviamente il sindaco Dato non ha escluso la possibilità di valutare la richiesta di un congruo risarcimento per danni morali e materiali per l’ingiusto scioglimento del consiglio.

In diversi casi gli amministratori hanno lamentato la lesione del diritto alla reputazione, al decoro ed all’onore, nonché al diritto alla vita di relazione, con conseguente danno esistenziale, nonché il diritto all’identità personale ed alla salute psico-fisica, giungendo ad affermare di aver subito danni materiali, nella misura dell’indennità di funzione non percepita a seguito del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale.

Siamo curiosi di sapere se sarà riconosciuto un qualche indennità, stante la novazione della Sentenza n. 5841 del 12 novembre 2014 del Consiglio di Stato che non ha riconosciuto alcun danno.

Al contrario siamo curiosi di sapere quanto sarà valutato il danno per verificare se sarà usato lo stesso parametro di Amantea o quello molto più basso di altri comuni nei quali sempre il CdS abbatteva l’importo della metà stante il mancato concreto svolgimento dell’incarico.

Vi faremo sapere.

Pubblicato in Cronaca

Il Tar di Catanzaro con propria sentenza ha affermato «la responsabilità del Comune di Lamezia Terme per i danni cagionati alla Icom srl».

La sentenza ha esposto l`ente lametino al rischio di un maxi risarcimento.

Gli avvocati della società, infatti - Guido Alpa, presidente del Consiglio nazionale forense, e Alfredo Gualtieri, noto amministrativista del Foro di Catanzaro - lo avevano quantificato in ben 53 milioni di euro.

In pratica i cittadini lametini, su cui ricadranno le spese che il comune dovrà sostenere per ripagare i danni alla Icom, saranno costretti a sborsare indirettamente a favore del già facoltoso imprenditore catanzarese, una somma pari a 746,47 euro a testa che per una famiglia di quattro unità corrisponderebbe a 2985,91 euro.

Ma ora il Consiglio di Stato ribalta la sentenza del TAR e “salva” il comune di Lamezia Terme. Ecco la sentenza :

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul   ricorso   numero   di   registro   generale   5097   del   2014,   proposto   da:

Comune di Lamezia Terme, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Anastasio Pugliese, Aristide Police, con domicilio eletto presso Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti 11;

contro

Icom Srl, in persona del legale rappresentante rappresentato e difeso dagli avv. Luisa Torchia, Alfredo Gualtieri, con domicilio eletto presso Luisa Torchia in Roma, viale Bruno Buozzi 47;

per la riforma della   sentenza   del   T.A.R.   CALABRIA CATANZARO   :SEZIONE   I   n. 01177/2013, resa tra le parti, concernente condanna al risarcimento danni per illegittimo diniego del permesso di costruire per la realizzazione di un retail entertainment center regionale denominato "Borgo antico".

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Icom Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2015 il Cons. Sandro Aureli e uditi per le parti gli avvocati Aristide Police, Luisa Torchia e Alfredo Gualtieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con la sentenza in epigrafe il giudice di primo grado ha reso una sentenza parziale, avendo accolto il ricorso proposto da parte appellata con la seguente formulazione riportata nel dispositivo: “non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dichiara la responsabilità del Comune di Lamezia Terme per i danni prodotti alla Icom S.r.l. in conseguenza dei fatti di cui in motivazione e dispone, ai fini della quantificazione degli stessi,gli incombenti istruttori di cui alla motivazione stessa”.

Dalla motivazione della sentenza si ricava che la sussistenza della responsabilità del Comune è connessa alla lesione dell’interesse legittimo pretensivo, avendo l’Ente adottato un illegittimo diniego di permesso di costruire, segnatamente con nota del 20 ottobre 2005, annullata, invero, con sentenza dello stesso primo giudice n.122 del 6 febbraio 2006, successivamente confermata da questo Consesso con sentenza n.2436 del 2009.

A causa di ciò, si sostiene, parte appellante non ha potuto realizzare l’intervento in variante denominato “Borgo antico”, consistente in un insediamento produttivo di vaste dimensioni.

Ha quindi ritenuto il giudice di primo grado che l’Amministrazione aveva agito con colpa, determinando un danno ingiusto alla parte appellata, senza inoltre che nel suo comportamento potessero emergere le condizioni per riconoscere l’errore scusabile.

A monte di tale conclusione la sentenza in esame ha escluso che nei riguardi di parte appellata potessero essere individuati, a mente del comma 3° dell’art.30, gli estremi del comportamento colposo, con la precisazione che, quand’anche così dovesse ritenersi, gli effetti si determinerebbero non sull’an debeatur, ma soltanto sul quantum del risarcimento dovuto.

Della riferita decisione parziale, il Comune appellante chiede la riforma con articolato   gravame,   essenzialmente   imperniato,   anche   con   il   supporto   di un’analitica esposizione dei fatti di causa, sulla dimostrazione del comportamento colposo tenuto da parte appellata nella vicenda in vertenza.

Resiste   al   gravame   la   stessa   parte   appellata,   chiedendone   il   rigetto   con argomentazioni del tutto in linea con quelle esposte nella sentenza appellata.

Entrambe le parti hanno presentato memorie con le quali hanno ulteriormente illustrato le rispettive ragioni.

All’udienza di discussione la causa è passata in decisione, essendo stata respinta la richiesta di rinvio presentata da parte appellata con la memoria datata 5 novembre, motivata con l’opportunità di attendere il deposito della consulenza tecnica disposta dalprimo giudice per la quantificazione del danno da porre a carico del Comune di Lamezia Terme.

L’appello è fondato.

Il primo giudice, dopo aver qualificato l’interesse leso dal Comune come interesse legittimo pretensivo, ha escluso che parte appellata avesse posto in essere un comportamento colposo inquadrabile nell’art. 30 punto 3 seconda parte c.p.a., integrante   ipotesi   di   esclusione   del   risarcimento   del   danno   a   carico dell’Amministrazione i cui atti siano stati annullati.

A tal riguardo giova ribadire che l’interesse pretensivo è quell’interesse che viene soddisfatto dal provvedimento favorevole che l’amministrazione adotta su istanza dell’interessato.

Per effetto di tale provvedimento la parte ottiene la possibilità di conseguire il bene della   vita   correlato all’interesse riconosciuto legittimo dal provvedimento favorevole.

Nella fattispecie, è pacificamente prescritta l’azione risarcitoria conseguente al primo provvedimento di diniego illegittimo (annullato con sentenza del T.a.r. della Calabria n. 2671/2003), mentre il secondo provvedimento negativo, di cui alla deliberazione n. 240 del 2004, è antecedente all’indispensabile variante ex art.14 della legge regionale n. 19/2002.

A quest’ultimo riguardo è necessario, in vero, distinguere nella vicenda in causa tra l’interesse pretensivo alla variante, espressione di ampia discrezionalità , che è stato soddisfatto dalla sua formale approvazione, e l’interesse pretensivo al successivo rilascio del permesso di costruire di cui si dirà.

Quest’ultima posizione soggettiva è stata lesa e la si deve assumere a condizione per l’esercizio dell’ azione risarcitoria, condizione individuabile nel diniego del permesso di costruire di cui alla nota del 20 ottobre 2005, adottato nonostante che la variante urbanistica fosse stata indiscutibilmente approvata con la procedura semplificata ex art.14 della legge regionale n.19/2002.

Tale ultimo diniego è stato rimosso dal T.a.r della Calabria con la sentenza semplificata n.122 del 6 febbraio 2006, il cui effetto sostanziale è stato quello di imporre al Comune di Lamezia Terme il rilascio del permesso di costruire alla società appellata, la cui adozione, considerata l’intervenuta variante urbanistica, doveva avvenire in forza della natura, non discrezionale ma vincolata dell’atto..

Tenendo presente quanto sopra, addentrandosi ora nell’esame delle condizioni per l’azione risarcitoria collegata alla lesione dell’interesse pretensivo in vertenza, non si può sfuggire al rilievo per cui un danno risarcibile è ipotizzabile solo allorché ilrilascio del permesso di costruire viene frustrato da fatti sopravvenuti imputabili all’Amministrazione comunale, la cui incidenza sia tale da rendere definitivamente inutilizzabile (es; costruzione sulla stessa area fatta eseguire dal Comune) o giuridicamente impossibile (es; nuova variante di zonizzazione) tale suo successivo rilascio.

L’assunto appare coerente con l’art. 30 punto 3, dove, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure (pag 20 della sentenza), viene escluso il risarcimento dei danni “che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

Occorre, allora, considerare, a tal proposito, che, successivamente all’accennata sentenza n.122 del 6 febbraio 2006,non è intervenuto alcun fatto sopravvenuto imputabile all’Amministrazione che, determinando l’inutilizzabilità o l’impossibilità di rilasciare il permesso di costruire, potesse giustificare l’inerzia della società appellata per ottenere una tutela in forma specifica.

Quest’ultima società, invero, a fronte della ricordata natura di atto vincolato, ben avrebbe potuto esperire gli “strumenti di tutela previsti” dall’ordinamento per ottenere il permesso di costruire, rivolgendosi a tal fine all’Amministrazione, sia con un atto di diffida, sia, soprattutto, se del caso, giudizialmente, cioè con la proposizione di un ricorso per l’ottemperanza, che la legge n. 205 del 2000 (art.10) già aveva previsto per l’esecuzione delle sentenze di primo grado non sospese dal Consiglio di Stato.

Viceversa la Società appellata non ha promosso nessuna di tali iniziative per evitare il danno lamentato in questa sede, ponendosi di conseguenza nella condizione prevista   dalla   richiamata   disposizione   del   codice   di   rito,   con   conseguente esclusione del riconoscimento del preteso risarcimento.

Tanto vale almeno fino al 2009, quando tra l’Amministrazione appellante e la società appellata sono intervenute trattative, documentate in atti, basate sulla possibilità che quest’ultima realizzassel’insediamento produttivo di che trattasi in altra sede, secondo una richiesta da essa stessa avanzata, circostanza dedotta da parte appellante e non contestata, tale per cui sarebbe stato consentito al Comune di realizzare un impianto sportivo lì dove lavariante aveva previsto la realizzazione dell’insediamento produttivo “Borgo antico”.

Correttamente il primo giudice ha evidenziato che nessuna rinuncia all’intervento era ipotizzabile da parte della società appellata per le trattative concordemente intraprese; e tuttavia occorre ricordare che ancor oggi non si discute dell’obbligo dell’Amministrazione di rilasciare il permesso di costruire, bensì della colpa di quest’ultima per non aver consentito la realizzazione dell’intervento oggetto di tale titolo edilizio, con una condotta che la esporrebbe, in ipotesi, ad un’azione risarcitoria meritevole d’accoglimento.

In quest’ambito l’esame degli atti porta ad escludere la “rimproverabilità” della condotta tenuta dall’Amministrazione, dovendosi considerare che le trattative non sono giunte a conclusione per esclusiva colpa della società appellata, la quale, rispetto ad un accordo di massima già raggiunto, ha poi preteso d’introdurre modifiche di carattere sostanziale, come emerge dalla lettera dalla stessa inviata al sindaco in data 15 febbraio 2008 (v. pag. 32 del controappello), dove si pretendeva d’imporre maggiori oneri, in termini di cessioni di aree, non sostenibili dall’Amministrazione comunale.

Rimproverabile è, come emerge da quanto sopra osservato, la condotta di parte appellata, la quale, ove si fosse diligentemente attivata, avrebbe evitato il danno a quel bene della vita oggetto dell’interesse pretensivo, danno di cui si lamenta il verificarsi.

Insomma, il pregiudizio di cui parte appellata si duole era evitabile, posto che la complessiva condotta dovuta, secondo una valutazione di buona fede, ed in concreto omessa dalla medesima parte avrebbe prevenuto l’evolversi degli eventi erroneamente addebitati all’amministrazione.

Se il danno era evitabile, esso, come tale, va escluso, nella specie, dall’area della risarcibilità ai sensi del punto 3° seconda parte dell’articolo 30 c.p.a.; norma che, come noto, replica nella sostanza la previsione dell’art. 1227, 2° comma, del c.c. (cfr. anche Ad.Plen. n.3/2010).

Non sussistendo, per le ragioni esposte, l’an debeaturnon occorre procedere alla determinazione   delquantumdel   preteso   danno   risarcibile   richiesto,   con   i conseguenti effetti sul giudizio di primo grado tuttora pendente ai fini di tale determinazione.

L’appello in conclusione va accolto, con annullamento della sentenza impugnata, anche per gli effetti sull’ordine di ulteriore istruttoria in essa contenuto, e reiezione del ricorso di prime cure

La particolarità della fattispecie esaminata fa ritenere che le spese del giudizio possano essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la sentenza impugnata, con gli effetti   precisati   in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2015 con

l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Pubblicato in Lamezia Terme

Ha destato sorpresa la sentenza del Consiglio di Stato , sez. IV, n. 4139/2015, dichiarando illegittimi i concorsi banditi dalla regione Calabria per la progressione verticale di quasi 1000 dipendenti e che erano stati ritenuti legittimi dal Tar Calabria! .

 

Ed era facile capire che ci sarebbero state forti reazioni.

Almeno dalla parte della politica perché od oggi le OOSS sono zitte.

E forse non è un caso che il vicepresidente ed Assessore regionale al Personale prof. Antonio Viscomi sia un docente di Diritto del lavoro.

Ma ecco cosa dicono i politici: Flora Sculco:

“Occorre stare, responsabilmente, dalla parte dei circa mille dipendenti regionali. Delle loro aspettative e del loro percorso lavorativo e di vita. Non ci sono dubbi! La demagogia qui è bene che sia respinta con immediatezza”. Chi è il demagogo?

“La Regione dispone di un Vicepresidente che è anche un validissimo tecnico come il prof. Viscomi, che, insieme al Consiglio regionale, saprà seguire, con cognizione e massima attenzione, la problematica scaturente dalla sentenza del Consiglio di Stato che riguarda procedimenti concorsuali di dodici anni addietro”

“Nessuna risorsa umana può essere penalizzata. Specie ora che, dopo decenni di inerzie, si sta mettendo mano ad una riorganizzazione dell’apparato burocratico che, salvaguardando ogni diritto acquisito, punta ad avere una Regione leggera, efficiente ed utile alla Calabria”

Ed ecco cosa dice il consigliere regionale della Cdl Giuseppe Mangialavori :

“La Giunta regionale approvi subito una proposta di legge che salvaguardi i mille dipendenti regionali”.

“La sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato i decreti di selezione verticale di quasi mille dipendenti regionali rischia di trasformarsi in un vero e proprio tsunami proprio mentre la Giunta regionale si apprestava, pur con un anno di ritardo, a mettere mano alla riorganizzazione dei servizi e degli uffici della regione”.

“Occorre, giunti a questo punto, essere seri e responsabili, perché la burocrazia regionale può andare incontro a una paralisi che potrebbe protrarsi per svariati mesi, se non di più, con un impatto dagli esiti imprevedibili non solo sul passato ma anche sul futuro”.

“In queste ore, si rincorrono voci ed ipotesi tra le più disparate: nullità degli atti compiuti dai funzionari, invalidità delle successive nomine a dirigente di molti di quei funzionari, restituzione delle somme percepite per effetto dell’avanzamento di carriera e chi ne ha più ne metta! “

“Non vi è che una soluzione: il Governo Oliverio approvi una proposta di legge che salvaguardi le posizioni organizzative ed economiche di tutti i funzionari e dirigenti regionali coinvolti, secondo principi consolidati per i quali il legittimo affidamento riposto in atti della pubblica amministrazione costituisce un principio fondamentale dell’azione amministrativa da cui la funzione pubblica non può prescindere”.

“Sono sicuro che qualcuno obietterà che una legge di tal genere rischia di non superare l’esame di costituzionalità. Ma una reazione simile, da parte del governo Renzi, non sarebbe saggia. Sarebbe infatti paradossale impugnare una legge che punta a salvaguardare la posizione organizzativa ed economica di mille dipendenti della Regione Calabria che hanno riposto legittimo affidamento in un atto della pubblica amministrazione”.

“Il presidente Oliverio abbia coraggio e approvi la proposta di legge. L’immobilismo, su questa delicata vicenda, avrebbe ripercussioni negative di considerevole portata sulla burocrazia regionale e sul funzionamento della Regione”.

Ed inoltre ecco cosa dice il Vicepresidente ed Assessore regionale al Personale prof. Antonio Viscomi:

“Nessuno deve sentirsi solo in questo momento con le sua ansie e le sue angosce”.

“La sentenza del Consiglio di Stato sulle progressioni verticali rappresenta indubbiamente un fulmine a ciel sereno”

“E’ una sentenza che deve essere studiata con attenzione nei suoi possibili effetti sulla storia professionale, e quindi sulla vita personale, di molti lavoratori pubblici della Regione, alcuni ormai in pensione, altri trasferiti, altri ancora in attività e, in alcuni casi, con posizioni di responsabilità variamente definite”.

“ E’ una sentenza che deve essere valutata con lucidità e freddezza tecnico-giuridica, alla ricerca di sentieri applicativi in grado di assicurare alla Regione di non disperdere il grande patrimonio di professionalità maturato nel corso di questi dodici anni ed ai lavoratori interessati di non subire penalizzazioni indebite per un procedimento che, all’epoca in cui fu avviato, presentava tutti i crismi formali della legittimità”.

“Freddezza di analisi e lucidità di valutazione sono requisiti necessari per chi intenda operare fattivamente a tutela e garanzia dei dipendenti regionali: la fretta, come è noto, è una cattiva consigliera e potrebbe portare a soluzioni pasticciate in grado di creare effetti ancor più dannosi”.

Insomma, se voi fate sentenze non faremo leggi!

Pubblicato in Calabria

Tutto è partito dalla Calabria ( sic) la cui regione ( ma non solo essa) ha bandito concorsi in base ai quali sarebbe avvenuta la progressione di carriera di 985 dipendenti di cui 799 dipendenti per la categoria D1 e 186 per la categoria D3.

 

I concorsi sono stati banditi sulla base delle delibere della Giunta regionale n. 198 del 6 marzo 2001, n. 651 del 24 luglio 2001 e n 737 del 6 agosto 2002, concernenti la dotazione organica degli uffici regionali e sulla base dei decreti dirigenziali del 26 giugno e dell’8 luglio 2003, di indizione delle selezioni verticali alle categorie D1 e D3 per il personale dipendente della Regione .

Tra questi ci sarebbero anche nomi di grande rilievo e attualità.

Ma un laureato in Ingegneria civile ha presentato ricorso sui concorsi riservati solo ai dipendenti interni dell’amministrazione.

Il Tar Calabria, nel 2006, ha inizialmente rigettato il ricorso.

La parte, però, ha promosso appello al Consiglio di Stato che ha condannato la Regione Calabria sostenendo che essa si sarebbe sottratta “al principio del pubblico concorso, senza alcuna motivazione delle ragioni di tale deroga in violazione del principio di imparzialità e buon andamento (ex art. 97 della Costituzione), creando altresì una ingiustificata posizione di privilegio per il personale già dipendente (in violazione dell’articolo 97) ed impedendo così altrettanto ingiustificatamente di concorrere per l’accesso nella pubblica amministrazione”.

Richiamata anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 227 del 2013, n. 90 e n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011) che ha più volte ribadito che il concorso pubblico è la modalità ordinaria di accesso ai ruoli nella pubblica amministrazione poiché questo risponde ai principi costituzionali di uguaglianza e imparzialità.

Ed ora ?

Due le possibilità .

La prima è quella del silenzio: nessuno ne parla e nel silenzio si consuma il solito drammatico bilancio della emigrazione dei cervelli che la regione non vuole .

La seconda è quella della rimozione dei dipendenti e la loro ricollocazione nei ruoli e posti precedenti. Questa porterebbe alla indizione di un mega concorso per la copertura dei 985 posti ora vuoti.

Pubblicato in Calabria

Non ci stanno i consiglieri di opposizione Nicola Bruno e Francesco Cicerelli ad accettare passivamente la sentenza del Tar Calabria che non ha accolto il loro ricorso sulle vicende elettorali e li ha perfino condannato al pagamento delle spese.

 

Ed infatti ecco cosa dicono

“ Con la sentenza 23/01/2015 il TAR Calabria ha rigettato il ricorso elettorale proposto da Bruno Nicola e Cicerelli Francesco, rappresentati e difesi dall’avv. Nicola Bruno contro il Comune di Longobardi rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Saitta “…in quanto- si legge nella sentenza- il distacco tra il sindaco ed il ricorrente è di 6 voti e, conseguentemente, l’invalidità dei tre voti espressi nel seggio volante…in forza del principio di resistenza, non consente di pronunciare l’annullamento dei voti in contestazione poiché l’illegittimità denunciata al riguardo non ha influito in concreto sui risultati elettorali…”.

Ma come sembra chiedersi l’avvocato bruno se tre dei voti fossero stati assegnati a noi il risultato sarebbe stato di parità e le elezioni da ripetere!

E poi relativamente alla sentenza l’avv. Nicola Bruno dice: “ Rispettiamo la pronuncia del TAR pur non condividendone affatto il contenuto”.

Infatti, in ordine ai voti assistiti, tra le righe, “ il TAR dice che avremmo dovuto impugnare i vari certificati medici con querela di falso”.

E con riferimento alla sezione n° 3, i magistrati affermano che “anche in questo caso –si legge nella sentenza- la verbalizzazione è approssimativa”.

Ed inoltre con riferimento al cd. seggio volante, istituito presso “Villa Adelchi”, il collegio giudicante osserva che “è evidente che la verbalizzazione delle operazioni di voto è gravemente deficitaria” e sul punto conclude dicendo che “I voti espressi dagli elettori nel seggio in questione, ad eccezione di uno, sono,quindi, invalidi”.

Infine, circa la discordanza tra le schede autenticate e non utilizzate ed il numero degli elettori non votanti, alla sezione n° 4, per il TAR sono “mere irregolarità , prive di portata invalidante”.

Insomma “pur in presenza –conclude l’avv. Bruno- di riscontrate irregolarità diffuse, per il Tar non è stata fornita la prova di resistenza, ai fini dell’annullamento delle elezioni.”

Ovvia la conclusione finale:

“Ci riserviamo quindi di ricorrere in appello”.

Pubblicato in Longobardi

Ecco che emerge la verità sul porto di Amantea.

La notizia è che la quarta sezione del Consiglio di Stato ha nuovamente bocciato il porto di Scalea.

La ragione è che il progetto definitivo era totalmente differente dal progetto preliminare che aveva ottenuto i pareri favorevoli di Verifica di impatto ambientale dell’autorità regionale e dell’Autorità di bacino in ordine alla deviazione dei canali Sallegrino e Tirello.

In riferimento ai canali da intubare, il Consiglio di Stato fa notare: “l’Autorità di Bacino ha espresso sì parere favorevole al progetto definitivo, facendo però contestualmente presente che deve essere predisposta la deviazione del canale Sallegrino analogamente a quanto previsto per il canale Tirello e dettando una serie di prescrizioni volte a “garantire l’officiosità idraulica dei tratti dei due torrenti intubati”.

Fa rilevare il Consiglio di Stato “E' evidente che gli elementi fisici, morfologici e architettonici contenuti nelle progettazioni qui in discussione hanno una loro diretta incidenza sui profili di compatibilità ambientale soprattutto per ciò che attiene alla dinamica costiera, essendo agevole dedurre come possa derivare un diverso impatto ambientale a seconda della natura, predisposizione ed entità delle opere costruttive del dell’opera portuale”.

La discussa opera, quindi, al momento è stata cancellata

Soddisfazione espressa dalla vicepresidente nazionale di Italia Nostra, Teresa Liguori, la quale a nome di Italia Nostra, ha ringraziat sentitamente gli avvocati e il Comitato Scalea 2020 che hanno sostenuto l’azione legale di Italia Nostra.

Gli avvocati di Italia Nostra, Marco Nardi e Pietro Adami, hanno sostanzialmente affermato la inadeguatezza del parere favorevole di compatibilità ambientale adottato dalla regione Calabria e prima ancora del parere del Nucleo preposto al procedimento della V.I.A. in ragione dell’assenza di elementi indispensabili per la gestione di una adeguata istruttoria su cui fondare le relative determinazioni sì da inficiare la validità dell’assenso reso dall’Autorità deputata a pronunciarsi, sulla compatibilità ambientale delle opere nella progettazione definitiva.

Insomma senza il ricorso di Italia Nostra il porto sarebbe stato realizzato, salvo poi( probabilmente) la sua non collaudabilità

Meglio così che come ad Amantea dove viene sequestrato e dissequestrato, dove ogni tanto si insabbia, dove la spiaggia a su dell’opera ormai non esiste più con il rischio della interruzione della stessa viabilità nord-sud !

Pubblicato in Alto Tirreno

Ecco la nuova Giunta Sabatino ancora non pubblicata sul sito dell’ente

Giovambattista Morelli VICE SINDACO Turismo, sport, spettacolo, servizi sociali .

Sergio Tempo: Lavori Pubblici, contenzioso, Bilancio, partecipate dell’ente

Antonio Rubino : Ambiente, verde pubblico, fondi comunitari, pesca e Gruppo d’azione costiera, riordino e raccolta dei rifiuti, trasporto urbano, viabilità del capoluogo e fondi comunitari

Gianluca Cannata: Urbanistica, viabilità di Campora san Giovanni, Porto, Pip ed attività produttive

Emma Pati : Pubblica istruzione, igiene e sanità e programmazione.

A latere, e completamento, deleghe speciali per tutti

Elena Arone : coordinamento degli organismi per gli studi del centro storico ed il decentramento.

Linda Morelli : Mensa e trasporti scolastici

Francesco Chilelli : Personale, politiche per l’efficientamento energetico, gestione servizi cimiteriali, delega alla formazione dei comitati di quartiere.

Caterina Ciccia: Commercio, Fiere, mercati, rapporti con le associazioni e campus Temesa

Giusi Osso : Pari opportunità , comunicazione esterna ed Educazione alla legalità .

Alessandro Salvatore: coordinatore delle politiche giovanili, infrastrutture sportive ed agricoltura

Dalla lettura delle competenze afferite o delegate discende con tutta evidenza che quanto non assegnato agli assessori od ai consiglieri delegati resta nella competenza residuale del sindaco

Sembra il caso della Cultura, della manutenzione , del Piano Spiaggia , Politiche del Lavoro, Ricerca e innovazioni, eccetera.

Siamo curiosi di leggere il decreto di nomina successivamente al quale porremo qualche domanda alla segretaria comunale.

Alcuni legali amanteani ci hanno avanzato dubbi sulla utilità politica delle deleghe speciali.

Dubbi di legittimità li porrebbe anche una recente sentenza del Consiglio di Stato.

Vi faremo sapere

Ovvero quando il posto pubblico diventa regno!

L' istituto del trattenimento in servizio previsto dall'art. 16 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 "è in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio (...) per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo", riconosceva ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici (compresi i professori universitari ) un vero e proprio diritto potestativo a permanere in servizio per il periodo indicato.

La norma è stata profondamente modificata dal comma 7 dell'articolo 72 del d.l. 112 del 2008 che dispone: "è in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio , con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso è data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi".

La modifica introdotta dall'art. 72 del d.l. 112 del 2008 sull'istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti civili dello Stato delineato dall'art. 16 del d.lgs. 503 del 1992 ha comportato un significativo mutamento dell'assetto degli interessi in rilievo in tale delicata materia e ... risolto la delicata questione del bilanciamento fra l'interesse privato al trattenimento in servizio e l'interesse pubblico alla salvaguardia delle esigenze organizzative e funzionali dell'amministrazione di appartenenza, tenuto anche conto dell'evidente finalità di contenimento dei costi del personale nel settore pubblico che caratterizzano i più recenti interventi normativi in subjecta materia.

Al pubblico dipendente quindi, non è più riconosciuto un diritto soggettivo alla permanenza in servizio, prevedendosi soltanto che l'istanza, che egli ha facoltà di presentare, vada valutata discrezionalmente dall'Amministrazione; la quale, a sua volta, ha facoltà di accoglierla solo in concreta presenza degli specifici presupposti individuati dalla disposizione, i primi dei quali sono legati ai profili organizzativi generali dell'amministrazione medesima ("in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali") e i seguenti alla situazione specifica soggettiva e oggettiva del richiedente ("in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi").

L''istituto del trattenimento in servizio ha ormai assunto un carattere di eccezionalità in considerazione delle generali esigenze di contenimento della spesa pubblica che hanno ispirato e informato l'intero impianto normativo sotteso alla disciplina di cui al d.l. 112, cit., e, segnatamente, alla disciplina di cui al Capo II di tale decreto, nel cui ambito è collocato il più volte richiamato art. 72.

Poichè è questa la ratio sottesa al richiamato intervento normativo, ne consegue che l'ipotesi ordinaria è quella della mancata attivazione dell'istituto del trattenimento (ipotesi ricorrendo la quale l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione sarà limitata all'insussistenza di particolari esigenze organizzative e funzionali le quali inducano a decidere in tal senso), mentre all'ipotesi del trattenimento sarà da riconoscere carattere di eccezionalità, con la necessità di esplicitare in modo adeguato le relative ragioni giustificatrici, conferendo rilievo preminente alle esigenze dell'amministrazione lato sensu intese.

Rispetto a tali esigenze "la particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti" rappresenta - se del caso - un criterio giustificativo necessario, ma non già la ragione determinante della scelta.

Si tratta, infatti,di dar corso ad un'ipotesi eccezionale di provvista di personale docente, che deve essere adeguatamente giustificata da oggettivi e concreti fatti organizzativi, tali da imporre che si faccia ricorso ad un tale particolare strumento a contenuto derogatorio.

L'esternazione della giustificazione di una tale scelta - insieme a quella sugli altri elementi richiesti, a seguire, dalla disposizione - è necessaria per dar conto del come e del perché l'Amministrazione si determini, derogando alle esigenze di risparmio perseguite dalla legge, a seguire questa speciale modalità di provvista del proprio personale. Non è così quando l'Amministrazione si determini in senso negativo, ricorrendo allora la situazione ordinaria di normale estinzione del rapporto lavorativo per raggiungimento dei limiti di età, che non richiede una speciale esternazione circa la particolare esperienza professionale dell'interessato.

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha così accolto - sentenza N. 04104/2013 del 06/08/2013-il ricorso, proposto dall'Università degli studi de L'Aquila contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 3 giugno 2009 n. 6117. Il TAR aveva, a sua volta, accolto il ricorso proposto da G.M., professore ordinario presso l'Università appellante, contro il decreto rettorale n. 629 del 17 marzo 2009, che revocava la precedente autorizzazione a permanere in servizio, per un ulteriore biennio.

Nel provvedimento di revoca dell' Università erano state ampiamente chiarite le ragioni ostative al rilascio di ulteriori provvedimenti di trattenimento in servizio, facendo riferimento ad insuperabili ragioni di contenimento della spesa.

Secondo il Consiglio di Stato "a fronte di tali argomentazioni, assolutamente recessivo appare l'interesse dell'odierno appellato a permanere in servizio oltre i limiti di età", mentre la pretesa a veder valutata la sua particolare esperienza professionale in determinati o specifici ambiti, non assume alcuna rilevanza giuridica "atteso che tal genere di valutazioni costituisce un posterius rispetto al positivo riscontro da parte dell'Università - nella specie non occorso - riguardo alla sussistenza delle primarie esigenze organizzative e funzionali per ammettere il trattenimento in servizio".

La sentenza assume un particolare significato, in un periodo storico, in cui l'attenzione dei Governi è rivolta a limitare l'enorme voragine della spesa dello Stato, attraverso una riduzione drastica e non sempre indolore degli apparati della Pubblica Amministrazione.

Il trattenimento in servizio costituisce, a tutti gli effetti, una nuova assunzione e, quindi, l'istituto può operare, dopo l'esperimento delle varie mobilità che hanno la funzione di ricollocare il personale in esubero, e, comunque, all'interno delle disponibilità finanziarie. E' abbastanza giusto (sarebbe immorale il contrario) che l' interesse dei singoli dipendenti a continuare ad usufruire, anche oltre l' età lavorativa contemplata dalla legge, dei privilegi che lo status di dipendente pubblico, in qualche modo, garantisce, ceda di fronte al dovere di sistemare il personale in esubero.

A giustificare il regime di sfavore riservato dal Legislatore all' istituto, si impone anche un diverso ordine di ragioni, collegato all' urgenza di un ricambio generazionale all'interno degli apparati pubblici. E' abbastanza evidente come, al trattenimento in servizio di chi ha già superato l'età lavorativa prevista dalla legge, faccia da contraltare il differimento dell' ingresso nel mondo del lavoro di un corrispondente numero di disoccupati e l'invecchiamento dei ruoli del pubblico impiego. Impedendo di fatto l' utilizzazione di intelligenze ed energie nuove, si conferma, per la società, la negatività di una burocrazia sempre più vecchia.

Ritenere gli anziani indispensabili, a causa dell' esperienza e/o della professionalità acquisita, equivale ad esprimere una pesante sfiducia nelle possibilità dei giovani di crescere e di raggiungere gli stessi risultati professionali e a negare alle Amministrazioni il diritto-dovere di rinnovarsi. Purtroppo ormai per nuove generazioni si intendono quelle formate da giovani, mediamente, oltre i trent'anni. E questo vuol dire che ad un intera generazione, quella che va dai venti ai trent'anni è stato impedito di entrare nel mondo del lavoro. Noi riteniamo che l'esperienza e la professionalità degli anziani abbiano tante altre strade ed opportunità, per farsi valere ed essere utili alla società, diverse dall'occupazione perpetua dei pubblici uffici.

Ecco la sentenza del Consiglio di Stato n 04104/2013su “Il trattenimento in servizio e ricambio generazionale nel Pubblico Impiego”

http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%206/2009/200907037/Provvedimenti/201304104_11.XML

Gerolamo Taras (StudioCataldi.it)

Come sarà governata la città dopo la morte di Tonnara?

E’ la prima volta che un evento similare colpisce la nostra città ( per fortuna) e nessuno può vantare esperienza su come assicurare il governo della città.

Sovviene l’articolo 53 del Dlgs 267/2000, il quale nel suo articolo 53 comma 1 dispone :” In caso di decesso del sindaco, la giunta decade e si procede allo scioglimento del consiglio”

Successivamente il comma recita che “Il consiglio e la giunta rimangono in carica sino alla elezione del nuovo consiglio e del nuovo sindaco”

In sostanza la Giunta decade ed il consiglio è sciolto, ma entrambi gli organi sono “mantenuti provvisoriamente in carica sino alle nuove elezioni in regime di prorogatio”, solo per assicurare il governo della città( o della provincia)

Si tratta tuttavia di uno scioglimento solo formale, finalizzato a consentire le nuove elezioni nel primo turno utile, stante che la legge 8 giugno 1990, n.142 prevede che fino alle nuove elezioni il consiglio e la giunta rimangono in carica.

Infine il comma continua disponendo che “ Sino alle predette elezioni, le funzioni del sindaco sono svolte dal vicesindaco.”

Secondo il Ministero dell’Interno:

a) Nel caso di decesso del sindaco si concretizza l’ipotesi di reggenza da parte del vice sindaco che si protrae fino al rinnovo del consiglio comunale e del sindaco. Al vice sindaco, pertanto, figura istituzionalizzata dall’art. 16 della legge 81/93, potrà essere corrisposta l’indennità prevista per il sindaco per tutto il periodo in cui sono esercitate le relative funzioni.

b) E’ chiaro che l’evento del decesso del sindaco provoca la decadenza del consiglio e della giunta che rimangono in carica sino all’elezione del nuovo consiglio e del nuovo sindaco. Tanto al fine di garantire la continuità dell’azione amministrativa, condizione che impone che in ogni momento vi siano soggetti giuridicamente legittimati ad adottare tutti i provvedimenti oggettivamente necessari nell’interesse pubblico, di talché il vice sindaco, la giunta ed il consiglio sono legittimati, ciascuno per quanto di rispettiva competenza, a compiere tutti gli atti occorrenti nella pienezza dei loro poteri.

Inoltre secondo il parere del CdS n 94/96 del 21 febbraio 1996 il vicesindaco è reggente e diviene titolare di tutte le competenze sindacali, anche se in via temporanea e straordinaria. In sostanza può compiere tutti gli atti che avrebbe potuto compiere il sindaco, compresa la revoca di un assessore e la nomina di un assessore mancante per reintegrare il plenum.

Sempre lo stesso parere stabilisce che non è possibile surrogare la nomina del vicesindaco quale componente del consiglio in quanto la disposizione richiamata è eccezionale ed espressamente riferita alla fattispecie del decesso del sindaco.

Può invece essere sostituito il consigliere dimissionario.

Ovviamente in caso di successivo impedimento, rimozione o decesso del vicesindaco reggente viene, invece, nominato un commissario.

Andiamo alle perplessità

Come può un vicesindaco nominato avere i medesimi poteri e le medesime prerogative di un sindaco eletto dal popolo? Possibile questa totale equivalenza?

La perplessità non è stata sciolta nemmeno dal più recente parere del CdS n. 501/2001 reso in data 14 giugno 2001, nel quale il supremo organo amministrativo dopo avere affermato perentoriamente che «è ormai pacifico che il Vice Sindaco possa svolgere con pienezza di poteri tanto le funzioni di vertice politico dell’Amministrazione quanto quelle di ufficiale di Governo», si chiede se «il Vice Sindaco possa o meno nominare (o revocare) gli assessori ed in particolare (nei comuni ove lo statuto preveda un numero fisso di assessori) l’assessore destinato a prendere il suo posto nella Giunta». Il Consiglio di Stato, quindi, osserva che nei casi di decadenza del Sindaco, la Giunta ed il Consiglio «rimangono in carica (circostanza questa assai significativa) con pienezza di poteri visto che (argomenta ex art. 38, comma 5, T.U. n. 267/2000) solo dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali tali organi devono limitarsi ad adottare gli atti urgenti e improrogabili».

Afferma, quindi, che «il quadro normativo esibisce risultanze sufficientemente univoche, confermando che nell’ipotesi della vicarietà ... nessuna norma positiva identifica atti riservati al titolare della carica e vietati a chi lo sostituisce». Aggiunge che «l’esigenza di continuità nell’azione amministrativa dell’Ente locale postula che in ogni momento vi sia un soggetto giuridicamente legittimato ad adottare tutti i provvedimenti oggettivamente necessari nell’interesse pubblico», per concludere che «è giocoforza riconoscere al Vice Sindaco reggente pienezza di poteri anche per quanto concerne la revoca o la nomina degli assessori».

Ma è lo stesso CdS che si pone dubbi e si chiede: «può destare perplessità che poteri incisivi, come quelli oggi attribuiti al Sindaco in virtù dell’elezione popolare diretta, vengano esercitati per periodi di tempo, anche considerevoli, da un vicario privo di analoga investitura» e che «sotto il profilo dell’opportunità può ritenersi che nella situazione suddetta il Vice Sindaco dovrebbe fare uso di responsabile autolimitazione».

La stessa responsabile limitazione ovviamente dovrebbe essere usata anche dalla Giunta e dal Consiglio comunale.

Ci sembra infatti che si possa ritenere la ricadenza delle medesime condizioni richiamate dall’ art. 38, comma 5, T.U. n. 267/2000, che impone che Giunta e consiglio debbano limitarsi ad adottare atti urgenti ed improrogabili dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali.

Di fatto la Giunta è decaduta ed il consiglio è sciolto come disposto dall’art 53 comma 1 e le elezioni avverranno alla prima tornata utile.

Opinare diversamente sarebbe come supporre che nulla sia successo!

Non si invoca certo un governo riduttivo della città ma una presa di coscienza della mancanza del sindaco eletto dalla cittadinanza, un fatto questo unico e non sottovalutabile.

Pubblicato in Politica
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