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Andrea Marchese

Tecnico Informatico. Vivo e lavoro a Reggio Emilia, dove tento di costruire un futuro familiare e professionale.
Appassionato di Informatica e Tecnologia, amo e non dimentico il mio paese, Amantea, il mare e tutti gli amici e non, conosciuti ed incontrati durante il mio percorso di vita.
Ex collaboratore di "Calabria Ora" e de "La Provincia Cosentina".
Realizzatore, Webmaster e Giornalista (con il poco tempo rimasto) del portale TirrenoNews.Info (già Amantea.Net).

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Gli immigrati over 65 hanno diritto alla sanità pubblica

Venerdì, 04 Gennaio 2013 20:42 Pubblicato in Italia

“I genitori ultra 65enni di immigrati stranieri arrivati in Italia per ricongiungimento familiare avranno diritto all'iscrizione al servizio sanitario nazionale grazie a una sentenza pronunciata oggi dal Tribunale del Lavoro di Milano, che ha anche condannato per comportamento discriminatorio i ministeri della Salute, del Lavoro e delle Finanze. A rivolgersi ai giudici attraverso diverse associazioni (Naga, Asgi, Avvocati per Niente e Anolf Milano, legata alla Cisl) sono stati sette immigrati, dal Marocco ai paesi dell'est europeo, che, come tutti gli over 65 coi loro requisiti, non avevano accesso alla sanità pubblica per la mancata attuazione di un decreto ministeriale previsto dal Testo Unico in materia di Immigrazione. Questa norma prevedeva che il ministero della Salute, di concerto con quello del Lavoro e dell'Economia, stabilisse per decreto l'importo da versare da parte degli stranieri di oltre 65 anni per l'iscrizione volontaria al sistema sanitario nazionale. In assenza di questo decreto, si erano date da fare autonomamente le amministrazioni di Emilia Romagna e Veneto che avevano determinato un costo forfettario per consentire agli anziani stranieri di avere accesso ai servizi sanitari. La Lombardia invece non aveva provveduto. Senza questo decreto, per gli over 65 era praticamente impossibile ricevere prestazioni sanitarie perché nessuna compagnia assicurativa si era dimostrata disponibile ad assicurare persone mature emigrate in Italia, peraltro spesso affette da patologie. Ora, il giudice del lavoro Marco Lualdi ha dichiarato "la natura discriminatoria della condotta tenuta dai ministeri resistenti consistita nella mancata adozione dei decreti previsti dall'articolo 34 del Decreto legislativo 286/1998". Così, ha ordinato alla Lombardia "di rendere possibile l'iscrizione al sistema sanitario nazionale dei soggetti ricorrenti a fronte del versamento di un contributo forfettario annuale e non frazionabile, in analogia con quanto già disposto da Veneto ed Emilia Romagna pari a 387 euro". In sostanza, la somma che dovranno versare sostituisce i contributi non versati da queste persone che non hanno lavorato e pagato le tasse in Italia.”Italiaoggi Praticamente ora lo stesso diritto lo avranno anche gli italiani; basta avere un familiare in Italia, emigrare all’estero e fare istanza per ricongiungimento familiare e pagare 387 euro!

Corsi di formazione fantasma, indagati 28 personaggi noti

Venerdì, 04 Gennaio 2013 18:42 Pubblicato in Primo Piano

Amantea. Corsi di formazione fantasma, progetti di ricerca fittizi, funzionari infedeli e politici compiacenti (tra cui l'ex assessore Saverio Zavettieri e l'ex consigliere regionale Antonio Borrello), per una presunta maxi-truffa ai danni della Regione Calabria, dello Stato e dell'Unione europea, che avrebbe permesso ai presunti componenti di una vera e propria associazione a delinquere di far lievitare i propri conti correnti almeno fino al 2011, ricorrendo alla creazione ad hoc di una serie infinita di società e di enti no-profit, con sede legale, anche questa rigorosamente fittizia, dislocata nei più disparati angoli del territorio nazionale, e sede operativa originariamente a Catanzaro e, successivamente, ad Amantea, al fine di beneficiare di finanziamenti erogati dalla Regione, nell'ambito del Por 2000/2006, per progetti di ricerca, di master finanziati dal ministero dell'Università, dell'Istruzione e della Ricerca, nell'ambito del Pon, per corsi di Alta formazione finanziati sempre dal Miur e per corsi cofinanzianti da Miur e Regione Calabria, per un totale di oltre 11 milioni di euro, di cui quasi 6 effettivamente percepiti. Questa, almeno, l'ipotesi accusatoria, che pende a carico di 28 persone, i cui nomi sono finiti nell'elenco degli indagati di una possente inchiesta aperta nel 2005 dall'allora pm Luigi de Magistris ed ereditata, al termine di un tortuoso iter giudiziario, dai sostituti procuratori Elio Romano e Alberto Cianfarini, che, messi insieme tutti i tasselli del mosaico accusatorio, sono pronti a dare lo sprint finale, con gli interrogatori già fissati per il prossimo 10 maggio. Data in cui i magistrati entreranno nel vivo dei lunghi e dettagliati capi di imputazione confluiti nel voluminoso avviso di garanzia che attribuisce a ciascun indagato un ruolo ben definito all'interno della presunta associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla corruzione. IL PROTAGONISTA. Presunto protagonista indiscusso della scena, l'imprenditore amanteano Maurizio Vadacchino, che, forte dell'appoggio di un politico di razza come Saverio Zavettieri, all'epoca in cui quest'ultimo ricopriva la carica di assessore regionale alla Cultura e all'Istruzione nella giunta guidata da Giuseppe Chiaravalloti, rimasta in carica dal 2000 al 2005, oltre a farsi nominare consulente esterno per la Regione Calabria, sarebbe riuscito a fare razzìa di fondi addirittura partecipando in prima persona alle Commissioni deputate alla valutazione e all'ammissione ai finanziamenti pubblici dei progetti di ricerca, dei master e dei corsi di formazione professionale, così facendo ottenere le erogazioni pubbliche in questione agli enti no profit ed alle società di cui lui stesso era il legale rappresentante o l'amministratore di fatto. I COMPLICI. A supportare Vadacchino, sempre ripercorrendo la tesi accusatoria, ci sarebbe stata una fitta rete di collaboratori e funzionari pubblici (in particolare di dirigenti scolastici, docenti universitari, funzionari e dirigenti regionali, politici di varia estrazione), che avrebbero attestato, di volta in volta, il regolare svolgimento dei corsi finanziati e l'esborso di spese, meramente fittizie, attraverso la redazione di documentazione amministrativa e di fatture per operazioni in realtà inesistenti. Tutt'intorno, decine di prestanome, tra cui l'ex moglie, Laura Mollica, due collaboratrici di nazionalità rumena e bielorussa, un docente presso l'università di Siena, Riccardo Giannetti, e gli imprenditori Riccardo Giannetti e Roberto e Ragadali. Ad affiancarlo negli affari sarebbe stata la commercialista Maria Cristina Alfano, suggeritrice di tutti gli escamotage fiscali da adottare. Quindi, in cinque, tra commercianti e docenti (Silvano Perri, Marino Bonanno, Tommaso Caporale, Francesco Sassone e Francesca Papini), avrebbero provveduto a sfornare le false fatture da produrre alla Regione. VIOLENZA E MINACCE. E se qualcuno avesse osato intralciarlo nel suo cammino, giù con le botte, così come sarebbe accaduto, sempre secondo i magistrati, nel caso di un imprenditore che, dopo avere scoperto l'utilizzo da parte di Vadacchino di carta intestata alla propria azienda (la “Barone srl”), con tanto di firme e timbri falsi, al fine di rendicontare spese fittizie inerenti i progetti di ricerca ammessi ai finanziamenti pubblici da allegare alla documentazione amministrativa prodotta alla Regione Calabria, si sarebbe ribellato, ricevendo per tutta risposta schiaffi e minacce di morte, riuscendo, tuttavia, a darsela a gambe dal luogo dell'aggressione, inseguito da uno dei collaboratori di Vadacchino con in mano un bastone di ferro. Un episodio, questo, che vede indagati solo l'imprenditore e Giacomino Guido, detto il “pantera”, insieme ad altri soggetti mai identificati, per i reati di violenza e minaccia. IL POLITICO. Capitolo a parte quello dedicato a Saverio Zavettieri, grazie al quale Vadacchino, secondo l'accusa, avrebbe ottenuto l'approvazione di ingenti finanziamenti comunitari e regionali, inserendo nelle commissioni aggiudicatrici se stesso o persone a lui vicine, come Francesca Papini o Umberto Dal Maso. “Come contropartita per l'aiuto prestato - scrivono i magistrati - Zavettieri chiedeva l'inserimento di ulteriore personale nelle attività inerenti le “Ricerche” (12 persone segnalate dall'ex assessore, che avrebbero dovuto percepire dai 4.000 ai 7.000 euro, senza prestare alcuna attività)”, mentre, in occasione delle elezioni politiche del 2006, avrebbe chiesto a Vadacchino “prima la raccolta di firme utili per superare la soglia minima per far partecipare alla tornata elettorale la sua lista in Toscana (I Socialisti) e poi il procacciamento di voti ad Amantea (Cs)”, dove si riteneva “scoperto”. LA CORRUZIONE. A favorire l'ammissione ai finanziamenti di ben 9 progetti sarebbe stato Umberto Dal Maso, in qualità di componente delle commissioni di valutazione dei progetti regionali per le attività di ricerca, percependo in cambio “ingenti somme di denaro”, scrivono ancora i magistrati, che contestano, inoltre, alla funzionaria del Dipartimento regionale di Alta formazione presso l'assessorato all'Istruzione e alla Cultura, Annunziata Tripodi, di avere agevolato a sua volta Vadacchino, mettendo mano alle carte false, ricevendo in cambio lo sconto di 30 mila euro sull'acquisto di una imbarcazione dal valore di 8, intestata ad una sua società di comodo. Fin qui, dunque, la ricostruzione dei fatti contenuta nell'avviso di garanzia che permetterà a tutti gli indagati di difendersi davanti ai magistrati il 10 maggio, nel tentativo di tirarsi fuori dai guai giudiziari riportati alla luce dalla Procura, a distanza di ben sette anni dall'apertura del fascicolo. Truffa e corruzione tra i reati ipotizzati a vario titolo nei confronti di politici, funzionari e imprenditori. Torna alla ribalta un fascicolo aperto nel 2005 che evidenzierebbe 11 milioni di euro di fondi che sarebbero stati percepiti ingiustamente Da Ilquotidianodellacalabria. STEFANIA PAPALEO

La strategia tutto sommato era semplice, ma forse, alla lunga, non molto efficace: si appostavano dov'era più facile che gli automobilisti commettessero infrazioni, li multavano con sanzioni alte, facevano pagare in contanti al comando garantendo che in questo modo avrebbero evitato la perdita dei punti o il ritiro della patente. Poi però verbalizzavano una sanzione più bassa e intascavano la differenza. Per i tre vigili di Arconate arrestati a settembre di un anno fa, il caso è chiuso: il pubblico ministero Ferdinando Esposito ha chiuso le indagini. Tanti i reati di cui sono stati accusati l'allora comandante, Pierangelo Valorio, 40 anni, e i due agenti Massimo Castrucci e Christian Festa, 33 e 31 anni: associazione a delinquere, peculato, truffa, abuso d'ufficio, falso ideologico e materiale, soppressione di documenti. Per Valorio, la procura ravvisa anche la concussione: l'ex comandante avrebbe costretto un commerciante cinese a pagare più di quattromila euro per evitare controlli sul suo laboratorio tessile. Tra l'agosto 2010 e il settembre 2011 il gruppo avrebbe sottratto alle casse comunali circa 25mila euro con verbali che documentavano sanzioni anche di 500 euro che poi arrivavano alla tesoreria comunale contraffatti -- in modo da riportare multe di meno di cento euro -- o addirittura fatti sparire. Partendo dalla denuncia di un cittadino, le indagini dei carabinieri di Legnano hanno ricostruito il modus operandi dei vigili: «Gli operanti, posizionandosi prevalentemente in luoghi dove era più probabile l'accertamento delle infrazioni, fermano il trasgressore, redigono verbale di accertamento, evidenziano i punti patente da decurtare e le eventuali sanzioni accessorie (ritiro patente o carta di circolazione), invitando il contravvenzionato a pagare al più presto in contanti e presso l'ufficio della polizia locale». Facendo intendere che in questo modo «si sarebbe potuto evitare la decurtazione dei punti o il ritiro della patente». In certi episodi, hanno verificato gli investigatori, erano gli stessi vigili a indicare il bancomat più comodo per prelevare e pagare l'infrazione. «In qualche caso -- si legge ancora nella richiesta del pm Esposito -- il documento di guida o circolazione viene trattenuto sul posto dal vigile che, avuta conferma del pagamento tramite comunicazione telefonica o dopo aver visionato la ricevuta, lo restituisce all'avente diritto».
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